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Autore: Circe    17/10/2011    7 recensioni
Bellatrix, Andromeda, Narcissa, Sirius, Regulus. Per ognuno di loro una storia privata e segreta.
Un Natale in famiglia costellato di segreti e conflitti. Bugie e amori.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ragazzi

In una piccola cittadina nei pressi di Londra, la calma regnava sovrana nel freddo e soleggiato pomeriggio invernale.

Vagando per le vie tranquille del luogo, si potevano scorgere diverse famiglie riunite attorno alle tavole per festeggiare le ricorrenze natalizie. Proprio in una di queste case di puro stile babbano, un’allegra famiglia terminava di consumare il pranzo del giorno, chiacchierando del più e del meno in serenità.

Osservando meglio, però, si poteva scorgere una certa inquietudine da parte di uno dei componenti.

Il figlio e fratello più grande, infatti, restava silenzioso e pensieroso davanti alla finestra, il cui vetro era diventato ormai opaco ai lunghi sospiri del ragazzo.

Nessuno vi aveva fatto particolare caso, fino al momento del termine delle chiacchiere:

“Ted, che ti prende oggi? Smuoviti da lì e vienimi ad aiutare, per piacere.” l’aveva apostrofato la madre, al momento di asciugare e riporre i piatti appena lavati.

Senza dire una parola, il ragazzo si era avvicinato alla cucina prendendo in mano il primo piatto gocciolante.

Era alto per la sua età, solamente sedici anni compiuti da poco, e di corporatura magra. I capelli, di un castano chiaro pieno di calore, erano appena adagiati sul collo e incorniciavano due grandi occhi marroni, profondi e sognanti come pochi ragazzi di quell’età riuscivano a dimostrare.

“Forse sarebbe più comodo usare la magia?” aveva domandato la madre scherzosamente.

A quella frase però, il ragazzo si era rianimato:

“Sicuro, mamma! Dovresti vedere con che velocità e precisione riuscirei a farlo con un semplice tocco della bacchetta!”

La madre lo aveva guardato orgogliosa, ma senza darlo a vedere al figlio.

“Allora sei diventato proprio abile ormai, vero? E tu che ti preoccupavi sempre di essere da meno di coloro che erano nati in una famiglia di maghi e che conoscevano da sempre la magia. Noi siamo normali ma intelligenti e abili.”

“Si dice Babbani, mamma.”

La madre aveva alzato le spalle, non troppo convinta di quell’appellativo.

“Non lo impari mai …”

Il ragazzo era tornato serio, ma qualcosa era cambiato in lui, sembrava aver voglia di continuare il discorso iniziato con fatica.

Dopo un paio di piatti impilati al posto giusto, aveva preso coraggio:

“In effetti è vero, non sono potente come molti compagni nati in famiglie di soli maghi. E non solo compagni, anche compagne, che in duello dovrebbero essere quantomeno più deboli di me, almeno fisicamente.”

La madre l’aveva guardato attenta, in maniera indagatrice.

“Questo non è mai stato un grosso problema, per te, prima d’ora, o sbaglio?”

Ted aveva alzato le spalle restando zitto.

“Forse c’entra quella lettera che hai ricevuto pochi giorni fa, se ora ti preoccupi di tutte queste faccende in maniera così seria?”

Ted l’aveva guardata con tanto d’occhi, sorpreso dall’attenzione che un adulto potesse avere per certi particolari, quando invece sembrava che tutti fossero impegnati in tutt’altre situazioni e interessi totalmente estranei a lui.

La madre aveva continuato con un lieve sorriso triste:

“Quella lettera con tanto di sigillo, quella calligrafia aggraziata e un po’ … come dire … retrò? Sembrava effettivamente provenire da un mondo tutto diverso.”

Gli occhi del ragazzo si erano fatti più tristi e pensierosi:

“Il mondo della magia più pura, penso, mamma.”

Anche la madre, a quelle parole, era sembrata rattristata, aveva persino interrotto, per un istante, di lavare la grande pentola che aveva nelle mani.

