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Autore: PattyOnTheRollercoaster    04/10/2011    2 recensioni
L torna alla Whammy's House, indeciso se continuare la sua carriera da detective dopo il caso Kira. Near si dà alla filosofia, Mello alla boxe e Matt continua con l'informatica.
Mentre vanno avanti con le loro vite Ryuk scrive un nome sul Death Note, una ragazza trova un quaderno incastrato nel portatile, qualcuno viene ucciso e qualcun'altro rapito. Un nome viene scritto e un'altro cancellato.
Si dice che il battito d'ali di una farfalla può causare un uragano dall'altra parte del mondo. Se una farfalla può causare questo, allora cosa causerà uno Shinigami annoiato?
[Dal capitolo 6]
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tredici
The undead boy





Light Yagami era risorto nemmeno un anno dopo essere morto di arresto cardiaco per mano dello Shinigami Ryuk. Ricordava tutto ciò che era avvenuto durante la sua ‘vita passata’: il ritrovamento del Death Note, l’incontro con Ryuk, la decisione di ripulire il mondo dal male, l’inizio della sua vita da Kira. Poi l’incontro con L, le indagini su di lui, la rinuncia del Death Note e lì!, era lì che qualcosa era andato storto! L aveva scoperto dei particolari che lui, Light, aveva tralasciato, aveva parlato con Rem, le aveva promesso che non avrebbe fatto del male a Misa, e che anzi, avrebbe fatto in modo che rimanesse al sicuro per il resto dei suoi giorni. Dopotutto, lui era L. Poteva smuovere le masse con una sola parola. E quello stupido Shinigmi ci aveva creduto, e gli aveva confessato ogni cosa. L aveva capito in anticipo il suo piano: dopo aver parlato con Rem aveva avuto molte informazioni in più riguardo al Death Note e aveva intuito cosa voleva fare Light. Le regole false del quaderno erano state il punto debole del ragazzo, e sicuramente l’amore che Rem provava per Misa non aveva giocato a suo vantaggio. L aveva agito di conseguenza alle sua scoperte. Con la promessa di Misa al sicuro lo Shinigami era a completa disposizione del detective. Con l’aiuto di Near, per di più, che molto probabilmente lo aveva aiutato in decisioni e intuizioni vitali, avevano finito per incastrarlo, e trovare delle prove che non mettevano più in dubbio la sua colpevolezza. Lui era Kira. Dopo di che Ryuk, come aveva già avvisato tempo addietro, una volta giunta l’ora di Light aveva scritto il suo nome sul suo Death Note. Dopo quaranta secondi l’ossigeno non aveva raggiunto il cuore a causa di una contrazione errata dei muscoli, dopo altri dieci secondi era morto.
Non ci era voluto, in tutto, nemmeno un minuto perché Light Yagami smettesse di respirare.
Quando era tornato in vita si trovava nel cimitero dove era stato sepolto. Fu come svegliarsi da una profonda ma confusa dormita, come se fosse andato a dormire alle dieci di sera e si fosse svegliato qualche ora dopo credendo che fosse già mattino. Si sentiva confuso, non capiva cosa fosse successo, non sapeva esattamente se ciò che viveva era realtà o finzione. Forse quello che vedeva era un altro Mu. Era un’altra facciata del Mu, il luogo in cui era finito alla morte. Non vi era nulla in quel luogo: solo lui e il deserto. Non esisteva il tempo, così gli pareva di essere lì da secondi, o da anni interi. Forse quel cimitero, con la sua lapide grigia al tramonto del sole, non era altro che uno scherzo di cattivo gusto di quegli Shinigami che tanto si divertivano a giocare con la vita -e la morte- degli umani. Aveva vagato per Tokyo, stupito di scoprirla esattamente com’era da quando l’aveva lasciata. Non sembrava il Mu. Infine aveva raggiunto, con gambe stanche, la sua vecchia casa. Vi era un’altra famiglia. Immaginava che dopo la sua morte i genitori e sua sorella avevano preferito trasferirsi. Ma suo padre sapeva…
