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Autore: Dira_    20/10/2011    18 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLIV
 



 
A part of you that'll never show
You're the only one that'll ever know
Take your time, would you understand
What it's all about?¹
(Little House, The Fray)
 
 
5 Gennaio 2023
Scozia, Hogwarts, Torre di Grifondoro. Dormitorio delle ragazze del Quinto.
 
Abigail Finnigan era amica di Lily da quando erano al Primo Anno.
Probabilmente perché erano a Grifondoro, probabilmente perché entrambe avevano una rumorosa famiglia in cui erano anagraficamente le più piccole o quasi, ma si erano sempre intese bene. Loro, Aimee e Jane erano amiche, ma lei e Lily erano la cosa più vicina ad essere migliori amiche.
Vicina perché per quanto Lily fosse una persona con un cuore enorme, non si confidava veramente con nessuno, lei compresa.
Un po’ doveva essere perché sin da piccola era stata abituata ad essere vista in funzione delle sue parentele – e questo, poteva immaginarlo senza sforzo, non ti portava a fidarti facilmente del consesso umano - un po’ perché, a discapito della sua indole estrosa, in realtà della vera sé lasciava intravedere pochissimo. Gli unici che avevano questo privilegio erano i fratelli e i cugini – e neppure tutti, ne era piuttosto certa.
Abigail tutto questo lo sapeva, perché cinque anni nella stessa sezione della Torre di Grifondoro volevano dire qualcosa. Volevano dire molto.
Quindi, quando quella mattina si erano viste sull’Espresso dopo le vacanze di Natale, aveva subito capito che l’amica aveva qualcosa che le frullava in mente. Era un cambiamento impercettibile, ma quando pensava a qualcosa di grosso limitava le chiacchiere ascoltava – sembrava – molto di più.
(Jane aveva potuto raccontare tutte le sue vacanze senza essere interrotta neppure una volta.)
Al momento erano tornate alla Torre e Lily scherzava con il resto delle sue compagne di stanza di buon grado, dopo la distribuzione posticipata dei regali di Natale che facevano ogni anno. Era Lily ad aver inventato quella tradizione.  
“Noi scendiamo per pranzo. Voi venite?” Chiese una delle tre.
“Tra un attimo!” Rispose prevedibilmente Lily. Sì, stava architettando qualcosa. Era un po’ che non succedeva. L’ultima volta era stata al Secondo anno, quando avevano deciso che, limite di età o meno, sarebbero tutte andate ad Hogsmeade nella prima settimana di libera uscita. L’amica era riuscita a portare sia lei che le altre fino ad un passaggio segreto. Poi purtroppo Rose Weasley – fossero dannati, gli Weasley – le aveva scoperte.
Quando furono finalmente sole, Abigail non ebbe neppure bisogno di chiedere. Fu Lily ad aprire la conversazione.
“Mi serve la tua civetta.”
“Per fare cosa?” Richiesta legittima dato che l’altra condivideva senza problemi un gufo con il fratello di mezzo.

Lily prese dal borsone da viaggio una pila di maglioncini di cachemire babbano che le aveva sempre invidiato mostruosamente. “Devo ordinare una cosa dal negozio di scherzi di mio cugino Freddy.” Spiegò senza spiegare un bel niente.
“Perché non usi Anacleto?”

“Serve ad Al.” Scrollò le spalle evasiva, lanciandole un’occhiata da sopra la spalla. “Allora, posso contare su Bàn²?”
“Sì, certo.” Sbuffò poco convinta. “Però…”
“Grazie!” Le sorrise allegramente prima di afferrare il mantello e drappeggiarselo addosso. “Ci vediamo in Sala Grande.”
Lily.” Doveva sapere cosa stava succedendo, perché chiunque conoscesse Lilian Luna Potter concordava con la massima babbana, l’acqua cheta distrugge i ponti.

