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Autore: Lady Vibeke    29/09/2011    3 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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21. L’ANELLO MANCANTE

 

How strange, how strange
'Cause you know what they say
About the visions in your head and what they mean

– How Strange, Emilie Autumn –

 

 

Il mattino seguente Lucius mandò Regan e Shin a recuperare i cavalli nelle stalle dove li avevano lasciati, mentre lui pagava il conto alla locanda.

Freyr non volle saperne di lasciarsi avvicinare da Shin e Regan dovette stare ad accarezzarlo per un po’ sul muso caldo per ammansirlo abbastanza da convincerlo a uscire all’aria fredda. Freya, come al solito, fu più accomodante, ma non si risparmio uno sbuffo di protesta non appena fu accarezzata da una folata di vento gelido.

Regan ripensò a quanto accaduto quella notte stessa, quando lei aveva desiderato più luce, e luce era stata, e aveva rabbrividito dal freddo, e il vento aveva soffiato più tiepido. E pensò anche a un’altra cosa.

– Shin – esordì, titubante, mentre camminavano verso la locanda, briglie alla mano.

– Dimmi. –

Lei esitò.

– Io… – Non sapeva esattamente cosa dire. – Mi hai trovata di nuovo, stanotte. –

Le ovvietà erano sempre un ottimo compromesso.

Shin parve preso in contropiede.

– Io e Lucius – rettificò, e a Regan sembrò quasi evasivo. Non l’aveva nemmeno guardata.

Erano stati lui e Lucius a presentarsi alla porta di Madame Vervaine, questo era vero, ma lei era più che sicura che fosse stato lui solo a sapere dove trovarla, e benché non se ne sapesse spiegare il motivo, riteneva di dovergli come minimo un ringraziamento. Non era la prima volta, dopotutto: lui era stato il primo a soccorrerla alla Fiera d’Inverno, ed era stato sempre lui ad apparire dal nulla quando non si era sentita bene al palazzo di Kauneus, la sera del ballo.

Sembrava indifferente quanto lei fosse lontana o nascosta: Shin riusciva sempre a scovarla. Per qualche ragione, tuttavia, non era disposto ad ammetterlo. Regan, comunque, non aveva voglia di discutere: aveva passato tutto il resto della notte a spiegare a lui e Lucius come e perché era andata a finire al La Serra, e le sue rivelazioni avevano allarmato parecchio entrambi i suoi amici.

Ora voleva semplicemente dire grazie a chi sentiva di doverlo, e, dopo Lucius, mancava solo lui, e decise di assecondarlo.

– D’accordo, tu e Lucius. Comunque sia… grazie. –

Bastò un sorriso a spazzare via il distacco improvviso dal volto sereno di Shin.

Regan si sentì molto meglio. Apprendere della morte di Derian le aveva arrecato un dolore che non avrebbe creduto possibile, poiché per anni lui aveva rappresentato per lei tutto ciò che di buono potesse esserci al mondo, e probabilmente, se le cose per lei fossero andate diversamente, si sarebbe lasciata consumare nel cordoglio fino alla morte. Ma sapere di non essere sola le dava una forza che altrimenti non avrebbe mai avuto: sapere che c’erano persone disposte a combattere per difenderla, senza chiedere nulla in cambio, era come se da un giorno all’altro la sua persona avesse acquistato un valore superiore che, dopo i trattamenti annichilenti ricevuti presso la Corte, aveva creduto di non possedere.

Sorrise a sé stessa, un po’ più serena, e avvolse in braccio libero attorno a quello libero di Shin. Lui sorrise senza voltarsi.

Nessuno dei due parlò più per il resto del tragitto.

Le strade erano asciutte, inondate dal blando tepore del sole ormai alto nel cielo di un blu-azzurro intensissimo e la gente sembrava sentilo fin dentro le ossa, quel tempo migliore, perché le donne si salutavano a gran voce da case sui lati opposti delle strade, spalancando le imposte, gli uomini fischiettavano di buonumore portando carretti e muli verso i campi, e persino qualche bambino già scalpicciava per strada attaccato alle sottane della madre che andava a fare il bucato alla fontana della pizza del centro.

Davanti al fornaio, una signora bassa e grassottella stava pulendo freneticamente le manine della figlioletta con il grembiule.