In meno di una settimana Light Yagami si era ripreso dall’iniziale stupore dubbioso che l aveva colto quando era tornato in vita, e aveva effettuato ricerche sulla sua famiglia. Aveva trovato la loro nuova abitazione e avvicinato suo padre. Senza farsi vedere in viso gli aveva estorto informazioni sul Death Note e su L. Ovviamente Yagami-san non sapeva nulla di significativo, ma credeva che L fosse in Inghilterra, assieme a Near, ed era sicuro che il Death Note fosse rimasto a lui. Nessuno degli agenti lo aveva voluto tenere, e comunque di sicuro L non avrebbe permesso a nessuno di loro di tenerlo. Dopo avergli estorto tutte le informazioni possibili Light aveva lasciato andare suo padre e non aveva più cercato di contattare in alcun modo i suoi consanguinei. Si era procurato dei documenti falsi, aveva prelevato tutti i soldi dal suo conto, che per qualche ragione i suoi genitori non avevano ancora chiuso, e ne aveva aperto uno nuovo a nome di Eikichi Kazuro. Stava per andare in Inghilterra. Aveva bisogno di soldi e voleva trovare un lavoro redditizio. In fondo aveva una laurea da far invidia a chiunque, certo quella di Eikichi Kazuro era del tutto falsa, ma le sue conoscenze erano vere e bastava poco per testarle. Una volta viste le sue capacità nessuno avrebbe più fatto caso ai suoi studi, le grandi aziende se lo sarebbero conteso. Forse quella era un’altra possibilità che gli era stata donata: forse poteva ancora salvare il mondo dal male.
Per puro caso aveva letto un libro del dottore americano Yann D. Carter, ‘Esempi di schizofrenia infantile’. Vi aveva trovato un caso molto interessante. Un paziente del dottore aveva manifestato visioni, la piccola paziente vedeva mostri e sapeva quando la gente sarebbe morta. Questo aveva attratto Light come le api lo sono dal miele. Aveva cambiato il suo volo da Tokyo a Londra con uno diretto a New York. Era andato a trovare il dottor Carter, dicendogli che era uno studente di psicologia, e si era detto molto interessato al suo libro. Yann Dimitri era rimasto molto lusingato, e si era lanciato con entusiasmo in spiegazioni, in racconti e in analisi di cartelle cliniche. Quando era arrivato a quella di Georgie Jonsson, Light aveva semplicemente memorizzato il suo nome. Dopo aver fatto alcune ricerche e aver guadagnato diversi dollari grazie alla risoluzione di alcuni casi in America e furtarelli informatici a qualche malcapitato malvivente (dopotutto era per il bene superiore*), aveva affittato una villa, ingaggiato Dayo, e rapito Georgie Jonsson. Poi aveva pensato a come contattare L. Non aveva la minima idea che la ragazza che aveva rapito, Noodle, fosse una di loro, sapeva solo che qualcuno era sulle sue tracce. Aveva risentito il dottor Carter, e questi gli aveva accennato ad un incontro con due detective, un uomo e una donna. Light aveva cercato di sapere di più, ma quando il dottore aveva cambiato argomento non aveva più domandato nulla, se non altro per non far nascere in lui dei sospetti. L’unica persona che avrebbe accettato di collaborare con lui e che i detective dovevano per forza interrogare, era Francy Newman. L’aveva trovata e, in cambio di denaro, aveva fatto appostare Dayo nella sua casa per due settimane quando finalmente due detective, un uomo e una donna, erano andati a bussare alla sua porta.
Sarebbe stato meglio però non rapire mai quella ragazza. A causa della negligenza di Dayo era riuscita a mettersi in contatto con L e gli aveva svelato il suo piano. Così era andato tutto a monte! Light aveva il Death Note adesso, ma non aveva più Georgie, non aveva più gli occhi dello Shinigami. Quando aveva saputo di Georgie Jonsson era rimasto estasiato all’idea di poterla avere con sé. Avrebbe risolto molti problemi facilmente. Non avrebbe mai dovuto effettuare lo scambio degli occhi e non avrebbe mai dovuto convincere qualcuno a farlo per lui. Inoltre il fatto che i suoi personalissimi Occhi dello Shinigami fossero una bimba di appena sette anni andava assolutamente a suo favore: i bambini sono molto più semplici degli adulti, e nulla gli impediva di adottare Georgie legalmente.
Quando era fuggito con Ryuk al seguito, dopo essere passato per la casa e aver preso tutto il necessario, lo Shinigami, dal retro dell’auto, gli aveva ancora una volta rammentato una delle regole fondamentali del quaderno della morte. “Light, puoi sempre fare lo scambio tu stesso.”
