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Autore: Yellow_Falling_Leaves    20/10/2011    0 recensioni
Dal prologo: La popolazione terrestre, come tutti sanno, è composta da persone, animali, e piante. Fin qui, nulla di nuovo, è chiaro. Questre tre forme di vita coesistono dall’albore dei tempi su questo pianeta, quando ancora Adamo ed Eva giravano coperti da misere foglioline verdi, così ingenui da non avere pudore a essere mezzi nudi l’uno di fronte all’altra e giocavano beati nel giardino dell’Eden.
Ma esisteva un’altra forma di vita, mostruosamente spaventosa, e purtroppo non mi riferisco al dolce ET l’extra terrestre che chiama “telefono casa”. La natura, talvolta crudele e spietata, ha partorito dalle sue membra esseri davvero crudeli: parlo di esseri mitologici, dal corpo d’uomo e la testa di cazzo, creati per il solo scopo di rendere la vita di poveri malcapitati un inferno.
Non è difficile riconoscerli: si aggirano per i centri abitati con aria strafottente, emettono rudi versi, il loro linguaggio barbaro è prevalentemente composto da volgarità, e hanno una spiccata capacità di ammaliare le donne nonostante siano dei veri bastardi, maleducati e insensibili, incuranti dei sentimenti altrui.
Questi mostri sono chiamati con un solo, semplice, chiaro nome: maschi

-Cristina non è la classica sedicenne: è disillusa, piuttosto nevrotica ed irritabile, innegabilmente isterica, e soprattutto odia l'Amore quanto detesta il genere maschile. Non si è mai innamorata, e spera che quel momento non arrivi mai. Finchè non incontra lui: Mattia, scontroso e perennemente seccato, più suscettibile ancora di lei, con quell'aura da figo incompreso in lotta con l'universo che, involontariamente, la porta a provare una certa attrazione per lui, pur non volendo.
Saranno scintille? Beh, decisamente;)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo so che sono un po' in ritardo con questa storia, ^^" ma sono tornata. ù.ù E ho intenzione di tediare chiunque legga questa storia. Yeah! :D
Siete stati avvisati, lettori! Oltre questo, mi concedo qualche parolina per ringraziarvi per avere letto e recensito, e colgo l'occasione anche per chiedervi una cosuccia..
Vedete, due miei cari amici stanno cercando di vincere un concorso, e hanno messo un video su You tube..ecco, se avete tempo e voglia, potreste andare a vederlo? Dura veramente poco, ma sono le visite che contano.
(Ci sono anch'io come comparsa XD)
Vi lascio qui il link: http://www.youtube.com/watch?v=iYdOYk96ECw&feature=channel_video_title
Grazie per l'attenzione! Un bacio!

Capitolo due. Quando si tocca il fondo..ci si mette a scavare.

Il buongiorno si vede dal mattino.
Così dice il detto, no?
Bene, se le cose stavano realmente così, potevo dire per certo che quel martedì sarebbe stato decisamente NO, scritto in stampatello e grassetto.
Mi ero svegliata grazie alle urla da cornacchia di mia madre, che m’intimava di alzarmi perché era tardissimo e abbaiava contro la sveglia che non era suonata; con il cuore in gola per lo spavento ero corsa in bagno, e mi ero preparata alla velocità della luce: evito di citare le parolacce che ho vomitato quando picchiai il mignolino del piede contro lo stipite della porta.
Dopodichè, ero uscita di casa, dolorante e affannata, e mi ero quasi rotta l’osso del collo inciampando nell’ultimo gradino della rampa delle scale, e, dulcis in fundo, pioveva.
Ed io che mi ero messa le All Star, non potei che maledirmi da sola.
Fortunatamente, però, riuscii a beccare il pullman. Ovvio, dopo una faticata degna della maratona di New York.
Arrancai, con la lingua che si trascinava al suolo, fino al posto che mi aveva tenuto accanto a sé Federica. Lei mi guardò con un sopracciglio platealmente alzato e un luccichio divertito negli occhi.
-Buongiorno!-
Le lanciai un’occhiataccia piuttosto eloquente, alla quale Fed si trannette dal ridere; evidentemente dovevo sembrare piuttosto comica, con la coda sfatta, il viso arrossato, e completamente bagnata.
Mentre lasciavo cadere il mio corpo martoriato di superstite di guerra sul sedile, quello scricchiolò sotto il mio peso: ok, non ero magrissima, ma così era deprimente! Pure il sedile sgangherato dovevo beccarmi!
