Capitolo 10
«Perché
non mi hai detto niente?»
Saltai
con il cuore in gola e accesi la luce: Stè era in piedi,
accanto al divano:
doveva essere rimasto nell’appartamento di Rita ad attendermi
per farmi qualche
ramanzina… ultimamente ne stavo collezionando un
po’ troppe, soprattutto da
lui!
«Testa
di Paglia mi hai messo paura! Che stai facendo lì al buio a
casa di Rita tutto
solo? E a cosa diavolo ti riferisci?»
«Ti
aspettavo, perché quando hai avvisato Rita che non saresti
più venuta, ho
iniziato a chiederle cosa ti stesse accadendo e lei e Fede mi hanno
spiegato...
perché non ti sei confidata con me? Perché non mi
hai detto nulla di
quell’Emile?»
«E
tu sei qui a fare la veglia per una cosa simile? Stè ma
è assurdo! È capitato,
io non volevo nasconderti proprio nulla! Figuriamoci se proprio con te
io debba
avere dei segreti!» ero del tutto sincera in quel momento,
Testa di Paglia
conosceva tutto di me, non avrei mai potuto nascondergli qualcosa,
anche perché
mi leggeva come un libro aperto! «Rita
e
Fede sono giunti alle loro conclusioni da soli… sai come
sono fatti, ti dicono
ciò che senti prima ancora che tu te ne renda
conto!» e poi che ti dovevo dire
Testa di Paglia, se nemmeno io riuscivo a
parlare a me stessa!?
«Ti
stai allontanando da me a causa di Simona?» era
terribilmente serio, temeva di perdermi
perché lui era innamorato della sorella che mi aveva
ripudiato! Ma come gli
venivano in mente certe cose?!
«Stè
ma stai scherzando!? Io non ti allontanerei mai! Soprattutto ora, voi
siete ciò
che ho di più caro al mondo, come potrei
allontanarti!» in quel momento mi resi
conto di aver bisogno di uno dei suoi caldi abbracci e mi diressi a
passo
svelto verso di lui «Non pensare mai più una cosa
simile stupido! Come farei
senza di voi? Come farei senza di te?!»
Per
fortuna, Stè aveva un carattere allegro e gioviale e non
sapeva restare di
cattivo umore a lungo, così mi avvolse in uno dei suoi caldi
abbracci.
«Scusami
Testarossa, certe volte mi vengono queste idee strampalate…
è che
all’improvviso ho avuto paura di non conoscerti
più: te ne vai di casa, fuggi
dietro a questo tipo senza dirci nulla, abbandonando una serata con noi
tutti…
non riuscivo a credere che fossi tu!» dalla descrizione di
Stè mi resi conto
che ai suoi occhi apparivo davvero strana… e cercai di non
badare al modo in
cui parlava di Emile… ne avevo abbastanza di discussioni per
quella sera!
«Hai
ragione, sono stata più impulsiva del solito, scusami tanto
se non ti ho detto
nulla!» Affondai il viso in quel caldo abbraccio e iniziai a
cedere alla
stanchezza «Possiamo rimandare le chiacchiere? Sono stanca
morta e domani
inizio a lavorare…»
*****
Il
lavoro in cucina era impegnativo, ero un po’ il jolly della
situazione: da
lavapiatti ad aiuto cuoco, dai pavimenti ai fornelli, dove
c’era da dare una
mano c’era Pasi a disposizione. Quel primo giorno
m’impegnai per dare una buona
impressione e apparire più volenterosa che mai: non avevo
dormito affatto bene
e mi sentivo stanchissima, avevo sognato Simona che mi faceva la
ramanzina per
poi trasformarsi in Emile che mi guardava con una certa diffidenza
negli occhi,
prima di voltarmi le spalle e allontanarsi… Non era stato
affatto un bel sogno
e ne stavo pagando le conseguenze con la stanchezza che mi sentivo
addosso, ma non
volevo compromettere il
mio futuro a causa di sogni e discussioni con tipi poco malleabili dai
riccioli
rossi! Oddio, sapevo benissimo che quello non era proprio il lavoro
della mia
vita: il compenso mensile che avrei ricevuto non mi sarebbe mai bastato
per
permettermi una casa, per quanto piccola potesse essere e quindi ero
costretta
per il momento a continuare a vivere da Rita, che per fortuna non aveva
alcun
problema al riguardo.
Quel
primo giorno cercai di concentrarmi esclusivamente sul lavoro, che si
riduceva
nella prima parte del giorno: una volta riassettato la cucina dopo
pranzo,
potevo considerarmi libera, per la cena non ci sarebbe stato bisogno
del mio
aiuto (anche perché avrei ripulito il giorno dopo tutto il
macello lasciato!)