“No, Ryuk. A cosa servirebbe diventare Kira per poi morire subito? Non avrebbe alcun senso.”
“Potresti richiamare Misa.”
Light rimase un secondo zitto. “Richiamare?”
“Puoi cancellare il suo nome dal Death Note. In questo modo tornerebbe in vita.”
“E’ così che anche io sono tornato?”, domandò Light senza smettere di guidare, imboccando l’autostrada.
“Probabilmente sì, è l’unico modo. Ma non so chi sia stato a farlo, io no di certo.”
“Non ne ho dubbi Ryuk.”
Lo Shinigami ridacchiò con un brutto suono gutturale. “Il mio vecchio quaderno era finito, ne ho avuto uno nuovo.”
“Quindi non hai idea di chi possa essere stato?”
“Assolutamente no.” Rimasero un po’ in silenzio. “Quindi niente Misa?”
Light sbuffò. “Per carità! Misa causava più guai che altro. Ho bisogno di una persona intelligente, che capisca al volo e che rispetti i miei comandi. Il guaio è che una persona così, difficilmente rinuncia a metà della sua restante vita.” Light rimase ancora pensoso. “E’ passato poco più di un anno dalla scomparsa di Kira, ma avrà ancora qualche fedele seguace, no?” Ryuk si strinse nelle spalle. “Sicuramente, è stato un fenomeno di portata mondiale, è passato come un terremoto per tutto il mondo. Dovrei trovare un seguace di Kira disposto a sacrificarsi, qualcuno di adatto. Comunque, ho bisogno anche di sapere qualcosa a proposito di L e Near, e tutti quegli altri che lavorano per lui. Assieme sono pericolosi.” Light rimase per un attimo in silenzio. “Ryuk sei ancora così sicuro di non volermi dire proprio nulla?”
Ryuk ridacchiò. “In effetti ho dato un piccolo aiuto alla squadra avversaria. Due volte!** Quindi suppongo di poterlo fare anche con te. L e la CIA collaborano. Oltretutto, credo che tu possa trovare informazioni su di lui alla Wammy’s House, a Londra.”
Light sorrise maligno e accelerò, mentre Ryuk sorrideva soddisfatto. Quelle indagini stavano decisamente prendendo una piega inaspettata. Ryuk non avrebbe mai creduto che un favoruccio per Stephen Tempor potesse trasformarsi in qualcosa di così spassoso.

Roger sedette dietro la scrivania, di fronte a quel ragazzo asiatico dall’aria contrita. “Sì?”, domandò l’uomo con il suo tipico sguardo perennemente preoccupato.
Eikichi Kazuro tirò fuori un tesserino e lo mostrò per pochi secondi all’uomo. Recava il suo nome, un timbro dall’aria ufficiale e il marchio della CIA. “Sono qui per conto di L, lavoro al caso Jonsson assieme a lui, sono uno degli agenti della CIA scelti da lui personalmente. Sono venuto qui per informarla… di qualcosa che è accaduto.” Eikichi Kazuro si umettò le labbra in segno di leggero nervosismo. La sua espressione era vagamente preoccupata e un po’ timorosa. “L non è potuto venire, non si può muovere dal quartier generale, così ha mandato me.” Roger lo ascoltava attentamente, con il forte presentimento di cattive notizie. “Near è morto.”
Roger chiuse gli occhi per un istante e fece un respiro profondo. Inalò aria, poi la ributtò fuori come se così facendo avesse potuto buttare fuori dal naso tutti i suoi dolori. Riaprì gli occhi e disse: “Sono molto dispiaciuto”.
Eikichi Kazuro si torse le mani e guardò altrove. Roger vide che era così giovane e inesperto, provò un po’ di compassione per lui, chissà come doveva essere spaventato e agitato. “Io…”, cominciò il ragazzo incerto, “Mi piaceva Near. A dir la verità non ci ho mai parlato spesso, però era così intelligente! L’ho sempre ammirato per questo”, aggiunse emozionato. “Non sapevo fosse orfano”, concluse con occhi bassi. “Mi dispiace molto.”
Roger si spinse gli occhiali sul naso e giunse le mani sulla scrivania. “Quella di Near è una storia triste, come d’altronde le storie di tutti i bambini qui alla Wammy’s House. Era molto piccolo quando arrivò qui…”
Light aguzzò l’udito e si sporse in avanti, preparandosi ad ascoltare meglio la storia.

