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Autore: Gloom    13/10/2011    1 recensioni
-Sai, essere figli di genitori che non si amano è una fregatura: dentro noi siamo per metà come un genitore e per metà come l‘altro. Se non sono riusciti a restare insieme loro, ancora più difficile sarà per noi. . . Perché loro si sono potuti separare; noi invece dobbiamo faticare per mettere d’accordo geni incompatibili dal principio.
 
L'Allegra Brigata non aveva altre ambizioni se non quella di passare indenne i sedici anni dei propri componenti. Ma quando mai le cose più semplici danno mostra di esserlo? Lauretta, Giak, Cicca, Margherita e Riccardo dalla loro hanno che si vogliono bene: per il resto, che si preparino pure ad una sfida dalla quale nessuno uscirà indenne... c'è una spiaggia alla fine della corsa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era anche da dire che, per andare da Cicca, Lauretta non aveva studiato poi così tanto le altre materie -oltre a quella che avrebbero dovuto fare. Risultato: nella cacca più totale, tentava un disperato quanto inefficace ripasso seduta su un blocco di cemento che faceva da lunga panca attaccata al muro della scuola. Era appena passata a latino, dopo aver messo da parte geografia. Se non altro si era svegliata presto, abbastanza da prendere l’autobus prima del solito, ed ora aveva ancora quaranta minuti prima della campanella. Con un labbro tra i denti, cercava di memorizzare i verbi deponenti, senza successo.
 -Aloa! Stai messa così male?-
 Lauretta alzò lo sguardo, e si ritrovò davanti Giak. Annuì:
 -nella cacca più totale.-
 -Ma stai tranquilla. . . inizia proprio oggi ad interrogare, non è detto che becchi proprio te-.
 -Le ultime parole famose. . .- Lauretta non lo ascoltò e tornò ai verbi. Giak balzò sul muretto.
 - Com’è che sei a scuola a quest‘ora? Non c’è nessuno.-
 -Mi sono svegliata troppo presto. Vengo spesso a quest’ora- disse lei distrattamente.
 -Ti svegli spesso così presto? Ma sei fuori?-
 -Che ci posso fare se non ho sonno.-
 Giak la fissò per un attimo preoccupato, poi decise di lasciarla in pace. Frugò dentro il suo zaino e cacciò il diario.
 -Posso?- le chiese alzandolo.
 -Fai fai.-
 Giak aprì il diario e scorse le pagine, ma non c’era niente di interessante. Le pagine erano tristemente vuote, Lauretta aveva appuntato solo i primi compiti. Decise di rimediare.
Mentre la proprietaria ripassava, lui cacciò i suoi fidati pennarelli dallo zaino e cominciò a disegnare sul diario dell’amica.
 -Wow- disse lei quando capì che anche per il latino avrebbe potuto fare ben poco.
 -Ti piacciono?- chiese Giak.
 -Sono spettacolari. Cos'è questo?- chiese indicando un disegno.
 -È il simbolo dei Rolling Stones! Possibile che tu non lo conosca?-
 -Non ho la cultura della musica, io-.
 -Che delusione. . .-
 Lauretta gli fece una linguaccia, poi rimise tutto nello zaino.
 -Non sapevo che fossi così bravo a disegnare- gli disse.
 -Non ti allargare. . . scarabocchio solo un po’. Tu invece, fai qualcosa?-
 Lauretta lo guardò di sbieco, e lui si affrettò ad aggiungere:
 -Non so, disegni, suoni, scrivi. . .-
 - Oh. . . oh! No, in realtà niente di niente. Sono abbastanza noiosa.-
 -Ma dai, non è detto.-
 -Hai qualche altro disegno?- chiese lei. Giak si morse il labbro:
 -Ehm, non qui.-
 -Quanti ne hai?- adesso Lauretta sorrideva.
 -Boh, non so. . . alcuni album, due o tre.-
 -Accidenti! Un giorno me li fai vedere? Ti prego!-
 -Se proprio ci tieni. . .-
 -Sono fighissimi. Sei bravo! Non sapevo disegnassi.-
-E io non sapevo che tu fossi così mattiniera- ghignò lui. Lauretta gli diede un pugno, e si rilassò contro i mattoni dietro di lei.
 -Diciamo che, in un anno nella stessa classe, ci siamo rivolti dieci parole, così facciamo prima- sorrise.
 -Sì, ma tu volevi startene sempre per i fatti tuoi. . .-
 -Non è detto che abbia smesso.-
 Giak rimase un attimo spiazzato, poi sorrise.