Così nel pomeriggio potevo continuare a fare volontariato,
oppure prendermi gli
impegni che volevo. E a quel proposito, i miei pensieri erano sempre
verso i
Castoldi: volevo vedere Claudine, sapere come stava, volevo rivedere
Alberto
che riusciva a darmi serenità… e ovviamente
volevo rivedere Emile, che invece
era all’apice delle mie preoccupazioni. Suo padre aveva detto
che Claudine lo
faceva star bene e probabilmente era quella l’essenza del
vero amore… ed
io avevo detto ad Emile che l’amavo…
però, come
poteva essere vero ciò se mi provocava più
preoccupazioni e brutti sogni di
chiunque?
Riandai
col pensiero alla notte di chiacchiere trascorsa
nell’intimità e confidenza più
totale e ricordai il modo in cui i suoi sorrisi più belli mi
riempissero di
gioia… ma c’era quel suo lato così
duro, così inflessibile, che avrebbe
richiesto molto lavoro da parte mia per cercare di scalfirlo e mi
chiesi se
fossi davvero capace di provare un amore così intenso e una
dedizione così
grande, da perseguire il mio scopo anche se Emile non mi voleva accanto
a sé,
anche se non mi avesse mai amato… Forse era davvero giunto
il momento di
parlare a Stè, che di amore unilaterale e dedizione ne
sapeva di certo più di
me.
Quel
pomeriggio lo chiamai e decidemmo d’incontrarci per parlare
di tutta quella
situazione: gli raccontai tutto ciò che era accaduto da
quando mi ero
presentata con Fede a casa di Emile, fino a quella notte in cui
Claudine aveva
tentato per la quarta volta il suicidio. Testa di Paglia mi
ascoltò senza
battere ciglio, concentrato nel sentire tutta la storia, per potersi
fare
un’idea precisa della situazione.
«Testarossa,
devo dire che come ti cacci tu in situazioni spinose, non ci riesce
nessuno!»
«Uff,
questo lo so Stè!» eravamo in un giardino
pubblico, seduti su una panchina,
avevo portato le ginocchia al petto e ci stavo tuffando la testa dentro
affranta, così il
mio amico mi circondò
le spalle con le braccia per consolarmi:
«Tu
sei sicura dei sentimenti che provi?»
«Sì
e no… cioè, al momento di dirgli che
l’amavo ero convintissima delle mie
parole, ma poi ho cominciato ad averne paura! Ho paura di non essere
capace di
provare un amore davvero così grande da sopportare un
rifiuto ed ho paura di
farmi trascinare troppo da esso… ho combinato un
guaio!» e gettai di nuovo la
testa sulle ginocchia sconfortata, pensando alla promessa che avevo
fatto ad
Alberto, di stare accanto ad Emile e che in quel momento non credevo
affatto di
riuscire a mantenere!
«Testarossa,
io credo che tu abbia dentro di te molta forza e che se hai detto
quelle parole
ad Emile è perché sai
che è la verità.
Amare senza essere corrisposti non è un viaggio facile, ma
il tuo cuore non
riesce a farne a meno, tutto il tuo essere risponde al desiderio di far
felice
quella persona, anche se sai che non potrai mai averla come vorresti.
Non c’è
modo di sottrarvisi Pasi, quindi credo che capirai presto se il tuo
amore è
sincero e forte o è solo un illusione che hai voluto vivere
per qualche tempo.»
«E
se dovessi scoprirmi innamorata di lui al punto da dimenticare me
stessa? Io
non voglio Stè!»
«Questo
non succederà Pasi, perché non te lo
permetterò! Ti ho visto già troppe volte
perderti dietro storie senza futuro e non voglio rivederti in quello
stato! La
prossima volta che inizi ad annullarti per un uomo vengo a prenderti
per quella
testa di fiammifero che ti ritrovi e ti rinchiudo in casa
finché non riprendi la
sanità mentale!» Stè si fece una delle
sue risate speciali ed io lo seguii, liberando
dal mio cuore un po’ di angoscia. Testa di Paglia era davvero
il mio angelo
custode!
*****
«Andiamo
a trovare Claudine più tardi?»