Near nacque nell’Inghilterra del sud, in una piccola cittadina che dava sul mare, proprio sulla Manica, per questo i suoi genitori, spesso, facevano le vacanze in Francia. Erano un avvocato e un’infermiera, entrambi avevano ventotto anni quando avevano avuto Near, e lo allevavano con una cura e un amore tanto grandi da colmare il cuore di Near, fin da bambino, dello stesso amore e della stessa gioia. Near era sempre stato un bimbo esuberante, irrequieto, correva dappertutto e non si stancava mai. Giocava a qualsiasi ora, con chiunque e con qualsiasi cosa. Aveva, in camera sua, due scatoloni colorati pieni di giocattoli, che condivideva senza problemi con i suoi amici quando andavano a trovarlo. Near aveva molti amici, ne aveva un infinità. Li vedeva almeno una volta alla settimana. Andava a casa loro, o loro andavano a casa sua, e c’era sempre qualcuno che, puntuale, alle quattro del pomeriggio preparava loro la merenda. Conosceva tutti i bambini che abitavano nella sua stessa via, anche un paio che abitavano nello stesso quartiere. Al parco giochi giocava con tutti, ma non con le femmine! Perché erano noiose, perché a loro non piacevano gli stessi giochi che facevano i maschi, e perché volevano sempre darti un bacio sulla guancia, e a Near quello faceva proprio schifo!
Già dall’età di tre anni i genitori di Near si erano resi conto, quando lo avevano mandato all’asilo, che il loro figliolo era molto precoce e superava spesso gli altri bambini con facilità. Le maestre lo avevano voluto sottoporre ad un piccolo test che saggiasse la sua capacità logiche e, con il permesso dei genitori di Near, il bambino lo eseguì. Ne risultava un bimbo geniale, e i due coniugi discussero molto sul mandarlo ad una scuola speciale, che l’asilo di Near aveva trovato per loro. La mamma di Near sosteneva che in quel modo sarebbe cresciuto lontano da una vita normale, simile a quella di tutti gli altri bambini, mentre invece il suo papà credeva che fosse un’occasione da cogliere al volo, in modo che Near divenisse subito abile nell’apprendimento, e in questo modo avrebbe avuto il resto della sua carriera scolastica, e anche lavorativa, spianata da ogni ostacolo. Dopotutto, se era tanto dotato, perché non incoraggiarlo? Alla fine, dopo molte indecisioni, Near fu iscritto ad  una scuola privata che comprendeva asilo nido, elementari e superiori, e che proponeva un programma adatto a bimbi con un intelletto superiore alla media, al prezzo di novemila sterline annue, ossia mille al mese, per non contare le tasse di iscrizione, i libri e tutto ciò che poteva servire. Ma i genitori di Near non si lasciarono certo scoraggiare e cominciarono a risparmiare e lavorare sodo per il loro bambino. Si rendevano conto, da ciò che Near faceva in quella scuola, che era un bambino molto dotato, e ogni volta che lo vedevano intento a fare i suoi compiti si motivavano ancora di più. Anche alla nuova scuola Near aveva molti amici, molti bambini con cui parlare di cose interessanti e fare giochi sempre nuovi, assieme anche alle maestre e ai tanti professori che spesso incontravano.
Quando Near aveva sei anni, nel Gennaio del suo primo anno alla scuola elementare, avvenne ciò che segnò per sempre la sua vita. Near era rimasto a casa da alcuni amici dei genitori, perché aveva avvisato che sarebbero tornati tardi. Sua mamma e suo papà avevano fatto la spesa ed erano di ritorno a casa. Erano le 6.22 del pomeriggio, il sole già non si vedeva più da un pezzo e il loro portabagagli era pieno di buste bianche e arancioni. Un’autocisterna sbandò a causa di un’irregolarità della strada e i ganci che tenevano fermo il grosso tubo metallico assicurato dietro al posto del guidatore si allentarono alla prima sbandata. Alla seconda il grosso tubo si mosse, provocandone una terza, nella quale il tubo colmo di un liquido infiammabile si staccò del tutto e rotolò in strada.
Come fu crudele il destino: i genitori di Near capirono perfettamente cosa stava succedendo prima che la loro auto venisse investita dall’enorme tubo, ma non fecero mai in tempo a dirsi addio.

