«Si
può sapere che intenzioni hai?»
L’accoglienza
di Simona fu calorosa come mi aspettavo, di sicuro aveva trascorso le
ultime
ventiquattro ore aspettandomi per farmi la ramanzina da sorella
maggiore, così
come richiedeva il suo compito!
«Simo
cosa vuoi? Me ne vado subito perciò non rompere!»
non avevo proprio voglia di
stare a sentire le sue chiacchiere su quanto stessi facendo preoccupare
i
nostri genitori, ne avevo le tasche piene delle loro ansie e
preoccupazioni!
«Hai
idea di quanto fossero preoccupati mamma e papà? E non
chiamarmi Simo!» appunto...
«Sì, Sim… SIMONA, ne ho idea
perché tu ogni volta ci tieni a sottolineare
quanto profondamente io li abbia delusi!» Stavo per superarla
diretta in camera
mia, quando mi fermò con una mano sul mio braccio:
«Pasi
non fare sciocchezze! Se solo fossi meno dura con loro…
è per il tuo bene che
agiscono così, non lo capisci?»
«Per
il mio bene? Ah quindi è per il mio bene che mi riempiono la
vita di musi
lunghi e visi delusi, che mi criticano per qualsiasi cosa io faccia e
che mi
facciano sentire la figlia più sbagliata del mondo?! Sono
commossa da tanto
affetto, ma quasi quasi non ne ho bisogno!» e mi staccai con
forza la mano di
mia sorella da dosso. Simona però non si arrese e mi
seguì:
«Pasi
tu sei troppo dura con loro, se solo li ascoltassi qualche
volta...»
«Come
fai tu, sorella modello? Andando in moto di nascosto perché
sei troppo
vigliacca per far sapere loro, che anche tu vuoi divertirti di tanto in
tanto
nella vita? Almeno io mostro il mio vero volto e non fingo di essere
chi non
sono!» avevo esagerato e Simona mi diede uno schiaffo sul
viso con tutta la rabbia
che si trovava in corpo «Oh finalmente una reazione! Simona
la donna di
ghiaccio, Simona la Perfetta, la Sorella Maggiore da cui prendere
esempio, È
UMANA!» feci una risata amara «Ti rendi conto che
è la prima volta in vent’anni
che ti vedo reagire!? Ti rendi conto che quei due ti hanno trasformata
in un
automa?! Tu sei un essere umano Simona! Reagisci, difenditi, lotta per
quello
in cui credi, non permettere a nessuno di dirti chi essere e cosa fare
nella
tua vita! Ti stanno uccidendo e tu li difendi! Ti hanno tolto il
sorriso e tu
sei qui a dire quanto siano dispiaciuti per me! Pensa un po’
a te ogni tanto!»
Le
urlai contro tutto quello che avrei voluto dirle nell’arco di
quegli anni,
finalmente avevamo un confronto diretto come avremmo dovuto avere da
sempre,
come due vere sorelle.
«Io
non posso pensare a me! Perché devo essere brava anche per
te! Devo dare loro
la soddisfazione che tu non dai, devo essere da esempio e devo farli
gioire
perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono cura di me
da sempre e voglio
essere degna del loro amore! Sei tu che non li ami, tu sei
un’egoista e non
capisci quanto ci tengano a te e quanto soffrano a vederti buttar via
la tua
vita nell’ozio! Ed io che pensavo che fossi forte…
invece sei solo una bambina
capricciosa! Sparisci, vattene di qui, non sarai tu a ripudiare noi, ma
io a
farlo con te! Da oggi non sei più mia sorella, non voglio
più saperne di
un’egoista mocciosa con cui non si può parlare in
modo maturo!» con le lacrime
agli occhi e il volto pieno di rabbia, Simona mi volse le spalle e si
chiuse in
camera sua.
Rimasi
per qualche secondo immobile nel corridoio, poi mi diressi in camera
mia per
fare i bagagli.
Lasciai
un biglietto ai miei genitori spiegando loro che non sarei stata
più un
intralcio, che andavo a vivere in modo indipendente, che mi sarei
trovata un
lavoro e che non sarei mai tornata da loro a chiedere di riaccogliermi.