Sospirai, facendo svolazzare un ciuffo infame che si era afflosciato sulla mia fronte.
L’unica cosa da fare era rassegnarmi e accettare la mia sfiga giornaliera.
-Lo sai, sembri piuttosto sconvolta.- infierì quella che, in teoria, doveva essere la mia migliore amica.
Le rivolsi l’ennesima occhiata truce. –Prego, rigiriamo il dito nella piaga!- sibilai, pungente.
Federica ridacchiò, dandomi un buffetto sulla guancia. –Relax, tesoro.-
La guardai scettica. –Ti sei data alla moda hippie ora?-
La mia amica fece il segno della pace, e mi rivolse un sorriso smagliante: -Peace&Love, sorella.-
Scossi la testa, e frugai nella tasca anteriore dello zaino, tirandone fuori il mio sacrosanto Ipod. Infilai un auricolare nell’orecchio, l’altro lo porsi a Federica, e feci partire “Just can’t get enough”.
La musica ebbe il potere di migliorarmi l’umore, e riuscì a rilassarmi come sempre; io, senza le mie canzoni preferite, non sarei riuscita a vivere, molto probabilmente. Erano rare le volte che il mio Ipod era scarico, perché stavo ben attenta a non farmelo mancare mai.
Ero persa beatamente nei miei pensieri, quando Federica mi assestò una gomitata nelle costole.
Mugugnai, guardandola male. –Che hai?- borbottai, indignata e ferita.
Lei fece un cenno alla porta del pullman, che sostava a una fermata, e m’indicò un tipo incappucciato che saliva. E quindi?
Stavo per infamarla, per avermi dato una gomitata senza motivo, quando il Frate Cappuccino fece calare, appunto, il cappuccio, rivelando niente popò di meno che l’Eremita Scazzato Killer –ricordiamo che aveva la fedina penale macchiata per tentato omicidio durante una partita di pallaprigioniera verso la sottoscritta.
Anche lui aveva gli auricolari nelle orecchie, e se ne stava con quella solita aria seccata accanto all’uscita.
Chissà se ci aveva visto; se sì, e non ci aveva salutate, era un vero maleducato mascalzone.
Come il pullman ripartì, riagguantai la cuffietta che mi era caduta e ripresi a fantasticare, ignorando il mio nuovo-e antipatico- compagno di classe.
Almeno finchè Federica non richiamò, con l’ennesima gomitata, la mia attenzione.
-Ehi, hai sentito che la Cigoli si è trovata un fidanzato?- La mia voglia di ridarle indietro qualche parolaccia venne accantonata dalla curiosità e dalla sorpresa.
Lo sguardo di Fed, un po’ ironico e incredulo, era specchio del mio; ridacchiammo entrambe per l’assurdità di quelle voci.
Non era per cattiveria, eh, ma risultava un pelo ridicola questa notizia, per chiunque conoscesse la nostra professoressa di Spagnolo.
Carla Cigoli, nei corridoi della nostra scuola, era conosciuta come la regina delle zitelle, e benchè lei dicesse che fosse per sua scelta, nessuno le credeva.
Definirla eccentrica era un eufemismo; gli indumenti più sobri che aveva, per dirne una, erano una gonna leopardata e collant arancioni. Ma tutto il suo guardaroba comprendeva vestiti improbabili e quasi sempre troppo aderenti per un’ ultra-quarantenne di cui non si vedeva più nemmeno il giro vita.
Per non parlare del trucco: in confronto a lei, la stimabilissima Moira Orfei era acqua e sapone.
Non era una cattiva persona, anzi, tutt’altro: era una tipa alla mano, forse fin troppo.
Diciamo addirittura che il mestiere di professoressa non faceva per lei- non riusciva a tenere la classe per più di mezzo minuto, nelle sue ore, in cui regnava il caos, tutti si facevano i cavolacci propri- e il più delle volte metteva in imbarazzo le persone che le stavano al fianco.
Perciò, era pazzesco che un povero martire la trovasse tanto interessante dal mettersi con lei.
O era matto..o non ci vedeva, non ci sentiva, o comunque sia, aveva uno stomaco realmente forte.
Fatto stava che, come si diceva in giro, la Cigoli era più euforica del solito: lo appurai appena entrai in classe.
Era vestita molto più attillata del solito –orrore e raccapriccio!- con una camicetta lilla di almeno due taglie più piccola che sembrava lì lì per esplodere, e portava perfino i tacchi.