Roger sospirò. “La scuola ci contattò e Near venne trasferito qui, ma non era più lo stesso, secondo le maestre che ogni tanto venivano a trovarlo.”
“Perché?”, domandò Eikichi.
“Non era più esuberante come una volta: era chiuso, non parlava mai con nessuno, non aveva più amici. A sentire ciò che dicevano le insegnati dell’altra scuola, Near era sempre stato un bambino molto vivace, con tanti amici… un bambino nella media. Da quando arrivò qui invece non ne ebbe uno, non uno.”
“Sono morti tutti e due?”
“No, non tutti e due”, disse Roger scuotendo la testa. “La madre morì sul colpo, invece il padre è vivo, ma Near non ha mai manifestato il desiderio di andare a trovarlo.”
“Perché no?”
“E’ in stato comatoso da allora. Sono una decina d’anni ormai. Le possibilità che si svegli sono talmente poche… è impossibile, direi.” Roger abbassò la testa, ed Eikichi lo imitò. Intanto, Light sorrideva.
“Be’, forse è meglio che io vada. Ho un volo per New York fra quattro ore e Dio solo sa quanto traffico c’è in giro”, disse Eikichi alzandosi. Tese la mano e strinse quella di Roger. “Arrivederci signore.”
“Sarebbe stato meglio conoscerci in un’occasione migliore”, osservò Roger con occhi tristi.
“Sì. Dirò ad L che lo saluta.” E così dicendo, Eikichi uscì.
Fuori dall’orfanotrofio Light allungò una mano per chiamare un taxi, entrò nell’abitacolo caldo e disse al conducente: “Alla stazione dei bus”.
C’erano molte città nell’Inghilterra del sud, ma Roger, seppur fosse stato molto attento a non nominare il nome di Near, né dei genitori e tantomeno della città dove abitava o della scuola che aveva frequentato, era inciampato in una mancanza: lo aveva informato che andavano spesso in Francia per le vacanze, indi per cui abitavano sicuramente in una delle città più vicine al blocco europeo. Inoltre questa città doveva essere fornita di una prestigiosa scuola per menti superiori. C’erano principalmente due possibilità: Dover e Deal. Dover era un poco più vicina e aveva anche una rinomata scuola, c’erano più possibilità che fosse lei la città natale di Near così Light decise di provare prima quella. Arrivò a Dover il giorno dopo e, in una cabina telefonica, trovò l’indirizzo di un solo grande ospedale, facilmente raggiungibile da ogni parte del paese. Armato di portatile Light passò oltre le mura dell’ospedale e si collegò alla rete wireless che copriva tutto il territorio. Poté così constatare, tramite una facile infiltrazione nel sistema, che nell’ospedale erano ricoverati due uomini entrati in coma in seguito ad incidente circa dieci anni prima: Thomas Cadilly ed Anthony River. Si trovavano entrambi nella stessa camera, la numero 31 del reparto di lungodegenza. Light si diresse a passi svelti e passò lungo l’intero ospedale per giungere a quel reparto. Cercò la camera, eludendo la non troppo stretta sorveglianza delle infermiere, ed entrò nella stanza. C’erano solo due uomini, e uno lo escluse subito: doveva essere di origini africane. All’altro diede una breve occhiata e prese la cartella clinica che stava ai piedi del suo letto: Antony River.
Perfetto, non aveva  più bisogno di restare lì. Light uscì dalla stanza e un dottore lo riprese. “Signore! Non è orario di visite, mi spiace, deve andarsene.”
Light si girò e disse con tono affabile: “Mi scusi dottore, sono nel posto sbagliato. Dove si trova il reparto pediatria?”.
“Deve uscire da questo edificio e andare a destra. E’ il terzo da qui, se non sbaglio, cerchi il numero 7.”
“Grazie mille dottore.” Light si avviò e seguì le indicazioni fino ad uscire dall’ospedale. Da lì prese un taxi e si fece portare al motel più vicino, dove affittò una stanza e cominciò le ricerche. In poco tempo scoprì che Anthony River era stato un avvocato di grande successo negli ultimi anni ottanta e nei novanta, vincendo non meno di trentasette cause; molte, per la sua giovane età. Aveva sposato una donna il cui nome da ragazza era Jackie Obate che, quando si era sposata, aveva cambiato il suo cognome in River. I due, dopo quasi quattro anni di matrimonio avevano avuto un figlio, Nate River.