Fede
comparve all’improvviso alle mie spalle mentre ero a pulire
la cucina. Erano tre
giorni che lavoravo e in quel lasso di tempo non avevo avuto modo di
sapere
come stesse Claudine, né di parlare con il resto della sua
famiglia. Non volevo
chiamare Emile e sentirmi dire che lo stavo seccando e non sapevo come
rintracciare Alberto…L’unica cosa da fare era
andare direttamente all’ospedale,
così avrei mostrato a quello stupido che non era lui il
centro dei miei
pensieri e che non usavo Claudine per arrivare alla sua virtuosa
persona! Finalmente
iniziai a sentirmi più energica e sicura di me, quel momento
d’incertezza non
mi era affatto piaciuto, non ero io quella ragazzina spaventata e
dubbiosa!
«Sì
Fede, ho proprio voglia di vederla, voglio sapere come sta!» e non sto sperando che Emile sia lì in
ospedale!
*****
Alberto
era seduto accanto a Claudine, tenuta sotto controllo dai farmaci:
appena mi
vide si alzò, mi venne incontro con un sorriso immenso e mi
abbracciò contento
e mi sentii avvolgere nuovamente dall’ondata di calore e di
affetto che ormai
provavo per quell’uomo:
«Pasi!
Iniziavo a sentire la tua mancanza! Come stai piccola?»
Gli
presentai Federico e gli chiedemmo delle condizioni di Claudine: la sua
vita
era fuori pericolo, ma i medici stavano pensando di tenerla sotto
controllo in
un centro specializzato per le malattie mentali: quattro tentativi di
suicidio
erano decisamente tanti ed era chiaro che i soli familiari non potevano
più
contenere quegli eccessi. Alberto si opponeva, non voleva che la donna
che
amava finisse internata, sapeva che da quei luoghi non c’era
modo di uscirne
vivi e non voleva condannarla ad una vita lontano dagli affetti.
«Emile
che ne pensa?» mi trovai a chiedere quasi senza accorgermene:
chissà perché
temevo che lui non fosse dello stesso parere…
«È
d’accordo con me, non accetterebbe mai di sapere sua madre
rinchiusa in un
luogo simile.» per
fortuna, avevo avuto
una sensazione del tutto sbagliata! «Ma dobbiamo mostrare ai
medici che siamo
in grado di occuparci di lei, probabilmente dovremmo aumentare la
presenza di
infermieri...»
«Ma
questo vi costerà troppo!» parlai di nuovo senza
trattenermi: non erano fatti
miei, ma ormai li sentivo tali! «Non
c’è
alcun familiare che possa darvi una mano? Un
amico…»
«Pasi,
ragazza mia, hai visto qualcuno intorno a noi che non fosse Sabrina...
o tu?»
mi prese le spalle con le mani «Emile ed io possiamo contare
solo su noi due, è
sempre stato così e sempre lo sarà.
Vorrà dire che mi troverò un secondo
impiego o farò doppi turni… in qualche modo ce la
cav…»
«Vi
aiuterò io! Verrò io a darvi a una
mano!»
«Non
posso chiederti una cosa simile...»
«Sì
invece! A me fa piacere stare accanto a Claudine e non ho bisogno di
essere
pagata, il pomeriggio e la sera sono libera, quindi quando volete posso
darvi
il cambio e stare accanto a lei!»
«E
la tua vita? Vuoi sacrificarla a far da balia a mia moglie invece di
divertirti
con gli amici?»
«Troverò
il modo di conciliare tutto! Dimmi solo quando venire e
correrò a dare una
mano!»
A
quel punto anche Fede prese parola:
«Se
avete bisogno ci sono anche io, non sentitevi abbandonati, anche a me
fa
piacere dare una mano.» Alberto ci guardò commosso
e ci diede un grande
abbraccio.
*****
Iniziò
così la mia nuova vita, scandita dal lavoro mattutino e il
pomeriggio in casa
Castoldi. Emile e Alberto avevano concordato che servivano almeno due
persone
che potessero alternarsi accanto a Claudine, così la sera
cercavano di esserci
entrambi (e se Emile aveva le prove col gruppo o qualche esibizione, in
quel
caso Fede avrebbe dato una mano notturna) mentre di pomeriggio
c’ero io con
Sabrina e di mattina c’era Emile sempre con Sabrina a cui
avevano raddoppiato
il turno. Nonostante il mio aiuto, restava ancora il bisogno di
qualcuno che si
alternasse ad Emile di mattina, con conseguente aumento del compenso di
Sabrina,
per cui Alberto cercò di raddoppiare le sue ore di lavoro:
era un manovale in
una ditta edilizia, ma essendo abile in tutto ciò che
chiedeva manualità,
iniziò a proporsi anche come giardiniere o tutto fare per i
piccoli lavoretti di
ristrutturazione delle abitazioni. Emile dal canto suo,
iniziò a prendersi
qualche lavoro dalla bottega e a portarsela a casa per lavoraci mentre
era con
sua madre.