Tanto per citare la mia prof d’italiano, la De Stefani, che era fissata con le similitudini: la Cigoli è leggiadra quanto un rinoceronte con i tacchi a spillo in una cristalleria.
Poesia mattutina, solo per far capire perché, a guardarla, mi venisse un rigurgitino.
Quando raggiunsi il mio banco, mi ritrovai coinvolta, senza neanche rendermene conto, in un giro di scommesse tra Gianni e Leo: il primo affermava che, entro la fine dell’ora, almeno un bottone della camicetta sarebbe esploso; il secondo era sicuro della stessa cosa, solo che non sarebbero passati più di venti minuti dall’inizio della lezione.
Io ero più propensa a puntare sulla teoria di Leo, perché quella camicetta era davvero troppo stretta per la prof, anche se speravo davvero che non succedesse. Ma pareva inevitabile.
-Ho sentito che abbiamo un nuovo compañero!- esordì, shakerandosi tutta, quella.
Per un secondo, m’immaginai la camicetta esplodere, ma ciò non successe, grazie al Cielo.
-Muy bien, muy bien!-
In quasi tre anni in cui facevamo spagnolo, avevo sentito uscire dalle sue labbra solo “hola chicos” e “muy bien”, il che mi aveva portata a pensare –e il dubbio non era solo mio- che il suo vocabolario comprendesse solo queste quattro parole. Se non avessimo avuto una madrelingua in gamba come la nostra Juanita, probabilmente sarei stata in grado solo di dire “muy bien, chicos” e “vamos a la playa, ohohohohoh!”.
Dico davvero. E, quest’ultima frase, tra l’altro, era frutto di cultura generale.
-Dov’è? Dov’è? Chi è?- chiese, scrutando la classe con un luccichio strano negli occhi, senza ovviamente vedere il nuovo soggetto in pole position.
L’Eremita Scazzato alzò la mano, con molta nonchalance, mezzo stravaccato sotto il banco. Perlomeno non aveva gli auricolari e il cappuccio a coprirgli quella brutta faccia da schiaffi; faceva passi avanti!
La Cigoli sciabolò le sopracciglia, col suo sorriso ambiguo sulle labbra rosso fuoco: -Vieni qui caro, a presentarti!- indicò la sedia al suo fianco, dalla quale spostò la sua enorme borsa-valigia lilla.
Cimino si trascinò al suo fianco, con un’espressione impassibile sul viso.
-Sai dire qualcosa in spagnolo?- Beh, chiunque probabilmente avrebbe saputo parlare più di lei in spagnolo, ma questi erano dettagli!
Cimino si strinse nelle spalle. –Ho seguito un corso di spagnolo, e quest’estate ho fatto uno stage di tre settimane a Madrid.-
Vacca baldracca! Anch’io volevo andare a Madrid! Non era giusto: un motivo in più per odiarlo, ecco.
La Cigoli fece dondolare la testa come una molla, e punto gli indici verso l’alto. –Muy bien!- disse, ovviamente, la prof, muovendosi tutta e mettendo a dura prova i bottoni della camicetta.
-Entonces, me llamo Mattia Cimino y tengo dieci sete años..- cominciò, ed era pure bravo, quell’antipatico.
Finita la presentazione, in cui la prof lo guardò con occhi a cuoricini intermittenti-udite udite, avevamo trovato il prossimo cocco della Cigoli!-, l’Eremita Scazzato si trascinò al posto. Dopodichè, frugò nello zaino e mise gli auricolari, sprofondando nella sedia.
Ah ecco, mi sembrava strano il fatto che non si chiudesse a guscio manco stesse scontando chissà quali pene con l’isolamento.
La lezione passò tranquillamente-se si poteva definire così quello scambio di risate, compiti di latino, pezzi di gomma e qualche parolaccia- come al solito. La prof ci raccontò delle sue vacanze in montagna –o almeno, lo raccontò al Tosca, meglio conosciuto come Secchia, l’unico che l’ascoltava- e ad ogni suo respiro il bottone della camicetta era lì lì per schizzare via.
-Manca poco, Gian- sghignazzò Leo, voltandosi verso i nostri banchi. Gianni ghignò apertamente, senza preoccuparsi di farsi sentire.