Venne fissata con l’aria più falsamente innocente dall’epoca dei Fondatori. “Cosa?”
Era capace di far saltare il Tower Bridge, quando era di quell’umore. C’era quella voce di corridoio secondo cui suo nonno paterno era stato uno dei massimi ideatori di guai di tutta Hogwarts.
Quel tizio e James erano dilettanti, se paragonati alla capacità spaventosa di ficcarsi nei casini della sua amica dai capelli rossi. Neppure al Terzo anno, quando si poteva, Lily aveva visitato Hogsmeade. Questo perché la volta del Secondo anno non era stata l’unica in cui aveva infranto le regole.
Ha tentato di scappare altre sedici volte… quindici delle quali ha avuto successo, prima che il Professor Paciock la scoprisse.
Se vuole una cosa, Lily la ottiene.
Abigail ebbe un’improvvisa illuminazione. “Ti prego… dimmi che non è per il Tremaghi.”  
Doveva essere per il Tremaghi. Non ci voleva un genio per capire che tra lei e il Campione di Durmstrang era successo qualcosa la sera del Ballo. Qualcosa di poco piacevole, dacché Lily era tornata in camera troppo presto e con gli occhi rossi. L’aveva sentita piangere, anche. Se lei aveva avuto una bella delusione con quell’idiota – idiota! – di Hugo, altrettanto Lily l’aveva avuta con Luzhin.  
Infatti a quell’affermazione si rabbuiò di colpo, tanto che Abigail desiderò essersi morsa la lingua. “Io e il Tremaghi non potremo essere più lontani di così.” Mugugnò.
“… ma scusa, non vai a Durmstrang con il coro?”
“Contrordine, i miei non hanno firmato il permesso.” Ribatté funerea. “Non vogliono che ci vada.”

Abigail batté le palpebre sorpresa: conosceva i Potter, ed erano i genitori più permissivi del mondo. I suoi in confronto erano diplomatici quanto il muro di pietra dei sotterranei Serpeverde. Lily e i suoi fratelli invece erano sempre stati liberi di aderire a qualsiasi iniziativa, che fosse fare provini per la squadra di Quidditch o brevi gite fuori scuola.
Non potevano non sapere che razza di occasione favolosa fosse per loro visitare una scuola straniera.
“Perché?”
“Pensano che sia pericoloso. Sai, con la faccenda dei Dissennatori. Hanno paura che succeda qualcos’altro alla Seconda Prova.” Masticò fuori, cincischiando con la sciarpa. “… però Al e Tom ci vanno. Per loro non lo è.”
“Merlino, mi spiace…” Mormorò supportiva, dandole una carezza sul braccio. “Ma troverai sicuramente il modo per sentirti lo stesso con Sören.”

L’espressione di Lily mutò ancora. Serrò le labbra con aria determinata, e poi le sorrise di nuovo, sfavillante. “Sì, infatti!” Disse. “Ci vediamo a pranzo. Grazie per Bàn, te lo riporto stasera!”
E senza darle tempo di dire altro, si chiuse la porta alle spalle.

Abigail sospirò appena: era sempre stata una ragazza molto giudiziosa. Con tre fratelli maschi e una sorella maggiore in delirio di onnipotenza le era toccato capire molto in fretta quando era il caso di intervenire per fermare una probabile cazzata.
Lily stava per farne una. Non aveva idea della portata, ma non aveva poi molta importanza. Doveva quindi armarsi di coraggio e andare a parlare con l’Idiota: l’unico essere umano a cui Lily desse un minimo ascolto era, purtroppo, proprio Hugo.
 
****
 
“Stai andando ad un funerale o a Durmstrang?”
Ted fece un mezzo sorriso non impegnativo, impegnato in effetti ad impilare una decina di libri che non aveva cuore di lasciare soli ad Hogwarts.