Potevano anche cancellarmi dallo stato di famiglia perché
non sarei stata mai
più un peso per loro. Fu una delle decisioni più
chiare e nette che presi nella
mia vita, ciononostante, mentre scrivevo quel biglietto nulla
impedì a qualche
lacrima di scorrermi sul viso.
*****
Tornai
da Rita per depositare le mie valige: avevo preso lo stretto necessario
per
cambiarmi e qualche libro a cui ero maggiormente affezionata, compresa
la
storia di Rino e Kei: sfogliarla mi dava coraggio e fiducia che le mie
speranze
potessero realizzarsi. Quella notte trascorsa con Emile mi aveva fatto
abbassare la guardia: il ragazzo con cui avevo parlato in modo
così naturale e
semplice aveva creato una breccia in quel muro di orgoglio che avevo
eretto per
difendermi da me stessa. Ogni volta che mi ero innamorata, avevo
compiuto il
grande errore di dimenticare chi ero e cosa volevo, pur di stare
accanto al
ragazzo del momento: il mio desiderio di essere amata era
così forte da farmi
perdere di vista il mio amor proprio, dimenticando le mie
priorità, amalgamandomi
ai bisogni del mio lui a discapito dei miei.
Diventavo
un’altra persona: la Pasi combattiva
che non vuole rinunciare alle proprie passioni si annullava ed io
finivo col
non riconoscermi più, col perdere ogni cosa che mi
identificasse, col perdere
la mia stessa personalità. E di conseguenza, quando la mia
mancanza di
carattere innescava la noia e la routine nel rapporto di coppia, esso
finiva ed
io mi ritrovavo a non sapere più chi ero e non avere
più nessuno a cui
amalgamarmi.
I
miei amici avevano assistito ogni volta impotenti alla mia
autodistruzione
finché dopo l’ultima storia, avevo deciso di
essere forte e di dedicarmi solo a
me stessa, lavorando sulla mia autostima fino a renderla invulnerabile.
Solo
allora avrei potuto affrontare una nuova storia d’amore. Non
credevo affatto
che quel momento fosse giunto, però quel lato
così dolce di Emile, quel modo
così diretto di rivolgersi a me e la semplicità
con cui da perfetti sconosciuti
eravamo finiti a parlare per tutta una notte mi avevano scosso ed
iniziavo a
pensare che quella fosse la volta buona, il momento adatto per farmi
trasportare da ciò che provavo, senza aver paura di perdere
me stessa.
Inoltre,
avevo avuto anche il benestare di suo padre!
Alberto
dava l’aria di essere un uomo con la testa per aria,
socievole ma poco
realista, invece era riuscito a capire con poche parole quanto io
tenessi a sua
moglie e a suo figlio e a incoraggiarmi a frequentare Emile
perché riteneva che
la mia vicinanza potesse fargli bene… Ero davvero senza
parole, ma ero felice
perché mi sentivo più sicura di me: avevo uno
nuova vita ad attendermi, piena
di nuove responsabilità ma anche di nuove soddisfazioni,
come solo la vita da
persona indipendente può darti. Restava solo da trovare la
base di partenza per
erigere quella nuova vita: un lavoro.
*****
«Testarossa
ma allora fai sul serio!»
Stè
si presentò a casa di Rita senza preavviso e
iniziò a parlare senza tante
cerimonie:
«Sono
andato a casa tua convinto di trovarti lì come al solito,
invece tua sorella mi
ha detto che te n’eri andata e che avevate discusso di nuovo
e che non avrebbe
mai più risposto ad una domanda sul tuo conto…
Cosa diamine ti passa per la
testa?!»
Non
avevo mai visto Stè così serio al di
là del discorso “Simona” (e il fatto che
l’avesse chiamata tua sorella,
la
diceva lunga su come il problema fosse ancora vivido): era il terzo di
una
famiglia numerosa di cinque figli (tutti biondissimi), cresciuti
nell’affetto e
nella solidarietà familiare più spiccata e ogni
volta che litigavo con i miei
se ne dispiaceva, perché sapeva quanto fosse importante
vivere in una famiglia
unita e solidale e sapeva quanto la famiglia fosse importante a priori.
Per cui
non era affatto d’accordo con la mia idea di andarmene da
casa, visto che il
mio non era solo un trasferimento in cerca d’indipendenza, ma
un vero e proprio
divorzio dai miei genitori e da mia sorella.
