L'angelo è crocifisso al muro.
Tiene gli occhi chiusi, e
respira lieve.
I polsi diafani sono segnati
dalle corde che lo trattengono in quella posizione grottesca.
Le dita si aprono, sembrano
afferrare l'aria, si sgranchiscono.
Da quante ore ormai sta fermo in
quella posizione? Giuliano non può saperlo.
Ha rimandato l'incontro finchè
gli è stato possibile: quando quella mattina è giunta la notizia che una retata
aveva dato buoni frutti, e che una banda era ospite degli uffici del
commissariato -finalmente, dopo giorni, settimane di ricerca- aveva avuto un
capogiro.
Pallido sotto la pelle bruna,
aveva domandato, trattenendo il respiro.
-Sembra proprio che siano loro, quelli che vi hanno assaliti. Dovrai poi identificarli tu, ma è una formalità.
Sudore gelido lungo la schiena.
Voglia di vomitare.
Due ore dopo era nella stanza di
vetro.
Lì dentro l'aria sapeva di
chiuso, e di dolore.
I ragazzi erano accasciati a
terra, pesti. Non sembravano più le bianche statue che due settimane prima
l'avevano affascinato.
Uno di loro alzò gli occhi a
guardarlo. Iridi grige e nebbiose, sprezzanti.
Lo riconosceva. Era stato
l'avversario di Flavio.
Giuliano si voltò intorno,
cercando Iris. Non lo trovava. Si somigliavano tutti, quei giovinetti stesi a
terra, ma lui non c'era.
In fondo, avrebbe potuto
benissimo denunciarli. L'unico a cui dovesse qualcosa sembrava essere scampato
al rastrellamento, non era tra loro.
Poteva dire la verità.
Scosse il capo.-No, non sono
loro.
Sbigottimento.-Come no?
-No, non sono loro. Avete preso
le persone sbagliate, ne sono sicuro.
-Giuliano…
-Non hanno confessato, no?
Sbuffi.-Figurarsi se questi
confessano.
-Bè, stavolta hanno detto la
verità.
Incertezza. E poi un commento
casuale.-Allora bisognerà rilasciarli. E anche il ragazzino, di là.
Giuliano non aveva ricambiato lo
sguardo luminoso di Libertà.
Non gli interessava la loro
riconoscenza, e nemmeno il loro stupore.
Perché adesso aveva capito dove
stava Iris. Ma avrebbe preferito non saperlo.
Giuliano ripensa a tutto questo
mentre esita sulla porta della stanza, rassicurante confine tra il mondo vero e
quella sua appendice di incubo.
Iris non si è ancora accorto che
lui è li, così può osservarlo senza fretta, la pelle bianca macchiata dal
sangue, i lividi sullo zigomo. Le palpebre chiuse.
Il ragazzo apre gli occhi.
Le iridi chiare sono sbarrate,
lo sguardo incredulo.
Giuliano sa cosa pensa. Ha
paura.
Ricorda la minaccia con cui l'ha
lasciato. Iris di certo non l'ha dimenticata.
E adesso è legato a un muro,
dentro il commissariato, totalmente nelle sue mani.
Prigioniero di una stanza
insonorizzata, prigioniero accusato di omicidio e sedizione ed eresia.
Iris guarda quegli occhi neri,
insondabili, e crede di sapere cosa leggervi.
Giuliano avanza lento, vorrebbe non spaventarlo ma non sa come fare, anche la sua andatura tranquilla pare presagio di furia e dolore, per la mente stremata del ragazzo.
Gli si ferma davanti.
Iris non abbassa gli occhi. E
non mostra la paura.
Non trema, mentre Giuliano alza
una mano. Non trema e non piange, solo lo guarda con fierezza.
E Giuliano posa il palmo sul
viso ferito, ne accarezza la guancia e la bocca.
Torna a incrociare lo sguardo di
Iris. E si spaventa.
Interrompe il contatto e fugge,
fugge senza voltarsi, fugge e si nasconde dentro il bagno, in un angolo, per
calmare il respiro.
Avrebbe voluto baciarlo. Avrebbe
voluto baciare quelle labbra rotte, piangere calde lacrime per il dolore
condiviso, slegarlo, pulire il suo corpo, renderlo di nuovo bianco.