“Mi è parso di capire, in questi anni in cui sei stato in quella scuola, che i maghi con antiche tradizioni non considerassero bene gente come noi, e nemmeno come te. Però che tu stesso, allo stesso tempo, non badassi minimamente a queste sciocchezze e questi giudizi senza senso, ma che fossi capace di credere in te, nella tua casa di appartenenza e nelle persone che ti volevano bene per come sei.” aveva fatto una pausa osservando il ragazzo, poi aveva aggiunto dolcemente: “È cambiato qualcosa?”

Ted si era sentito a disagio, come scoperto, aveva alzato le spalle velocizzando le sue operazioni di asciugatura, aggiungendo, dopo diversi istanti:

“Direi proprio di no.”

La madre aveva sorriso incredula:

“Forse una ragazza, Teddy?”

“Mamma, non mi chiamare Teddy. E comunque, non c’è nessuna ragazza.”

“Davvero?” aveva insistito la donna con voce dura, ma con sguardo intenerito.

Ted aveva esitato a lungo dopo quella domanda, si era guardato intorno: la piccola e accogliente cucina con i mobili di legno marrone chiaro, le due finestre che davano sul cortile della casa, le allegre tende che decoravano il vetro.

Aveva ascoltato i rumori che provenivano dalla sala da pranzo: il padre che chiacchierava sparecchiando con la sorella e il fratello piccolo. Il fuoco nel camino con appese alcune statuette di sale che rappresentavano simboli natalizi.

Aveva sospirato impercettibilmente, sempre serio e pensieroso, aggiungendo in seguito:

“Non c’è nessuna ragazza, mamma, e non certo di quel mondo.”

La madre lo aveva osservato senza che se ne accorgesse, non pareva molto convinta delle parole del figlio e un’ombra di preoccupazione e ansia era passata velocemente sul suo volto, fuggendone poco dopo.

“Bene Ted, perché, a quanto mi hai raccontato, sarebbe una relazione piuttosto complicata …” aveva quindi aggiunto scherzando, ma con una lieve nota stonata nella voce.

“Non sono mica matto, mamma! Sarebbe un vero casino.” aveva terminato Ted afferrando l’ultima posata rimasta bagnata.

***

A Londra, il vento della sera sferzava gelido lungo le strade affollate. Seguendo e immergendosi completamente nella folla tipica delle feste, si poteva proseguire lungo le strade e i vicoli, arrivando, dopo lungo peregrinare, in un posto leggermente appartato, molto originale, “strano” lo avrebbero descritto alcuni abitanti dei dintorni.

Quel luogo, un piccolo pub della zona, dava segretamente accesso ad un altro, ancora più strano, molto più misterioso ed impenetrabile: il mondo dei maghi.

Dava accesso alla cittadina magica di Diagon Alley.

Essa era una cittadina tranquilla e piena di negozi addobbati a festa, ricca di posti di ritrovo per gente particolare, eccentrica, tutta vestita in maniera originale. Grandi tuniche multicolori, o scurissime, coperte da pesanti ed ampi mantelli in tinta, lunghi cappelli a punta calati sulla testa, e scope più o meno antiche che reggevano spesso in mano.

Entrando nei vicoli meno affollati, si potevano riconoscere diversi luoghi tipici e più o meno eleganti. Uno di essi portava un cartello di legno, con una grande scritta gialla: “Devil’s Mama”

Due ragazzi di circa vent’anni erano fermi in quel locale leggermente affollato, ma non eccessivamente rumoroso. Stavano seduti uno di fronte all’altro, separati dal piccolo tavolo di legno scuro, dove erano appoggiati due grossi boccali di Burrobirra fumante. Parevano intenti a parlare di argomenti molto seri.

Uno dei due mostrava uno sguardo triste e arrabbiato allo stesso tempo; aveva parlato per ultimo torturando, con le mani e dita sottili, il suo boccale di vetro.

“Se le cose stanno così, mio caro, mi spieghi per quale motivo l’hai lasciata?” lo aveva apostrofato l‘altro, più impostato e allegro, quasi scherzoso in quell’ultima battuta. Si era allontanato leggermente, ma senza distogliere lo sguardo dall‘amico.