«Oh
senti Stè, non ti ci mettere anche tu e non osare difendere
Simona! Sono stanca
di sentirmi la pecora nera, stanca di essere criticata per quello che
non
faccio e anche per quello che faccio! Da loro ricevo solo facce deluse
e
contrariate, mai una volta li ho sentiti elogiarmi o farmi sentire
speciale…» come ha fatto
in un solo giorno il padre di
Emile «…
mai una volta ho visto
l’orgoglio sui loro volti per il solo fatto che fossi parte
della famiglia! Non
li voglio, rinuncio a loro, siete voi la mia famiglia! Lo siete sempre
stati e
sempre lo sarete!»
A
quella affermazione Rita mi diede un bacio e mi circondò le
spalle con le
braccia, mentre Stè continuava a guardarmi contrariato.
«Ti
ci metti anche tu ora a guardarmi così!? Dillo anche tu
allora, dillo che sono
una delusione per te, dillo che t’aspettavi di meglio e che
ho fatto soffrire
la tua adorata Simona, dillo quanto io sia crudele ed egoista e
infantile!»
iniziai a piangere per la rabbia nel ricordare la discussione avuta con
mia
sorella e mi resi conto di quanto tutta quella situazione mi facesse
soffrire,
ma quanto fosse anche irrimediabile.
Stè
non era mia madre o mia sorella e nemmeno mio padre; Stè era
il mio compagno di
marachelle, la persona che mi conosceva meglio al mondo e vedendomi in
quello
stato mi diede un caldo abbraccio:
«Non
ti dirò mai che sei una delusione Testarossa, non ti
farò mai così male; se
credi che questa sia la scelta migliore per te,
l’accetterò e ti sosterrò
qualunque cosa decida di fare, ma ti chiedo solo di non chiudere
definitivamente le porte ai tuoi genitori: avrai sempre il nostro
sostegno, ma
il sangue non è acqua e niente al mondo può
sostituire la famiglia.» Immersa
nel caldo abbraccio del mio amico, continuai a sfogare il mio pianto
finché non
buttai giù tutte le lacrime che avevo trattenuto fino ad
allora.
*****
La
ricerca di un lavoro non stava dando buoni esiti: ogni volta che facevo
un
colloquio finivo col sentirmi dire che ero troppo qualificata o troppo
poco
esperta, così non sapendo se essere un piccolo genio o
un’inetta, andavo avanti
sempre più irritata, ma decisa a non demordere: non avevo
altra scelta, avevo
preso la mia decisione e non sarei più tornata indietro, ero
indipendente ora e
avrei dovuto rimanerci a tutti i costi! Rita era propensa a tenermi con
sé
anche a vita: aveva un ricco fondo per mantenersi con gli studi e in
più aveva
il lavoro part-time e una bocca in più da sfamare non
costituiva un problema
per lei, ma io mi sentivo un parassita e desideravo con tutta me stessa
trovare
un modo per essere indipendente almeno economicamente. Il passo
successivo
sarebbe stato quello di trovare almeno una stanza (se non un tugurio) tutta per me.
Inoltre
non vedevo Emile da settimane: non avevo scuse per presentarmi a casa
sua, né
tantomeno avrei potuto chiamarlo per chiedergli di vederci, non ero
così
propensa a buttarmi in qualcosa che non sapevo nemmeno se avesse un
futuro. Però
mi mancava, mi mancava terribilmente e da
quando eravamo riusciti a parlare
quella
notte, da quando si era creata quella confidenza tra noi
così calda e
accogliente, non riuscivo a non pensare a lui e a quanto avrei voluto
trascorrere
altre ore simili in sua compagnia. Così ripiegavo
ascoltandolo, seguendo i suoi
live e guardandolo da lontano, nella speranza di essere notata, ma
anche con la
paura di rendermi vulnerabile, svelando il mio interesse per lui con la
mia
presenza costante, durante le sue esibizioni.