– Kyriel, tesoro mio, smettila raccogliere pezzi di legno da terra, ti sporcherai tutta! –

La bimba, uno scricciolo biondo dalle guance rosee e un po’ sporche di fuliggine, la lasciava fare, ma mostrando tutto il suo aperto disappunto sporgendo le labbra all’infuori.

Qualcosa si incrinò nel petto di Regan. Quasi si vergognò a pensare che, se si fosse imbattuta di nuovo nella vecchina che voleva portarsela via al mercato di Cittanuova, sarebbe stata fortemente tentata di chiudere un occhio e fingere di essere chiunque quella donna cercasse, solo perché le aveva parlato di una madre che l’aspettava in un posto da chiamare casa.

Shin era irrequieto. Continuava a lanciarle sguardi sfuggenti e socchiudere le labbra per poi richiuderle subito, quasi volesse dirle qualcosa ma non osasse.

Regan non era riuscita nemmeno a rallegrarsi di aver scampato una ramanzina coi controfiocchi: se Lucius si era addirittura trattenuto dal tirarle le orecchie per quanto era stata irresponsabile, la situazione doveva essere grave. Molto più di quanto lei immaginasse.

Lucius non fu di molte parole, durante il ritorno verso Kauneus. Aveva un’espressione indecifrabile, smarrita in pensieri la cui natura Regan non riusciva a immaginare. Camminava avanti a lei e Shin, le mani in tasca, lasciando che fossero loro a guidare i cavalli. Regan stringeva pensierosa le briglie di Freyr, regalandogli ogni tanto, assente, qualche carezza sul muso.

Quando sbucarono dal Portale sulla Piazza del Vecchio Regno, Lucius ordinò di montare in sella. Regan gli salì dietro e si aggrappò alla sua vita, ma non erano diretti dove lei si era aspettata, a casa, bensì verso la periferia.

Non voleva disturbare il silenzio in cui si era chiuso Lucius, così di volse verso Shin, che cavalcava loro accanto, e lo guardò interrogativa.

Tutto ciò che lui le rispose fu un movimento breve delle labbra che sillabò qualcosa che le fece capire che la loro destinazione non le sarebbe stata affatto gradita.

Lei.

 

 

Il palazzo della Sede del Nucleo di Norden era tutta un’altra cosa, visto così. Senza le luci calde, le musiche, le chiacchiere rumorose della folla… restava un castello bianco dalle strutture affilate e incredibilmente leggere, silenzioso e quasi spettrale nella luce nebbiosa del sole mattutino invernale. Era quasi mezzodì, ma la giornata era tutt’altro che limpida, anche nonostante il sole: era nevicato parecchio, in loro assenza, e questo aveva fatto precipitare le temperature, nonché sollevato una vaga foschia, sotto i raggi del sole.

Diversamente dalla Sede Centrale a Medilana, la Sede situata a Kauneus era molto più tranquilla e ordinata: c’erano guardie impettite a ogni portone e per i corridoi di rado si incontrava qualcuno.

Lucius camminava spedito, apparentemente senza badare a dove andasse, salendo scalinate e svoltando da un atrio all’altro come se davvero non avesse meta.

Regan lo seguiva controvoglia, già frustrata all’idea di dover incontrare di nuovo Soile, e più vedeva di quel castello, più si meravigliava di come esso rispecchiasse perfettamente l’essenza della sua signora: in un ordine semplicemente perfetto, il bianco predominava, accecante e freddo, e tutto ciò che lo accompagnava richiamava la medesima freddezza: mobili di legno scuro, tappeti, rivestimenti e velluti blu bordati in argento, veli di sottotende candidi che filtravano la luce solare, rendendo tutto soffuso come in un sogno.

Arrivarono finalmente di fronte all’ennesima scalinata (sembrava averne un’infinità, quel palazzo immenso, che un tempo, dopotutto, era stato la casa dei sovrani di Norden) sorvegliata da due guardie.

– Signori – salutò Lucius, mentre passava loro oltre senza alcuna formalità, proprio come fosse a casa sua. Regan aveva il sospetto che fosse un visitatore tanto assiduo e abituale che nessuno faceva più caso a lui.

Mentre salivano, Lucius fischiettava tra sé e Shin camminava fissando il pavimento privo di ogni interesse.