Il ragazzo l’aveva ricambiato con fare cupo, leggermente pensieroso:

“Perché mi faceva dannare, davvero. Perché non volevo mi prendesse in giro. Per orgoglio ferito, a causa di quanto mi aveva detto Avery, ricordi?” aveva infine risposto passando a tormentarsi i capelli lisci, grossi e scuri, che gli conferivano un fascino, se non una bellezza, molto magnetico.

Wilkes, comprensivo, aveva subito sorriso a quelle parole:

“Dovresti sapere com‘è fatta, è tua cugina dopotutto!” aveva detto gentile; poi, però aveva rincarato la dose con parole più dure: “Non mi è mai parsa una di quelle ragazze docili, affettuose, semplici. Piuttosto è una di quelle che fanno perdere la testa, che fanno i capricci e sono toste da gestire. Di certo non una da lasciare così, per un moto di orgoglio del momento … ora cosa pensi di fare?”

Evan, a quel punto, aveva bevuto un sorso di burro birra e aveva sospirato.

“Non ne ho idea.” ed era sceso il silenzio fra i due.

Erano amici da tempo e avevano colto entrambi che il problema riguardante uno dei due sembrava essere veramente importante, questioni fondamentali di cuore.

“Non posso evitare di vederla ad ogni pranzo, ad ogni cena, ad ogni raduno o ricevimento di questi giorni festivi. Dovresti esserci anche tu per capire … è così bella, sensuale, intrigante.”

L’altro aveva sorriso:

“Ricordo perfettamente com’è.”

“Mi seduce, non so se lo faccia di proposito, per vendetta, o le venga naturale. È maliziosa, provocante e crudele. La odio, ma la rivoglio con me.”

Anche Wilkes aveva bevuto un sorso abbondante di Burrobirra a quel punto, per poi aggiungere:

“Ho capito benissimo: è una che sa prendersi quello che vuole. E poi ci sa fare con te in certi frangenti … dopotutto, gliel’hai insegnato tu, o sbaglio?”

Entrambi avevano riso, Evan più ironicamente dell’altro.

“Sì, ovvio. Era perfetta, sotto ogni aspetto, a letto e fuori dal letto; una con cui puoi andare ovunque e tutti t’invidieranno e ti ammireranno.”

Di nuovo silenzio.

“Sei proprio innamorato, temo.”

“Maledizione!” aveva imprecato Evan alle parole di Wilkes “Io credevo di giocare con lei, la piccola cuginetta, invece … ha iniziato a fare i capricci.”

Wilkes l’aveva guardato attentamente attraverso i ricci scuri che gli erano ricaduti sugli occhi mentre stava sorseggiando la sua bevanda:

“S’intuiva la tipa che era, o che sarebbe diventata, ti sei illuso, amico: questa è la verità. Dovevi stare attento con lei, ora non sarà per niente facile, a mio parere, riprendersela: è ancora più tosta di quanto appaia. Io la trovo, a tratti, persino inquietante.”

Evan si era appoggiato con la schiena alla panca ove era seduto, era stato zitto per qualche istante e poi aveva mormorato:

“Da solo è una gara persa con lei. Troppo testarda, troppo caparbia, troppo orgogliosa.”

“Dunque?” lo aveva incalzato l’amico.

“Dunque ... forse dovrei provare … a chiedere l’aiuto di mio zio.”

Wilkes l’aveva guardato stupito.

“Fino a questo punto la vuoi?”

“Certo,” aveva risposto Evan finendo la sua Burrobirra d’un fiato “non mi arrenderò tanto facilmente, almeno un tentativo lo devo pur fare.”

“Ci farai la figura dell’idiota davanti a lei, lo sai, vero?”

“Lo so perfettamente. L’’ho già fatta quando l‘ho lasciata tanto avventatamente. Ormai, persa per persa, ci devo riprovare.”

Silenzio di nuovo, i due si guardavano in volto dubbiosi, Evan era tornato a parlare poco dopo.

“La sogno la notte, capisci? Sogno il suo profumo, la sua pelle, i suoi baci. Il suo seno, le sue risate dopo aver fatto l’amore … non posso vivere così, di desiderio puro senza fare nulla.”

Wilkes aveva riso di gusto e aveva alzato il suo calice prima di terminarlo anch’egli in un sorso.