La Cigoli, come ho già detto, era una professoressa fin troppo alla mano; così tanto che non riusciva a gestire la classe durante le sue ore, e noi, ovviamente, ne approfittavamo. Di spagnolo ne facevamo ben poco, con lei.
Fu in quel momento, che il bottone si scucì, e la camicetta si aprì, provocando un brusio di risate generali.
Stranamente, la prof se ne accorse. -Che avete da ridere?-
Io mi rifugiai sotto al banco, fingendo di cercare qualcosa nello zaino, mentre Gian cercava di sprofondare nella sedia. Evitavo di guardarlo perché con lui sarei scoppiata a ridere apertamente, e non era proprio il caso.
-La camicetta, prof- la voce dell’Eremita Scazzato stoppò gli sghignazzamenti,perciò mi misi seduta composta, cercando si assumere un’espressione neutra di Chi Non Si E’ Accorto Di Nulla. La stessa cosa fece Gianni, ma non gli venne molto bene.
La Cigoli assunse una tonalità arcobaleno, imbarazzata da morire.
-Oh perbacco, lo siento..-
No! Oddio, aveva detto qualcosa che non fosse ‘muy bien’ in spagnolo!
Mi voltai verso Gianni, il quale ricambiò lo sguardo; aveva l’aria di uno che era appena stato investito dallo Spirito Santo, e molto probabilmente io dovevo avere la stessa faccia.
Guardandomi in torno, notai che Federica, Sara, ed altri miei compagni fissavano un punto indefinito del soffitto, come se, da un momento all’altro, si aspettassero che quello si aprisse e ne discendesse una candida luce paradisiaca.
Gian raccolse il suo fidato pallone da calcio, e con il suo sacrosantissimo indelebile blu, cominciò a scriverci sopra. Mi sporsi appena per sbirciare; ci misi un po’ a decifrare i suoi tremolanti geroglifici, che dicevano “Oggi, 9 Gennaio alle 8.45, alla Svampita è esplosa la camicetta, e ha detto una parola in spagnolo..Miracolo‼
Scossi la testa, divertita. Mentre la Cigoli si alzava per chiamare una bidella e rifugiarsi in bagno, mi lasciai sprofondare nella sedia. Gian avea ragione, era una giornata memorabile.
Appena la prof si era dileguata, metà della classe si era liberata in sghignazzamenti e battute varie.
-Bello, sgancia!- Leo allungò la mano verso il banco di Gianni, che storse il naso.
-Che due palle! Se non si fosse mossa così tanto avrei vinto!- borbottò, frugandosi nelle tasche per dare a Leo quello che gli doveva.
L’interessato, intanto, continuava a gongolare, soddisfatto della sua vittoria.
-E’ troppo bello scommettere con te, Gian!- lo sfottè, -Non ci azzecchi mai.- e ammiccò, fregando dalle mani di Gianni i suoi soldi. Poi lanciò a me un sorrisetto furbo: -Cris, io ne approfitterei! Sarebbe un affare anche per te!-
Alzai le mani, e scossi la testa con un sorrisetto divertito. –No, grazie, non è per me il campo delle scommesse.-
Leo si strinse nelle spalle, con nonchalance, mentre sentii Gianni sospirare sollevato. Evidentemente sentiva molto minacciate le sue finanze.
A quest’ultimo diedi un buffetto sul braccio. –Certo che sei scemo! Scommetti cose..impossibili.- dissi, con un tono tra l’esasperato e il divertito. –Era ovvio sin dall’inizio che Leo avesse ragione! Quella camicetta è durata fin troppo!-
Il ragazzo davanti al mio banco mi rivolse un sorriso smagliante, caldo e luminoso quanto il sole, e per un secondo la parte idiota di me si chiese se a stare sempre vicino ai sorrisi di Leo mi sarei abbronzata.
-Vedi, amico? Lo dice pure lei!- Leo lo disse come se fosse una cosa Strabiliante et Incredibile, come il fatto che la Cigoli avesse il fidanzato.
Alzai un sopracciglio, chiaramente irritata. –Ricorda, Leonardo caro, che qualsiasi cosa tu faccia, io lo farò sempre un po’ meglio di te e di qualsiasi altro essere del sesso maschile.- lo apostrofai, sfoggiando il mio lato egocentrico e femminista.
-Come puoi esserne così sicura?- ribattè lui, facendo ciondolare la testa avanti e indietro con un’espressione di sfida e un sorrisetto tronfio.