– Ancora qui, tu! La Madre ancora non mi ha fatto la carità di richiamarti a sé? – abbaiò ad un tratto una voce secca e imperiosa.

Una donnetta pingue dai capelli grigi trattenuti in una treccia che le correva attorno a tutta la testa brandiva un piumino per le pulizie in direzione di Lucius.

– Donna Colinde – esclamò lui, in un tono che avrebbe convinto chiunque che non potesse essere più felice di vederla. – È un piacere trovarvi calorosa e affabile come sempre. –

Lei si portò una mano al fianco e con l’altra puntò minacciosa il piumino alla gola di Lucius come un’arma letale.

– Non ti rivolgere a me in quel tono, giovanotto! Solo perché la mia bambina ti permette certe confidenze, non significa che tu possa prenderti certe libertà anche con me! –

– Era la nutrice di Soile quando lei era bambina – sussurrò Shin a Regan, muovendo appena le labbra.

– Tu e quel tuo modo impertinente di rivolgerti a chi è più anziano! – stava blaterando intanto la donna. – Ah, se solo potessi… –

– Siamo qui per vedere Lady Leljen – la interruppe Lucius con un evidente sforzo di reprimere un sorriso divertito. – Possiamo trovarla nelle sue stanze? –

Gli occhietti celesti e acquosi della donna si ridussero a due fessure.

– La Madre solo sa perché ti permettano di gironzolare per questo posto come fosse tuo. –

Ci volle un po’ perché si decidesse a dar loro retta, ma alla fine, dopo aver sottolineato più volte che Lady Leljen aveva già ospiti importanti e sarebbe dunque stato molto scortese interromperli, Lucius riuscì a convincerla a farsi accompagnare da lei.

Attraversarono un lungo corridoio luminoso e si fermarono soltanto quando ne ebbero raggiunta l’estremità, un piccolo atrio circolare che faceva da anticamera a una stanza e allo snodamento di un altro corridoio perpendicolare. All’interno della stanza, la cui porta era aperta, qualcuno stava parlando. Regan non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere la cadenza pacata ma musicale di Soile, né mancò di notare lo scintillio che essa accese al volo negli occhi di Lucius.

– Mia cara – stava iniziando a dire un’altra donna. – La questione è sicuramente delicata, ma il tuo onorabile padre ormai non c’è più da anni e tu sei libera di scegliere cosa è meglio per te. Al diavolo le tradizioni! –

– Renise ha ragione, Soile. Penso che tu abbia già rinunciato a fin troppo per assecondare la volontà di Arvon. –

La voce dolce e fanciullesca di Persefone.

Donna Colinde si avvicinò e bussò, poi si fece avanti tutta sussiegosa.

– Domando scusa, signore. Ci sono ospiti che esigono di essere ricevuti – Marcò la parola “esigono” con sprezzo e fastidio, inasprendosi di netto.

– Non aspettavo nessuna visita – disse la voce sorpresa di Soile.

– Pare che io arrivi sempre nei momenti meno opportuni – si intromise Lucius, sornione, entrando con il suo passo felpato a dispetto del braccio teso di Donna Colinde, che cercava di tenerlo indietro.

Regan avanzò quanto bastò per vedere tutte e tre le donne dentro alla stanza, sedute attorno a un tavolo rotondo, sorridere a Lucius piene di affettuosa indulgenza.

– Renise, Persefone – salutò lui, poi il suo sguardo si spostò e acquisì un’espressione del tutto diversa. – Soile. –

Per un istante fu come se il sole si fosse concentrato tutto nei loro occhi, facendoli risplendere di tutta la sua luce. Ma poi Soile abbassò lo sguardo sulla tazza di the che aveva davanti, come improvvisamente attratta dal fumo caldo che ne usciva, e l’incanto svanì. Ai suoi piedi, mansuetamente accucciato ma all’erta come sempre, Kirppu aveva rizzato le orecchie e scoperto appena le zanne, ma senza aprire gli occhi. Soile non se ne accorse, o forse non vi badò.

Il vestito nero la faceva apparire pallida e vagamente sciupata, ma era così dolorosamente bella che nemmeno quello riusciva ad offuscarla. Accanto a lei, invece, Persefone era più radiosa che mai, sorridente e perfettamente a suo agio, avvolta in un meraviglioso abito rosa scuro ricamato di grigio perla che metteva in risalto il suo bel pancione. Regan non conosceva la terza donna, ma riconobbe sull’anello che portava alla mano sinistra il sole stilizzato dai raggi ondeggianti che spesso si incontrava riprodotto in mille versioni nella Terra di Sonnerg.