Avrebbe voluto abbracciarlo,
stringerlo forte, parlargli.
Celato dagli altri ufficiali,
assiste al rilascio dei prigionieri.
Li osserva andare via, malconci
e barcollanti sotto il sole ritrovato, cerca i riccioli rossi di Iris tra
quelle masse di capelli chiari.
Lo individua, cammina sostenuto
da un ragazzo biondo, è più minuto ancora dei suoi compagni.
Giuliano sente una grande
tenerezza per lui. E ammirazione.
Ascolta gli scambi di battute,
gli apprezzamenti volgari, ma anche i commenti ammirati sulla loro resistenza.
E sorride di nascosto, assurdamente orgoglioso, come se parte della loro forza
fosse dovuta a lui.
Iris non pesa niente, sembra una
creatura d'aria.
Libertà vorrebbe portarlo a casa
in braccio, alleviare in qualche modo il dolore che lo scuote ad ogni passo, ma
sa che lui non lo permetterebbe mai. Così si limita a sostenerlo, e a guidare
la loro scarna carovana con lentezza.
Gli altri capiscono. Vorrebbero
correre come l'altra sera, tuffarsi nel buio delle loro stanze, che è buio vivo
di suoni, non vuoto come quello del commissariato. Vorrebbero dimenticare le
botte prese, ma immaginano cosa ha passato Iris e adeguano il loro passo
impaziente a quello di Libertà.
La periferia si rovescia in
strada al loro passaggio, gruppi di donne anziane trattengono le lacrime e
uomini stringono i pugni, bambini si affiancano e li consolano.
Alcuni più grandicelli mostrano
arie colpevoli, e occhi gonfi dal pianto.
Uno di loro si scusa -Avremmo
dovuto fare più in fretta, avvisarvi prima.
Ormai è successo. È inutile
recriminare, sorridono i reduci, se fossimo scappati oggi ci avrebbero presi
domani, e comunque siamo di nuovo qui, no? È questo che conta.
Sì. È questo.
E anche le ragazze che li
aspettano davanti alla casa sembrano voler dire lo stesso.
Adesso bisogna curare le ferite,
e costringere i guerrieri a riposarsi, e preparare le bende e chiamare un
medico, perché Iris non può restare così.
Libertà rovescia il suo tenero
fardello sul letto, scosta uno dei riccioli ribelli.
Iris gli sorride mentre il
medico ricuce i tagli sul viso, non storce neanche la bocca sotto i punti. Non
parla, ma è presente, ancora tra loro.
Libertà si abbandona contro lo
schienale della sedia, lo guarda preoccupato.
Deve sempre fare così, Iris, non
sta mai zitto.
Sembrano passati secoli da
quando c'era stato lui al posto suo, bambino in una banda di angeli guerrieri,
a ridere in faccia all'ufficiale e finire incatenato al muro della stanza
insonorizzata.
Libertà scuote la testa, sa che
quella è un'esperienza che non si può condividere. E sa anche che non gli ha
insegnato niente, se non a tacere ancora di meno, a urlare di nuovo, e ridere,
e provocare…
La gente se n'è ormai andata.
Sono loro da soli, finalmente possono parlarsi, confrontarsi.
-Che strano, però, che ci
abbiano liberati.
-Merito di quel soldato, quello
che ha mentito dicendo che non eravamo noi.
Libertà sta osservando ancora
Iris, solleva le sopraciglia. -È il tipo che Iris ha risparmiato.
Il ragazzo volta in fretta lo
sguardo su di loro, pare sul punto di dire qualcosa ma si trattiene.
Non può raccontare della visita
di Giuliano nella sua cella, della paura che aveva di una violenza, di una
vendetta, e del gesto invece dolce con cui l'ha salutato.
Non può raccontarlo perché la
lingua si imbriglia nel nominare quella stanza, e perché sa che c'è un tabù su
quel che vi accade dentro.
Lo ha letto nei gesti di
Libertà, e nelle sue labbra che non si sono aperte, neanche per chiedere
"come stai?", nell'ombra che per un attimo ha offuscato il suo
sguardo.
E l'ha indovinato nelle mute
cicatrici che solcano la sua schiena, quelle cicatrici profonde e quasi
scordate, che la notte ricopre di carezze tremanti.