“Auguri amico. Dovrei trovarla anch’io una ragazza così.”

***

Durante il periodo natalizio, Hogwarts era ricoperta da una fitta coltre di neve che rendeva tutto il paesaggio straordinariamente irreale, silenzioso e lucente.

Pochi erano gli studenti che rimanevano a scuola per le vacanze, e ancor men, coloro che restavano taciturni e solitari nei loro dormitori.

Nei sotterranei del castello, nelle zone dove dimoravano i ragazzi della casa di Serpeverde, nel freddo dei dormitori posti al di sotto del Lago Nero, si aggirava, da solo, un ragazzo alto e snello, con i capelli scurissimi e l’aria un po‘ emaciata, un ragazzo dallo sguardo inquieto e tenebroso, velato di tristezza malcelata.

Stropicciandosi gli occhi e lanciando uno sguardo all’orologio, aveva iniziato ad incamminarsi lentamente verso i piani più alti, raggiungendo man mano lo studio del neo eletto preside della scuola.

“Buon pomeriggio, signor preside,” aveva esordito educatamente e cerimoniosamente il giovane al cospetto dell’uomo con una lunga barba ormai grigia “mi ha fatto chiamare?”

Il preside, elegantemente vestito con una grande tunica color porpora ed un cappello a punta della stessa tonalità che piegava verso il basso, aveva alzato lo sguardo studiando il ragazzo con pazienza, per poi rispondere delicato:

“Sì, signore Lestrange, vieni pure avanti, avvicinati.”

Rodolphus Lestrange si era avvicinato elegantemente, mantenendo però un fare cupo e distaccato.

“Come sta procedendo la tua permanenza qui, ragazzo? Ti trovi sufficientemente bene?”

“Sì, me la sto cavando bene.” aveva risposto l’altro senza esitazioni.

“Non sono troppo indietro con le materie di studio e credo riuscirò a recuperare per svolgere gli esami finali con gli altri studenti della mia classe.”

Il preside aveva annuito sollevato, poi aveva aggiunto: “Noto che con la lingua va molto meglio, hai imparato bene a parlare e anche a comprendere.”

Il ragazzo, a quelle parole, aveva semplicemente annuito.

“Hai fatto amicizia con qualcuno, hai legato con i tuoi compagni? È una tappa importante della tua integrazione nella scuola, lo sai.”

Il giovane aveva abbassato lo sguardo, una nota di stizza sembrava serpeggiare nei suoi occhi scuri.

“Non sono bravo a socializzare.” aveva risposto infine.

“Ricordati che era una promessa fatta in cambio del tuo trasferimento in questa scuola, non deludere le aspettative di chi ti vuole bene, di chi tiene a te e alla tua salute.”

Questa volta il giovane aveva alzato lo sguardo fiero in tono di sfida, con una nota forse rabbia, ma non aveva osato proferire parola.

Il preside non si era lasciato comunque impressionare da quel gesto così palese.

“Chi ti ha insegnato tanto bene l’inglese? Hai effettivamente recuperato molto bene in tutte le materie.” aveva insistito con una nota di bontà nella voce, che si era poi immediatamente trasformata in una nota di sospetto alla risposta dello studente.

“È stata la signorina Black. Bellatrix Black.”

“Hai dunque legato con la signorina Black?” aveva domandato il preside in tono evasivo, tono che non doveva essere sfuggito al ragazzo di fronte a lui.

“Lei conosce bene il francese, mi ha aiutato molto.”

“Bene,” aveva terminato il preside accennando un cambio di discorso “ti raccomando di ampliare le tue frequentazioni, anche nelle altre case di appartenenza ci sono studenti che possono offrirti molte opportunità di crescita.”

Il giovane aveva annuito poco convinto, ma educato.

“Veniamo a ciò di cui volevo parlarti.”

“Sì, professore, prego.”

“Quando sei arrivato qui, dopo ciò che era successo, e contando il tuo stato emotivo, ti ho concesso diverse libertà, che ora, dato il tuo inserimento ormai quasi avvenuto, non posso continuare a concederti a pieno.”