Scrollai le spalle. –Perché sono donna, è ovvio.-
-Ah beh, questo spiega tutto.-
Rimasi a bocca aperta, quando l’Eremita-Scazzato-Killer si voltò e mi rivolse la parola.
Ecco, come io avrei dovuto chiuderla-la bocca- per non farci entrare le mosche, lui non avrebbe proprio dovuto aprirla, perché quel tono seccato e ironico era qualcosa di altamente irritante per le mie orecchie.
-Non pensi di essere un po’ egocentrica e sessista?- mi riprese, fissando quei suoi maledetti occhi castani nei miei.
Ma come cavolo si permetteva? Non mi conosceva, e si metteva a giudicare; tra l’altro non stavo nemmeno parlando con lui, non c’entrava niente nel discorso, ed invece si era messo in mezzo come la più pettegola delle comari, giusto per dare la sua.
-Anche se fosse, non è affar tuo.- ribattei, -E non sei nessuno per permetterti di giudicare.-
Un guizzo di sfida passò nei suoi occhi perennemente inespressivi, accendendoli di una nuova luce e rendendoli magnetici in un modo sbalorditivo. Ma non era proprio il momento per mettermi ad analizzare pagliuzza per pagliuzza le iridi di quell’irritante tizio.
Cimino fece spallucce. –Sarà.- concesse, ostentando un’indifferenza tradita da quegli occhi così vivi.-Ma questo mi porta a pensare che tu sia anche superficiale, oltre che polemica e dispotica.- Ok, se andava avanti così, glieli strappavo dalle orbite, quei dannati occhi belli.
Di riflesso, la mia mente registrò lo scambio di sguardi tra Leo e Gianni, che, ovviamente, stavano scommettendo di nuovo: stavolta su me e quel maleducato.
Aggrottai la fronte, e guardai piuttosto male Cimino, sul viso del quale si era disegnato un sorrisetto tronfio e terribilmente seccante.
-Mi chiedo come tu possa sputare sentenze senza nemmeno conoscermi: non ne hai alcun diritto. E poi, io sarò dispotica e polemica, magari anche superficiale – questo potevo smentirlo in quattro e quattrotto, l’unica persona frivola era il qui presente Eremita Scazzato, -ma almeno, quando non c’entro, so stare al mio posto, e non ficco la mia appendice nasale né negli affari degli altri, né nei loro discorsi.- sibilai, in risposta.
-Tesoro, io faccio quel cavolo che ne ho voglia, intesi? E’ un paese libero.-
Tesoro a chi, brutto imbecille?!
Ok, mi prudevano le mani. E vedere quella faccia così vicina faceva sì che la mia voglia di picchiarlo a sangue aumentasse a livelli esponenziali. Già m’immaginavo i titoli di giornale: “Ragazza riduce compagno di classe in spezzatino, e lo serve come pasto nella mensa dell’istituto”.
-E’ libero fintanto che non è violata la libertà altrui.- ribattei, con un tic furioso al mignolo della mano destra; non mi preoccupavo più di tanto, mi succedeva ogni qual volta sfioravo la crisi di nervi. Cioè, praticamente sempre. –E tu, sei la persona più urtante e fastidiosa che io abbia mai conosciuto, e mini il mio quieto vivere anche solo respirando.- sibilai, con uno sguardo truce diretto al ragazzo di fronte a me.
Notai il suo viso contrarsi appena in una smorfia, che poi trasformò in un ghigno sfrontato.
-Tranquilla, sentimenti ricambiati.- disse, per poi voltarsi, infilandosi repentinamente gli auricolari.
Il mio mignolo continuava a tremare, e avevo seriamente bisogno di prenderlo a sberle.
Ma come cavolo si permetteva?!
Sbuffai, risentita, mentre ancora Gianni sghignazzava; si era ripreso i soldi che aveva perso qualche minuto prima: evidentemente pensava che Cimino avrebbe avuto l’ultima parola, e così, per quanto frustrante fosse ammetterlo, era stato.
Quando la Cigoli rientrò in classe, stranamente taciturna (e probabilmente arrossita, se non avesse avuto la faccia ricoperta da chili e chili di trucco), sprofondai nel mio mutismo offeso-riflessivo.
Ero arrivata a tre conclusioni:
Primo, Mattia Cimino era uno stronzo;
Secondo, una parte di lui, chissà quale e quanto importante, mi odiava quanto io odiavo lui, e avrebbe voluto spaccarmi la faccia probabilmente con la mia stessa intensità;
E terzo, la guerra era appena cominciata.