Il
mio turno iniziava e finiva alternandomi ad Emile, per cui almeno per
qualche
minuto, ci saremmo visti mentre ci davamo il cambio e questo breve
momento di
contatto costituiva per me la speranza di poterlo avvicinare di nuovo.
Il primo
giorno in cui entrai in quella casa in veste di badante per Claudine fu
proprio
Emile ad aprirmi: il suo aspetto era votato alla più
assoluta rigidità e tutto
di lui mi allertava a non avvicinarmi troppo.
«Ciao.»
il suo lapidario e polare saluto mi fece capire immediatamente che non
voleva
indugiare in chiacchiere.
«Ciao
Emile… tuo padre ti ha…»
«Sì
mi ha detto tutto. Grazie per l’aiuto che ci offri. Te ne
sono grato.» si
teneva a distanza a da me, il suo viso era
granitico, privo di espressione e quelle parole prive di calore
sembrarono
provenire dalla bocca di un automa. Cosa pensava che potessi fargli,
saltargli
addosso e rubargli la virtù?! Quell’atteggiamento
iniziò a darmi sui nervi!
«Senti…»
«Sabrina
è su con mia madre, se hai bisogno di sapere qualcosa, lei
risponderà a tutto,
è qui dalla mattina e conosce tutti i suoi bisogni. Io ora
devo andare, buona
giornata.»
Chiuse
la porta dietro di sé, senza darmi modo di continuare la mia
arringa a malapena
iniziata, senza darmi diritto di replica… Mi aveva appena
fatto capire di non
voler avere alcun tipo di contatto con me!
Quell’atteggiamento spocchioso mi
fece imbestialire sul momento, ma non ero lì per divertirmi,
avevo un compito
importante da assolvere: Alberto
contava
su di me e non volevo deluderlo; del suo irritante figlio mi sarei
preoccupata
in seguito. O almeno speravo di riuscire a farlo. Il tempo accanto a
Claudine
quel giorno scorse lento, la mia testa era piena di sentimenti confusi
e
contrastanti: continuavo a sentire il desiderio di stare accanto ad
Emile, ma
contemporaneamente quel suo atteggiamento m’istigava a
lasciarlo perdere o a
strozzarlo una volta per tutte! Quel pomeriggio mi chiesi persino se ne
valeva
davvero la pena di farmi trattare in quel modo, da una persona che
aveva
sfacciatamente rifiutato ciò che sentivo per lui, ma poi
ripensai all’Emile che
accudiva con dolcezza sua madre, a quel ragazzo che sapeva sorridermi
con vera
gioia lasciandomi del tutto inebetita, al bambino impaurito e tremante
che
avevo visto qualche giorno prima in ospedale e sentii di nuovo il
desiderio di
proteggerlo.
Solo
lui riusciva a confondermi in quel modo, a farmi provare
così tanti sentimenti
contrastanti nei suoi confronti: non riuscivo a capire come dipanare la
matassa
dei miei sentimenti in quella situazione, il desiderio di stargli
accanto stava
combattendo ferocemente con la rabbia dentro di me e forse
quest’ultima in quel
momento stava avendo la meglio. Non avevo la più pallida
idea di come avrei
fatto, ma non volevo dargliela vinta, non volevo ritirarmi con la coda
fra le
gambe! Gli avrei dimostrato in qualche modo che non ero una ragazzina
sbavante
che viveva per ogni suo respiro, gli avrei dimostrato che lui non era
il motivo
per cui andavo in quella casa, che saltargli addosso non era la parte
centrale
dei miei pensieri! Non avrebbe visto il mio volto triste per il modo in
cui si
rivolgeva a me e non avrei più tentato di parlargli, gli
avrei fatto vedere di
che pasta ero fatta!
La
mia battaglia con lui sarebbe iniziata l’indomani, quella
sera mi fu concesso
tempo per prepararmi ad affrontarlo, poiché a darmi il
cambio fu Alberto, che
rincasò prima di suo figlio.
«Stanca?»
mi chiese dopo il suo caloroso abbraccio.
«No
affatto, il tempo è volato!» insieme alla
spudorata fandonia, sfoderai il
migliore dei miei sorrisi per rassicurarlo: vedevo ancora sul suo volto
la
preoccupazione per avermi costretto a stare ogni pomeriggio accanto a
sua
moglie e volevo fargli capire quanto occuparmi di Claudine costituisse
un
piacere e non un dovere. Alberto mi guardò per qualche
minuto sondando le mie
espressioni e d’un tratto si rattristò:
«Emile
è stato scortese con te?»