A queste parole, il silenzio era caduto tra i due interlocutori.

“Capisci, non è vero? Non puoi essere considerato diverso dagli altri.”

Rodolphus si era limitato ad annuire, al che il preside aveva continuato:

“Alcune libere uscite, alcuni permessi per vagare all’interno della scuola quando agli altri è proibito, certi allontanamenti durante le giornate passate alla città di Hogsmeade: tutti questi particolari, non li posso più accordare.”

Il ragazzo si ostinava nel silenzio.

“Tuo padre stesso è d’accordo, nonostante tutti conosciamo il tuo temperamento e quanto accaduto in passato, sono condizioni indispensabili perché tu possa restare qui, perché tu possa reinserirti in una condizione il più possibile normale. Voglio che tu sia uno studente come gli altri, mi capisci?”

“Certo, signor preside.” aveva risposto Rodolphus palesemente a malincuore.

L’uomo appariva però pensieroso e leggermente preoccupato.

“Con questa calma, con quest’accondiscendenza, dimostri di essere maturato molto in questi mesi, o ti sei solamente rassegnato?”

Il ragazzo aveva infilato le mani in tasca, palesemente nervoso, agitato, e aveva distolto lo sguardo.

“Non lo so, signore, questo me lo deve dire lei, o comunque voi professori, educatori, siete qui per questo, no?”

“Ho accettato di averti qui con noi per aiutarti, signor Lestrange, e così tenterò di fare.” aveva terminato il preside dopo aver ascoltato quelle parole.

“Ora vai, sei libero: fino alla fine delle vacanze potrai avere ancora la tua libertà speciale, dopo di che, dovrai attenerti alle regole che valgono per tutti, siamo intesi?”

“Sì, signore.” aveva detto il ragazzo allontanandosi piano.

“Le auguro una buona giornata.”

Poco fuori dall’aula del preside però, aveva sbuffato rumorosamente nel buio, ed estratto dalla tasca sinistra una piccola quantità di sostanza verde scuro: una piccola pianta.

Dalla tasca destra, invece, un po’ di carta leggera per avvolgerla.

Usava sempre il fuoco delle torce ai lati del ponte sospeso per accendere i suoi piccoli trucchi magici e aspirava lungamente fino al Lago Nero.

Il fumo era bianco, spesso e pesante quasi come la neve attorno, si confondeva a fatica nel panorama biancastro delle giornate invernali della Scozia. Sulla riva del lago, aveva smesso di tremare per la rabbia: la magia iniziava il suo effetto.

Spesso in quei momenti più volte ripetuti, immaginava le creature spaventose che si dicevano abitare il lago, a volte di essere uno studente normale come gli altri del castello, ma non era mai convinto appieno di voler essere uno studente normale, a volte, invece, gli tornava, quasi a tradimento, l’immagine di quella ragazza con i capelli scurissimi che sapeva tanto bene il francese.

Gli mancava quasi, in quei momenti, il fatto poter parlare con qualcuno.

Di solito, l’unica con cui gli piaceva abbastanza chiacchierare era proprio lei.

……………………………...

Note:

Scusate questo capitolo tremendamente lungo, ma non volevo spezzarlo e mi interessava aggiungere due novi personaggi mai trattati: Ted e Rodolphus.

Avanti così questa storia non la concluderò a breve, ma mi vengono in mente sempre altri particolari per la trama … (e meno male che doveva durare 10 capitoli …).

Potrei scrivere Toujour Black atto secondo ambientato ad Hogwarts!

Per il resto volevo aggiungere che ho preferito scrivere il capitolo tutto in terza persona, non so perché, ma mi sembrava più adatto, anche se forse è un grave errore di forma per una ff unica (in realtà ho letto un paio di libri, dove le autrici alternavano la prima alla terza persona, ma io non sono una scrittrice e non ho diritto a licenze poetiche …).

Altra cosa: “stile babbano” l’ho scritto in minuscolo perché è un aggettivo, ma non so se è giusto!

Vi ringrazio, come sempre, per le recensioni delle affezionate e no! Risponderò quanto prima a quelle dello scorso capitolo.

Ancora grazie e al prossimo capitolo!

   
 
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