Ok, stiamo per arrivare alla fine di quella catena di scelte che hanno determinato il loro destino, ma un paio ne mancano. Perché in quel momento Giak decise di fare di testa sua e di non farsi da parte, come avrebbe fatto in circostanze normali. Invece di scusarsi e levare il disturbo, incrociò le braccia con fare da gran dritto:
 -Andiamo, ammettilo che ti diverti a stare con me- disse.
 Lauretta lo fissò da sotto il suo nuovo caschetto arruffato, poi si ricordò che, se avesse continuato a mantenere quella smorfia, Giak avrebbe potuto pensare di sbagliarsi.    
 -Sei mostruoso- ghignò.
 -Ah, lo vedi?- lui le tirò una gomitata. Lauretta rise, poi controllò l’ora. Già alcuni autobus avevano scaricato le prime moli di studenti che ora si avviavano verso il bar, o si radunavano in campanelli vicino ai motorini di chi ancora non si faceva vincere dal bastardo freddo mattutino.
 -Ecco Cicca e Riccardo - disse Lauretta guardando due soggetti che attraversavano la strada, trascinandosi dietro zaini più vuoti che pieni.
 -Cicca!!- Urlò Giak. I due si voltaron e Riccardo li indicò. Si avvicinarono.
 -Salve gente! Pronti per l’inizio delle interrogazioni?- chiese Cicca.
 -Come no. Ma tanto abbiamo Riccardo che va volontario, vero?- Giak ammiccò al vicino di banco.
 -Ti dirò, se li accettasse andrei, almeno mi levo le prime interrogazioni. Ma quella carogna vuole fare sempre di testa sua. . .-
 -Chi ha il pane non ha i denti. . . Insomma, siamo nella cacca.-
 - Lauretta? Tu come stai messa?- Cicca si voltò verso di lei, ma Lauretta si limitò a scuotere la testa. Adesso stava cominciando a preoccuparsi. Sentiva un groppo alla gola al quale ancora non aveva imparato ad abituarsi. Questione di tempo, povera ragazza: è noto che, quando il cuore comincia ad avere un po’ di complicazioni, il libretto dei voti è il primo ad accorgersene. Ma, insomma, cominciare da subito mi sembra un po’ esagerato.
 -Planning dei prossimi cinque minuti: accompagnare Cicca a comprare un cornetto e poi presenziare alle lezioni. Se volete però possiamo rivedere il secondo punto.- Cicca ammiccò allusivo.
 -Eddai, non si può da subito. . .- disse Giak.
 -È già passata una settimana! Vabbè, andiamo verso il cornetto intanto.-
 Lauretta e Giak scesero dal muretto, lei scivolando, lui con un balzo, e insieme agli altri due amici entrarono al bar, già gremito di gente.
 -Voglio quel cornetto con la nutella- disse Cicca alla barista, indicando il vetro dietro al quale soffici paste, ripiene e non, giacevano una sull’altra.
 -Lo mangi qui?- chiese la donna.
 -No, lo metta in una busta, lo mangio a scuola. . . ’sti qua vogliono farmi entrare per forza- Cicca si strinse nelle spalle.
 -Ragazzi, già volete fare festa? Andate a studiare, va’- la barista sorrise bonaria a Cicca e gli porse una busta di carta da sopra la vetrina degli zuccheri.
 -Grazie! Ciao!- lui condusse gli altri fuori da quell’amalgama di zaini.
 -Mancano meno di dieci minuti. Siete sicuri che vogliamo entrare?-
 - Giak, hai più visto la tipa?- Riccardo decise di ignorare l’amico.
 -Sì, sempre sull’autobus, ma c’era talmente tanta gente che l’ho vista solo quando siamo scesi.-
 -Oh Giak, chi è?- chiese Lauretta.
 -Una- fu la risposta secca di lui. Lauretta sporse il labbro inferiore, piccata.
 -Chi?-
 -Tranquilla Lauretta, è solo una tua rivale nel cuore di Giak -. Lauretta tirò una gomitata non proprio delicata a Riccardo.
 -A questo ci ero arrivata, ma volevo sapere chi è. Magari la conosco!-
 -Anche se fosse, non la conosce lui, quindi non saprebbe neanche dirti il nome-.
 -Un colpo di fulmine??- Lauretta scoppiò a ridere.
 -Oh andiamo, è solo una tipa che. . .-
 -Bona- disse Lauretta.
 -Ecco. Ma niente di che. . .-
 Lauretta lo guardò con fare allusivo, annuendo come se fosse un passo avanti.
 -Senza che mi presenti quella faccia, è come ho detto io-.
Lauretta continuava a sorridere. Giak le diede una spinta amichevole che la sbilanciò, facendola quasi finire contro il cancello della scuola, e così conclusero il discorso.