Lei e Shin entrarono in coda e si fermarono ai due lati di Lucius. Shin salutò con familiarità, ma Regan non era sicura sul da farsi. Per fortuna Lucius agì per lei:

– Cerbiattina, lascia che ti presenti Renise Urwald, Coordinatore della Terra di Sonnerg. –

Regan rimase molto colpita. Renise sembrava non avere assolutamente nulla in comune con le due compagne: robusta, la mascella volitiva, la pelle abbronzata dal sole e punteggiata di efelidi, mani grandi e forti che reggevano una tazza di porcellana apparentemente troppo piccola e delicata per loro. Doveva avere almeno il doppio dell’età delle altre due.

– La piccola Regan, ma certo – la donna le rivolse un sorriso caldo che dalle labbra un po’ screpolate salì fino agli occhi, grandi e di un castano molto chiaro. – Ho sentito molto su di te –

Se Soile e Persefone erano vestite come due ricche nobildonne, Renise pareva piuttosto appena rientrata da una battuta di caccia: una blusa comoda, calzoni di tela pesante e stivali di cuoio, i capelli trattenuti in una rigida treccia scura striata da molti fili argentei.

– Grazie per averli accompagnati, Colinde – disse Soile, gentile, e la donna, sebbene scontenta, annuì all’invito implicito della padrona e se ne andò. – Prego, accomodatevi tutti – aggiunse poi, abbracciando con un gesto ampio le sedie libere che stavano attorno al tavolo.

Se non avesse saputo che quelle davanti a lei erano tre delle donne più potenti delle Sette Terre, Regan avrebbe detto che si fossero tutte riunite lì per una semplice merenda di piacere tra amiche, ma sapeva che le cose, pur potendo apparire come tali, non potevano stare così.

Lucius esitò e per un secondo soltanto il suo sguardo indugiò su Renise Urwald, e lei, come se avesse udito qualcosa che non era stato pronunciato, si alzò in fretta, lasciando la tazza ancora mezza piena sul suo piattino.

– Si è fatto tardi, è il caso che io vada. –

– Renise, per favore… non è necessario – cercò di dissuaderla Lucius, ma invano.

– Non essere sciocco! Avete delle questioni riservate da discutere e non potete certo aspettare che il dovere richiami noi tutte ad altre occupazioni. Nessuno di noi è qui a perdere tempo, suppongo. –

Regan decise immediatamente che quella donnona perspicace e senza peli sulla lingua le piaceva. Prima di andare, però, Renise si fermò sulla porta e si voltò indietro.

– In merito a quanto abbiamo discusso – disse, rivolta a Soile. – Sii cauta, mia cara – poi, con un ultimo cenno, si congedò.

– Sempre un passo avanti, la cara vecchia Renise – sorrise Lucius, accomodandosi finalmente al tavolo. Kirppu non apprezzò il fatto che avesse scelto proprio la sedia accanto alla sua protetta, ma manifestò tutto il suo disappunto in una semplice e breve ringhio sommesso.

Regan lasciò che fosse Shin a sedersi accanto a Lucius e prese invece posto al fianco di Persefone, che la accolse con una strizzatina d’occhio che la fece sentire un po’ meno un pesce fuor d’acqua. L’agitazione che aveva preceduto la prima cena presso gli Edelberg improvvisamente assumeva dimensioni ridicole comparata a quel momento: prendere il the alla nobile presenza di Lady Soile Leljen si avvicinava fin troppo all’idea che lei aveva di tortura indiretta,

La tovaglia di merletto bianco era imbandita come se si stesse tenendo un piccolo banchetto reale: tortini al limone  e ciambelline glassate colmavano ordinatamente un vassoio d’argento, e, subito accanto, un piatto rotondo di vetro traboccava di grassi biscottini trapunti di scaglie di cioccolato e una tortiera rialzata ospitava fieramente quella che sembrava una montagna di panna montata guarnita di fragoline di bosco e foglioline di menta.