Al
sentir nominare la causa del mio malumore, sentii la rabbia far
capolino sul
mio viso per un istante, quel tanto che bastò ad Alberto per
capire e sospirare:
«Quando
gli ho detto che saresti venuta ad accudire Claudine, l’ho
visto irrigidirsi,
ma poi ha convenuto con me che saresti stata di grande
aiuto… quel figlio mio è
davvero irrecuperabile! Ti chiedo scusa per il suo comportamento
scortese,
certe volte è…» decisa a non aggiungere
altri fardelli sulla schiena di
quell’uomo adorabile, mi ripromisi di non mostrarmi
arrabbiata con suo figlio e
di non palesargli alcun fastidio potessi provare, entrando in quella
casa.
Appoggiai una mano sul suo braccio per rassicurarlo e gli risposi:
«Non
preoccuparti, Emile non è stato scortese, è tutto
a posto.» tranquillo Alberto, tuo
figlio non ha capito
con chi ha a che fare!
*****
Come
da copione, la mia battaglia con Emile iniziò il giorno
seguente: mi accolse
con lo stesso atteggiamento rigido ed io gli risposi con un bel sorriso
sincero e senza
dargli modo di dire altro, mi diressi
subito al piano di sopra, con la più cordiale indifferenza
di cui fossi capace.
Sentii i suoi occhi che mi osservavano mentre salivo le scale e nel
momento in
cui arrivai all’ultimo gradino, la porta di casa si chiuse.
Sorrisi soddisfatta
di me e iniziai il mio pomeriggio accanto a Claudine: Pasi=1 Stupido
Emile=0!
La
scena iniziò a ripetersi ogni giorno e ogni volta che lo
vedevo, dovevo
sforzarmi per non prendere a sberle
quel viso così rigido e formale, ma la soddisfazione di non
dargli modo di
trattarmi con sufficienza mi bastava a sostenere quella piccola recita
di
qualche minuto. Trascorsero in questo modo un paio di
settimane, in cui la nostra situazione giunse
ad una stasi, finché verso la metà della terza
settimana ad accogliermi in casa
ci fu solo Sabrina e la situazione si ripeté uguale nei
giorni successivi.
Iniziai a sospettare che mi stesse evitando di proposito e
tornò ad assalirmi
un’insana irritazione.
Col
passare dei giorni però, mancando il quotidiano scontro,
l’irritabilità si
trasformò in un’improvvisa malinconia: eravamo
così distanti in quel periodo,
non c’era alcun punto di contatto tra noi, non
c’era più nemmeno quel breve e
veloce saluto, che più che altro era un incontro di box
travestito da uno
scambio di convenevoli! Mi mancava la familiarità che
eravamo riusciti ad avere
settimane prima, mi mancavano i suoi gesti gentili e il suo
sorriso… iniziai a
temere di non riuscire più a vederlo e il fatto che ogni
pomeriggio fossi in
casa sua, dove lui viveva, dove era se stesso nel profondo, mi spinse a
voler
sapere qualcosa in più sul suo conto, almeno in modo
indiretto.
Così
un pomeriggio in cui Claudine era controllata dalle cure di Sabrina,
decisi di
riprovare a curiosare alla ricerca della camera di Emile: avevo voglia
di
sentirlo a me vicino, volevo trovarmi anche se solo per qualche minuto,
nello
stesso luogo in cui trascorreva una parte della giornata, volevo
sentire la sua
presenza nell’aria… provai ad aprire la porta
della camera adiacente
a quella in cui avevo dormito e per pura fortuna la trovai aperta!
Avevo il
cuore che pulsava all’impazzata, mi sentivo una ladruncola ma
mi dicevo che in
fondo Emile se l’era cercata col suo
comportamento… così aprii la porta ed
entrai.
La
stanza doveva avere le stesse dimensioni di quella adiacente, ma
sembrava molto
più piccola a causa delle librerie che la tappezzavano:
c’erano scaffali e
scaffali pieni zeppi di dischi in vinile e CD e impianti stereo di
tutti i tipi,
quello era un santuario della musica! C’erano anche un
violino, una chitarra e
una tastiera e in fondo alla stanza, a ridosso delle finestre
c’era la scrivania
preceduta solo dal letto, la cui testiera poggiava sulla parete di
sinistra, in
modo speculare rispetto alla stanza accanto. Sul comodino
c’era solamente una
lampada e una foto: quella foto che Fede aveva trovato nella
cassettiera e che
ora era inserita in una cornice in bella mostra. Mi accovacciai davanti
al
comodino e osservai nuovamente l’immagine di quella famiglia
che non aveva mai
avuto molti momenti felici come quelli e accarezzai con le dita il
vetro del
portafoto sul volto di ognuno di loro, ma quando arrivai sulla testa di
Emile,
su quel punto luminoso che sporgeva dalle braccia della madre, iniziai
a
commuovermi e desiderai nuovamente di poter proteggere quel ragazzo
dalla
sofferenza che si portava dentro.