 
 Margherita non era venuta a scuola quel giorno. Lauretta avrebbe potuto mandarle un messaggio durante la lezione, ma non ne aveva voglia; magari aveva deciso di rimanere a casa per evitare le interrogazioni. La conosceva abbastanza e non era la prima volta che lo faceva: con la media che aveva avuto l’anno precedente, i genitori le concedevano qualche piccola coccola.
 -Giobatta carogna!- bisbigliò Cicca.
 Ma i quattro poterono tirare un sospiro di sollievo un quarto d‘ora dopo, perché nessuno tra loro fu tra i prescelti che, con una faccia degna di condannati a un soggiorno gratuito ad Alcatraz, si avviarono verso la cattedra. La professoressa giaceva dietro di essa, soddisfatta di poter finalmente tornare a torturare quegli studenti che aveva lasciato l’estate precedente in balia del cazzeggio. Come se volesse farli tornare in carreggiata, non aveva esitato a cominciare subito con quegli interrogatori su argomenti che aveva appena spiegato. Punto in favore degli imputati: gli argomenti non erano molti. Meno tendenza ad inventare.
Era la mattina di un sabato quella a cui stavano cercando di sopravvivere i nostri protagonisti. Sopravvivere è la parola giusta: perché dopo l’interrogazione -scampata per una botta di fortuna non indifferente-, li aspettavano due cruente ore di ginnastica. Non si rendevano ancora conto della loro fortuna (erano ginnasiali, diamine! È noto come al ginnasio si esca praticamente tutta la settimana a mezzogiorno: quale estremo privilegio era quello di trascorrere metà mattinata in palestra!) quindi continuavano a lamentarsi per quella materia di cui alla fine non interessava niente a nessuno, e del fatto che le autorità superiori l’avevano ficcata proprio di sabato. Avrebbero capito solo l‘anno seguente, quando ormai sarebbe stato troppo tardi. Ma, diciamocelo, ogni motivo è buono per lamentarsi. E ho già detto come Lauretta detestasse le lamentele: in quel momento, circondata da compagni di classe che palesavano il loro disappunto, facendo a gara a chi riusciva a trovare più lati negativi, sentiva di stare per esplodere. Non c’era neanche Margherita con cui parlare d’altro.
Approfittò del fatto che il prof di ginnastica non era ancora arrivato per sgattaiolare in bagno, lontano da tutti. Non appena si chiuse la porta di un gabinetto alle spalle, si sentì più tranquilla. Aspettò che gli echi del ciarlare a cui aveva appena assistito si spegnessero, poi tornò in classe.
 - Maria Laura, aspettavamo te- disse il prof con un certo disappunto.
 -Scusi. Ero in bagno- rispose lei.
 -Avresti dovuto chiedere il permesso.-
 Se avessi avuto davvero necessità di andare in bagno, prima di trovarla per chiedere il permesso me la sarei già fatta sotto.
 -Ok, scusi.- Tornò al suo banco e si mise lo zaino in spalla.
 -Eh, avresti dovuto chiedere il permesso- ghignò Riccardo mentre si avviavano disordinatamente verso la palestra.
 -Gné gné.-
 -Ma stai bene? Te ne sei scappata così di botto. . .-
 -Alla grande. Ehi, dovevo andare in bagno e rientrare prima che arrivasse il prof, mica potevo fare con calma. . .- Lauretta sorrise.
 -Tanto ha comunque fatto prima lui.-
 -Un margine di errore concedimelo. . .-
 Lauretta si allontanò per raggiungere le ragazze della classe e accaparrarsi una fettina di panca nello spogliatoio. Prima che entrasse e le altre ragazze chiudessero la porta, Giak la vide con un paio di compagne e scosse la testa:
 -Non avrebbe dovuto tagliarsi i capelli- disse ai due amici.
 - Nah, è carina anche così- disse Riccardo.
 -’nsomma. Comunque è troppo magra. Direi che per le prossime due ore abbiamo ben altro su cui concentrarci. . . avete visto che pantaloni attillati porta la Clementi?!- Cicca sorrise soddisfatto.
 Perché come al solito i ragazzi non capiscono quanto possa essere imbarazzante per le ragazze cedere alla tuta: c’erano quelle che si trovavano a loro agio, ma in genere erano poche, e poi il gruppo più nutrito che ha della tuta la stessa considerazione del pigiama. Ma in genere sia le componenti del primo sia del secondo gruppo non si sentivano particolarmente tranquille ad esibirsi in improbabili piegamenti davanti ai compagni di classe. E i ragazzi ancora non capivano che con la tuta non si provoca: quelle che -volontariamente- lo facevano, godevano di scarsa considerazione da parte delle altre.