*
-Allora, Bulli, raccontami un po’ cos’hai letto in queste vacanze.-
-Eh..Marcovaldo prof, quello di Italo Calvino.- rispose Pietro, impalato e impacciato accanto alla cattedra, e palesemente bianco come un cencio per l’ansia: si vedeva da un chilometro che fosse colto alla sprovvista, perché, come il novantanove percento della classe, Bulli non aveva letto i libri d’italiano. Ed io, solerte e diligente studentessa..mi ritrovavo nella maggioranza; da non biasimarmi, avevo dispeso ogni mia singola energia a studiare e finire gli esercizi di matematica, non c’era tempo per leggere tra un’espressione e un’uscita con le amiche!
Comunque sia, molto probabilmente, l’unico ad aver svolto le letture dateci dalla spietata e crudele professoressa Vanna De Stefani – insegnate di storia, geografia, italiano e il temibile latino- era Secchia.
-E dunque?- inquisì quella, con voce tonante e cavernosa. –Chi è Calvino?-
Si vide distintamente un rivolo di sudore solcare la fronte del povero Pietro; -U-uno dei più importanti e famossi sscritori italiani.- disse, o meglio, sibilò Pietro, con la sua S serpentesca.
La De Stefani fece un cenno col capo, come ad esortarlo, e Pietro cominciò nuovamente ad arrampicarsi sugli specchi.
Se non altro, i tentativi disperati di Pietro mi tenevano occupata la mente e a bada gli istinti omicidi verso quel brutto maleducato di Cimino, la testa del quale era così..folta di capelli, che a malapena vedevo l’insegnante; appunto per il giorno dopo: portare macchinetta per rasare quel tipo a zero.
L’interrogazione non fu un totale disastro, grazie al Cielo Pietro aveva letto la trama del libro, e riuscì a spiccicare qualcosina..peccato che quel qualcosina per la De Stefani rasentava a malapena il 5, e l’umore di Pietro calò a picco.
Ma il dispiacere per il mio compagno era niente, in confronto al panico che era calato sulla classe: la prof aveva appena annunciato che avrebbe fatto un tema sulle tre letture delle vacanze, alla fine della settimana.
Non per essere ripetitiva..ma nessuno!, aveva letto quei tre dannati libri! Ed era alquanto impossibile riuscire a leggerli tutti in tre giorni: o meglio, un tentato suicidio.
Ok, che non le stavamo tanto simpatici, ma addirittura indurci a buttarci giù da un pullman in corsa era alquanto eccessivo! Quella prof era di un sadismo senza eguali!
Al contrario degli altri professori, la De Stefani non chiese nulla di Cimino, non lo mise alla prova, non lo interrogò e non lo smerdò come aveva fatto con Pietro e come avrei tanto voluto che facesse io: nada de nada. E questo era un motivo in più per detestare-lei, e per pregare che si strozzasse con la coca-cola -lui.
Ma io mi chiedevo: perché i miei genitori mi avevano permesso di vedere i cartoni animati Disney, accrescendo così il mio lato fanciullesco e speranzoso? Perché illudere dei bambini con vaccate come “i sogni son desideri”, convincendoli che poi, tali desideri, si realizzassero? Era una delusione scoprire che così non era la realtà.
Perché io speravo, speravo, speravo davvero che Cimino e la De Stefani si trasformassero in scarafaggi-scasca, cosicchè potessi calpestarli dall’alto e guardarli con disprezzo e sadica goduria. Ma ciò non accadeva: la De Stefani era sempre il solito, vecchio giunco rugoso, e Cimino lo stesso stupido, maleducato capellone.
Oppure, cosa –anche questa- molto probabile, era il fatto che o non avevo una fata Smemorina, o, se ce l’avevo, era difettosa, e la sua bacchetta aveva solo peggiorato la situazione.
La terza ora arrivò dopo quello che mi sembrava un secolo; la cosa più bella, era il fatto che fosse l’ora di Religione: il che, significava che mi sarei spostata vicino a Fede, e, soprattutto, avrei messo almeno cinque metri di distanza tra me, e quell’infausta presenza di Cimino.
Agguantato quadernetto, astuccio e diario, salutai Gianni con un cenno e intimai con calma e gentilezza, aggiungendoci pure un per piacere e un grazie, a quel microcefalo di Samuel Bacchi di sloggiare e lasciarmi il posto vicino alla mia migliore amica.