Uscii
dalla stanza, sentendo di aver violato un terreno sacro e tornai da
Claudine.
Approfittando
del mio ingresso in camera, Sabrina si prese una pausa ed io rimasi ad
osservare
la madre di Emile mentre riposava nel letto con aria tranquilla:
considerata la
scelta di Alberto di tenerla in casa e di non farla ricoverare in
qualche
centro specializzato, i medici avevano optato per una cura
più intensa,
imbottendola di farmaci per farla stare tranquilla. Di conseguenza,
riusciva a
stare sveglia per molto poco e quando accadeva, era sempre
più intontita... Ogni
giorno che passava la vedevo sempre meno presente e sempre
più come un
fantasma: come può ridursi così una persona che
amava la vita come lei? Una
persona così fiduciosa nella vita, da prenderla
così come viene senza pensare
alle conseguenze, perché sa che in un modo o in un altro se
la caverà…
Probabilmente
era più giusto il comportamento previdente dei miei genitori
o almeno su carta
avrebbe dovuto risparmiare qualche problema, ma era così
freddo! Ero convinta
che anche Claudine non si fosse mai pentita delle sue scelte,
semplicemente il
Destino le aveva riservato dei colpi troppo forti e il suo animo
delicato ne
aveva risentito in modo irreversibile…
Le
presi una mano pallida e smagrita tra le mie per sentire un contatto
tra noi:
«Grazie
Claudine, grazie a te e Alberto sto imparando, sto crescendo e sto
capendo
qualcosa in più anche di me. Grazie perché amo
questa casa piena di amore, amo
il modo in cui la tua famiglia ti ama e amo la gioia di vivere che mi
hai
trasmesso, attraverso i racconti di Alberto ed Emile… e
grazie per averlo messo
al mondo! Lui non è d’accordo, ma io benedico ogni
giorno il fatto che esista e
che l’abbia incontrato, al di là di come
andrà a finire tra noi.»
Non
saprei dire se Claudine fosse consapevole o meno della mia presenza e
delle mie
parole, ma quando tacqui, vidi una lacrima scorrere da uno dei suoi
occhi...
una singola e solitaria lacrima che non saprei dire se fosse di dolore
o di
gioia.
*****
Quella
sera organizzammo di nuovo la nostra pizza semplicemente per vederci e
stavolta
non ci furono imprevisti di sorta. Non vedevo Sofia da quel fatidico
concerto
dei TresneT, di un giorno che
sembrava appartenere ad un tempo lontano: da quando avevo incontrato
Emile, la
mia vita si era rivoluzionata! Sofia era la più piccola del
gruppo: aveva un
anno in meno di me ma era straordinariamente intelligente,
così i genitori
avevano pensato di farle iniziare la carriera scolastica con un anno di
anticipo, per cui ora era già al primo anno di
università. Piccola, con mossi
capelli castani che amava lisciare, occhi scuri che si perdevano in
solitarie
riflessioni e un viso sempre rilassato, Sofia era la rappresentazione
della
calma. Per quanto fossi incline io ad agitarmi, così lei ne
era totalmente
immune: praticava yoga da anni e valutava tutta la sua vita e le
persone
intorno a sé con estrema razionalità. Con il suo
carattere distaccato e anche
un po’ filosofeggiante, sembrava essere la vecchietta saggia
del gruppo: se
Fede e Rita erano i miei genitori e Stè il mio compagno di
marachelle, Sofia
poteva essere classificata benissimo come la nonna!
«Sofi,
qualche sera devi venire a casa mia, così facciamo una
seratina tra ragazze io
tu e Pasi!»
esordì Rita,
lasciandomi sorpresa. “Rita l’impegnata”
che organizzava una serata…
incredibile! Normalmente bisognava fare una domanda in carta bollata
con un
mese di anticipo prima di ricevere una sua risposta affermativa, con i
mille
impegni che si ritrovava era un’impresa farle ritagliare
dello spazio libero ed
ora era lei stessa a proporlo!
«Rita…
sei sicura di star bene?»
le
dissi senza troppi giri di parole.