Le
cose iniziarono a girare per il verso giusto un giorno in cui Fede mi
comunicò
di aver trovato un lavoro per me nelle cucine della
comunità: era gestita per
lo più dagli stessi residenti, ma quel grand’uomo
del mio amico era riuscito a
trovare il modo d’impiegarmi in cucina, facendo leva col
proprietario sulla mia
generosità di volontaria e sul debito di riconoscenza della
comunità nei miei
confronti. Così dall’indomani avrei lavorato in
cucina, in un ambiente che per
di più conoscevo a menadito e in cui ero amata e rispettata!
Ero al settimo
cielo e non mi preoccupai nemmeno di chiedere a quanto era stato
pattuito il
mio compenso, l’importante era aver trovato un impiego!
Appena lo dissi a Rita,
ne fu così contenta che decise che quella sera avremmo
festeggiato con una
bella pizza: incredibile ma vero, si usciva tutti insieme di nuovo!
Ero
al culmine della gioia e niente avrebbe potuto farmi stare meglio o
rovinarmi
quel momento, almeno così credevo, finché mi
arrivò una telefonata del tutto
inaspettata:
«Pronto
Pasi? Sono Emile.»
Lo
sapevo benissimo chi era! Avevo memorizzato quel numero sin da quando
gli mandai
l’sms per la foto di famiglia e appena lo vidi sul display
del cellulare, il
mio cuore subì un arresto momentaneo.
«Emile!
Ciao come stai? È successo qualcosa a Claudine?»
non vedevo altri motivi per
cui avesse dovuto chiamarmi… ma quanto ero felice di sentire
la sua voce!
«No
no, tranquilla mia madre sta bene… volevo dirti che ho
trovato il modo di
sdebitarmi con te.»
Incredibile!
In tutti questi giorni non aveva fatto altro che pensare a come
ringraziarmi,
per averlo aiutato con sua madre! Non si poteva dire che non fosse uno
di
parola!
«Ma
non ce n’era bisogno! Quante volte ti devo ripetere che
l’ho fatto con
piacere?!»
«Sei
libera tra un’ora? Se mi dici dove abiti passo da te a darti
il mio
ringraziamento.» Ops! In quel momento non avevo una
casa… Potevo dirgli di
passare da Rita, ma l’idea di rivelargli che avevo lasciato i
miei genitori mi
metteva addosso una certa ansia: temevo la sua reazione, oppure mi
sentivo in
colpa per aver gettato al vento qualcosa che lui avrebbe voluto avere
con tutto
se stesso? Improvvisamente ebbi un’illuminazione:
«Facciamo
così, sei libero stasera? Io e i miei amici andiamo a
mangiare una pizza, mi
farebbe piacere se venissi anche tu, così mi porti anche il
tuo pensiero non dovuto!»
ero al settimo cielo per la
mia trovata geniale: i miei amici ed Emile insieme a me a festeggiare
il mio
nuovo lavoro, cosa potevo chiedere di più dalla mia vita
(una voce dentro di me
disse “che Emile mi amasse”, ma la misi subito a
tacere)!?
La
risposta che ebbi però non fu quella che mi aspettavo:
«Mi
spiace ma stasera ho le prove col gruppo, sono libero solo tra
un’ora: appena
torno da lavoro e prima di andare a provare… rimandiamo ad
un altro giorno?»
Restai
abbattuta all’idea di non averlo accanto quella sera,
così decisi che se avessi
potuto vederlo anche per cinque minuti, me lo sarei fatto bastare:
anche se non
gli avessi detto il motivo della mia felicità, il fatto
stesso di vederlo in
quel giorno speciale mi avrebbe reso ancora più felice!
«Allora
facciamo così, vengo io a casa tua, così hai il
tempo di arrivare direttamente
lì da lavoro ed eviti di fare le corse per le
prove… e poi ho voglia di rivedere
la signora Claudine!»
Mi
giocai machiavellicamente l’asso nella
manica, ma non era finzione la
mia, avevo davvero desiderio di rivedere sua madre e anche suo
padre… Volevo
vedere tutta la famiglia Castoldi, come se fossero delle persone a me
care da
tempo!
«Ok,
allora ci vediamo fra un’ora a casa mia, non ti
ruberò molto tempo, così potrai
andare a divertirti!» Non
sarà lo stesso
senza di te, pensai, ma mi dissi subito che stavo diventando
troppo
sdolcinata e cancellai quel pensiero sul nascere.