Dalle sue spalle Ryuk lo osservava. “Ucciderai Near adesso?”
“No”, disse Light.
“No?” Lo Shinigami parve curioso.
“Non subito. Ho bisogno di Near per poter avere il nome di tutti coloro che lavorano per L. Se collabora con la CIA è possibile che molti agenti sappiano del Death Note, e vorrei sbarazzarmi di tutti prima di tornare ad essere Kira.”
Light rimase un secondo in silenzio, il mento appoggiato alla mano. “Devo solo capire come fare, ci vuole un piano senza falle.”

Mello e Noodle stavano seduti sul divano con dei grossi cuscini sulla pancia, guardando di fronte a loro la parete divisoria della cucina. Era da cinque giorni che stavano assieme, ma l’unico che lo sapeva era Matt, che però non si era dato la pena di dirlo a nessuno. Da quando era andato con sua madre a colazione, durante la quale nessuno sapeva che cosa fosse successo o cosa si fossero detti, erano sempre assieme. Preso da questa ritrovata famiglia Matt, che a dispetto delle apparenze era uno dei peggiori pettegoli che Mello conoscesse, non si era assolutamente curato di raccontare a nessuno quel che l’amico gli aveva svelato riguardo alla sua neonata relazione.
“E se andassimo a bere qualcosa?”, propose Noodle.
“Sono d’accordo.” I due ragazzi si guardarono per qualche secondo, poi avvicinarono i visi e si scambiarono un bacio. Non passarono neanche due secondi, non ebbero nemmeno il tempo di assaporare l’uno le labbra dell’altro, che una vocetta acuta e divertita si alzò nella casa, raggiungendo ogni angolo e informando tutti gli abitanti del loro misfatto.
“Noodle e Mello si amano! Noodle e Mello si amano! Si stanno baciando, si stanno baciando in salotto!” Georgie corse su per le scale quasi a quattro zampe, entrò prima nella camera di Matt, intento al computer. “Noodle e Mello si amano, si stanno baciando in salotto”, annunciò trionfante come in una cantilena.
Matt fece un piccolo ghigno divertito. “Ma davvero?”
“Sì, sì. Li ho visti io, in persona”, disse Georgie annuendo vigorosamente e mostrando la candida, piccola dentatura. Poi corse via, dicendo: “Vado a dirlo agli altri!”.
“Sì brava, dillo a tutti!”, le gridò dietro Matt.
La lieta novella raggiunse Near, che non fece commenti, Diane, che disse ‘Oh! Ma che bella notizia!’, ed L, che replicò ‘Lo supponevo.’ Poi, come se i due interessati non fossero già al corrente della cosa, Georgie li raggiunse con un sorrisetto furbo in viso. “Perché vi date i bacini con la bocca aperta?”, domandò.
Noodle sgranò gli occhi e Mello, incerto su cosa rispondere, sbottò soltanto: “Va’ a chiederlo a Near”. La bimba lasciò la stanza, poi Mello scoppiò a ridere.
“Cosa c’è?”, domandò Noodle guardandolo.
“Chissà cosa le dirà Near”, disse Mello senza riuscire a smettere di ridere.
Noodle ridacchiò, poi disse: “Hai mai visto un incontro di boxe dal vivo? Con dei professionisti?”
“No.”
“Dovresti. S’imparano un sacco di cose.” Noodle sorrise proponendo: “Perché non andiamo a cercare i biglietti per un incontro?”.
“Hai assolutamente ragione, dovrei vederne uno”, disse Mello alzandosi. Forse non era il classico appuntamento romantico, ma a loro piaceva.