«Sì
Pasi, perché? Non posso aver voglia di stare un
po’ con le mie amiche?»
mi guardò con aria innocente e
quasi offesa.
«Ma
certo che puoi, solo che… mi meraviglio che tu riesca a
trovare il tempo per
farlo!»
«Sai
Pasi, in questi ultimi tempi, mi sono resa conto che il mondo gira
vorticosamente
ed io voglio girare con lui, ma a volte ci fa perdere il senso delle
cose: io
corro tutto il giorno, persa tra mille impegni e poi mi rendo conto che
non ho
stabilito un rapporto umano da tempo! Sarà che avendoti in
casa con me, sto
riscoprendo la gioia di avere qualcuno accanto, ma ultimamente ho una
voglia
matta di stare con le persone che mi fanno stare bene!»
«Per
la miseria Rita, quanta saggezza all’improvviso! Ma
perché io e Federico
dobbiamo restarne esclusi?» ecco
Stè con la sua paura di essere escluso da tutto…
«Testa
di Paglia stai diventando ossessivo! Una riunione tra ragazze a volte
è
benvenuta, voi uomini certe cose non potete capirle!»
mi piaceva l’idea di una specie di pigiama party con le mie
amiche, rendeva tutto così intimo e confidenziale e non ne
avevamo mai fatto
uno!
«Devo
forse renderti noto, che la prima persona con la quale tu ti sia mai
confidata sono
stato io, Testarossa?»
«Uffa
Stè! Sempre a sottolineare dettagli stai!»
«Io
la trovo una bella idea, le ragazze hanno bisogno di stare tra loro ed
è vero
che ci sono cose che noi non possiamo capire…» Fede come sempre era il
comprensivo e conciliante del gruppo,
inoltre mentre parlava rivolse uno sguardo d’intesa a Rita
che sorrise felice….
Ancora non avevo ben chiaro se tra quei due ci fosse ancora qualcosa o
se il
loro modo di comprendersi era dovuto alla vecchia intimità
che avevano
condiviso in passato... stava di fatto che Stè fu
sbaragliato ed io gongolai
con una bella pernacchia in sua direzione!
«Stamane
leggevo di un’antica leggenda cinese tramandata anche in
Giappone, sul legame
che unisce chi è destinato a stare insieme nonostante le
avversità.»
Sofia aveva preso magicamente la
parola, spuntando dal nulla con un discorso che apparentemente non
aveva alcuna
connessione col nostro discorso…
«Si
dice in Giappone che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al
dito
mignolo e che quel filo rosso è collegato a quello della
persona a cui siamo
destinati. Nonostante la vita separerà quelle persone o non
le farà incontrare
presto, il filo rosso che lega i loro mignoli prima o poi li
guiderà uno
dall’altra perché il loro destino è
quello di stare insieme. Mi è venuta in
mente ora perché sentendo i vostri discorsi, penso che sia
normale temere di
perdere le persone che si amano, ma credo anche che se è
Destino che certe
persone entrino a far parte della nostra vita, in un modo o in un altro
ci
saranno sempre accanto a noi, anche se non sono invitate ad un pigiama
party o
non si vedono da mesi.»
eccola qua la mia nonnina saggia! Poche parole ma ben dirette! Ma
ovviamente,
non tutti hanno lo stesso parere e Rita non era dello stesso avviso:
«Non
sono del tutto d’accordo, credo che il Destino ce lo creiamo
noi con le nostre
mani. Se io non facessi tutto quello che faccio, non potrei avere anche
i
riscontri che ho, non posso pensare che la mia vita sia gestita da
qualcuno al
di sopra di me, che tiri i fili relegandomi al ruolo di un burattino,
la mia
vita è mia e la gestisco come voglio!»
Iniziò
così uno dei nostri discorsi
notturni sulla vita e sulle sue leggi: il bello di parlare tra amici
è proprio
quello di sentire diversi modi di pensare e di vedere le cose, ti apre
gli
occhi, ti fa vedere l’intera esistenza sotto molteplici
aspetti e sai anche che
quando giunge il tuo turno di parlare, la tua opinione avrà
lo stesso impatto
sugli altri e sarà rispettata anche se non
condivisa… erano quelli i momenti
che amavo di più, non mi sarei mai staccata da loro quattro,
sentivo una
felicità immensa nel petto ogni volta che trascorrevo del
tempo in loro
compagnia!