*****
Dissi
a Rita che sarei tornata in tempo per cambiarmi ed uscire, lasciai
Stè con un
punto interrogativo sul viso e mi diressi verso casa di Emile: era ad
una certa
distanza dall’appartamento in cui mi ero trasferita,
così decisi di muovermi
seduta stante con la speranza di prendere subito un autobus. Fui
fortunata, lo
trovai dopo dieci minuti così prima ancora dello scadere
dell’ora, ero già
sotto casa Castoldi. Non volendo rendere palese la mia ansia di
vederlo,
presentandomi in anticipo, rimasi come una scema in un punto davanti
casa,
cercando di non farmi notare; ad un certo punto sentii dei passi in
avvicinamento e mi tuffai dietro un albero nascosta
nell’ombra, sperando di non
essere stata notata.
Illusa.
«Hai
perso qualcosa dietro quell’albero, Pasi?» ecco la
solita voce che si prendeva
gioco di me... mi aveva vista eccome!
«Oh
ciao Emile, avevo l’impressione di aver perso
l’orecchino...» solo dopo aver
tirato fuori questa patetica scusa, mi ricordai di non averne
indosso… Ero
stata colta in flagrante di nuovo, non facevo che collezionare
figuracce! Emile
sogghignò e m’invitò ad entrare.
«Aspettami
un minuto qui, arrivo subito.» appena giunti
nell’ingresso, Emile scomparve al
piano di sopra e dopo poco scese suo padre: una staffetta perfetta e
super
organizzata!
«Ciao
Pasi, che piacere vederti! Non sei più passata a
trovarci…» il signor Castoldi
mi diede un caloroso abbraccio mentre sentii la voce di Emile che lo
rimproverava:
«Papà,
ma è mai possibile che tu debba stritolare chiunque entri in
questa casa?! Così
le fai fuggire le persone!» la sua voce non era aspra, era
solo vagamente
stizzita, ma sembrava più uno scherzo tra di loro che un
vero e proprio
rimprovero. Alberto infatti, sorrise di rimando al figlio:
«Almeno
io le faccio sentire a casa, non come uno che conosco che è
cortese come il
ghiaccio del Polo Nord!»
«Aha,
certo e infatti è meglio essere
soffocati da un abbraccio non richiesto!» rispose Emile,
scendendo le scale per
tornare nella nostra direzione.
«Io
trasmetto il mio calore, semifreddo di un figlio!» a
quell’appellativo, Emile
fece un dei suoi sorrisetti e venne invaso dalla mano del padre che
staccandosi
da me gli scompigliò i capelli e gli dette un bel bacio
affettuoso sul viso, dal
quale Emile non si scansò: evidentemente, queste erano
scaramucce a cui i due
erano abituati, un modo tutto loro per dirsi “ti voglio
bene”. Quasi mi
commossi vedendo così palese l’amore tra i due:
poteva anche non essere
d’accordo con me, ma io invidiavo Emile, perché
dava e riceveva amore dai suoi
genitori. D’un
tratto emerse dal
salotto, con una pila di dischi in braccio:
«Ecco
il mio ringraziamento, questi sono tutti per te.»
I
dischi in vinile di sua madre, ancora imbustati, mai aperti! Rimasi di
stucco:
«I
dischi di Claudine! Sono senza parole Emile, io non posso
accettare...»
«Certo
che puoi, hai detto che volevi sentirla, no? Questi erano in magazzino
in cerca
di qualcuno che li apprezzasse e dato che ancora dovevo sdebitarmi con
te per
il grande aiuto che mi hai dato l’altra sera, non posso che
fartene dono.»
Rimasi
di nuovo senza parole: Emile aveva il volto sereno e sorridente, io ero
in
tumulto e non mi accorsi che Alberto nel frattempo era andato via.
«È
un regalo troppo grande, non posso…»
«Accettali
ti prego, se davvero ami la voce di mia madre questi sono tuoi; la
faresti
felice!» e farei felice anche te vero?
«G-grazie
mille, davvero, io…»
fu nel momento in
cui allungai le mani per prendere il mio regalo, che sentimmo Alberto
urlare il
nome di sua moglie ed Emile gettò all’aria il suo
carico per salire di corsa le
scale:
«Mamma!»
Da
lì in poi la situazione precipitò.