 Nel liceo classico di Polverano girava la leggenda di un prof di ginnastica estremamente volubile: bastava che la classe non lo considerasse e rinunciava a fare lezione. A volte aveva i suoi sbalzi di responsabilità e faceva tirar fuori gli step (una volta una ragazza era quasi stramazzata al suolo dopo una sfacchinata con quegli attrezzi), ma capitare nella classe dove il suddetto insegnava era ritenuta una fortuna.
 Diverso era il caso nella classe dei nostri: qui il prof si faceva rispettare a forza di esercizi sfiancanti. La sfida era superare le due ore di lezione e sembrare ancora eleganti.
 -Lavori a stazioni- annunciò quell’omone i cui muscoli avevano cominciato a contendersi il primato con una sempre più evidente pancetta da birra. Ammiccò a vari attrezzi che aveva sparso per terra, cerchi, bacchette e birilli. La classe li osservò atterrita.
 -È anche più facile del solito: nei cerchi dovete saltare. Ai birilli dovete correre a zig-zag. Alle bacchette voglio uno skip a ginocchia alte. E “ginocchia alte” vuol dire che le ginocchia devono essere alte. Cominciate a riscaldarvi un po’, poi cominciate.-
 Siccome lo spazio era ridotto, il prof aveva avuto la bella pensata di disporre le file di esercizi lungo i lati della palestra. In quel modo, la fila dei martiri che aspettava di zigzagare tra i birilli cominciava proprio nella zona d’atterraggio di chi balzava nei cerchi, e quelli che aspettavano di farlo all’altro capo si mischiavano con i compagni reduci dall’esilarante zig-zag tra i birilli. Correre e allo stesso tempo evitare gli attrezzi era un’utopia. Quando, infine, una ragazza scivolò su una bacchetta, il prof decise che era il caso di porre fine a quella corsa rattoppata. Fischiò e divise la classe in gruppi, assegnandone ognuno a un esercizio.
 Lauretta capitò con altre compagne ai cerchi: per cominciare bene, insomma.
 -Non ne ho voglia!- disse una di loro.
 -Già. . .- rispose lei. Non aveva voglia di essere scortese, quindi le sorrise. La ragazza restituì il sorriso, poi alzò gli occhi al cielo e cominciò a saltellare comicamente. -Sono troppo distanti!- Urlò ammiccando ai cerchi.
 -Allunga i salti!- ruggì il prof.
 -Ma ho detto che sono troppo distanti, non ci arrivo!- rispose la ragazza quando arrivò alla fine. Si affrettò a tornare dalle altre.
 Ripeterono gli esercizi per un paio di minuti. Poi seguì un nuovo fischio, e se li scambiarono: Riccardo andò allo zig-zag, Cicca e Giak passarono ai cerchi, Lauretta di malavoglia allo skip.
 -Oh, ora si che ci divertiamo!- esclamò.
 -Spero che il reggiseno regga- ghignò una compagna.
 -Sssh, ti dovessero sentire quei maniaci!-
 -Tzé, farebbero bene a tenere i pensieri al posto loro.-
 -Non solo quelli. . .-
 -VIA!- il prof fischiò di nuovo. Lauretta prese mentalmente nota di fargli  ingoiare il fischietto, un giorno o l’altro.
 Lo skip passò relativamente tranquillo, merito anche della sua modesta seconda, forse. Di sicuro glie ne fu grata. Arrivò all’ultima bacchetta, fece dietro-front e tornò dalle altre. Aspettò che tornasse il suo turno, troppo sfinita per chiacchierare. Solo che non aveva fatto i conti con le bestie maniache della sua classe, che stavano balzando dentro i cerchi alla sua sinistra talmente tanto pesantemente da far tremare il pavimento. Se le ragazze, almeno le più carine, erano sembrate gazzelle, quelli erano quanto di più vicino a dei bufali.
I bufali avanzavano nella direzione delle ragazze, poi si bloccavano giusto in tempo e tornavano indietro. Spettacolo abbastanza brutto alla vista, ma all’apparenza sicuro.
 Se non fosse che uno dei bufali era quasi scivolato su un cerchio, spostandolo di una ventina di centimetri. Quello era riuscito a cavarsela, ma non ad avvertire in tempo Giak, appena dietro di lui. Giak si ritrovò spiazzato, allungò il salto, entrò nel cerchio e fece appena in tempo a slanciarsi in avanti per non sbilanciarsi. Fomentato, quasi volò oltre l’ultimo cerchio, ma tanto era concentrato su quello che non si rese conto di cosa o chi fosse davanti a lui. Tipo Lauretta.