-Eccoti qui!- esclamò lei, shakerandosi tutta in una perfetta imitazione del movimento Cigolesco.
Mi sedetti sulla sedia e lasciai gadere con un tonfo sordo tutto il mio armamentario per la non-lezione di religione. Fed mi riservò uno sguardo prettamente divertito, con una nota maliziosa di sfondo che non mi piacque per niente; chissà cosa il suo cervellino bacato stava macchinando.
-Ho notato che hai avuto uno scambio d’opinioni con Cimino..-
Feci una smorfia. –Sto cercando di reprimere il fastidio, Fede, se ci penso andrà a finire che “il più figo della classe” diventerà “il più figo dell’obitorio”.- grugnii, a denti stretti, facendo le virgolette con le dita in modo piuttosto stizzito.
-Beh, allora anche tu dici che è figo!- esplose quella cretina, spalancando all’inverosimile gli occhi, nei quali passò un guizzo strabiliato e euforico.
-No.- risposi, con un tono che non ammetteva repliche, -Era tanto per dire, lo sai.- ecco che lo scintillio di morbosa felicità si spegneva nelle pupille della mia amica. Missione compiuta! Meglio sottolineare ancora il concetto, tanto per non farle venire mai, mai più un’idea come quella. -Poi, è così..fastidioso, e insolente..e maleducato! Poi quei suoi occhi..- solo al pensiero, il mio mignolo ricominciò ad avere degli spasmi, -Anche se fosse bello, e sto parlando per ipotesi, ha un carattere così..beh, così, che farebbe perdere la pazienza perfino ad una santa!- Non c’erano nemmeno gli aggettivi adatti per spiegare quanto irritante, tronfio e impossibile fosse quel tizio.
Notai, alla fine del mio sproloquio avversativo contro Cimino, che, pian piano, gli occhi di Federica si erano riaccesi della precedente euforia.
-Non hai mai detestato così tanto un ragazzo come odi lui.- constatò, con un sorrisetto che non mi piaceva per niente. Sembrava nascondesse un messaggio subliminale, che io non riuscivo a capire.
Che nervi.
Incrociai le braccia al petto, fissandola di sottecchi. –Questo perché non ho mai incontrato nessuno che fosse così egocentrico e sbruffone.-
-E tanto spavaldo dal fare commenti puntigliosi su di te.- completò Federica, con un tono divertito. Grugnii in risposta, sbuffando. Bell’amica, che avevo.
Federica rise apertamente, e continuò a farlo, anche se in modo più contenuto e in “silenzioso”, quando entrò Sangalli, il pudicissimo professore di religione, appassionato della Bibbia e di Aramaico antico, Greco e Latino, nonché fan sfegatato di Gesù: a questo proposito, vorrei sottolineare quanto quest’uomo fosse devoto alla religione, tanto da avere come porta-cellulare una calzina con su Cristo.
Era un signore oltre la quarantina, con una voce pacata e un tono cadenzato, la testa quasi completamente pelata, e due occhi azzurro cielo. Era uno di quei pochi professori che si era rassegnato al fatto che con noi non c’era niente da fare; se non ci importava un fico secco della materia, non c’era persona capace di attirare la nostra attenzione.
Beh, capitava a volte che facessimo una lezione decente con Sangalli, e lui ne usciva sempre soddisfatto,ma quel giorno di sicuro non era uno di quei casi.
Perciò, il prof, che un giorno o l’altro sarebbe diventato santo, aprì i suoi Atti degli Apostoli e ci lasciò in pace, a patto che non facessimo troppo rumore.
Involontariamente, anche sopra il brusio della classe, sentii il tono strascicato e irritante di Cimino che chiedeva di andare in bagno.
Scossi la testa impercettibilmente, e tornai a prestare attenzione alle chiacchiere di Federica, Sara e Anna; così, i sessanta minuti di Religione passarono in un soffio. Sangalli ci salutò cordialmente, un po’ rassegnato anche, e uscì dalla porta nello stesso momento in cui Cimino rientrava in classe.
Ah, bello: era rimasto fuori per i corridoi tutta la lezione! Non poteva venire espulso? No?
-Ehi, Cris!- Marco sbucò alle mie spalle, facendomi prendere tre infarti e un ictus.
-Marco, ma ti pare?- sibilai, posandomi una mano sul petto, -Mi hai fatto prendere un colpo!-
Marco Maria Stefanoni, il nostro caro MM’s, il riccastro della scuola, era niente popo’ di meno che uno dei miei più cari amici. Anzi: l’unico amico maschio, unico e solo, della sottoscritta.