Si trovavano in un salotto enorme, pareti bianche e lumi preziosi, nella cui parete di fondo si spalancava il camino più immenso che Regan avesse mai visto: così alto che ci sarebbe potuta entrare una persona, e nemmeno in punta di piedi ne avrebbe sfiorato la sommità della cornice, e largo più del divano che aveva di fronte. Il fuoco al suo interno ardeva prospero attorno a pesanti ciocchi di legno profumato.

Arrivò una cameriera a portare altre tre tazze e una nuova teiera fumante e quando se ne andò si portò via quella che era stata la tazza di Renise, assieme al tovagliolo e un piattino su cui era rimasto un bignè appena assaggiato.

– Dovete scusarci per esserci presentati qui senza alcun preavviso – disse Lucius, ben lungi dalla sua abituale cerimoniosità, non appena furono di nuovo soli. – Spero di non aver interrotto nulla di importante. –

Le due donne si scambiarono un’occhiatina fuggevole, ma negarono.

Gli occhi di Soile, di quel verde glaciale che non avrebbe mai smesso di mettere i brividi a Regan, sondarono l’espressione di Lucius in cerca di chissà cosa.

– Mi devo preoccupare? – esordì poi, tranquilla. Attorno al collo sottile le luccicava una catenina argentata in cui era stato infilato un anello che sul piatto recava incisa una falce di luna molto elaborata. Persefone portava qualcosa di molto simile: erano gli antichi anelli-sigillo che i Coordinatori si tramandavano di carica in carica e ognuno era contraddistinto dall’emblema della rispettiva Terra. Castalia, rifletté Regan, doveva essersi fatta restringere il suo, perché le sue dita, a differenza di quelle robuste di Renise, non potevano riempire un tale diametro.

– Ho ragione di credere di sì – replicò serio Lucius.

– Regan ha avuto una brutta disavventura, questa notte – soggiunse Shin, e si voltò a guardarla con un misto di rimprovero, dolenza e comprensione.

– Ripeti a Soile e Persefone quello che hai raccontato a noi, da brava – la invitò Lucius, versandole il the.

– Oh – Regan ci mise un momento a rimettere insieme le idee. – Certo. –

Riferì il più dettagliatamente possibile quello che ora le sembrava essere accaduto un’infinità di tempo addietro, quando invece era stato solo la notte precedente che era incappata in quel nugolo di Dannati. Non riuscì a essere precisa come avrebbe voluto, perché qualcosa continuava a deviarle i pensieri verso un altrove impreciso, ma ci pensarono Lucius e Shin a rammentarle ciò che aveva tralasciato. Alla fine,comunque, nessuna delle due donne sembrava impressionata.

– Dunque non abbiamo alcun indizio circa l’identità del tuo primo misterioso soccorritore – rimuginò Persefone.

Regan scosse la testa, desolata.

– Era molto buio e il suo volto era nascosto. Ma ho avuto la sensazione che la sua voce non mi suonasse nuova. –

– La paura può giocare brutti scherzi – dichiarò Soile.

Regan detestò nel più profondo delle viscere l’intonazione condiscendente che aveva usato.

– Non era la paura! Ho già sentito quella voce, solo che non… la stoffa la distorceva! –

– Modera il tono, per favore – la ammonì Lucius, sottovoce, così rigidamente che lei non poté fare a meno di zittirsi. Odiò ancora di più quella donna altera e l’influenza che esercitava su di lui.

– La situazione è davvero singolare, comunque – riprese Soile. – Sembra che ogni giorno spunti nuova gente che ti cerca e altra che tenta di proteggerti. La cosa buffa è che noi ancora non sappiamo cosa ci sia da proteggere – e rivolse a Regan uno sguardo penetrante, da cui lei si sentì invasa come se da una diga perfetta stesse iniziando a trapelare un rivolo di acqua gelata.

– Ho sentito parlare dell’altro, Loner – intervenne Persefone, pronta, scongiurando con garbo la momentanea tensione. – È piuttosto famoso. Dicono sia uno sterminatore di Ladri di Anime. –

Soile annuì con grazia.

– Radislav ha ricevuto molte denunce sul suo conto, ma non intende prendere provvedimenti. In fondo il ragazzo ci fa solo un favore. –

Alla menzione di quel nome, la mano di Lucius posò la tazzina con eccessivo vigore e la ceramica scricchiolò orribilmente. Per contro, Soile gli allungò qualcosa di smile a un mezzo sorriso di ammonimento, e allora sorrise anche lui, a mo’ di scusa.