 La nostra martire, sudata e sfinita, era interessatissima ai lacci delle sue scarpe (si divertiva a cercare nuovi modi di intrecciarli e sfilare le scarpe senza strecciarli, ma c’era bisogno di tecnica per tale arte. . .)
 Sentì un bufalo spiacevolmente appiccicoso piombarle addosso ma, prima che potesse accorgersi di quello che era successo, finì per terra col bufalo addosso.
 -WOOOW!!!- sentì esclamare, poi un vago dolore dalle parti della schiena. Giak pesava.
Prima di districarsi, dovettero capire cosa fosse successo; Lauretta si trovò il volto di Giak a meno centimetri di quanto fosse lecito. Era rosso e luccicante, coi lunghi capelli che lasciavano intravedere solo alcuni dettagli. Il naso. La bocca. Gli occhi. Sembrava non avesse guance, però Lauretta riuscì a cogliere anche una leggera barba che cresceva dispettosa sotto il mento.
 -Scusa!- esclamò lui. Rotolò sul pavimento, liberandola da quel peso. Nel frattempo i loro compagni di classe si erano fermati ad osservare la scena.
 -Ti sei fatta male?- chiese avvicinandosi.
 -Hai cercato di uccidermi!- Lauretta si abbandonò contro la parete della palestra e, senza curarsi del dolore alla schiena, scoppiò a ridere.
 -Scusa, non l’ho fatto apposta. . .-
 -Killer! Assassino! Sicario!- Lauretta continuò a ridere, poi si fermò: -tranquillo, sto bene. Però sei sudato da far schifo.-
 -Giacomo, ma tanto ci vuole a saltare dentro dei cerchi senza far male a nessuno?- il professore si era avvicinato.
 -Ma guardi il cerchio, s’è spostato ed era troppo lontano. . .-
 - Maria Laura, riesci ad alzarti?- chiese poi senza curarsi della risposta di Giak. Lei si alzò in piedi, tenendosi una mano sulla schiena. Neanche la sua maglietta era proprio elegante, ma non raggiungeva i livelli di Giak.
 -Tutto ok-.
 Tornarono a saltellare sugli attrezzi, scambiandoseli di nuovo in modo che ogni gruppo eseguisse tutti gli esercizi. Lauretta andò più d’accordo con la sua schiena dopo un quarto d’ora. Nel frattempo, si ritrovò a fissare Giak con una curiosità che non provava da tempo. Lo vedeva saltare, zigzagare e far finta di alzare le ginocchia sulle bacchette, osservandolo con un pizzico di preoccupazione; come era stato strano stare appiccicata a lui. Disgustoso, sì, ma anche strano. Nuovo. D’altra parte, era la prima volta da tempo che qualcuno l’abbracciava. Perché, in un certo senso, quello era stato un abbraccio.
 - Lauretta e Giak! Lasciate che vi dia la mia benedizione, figlioli- ghignò mezz’ora dopo Cicca a Lauretta, mentre uscivano dai rispettivi spogliatoi.
 -Ti spezzo le gambe e ci gioco a shangai- rispose annoiata lei.
 -Poi io le uso come stuzzicadenti e alla fine te le infilo su per il. . .-
 -Naso!- Lauretta fece appena in tempo a correggere Giak.
 -Oh ragazzi, non siate così suscettibili. . . è una bella cosa!-
 Giak arricciò l’angolo della bocca in su: -oh, ma tu non lo sai che in realtà io e Lauretta abbiamo una tresca da tempo.-
 -Infatti, arrivi tardi. Io sto solo con Giak - Lauretta riuscì a stare al gioco.
 -Cosa?- Riccardo era arrivato, sentendo solo l’ultima parte della conversazione. I tre si guardarono divertiti, poi Lauretta prese sotto braccio Giak:
 -Ebbene sì-. Scoppiarono a ridere.
 -Mi state prendendo in giro. Brutte caccole che altro non siete!- Riccardo si finse offeso.
 -Non stiamo scherzando!- Giak abbracciò Lauretta e la strinse a sé. Lei rise.
 Riccardo e Cicca cominciarono a sfottere: se solo qualche mattina prima non avessero sentito Giak parlare della ragazza sull’autobus, si sarebbero preoccupati di quella vicinanza con Lauretta. Però l’avevano sentito, e avevano anche notato una cosa che, per non ledere il suo orgoglio, non gli avevano detto: mentre parlava di quella tipa, gli occhi gli brillavano in maniera talmente zuccherosa che ci era voluta tutta la loro buona volontà per non sfotterlo. 
  
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