*****
Quella
notte invece di dormire, ripensai
a quella leggenda giapponese: aveva un concetto così
romantico! Mi chiesi se
quel filo rosso che portavo al mignolo, fosse collegato a quello di
Emile: in
quei giorni eravamo così distanti che mi sembrava
impossibile l’idea di
avvicinarci fino a quel punto; sembrava
che il Destino volesse separarci più che unirci!
Il
Destino… volevo credere ad un concetto
simile? Implicava l’idea che qualsiasi cosa provassi a fare
sarebbe stato
inutile se non fosse stato deciso dal Fato. Il che mi lasciava
interdetta:
significava che se non fosse stato benedetto dal Destino, qualsiasi mio
desiderio sarebbe stato irraggiungibile! E quindi anche gli sforzi di
Emile per
crescere e diventare famoso sarebbero potuti fallire se non era destino!
Di
certo gradivo di più l’idea che
fossimo noi a crearcelo con le nostre azioni e i nostri
comportamenti… Eppure
l’idea di un Destino che voleva me ed Emile uniti, mi
consolava e mi dava
coraggio per credere che tutto si sarebbe sistemato… in
qualche modo!
Il primo segnale del Destino lo ricevetti il giorno dopo a casa Castoldi: la stanza di Emile aveva la porta socchiusa e non ressi alla tentazione: entrai un attimo per salutare nuovamente tutto ciò che lui amava e per sentirlo accanto a me indirettamente, quando notai sul comodino un biglietto su cui c’era scritto il mio nome!
Pasi
Isoardi,
sei pregata di leggere!
Era un vero e proprio
invito a cui non potevo dir di no! Così aprii la busta e
lessi il contenuto del
biglietto:
Ti è
piaciuta la stanza? La prossima volta che entri qui dentro
però,
attenta a non
lasciare delle ditate sul vetro, non è
facile toglierle via dopo!
Maledizione! Come al solito
ero stata imprudente e mi aveva scoperto! Aveva notato il passaggio
delle mie
dita sulla foto, che vergogna! Visto però che non sembrava
particolarmente
arrabbiato, e che nonostante tutto, aveva lasciato di nuovo la porta
aperta in
camera sua, decisi di usare la solita faccia da poker e gli risposi,
lasciandogli quello stesso biglietto ma con un messaggio altrettanto
pungente:
A dir la
verità, l’ho trovata un po’ trascurata,
gli strumenti avevano un filo di polvere, dovresti pulire
più spesso!
Ero
soddisfatta di potergli rendere pan per focaccia ancora una volta e il
fatto
che sentissi terribilmente la sua mancanza iniziava ad irritarmi, ma
sopra ogni
cosa ero felice di tornare a comunicare con lui, seppur con un misero
scambio
di battute acide, che poi a dirla tutta, costituivano la maggior parte
del
nostro colloquiare!
Dopo
l’iniziale euforia cominciai a pensare al motivo di quel
gesto: era solo
irritato? Ero stata scoperta spudoratamente, ma il fatto che mi avesse
lasciato
un biglietto per comunicare con me mi faceva ben sperare che sentisse
un po’ la
mia mancanza, anche se di sicuro non era paragonabile a quella che
sentivo io
nei suoi confronti.
Ripensai
alle parole di Stè: “Amare in modo unilaterale non
è un viaggio facile, ma non
puoi farne a meno”. Iniziavo a rendermene conto: nonostante
fosse una delle
persone più irritanti che avessi mai conosciuto, nonostante
avesse alzato una
barriera ciclopica verso di me proprio quando io avevo abbassato la mia
rivelandogli cosa provavo per lui, qualsiasi cosa facessi, qualunque
esperienza
vivessi, non ero capace di togliere Emile dalla mia testa e soprattutto
dal mio
cuore.
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NDA
Questo è stato davvero lungo come capitolo, uno dei più lunghi che abbia scritto. A dira la verità proprio oggi gli ho dato una sistematina, ritoccando alcune parti che non mi convincevano; infatti ero dubbiosa se pubblicare entro stasera o meno, ma poi una vocina mi ha esortato a muovermi (:****) ed eccoci qua! Spero vi sia piaciuto ^ ^
Come sempre vi ringrazio dal profondo del cuore tesore mie, perchè i vostri commenti allo scorso capitolo mi hanno entusiasmato tantissimo, non credevo che prendesse a questo punto e posso ritenermi davvero soddisfatta di me, se addirittura sono riuscita a rivaleggiare con la zia Steph per qualcuno <3 (troppo onore, davvero!).
Grazie davvero di cuore mie sorelline: Iloveworld, Vale, Niky, Concy, Saretta, le mie fan-lettrici affezionate, Anan-chan, lettrice in pausa, Cicci, ed Ely.