C’era qualcosa tra quei due, ma Regan non riusciva mai a essere sicura di cosa si trattasse, perché vedeva complicità, timore, bisogno, reticenza, solitudine, affetto… e muri. Tanti invalicabili muri che si paravano tra di loro, forse imponendosi, forse volutamente eretti da loro due stessi.

– Qualcuno ci sta seguendo da giorni, comunque – disse Lucius asciutto. – Qualcuno di o abbastanza bravo o abbastanza protetto da impedirmi di scrutare la sua anima. –

La notizia lasciò Regan basita: nessuno gliene aveva mai accennato prima d’ora. Continuavano tutti ad agire alle sue spalle, manovrandola come un burattino, e lei non aveva nemmeno il diritto di sapere cosa stava succedendo attorno a sé.

Ma forse, ragionò una vocina onesta dentro di lei, non stai facendo poi molto per guadagnarti una considerazione maggiore.

– Penso che Regan abbia bisogno di una protezione ancora più mirata – dichiarò Persefone, mentre la sua mano scorreva su e giù lungo la curva pronunciata del suo addome. – Non che Lucius e Shin non siano in grado di difenderla – aggiunse subito dopo, e i due le sorrisero. – Ma le proporzioni del problema si stanno ingigantendo a vista d’occhio e dovremmo correrei ai ripari prima che sia tardi. Suggerirei di cercare di discuterne con Castalia, se non sapessi perfettamente che ci accuserebbe di volerle solo far perdere tempo. –

Sospirò, e fu un sospiro di grande amarezza.

– Castalia ha paura per questa situazione di incertezza, come molti altri, del resto. Quello che è successo alla Corte ha scosso le sue certezze: se non altro prima sapevamo dove andare a tenere d’occhio Desmond; ora, invece, non abbiamo idea di cosa gli sia capitato, di cosa ne sia stato di tutti gli altri suoi uomini, che cosa stiano tramando… – Soile strinse le labbra, non meno amareggiata di Persefone. – E quel che è peggio che è nessuno è ancora riuscito a trovare una spiegazione plausibile per la fine che ha fatto la Corte, celebre nei secoli per la sua notoria infallibilità. –

Regan cercava di ascoltare e seguire i discorsi, ma non era veramente presente. La sua testa ormai da diversi minuti era immersa in un ribollire di pensieri indistinti che premevano l’uno sull’altro per farsi notare. C’era un cielo nero come la pece squarciato da una cicatrice di luna, una piazza lontana, voci disperate… e c’era l’anello di Renise.

Era tutto lì: i tasselli dell’enigma bruciavano incatenati nello stesso fuoco senza riuscire a farsene illuminare, eppure la soluzione era lì, da qualche parte. Lo sentiva.

Mancava solo un solo anello per congiungerli tutti e dar loro un senso.

Quella notte così nera da essere surreale, eppure un sole c’era…

– Cerbiattina, sei incredibile! Non ci stai nemmeno ascoltando! – esclamò, remotissima, la voce canzonatoria di Lucius.

– Ti senti bene, Regan? – le chiese invece Shin, posandole una mano sul gomito.

No.

Le girava la testa. Era insopportabile, come se ci fosse tutta una storia scritta davanti a lei in una scrittura troppo sfocata perché fosse leggibile.

Era notte ma c’era il sole… non un sole di luce, ma un sole di metallo… un sole d’oro…

Si accostò una mano alla fronte, strinse gli occhi.

– Regan? –

Il sole d’oro dai raggi serpeggianti, nel suo sogno e sull’anello di Renise…

Regan boccheggiò

Com’era possibile che non fosse riuscita a collegare prima le due cose? Come aveva potuto non riconoscerlo?

– Il sole – esalò, senza fiato, le mani artigliate al bordo del tavolo, increspando il fine merletto.

– Il sole? Che significa? – fece la voce perplessa di Lucius.

Lei deglutì, le spalle improvvisamente fredde.

– Il sole che vedo nei miei sogni, al di là della finestra, tra i singhiozzi di quella gente… – alzò lo sguardo e fissò sgomenta uno a uno i presenti, che a loro volta la osservavano in anticipazione.

– È quello che c’è a sormontare il portale della piazza di Aurin! –

   
 
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