Mello non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo. Non gli era mai capitato di essere così emozionato per una ragazza. Certo non poteva fare troppi paragoni siccome aveva avuto due ragazze in vita sua, o una e mezzo, come amava precisare Matt -che Mello considerava alla stregua di un libertino in confronto a sé stesso. In quei pochi giorni tuttavia si era sentito felice come non mai. Si alzava la mattina ed era felice senza un’apparente ragione, la cioccolata era più buona, il sole fuori splendeva più forte, non faceva troppo caldo e ogni cosa sembrava al proprio posto. Con la mente era altrove. Si ritrovava a cercare qualcosa senza più ricordarsi cosa, qualcuno gli parlava ma lui non recepiva subito la sua voce, una volta stava quasi per perdere la fermata della metro perché pensava ad altro. Stranamente, Mello paragonava quella felicità alla fatica che faceva quando si dedicava alle indagini, anche se le due cose erano ben diverse. Ma Mello aveva una visione particolare: quando le indagini erano difficili lui era sempre più abbattuto, ma per sua natura s’impegnava di più, e prima o poi qualche risultato arrivava. Era stato così anche con Noodle: all’inizio non capiva chi fosse, poi l’aveva conosciuta più a fondo, aveva vissuto con lei e ne aveva imparato a memoria tutte le maniere di muoversi, di parlare e di pensare. Aveva tentato di avvicinarla e, sebbene all’inizio la ragazza non lo vedesse che come un amico, alla fine qualche risultato era arrivato.
Noodle si stava mettendo la giacca mentre Mello cercava le sue chiavi di casa, in quel momento però L sbucò all’entrata e li osservò con occhi tondi. “Uscite?”
“Andiamo a vedere un incontro di boxe”, disse Noodle. L li osservò e fece segno di no con la testa. “Perché no?” Mello abbandonò la ricerca della chiavi e si volse verso il detective.
“Riunione generale, andiamo in cucina. Ho appena finito di preparare una torta alla panna”, annunciò L con solennità.
“E cosa c’entra?”
“Non c’è riunione senza cibo. Come credi si possa pensare bene se non c’è carburante per il cervello?”, domandò il giovane picchiettandosi l’indice su una tempia con l’espressione di chi dice ovvietà ad uno sciocco. E così dicendo si defilò. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, poi lo videro passare con diversi piattini, tovaglioli e cucchiaini diretto al tavolo.
Noodle sospirò e tolse la giacca. “Immagino che rimanderemo.”

Al piano di sopra uno sconvolto Near fissava Georgie, che gli aveva appena domandato: “Perché Noodle e Mello si danno i bacini con la bocca aperta?”.




















* Il "bene superiore" è ripreso da Harry Potter e i Doni della Morte (non sto a spiegarvi come, quando e dove altrimenti rimaniamo qui fino a domattina).
** Gli aiuti che Ryuk ha dato agli altri, e per i quali vuole 'pareggiare' aiutando Light, sono quelli dati ad Annika all'inizio della fanfiction: 1) le ha detto dove si trovava L; 2) le ha detto chi era L fra tutti quelli che c'erano alla Wammy's House, altrimenti lei sarebbe ancora lì a quest'ora xD

Oh! Finalmente sono tornata! Vi avevo detto che mi avrebbero tolto internet per un po', e infatti eccomi qua con un po' di ritardo.

Light è tornato alla ribalta, e abbiamo visto come ha sfruttato alla grande le due informazioni che Ryuk gli ha dato (quel ragazzo è davvero diabolico u.u). Per quanto lo detesti, preferisco farlo rimanere IC, e purtroppo è abbastanza sveglio da fare qualcosa del genere u.u
Ciò di cui mi preme parlare è ovviamente la parte dell'infanzia di Near. Ovvio che me la sono inventata di sana pianta, e siccome Near mi sembra un ragazzo alquanto incasinato, ho pensato che qualche tristissimo trauma infantile avrebbe potuto renderlo così com'è. La sua vita non poteva essere tutta rose e fiori, siccome è orfano, ma, per contrasto agli altri due (Matt e Mello), che hanno avuto infanzie tristi ma bene o male lo hanno superato, lui al contrario ha avuto un'infanzia felice, e forse è proprio per questo che non riesce a lasciarsela alle spalle. Al contrario degli altri ha abbandonato un futuro perfetto, o quasi, per qualcosa di molto ma molto peggio.
Ultima cosa: l'ultima frase con un Near sconvolto e una piccola Georgie che indaga sui baci alla francese... mi fa morire dalle risate a pensarci! xD Muahahahah!

A parte questo, cliccate pure qui per lo spoiler e ci vediamo Domenica - questa volta puntuali!
Ciao a tutti e grazie per le meravigliose recensioni che lasciate, siete sempre gentilissimi e così cari *.* Un bacio a tutti quanti!
Patrizia
   
 
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