Lo conoscevo da quando ero piccola così, tanto per citare la pubblicità del Kinder, e ad essere sincera all’inizio lo detestavo anche, come qualsiasi altro individuo del sesso maschile, perché mi sembrava solo un pallone gonfiato arrivista.
Ma lui si era distinto. Forse, perché come me, non credeva nell’amore -anche se le sue avventure le aveva, ma solo per mostrare a sé stesso che anche senza coinvolgimenti si stava bene.
Marco, però, non era come me. Il suo ripudio verso i sentimenti romantici era venuto dopo, non era per principio come il mio. Fin da piccolo, era cresciuto con tate di qui, baby-sitter di là, senza il sostegno affettivo dei genitori, troppo impegnati per il lavoro, e che cercavano di compensare le loro mancanze riempiendolo di mance e regali costosi, che ovviamente non riempivano il vuoto nel suo cuore. Poi, i suoi avevano divorziato, scatenando un putiferio per l’affidamento del figlio, come ennesimo esempio per lui di quanto l’amore fosse solo un’illusione: la battaglia fu inutile, a dirla tutta, perché anche se Marco era stato affidato al padre, lui era sempre in viaggio e le cose non erano cambiate.
Tutto ciò, me l’aveva confessato solo due anni prima, quando, per scherzo del destino, ci avevano messo come vicini di banco. Da lì, il nostro rapporto era cresciuto molto, e soprattutto potevo dire di avere un alleato, nei discorsi argomentativi sui sentimenti di Federica.
Marco rise, facendo spuntare le sue caratteristiche e tenere fossette ai lati della bocca. –Hai la coda di paglia, Cristina?- m’apostrofò, sciabolando le sopracciglia.
Lo fulminai con un’occhiataccia. –Bada a quello che dici, Stefanoni.-
Lui mi fece pat pat sulla testa, come faceva di solito: era un’abitudine che tentavo di sradicare, ma era impossibile, Marco ci trovava evidentemente gusto nel farmi imbestialire.
-Buona, piccoletta.- sfottè, con un gnigno irritante,-Volevo solo dirti che oggi ho voglia di uscire.- annunciò pacato.
Fed alzò un sopracciglio, scettica. –Chi sei tu, il Dio sceso in terra? Quello che dici tu è legge?-
-Sarebbe carino, ma no, e comunque parlavo con Cris, non con te, Miss sono il centro del mondo. Tu puoi tranquillamente appartarti con quel cane del tuo ragazzo.-
Come sempre, Federica e Marco, quando erano insieme, sfoggiarono il loro lato infantile e dispotico l’uno verso l’altra. Il loro rapporto era sempre stato così, tra frecciatine e ringhi repressi, ma in realtà si volevano un gran bene, anche più di quel che volevano ammettere. In più, anche se non lo dicevano, erano molto gelosi dell’altro: un esempio lampante erano gli appellativi poco carini con cui Marco definiva il ragazzo di Federica; beh, lei di certo non ci andava leggera, con le carinerie verso Marco e le ragazze con cui usciva.
Ma ormai, io, come il resto della classe, ci avevo fatto l’abitudine.
-Suvvia, ragazzi, fate i buoni.- li ammonii, dando un buffetto alla testa di Fede e al braccio di Marco (era il punto più alto a cui arrivavo, perché il mio amico era davvero molto alto).
-Comunque sia, devi proprio dirmi cosa è successo con Mattia, sembra lanciarti maledizioni ogni volta che per sbaglio ti guarda!- disse abbassando appena la voce per non farsi sentire, sciabolando le sopracciglia.
Ah, è così, eh? Mi guardi male? Aspetta che passi davanti a me, e di te non ci sarà nemmeno la polvere per quanto assassini saranno i miei sguardi!
La risatina di Federica mi fece ridestare dagli istinti omicidi, e sbiancai allo sguardo complice che si stavano scambiando ora i miei amici: ah già, dimenticavo quanto certe cause, come sfottermi allegramente, li facesse pacificare e dissipassero i loro diverbi.
-Io passerò.- mi limitai a dire, guardandomi con nonchalance le unghie.
Marco e Federica ghignarono. –No cara, tu verrai. Verrai eccome..-
E con queste parole, avevano segnato il mio destino…che cosa deprimente!
  
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