James, steso sul suo letto – i colori della trapunta erano quelli di Tassorosso e prevedibilmente James aveva speso anche quella volta parole ironiche – gli lanciava occhiate pigre, più che altro impegnato a sfogliare la rivista ufficiale dei cannoni di Chudley’s chiamata, con pochissima fantasia ‘I Ruggenti Cannoni’.
“Sono solo un po’ stanco… ieri sera il Grande Ritorno dopo le vacanze, oggi ho avuto tre classi e poi una riunione dei docenti.” Snocciolò accarezzando la costola del suo compendio preferito di creature magiche della Scandinavia. Ne aveva due edizioni di quello.
Forse è meglio portare quella più economica…
Ripose l’amata edizione manoscritta nella libreria e prese quella di comoda carta stampata.
“No, non sei stanco, sei depresso.” James saltò a sedere sul materasso, ne udì il cigolio. “Davvero, Teddy… c’è gente che pagherebbe per vedere com’è fatta Durmstrang! C’è tutto questo grande segreto…” Agitò le mani significativamente. “Eh?”
Ted fece una smorfia.

Vestiti. Il mantello regolamentare forse è troppo leggero però…
Beh, pur vero che qua in Scozia il freddo non scherza, ma…
Sentì altri cigolii alle proprie spalle, ma vi diede poco retta. James del resto era incapace di restar fermo per più di qualche minuto. Se era rimasto steso a letto durante il loro breve scambio di battute era solo perché aveva allenamenti massacranti da almeno due settimane.
Un soffio caldo, dritto all’orecchio lo fece sobbalzare di colpo.
Buh.” Disse James esattamente in piedi dietro di lui. “Dammi ascolto.”
Si massaggiò l’orecchio che prudeva maledettamente – lui e i suoi punti sensibili, era così per tutti? “Jamie, ho da fare i bagagli se non lo avessi notato…” Borbottò.

Il ragazzino non parve scomporsi al suo tono velatamente nervoso. In effetti, non lo faceva mai. “Tu non ci vuoi andare.” Constatò.
E dieci punti al Signor Potter…
Ted si guardò attorno: la sua stanza era disseminata di vestiti, mantelli, libri e sopratutto tre borsoni dalla capienza notevole. Odiava l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile, e per questo girava sempre carico come un mulo, nei suoi sporadici viaggi.
L’ultimo è stato dalla Francia alla Scozia…
Si guardò attorno e vide, realizzò, che sarebbe stato ben tre mesi all’estero.
Il nervosismo si tramutò in sconforto puro.
No, non ci voglio andare.
“Non ci voglio andare…” Ammise, sentendo che il suo tono virava verso un borbottio ben poco maturo. James però non lo prese in giro: si limitò a sorridere dandogli una pacca sulla spalla.
“Beh, il primo passo è ammetterlo.” Ironizzò. “Perché non lo dici al Preside?”
“Pensi possa farlo? Non posso!” Esclamò nascondendo il viso tra le mani. Si sentì un po’ ridicolo e smise subito: la terapia-struzzo non funzionava mai, comunque. “Me l’ha chiesto, ma in pratica se mi rifiuto di accompagnare la delegazione… non lo so.” Sospirò di nuovo, sedendosi sul letto. “Non vuole altri che me e la McGrannit ad accompagnarlo.”

James ridacchiò, sedendosi accanto a lui. “È fico che si fidi tanto di te.”
“È inadeguato.” Scosse la testa. “Non sono questa gran protezione per gli studenti… voglio dire, naturalmente sono il professore di Difesa, ma…”
“Dici poco.” Replicò James. “E quei tre anni di Accademia?”
“Beh…” Odiava quando le persone avevano ragione. Sapeva di stare comportandosi in modo immaturo, ma del resto non aveva molta scelta, se non farlo tra quelle quattro mura e con James. Il Preside aveva dato per scontata la sua presenza, e così il resto dei professori. Neville l’aveva addirittura proposto di prima facie.

Senza contare nonna. Era così orgogliosa di me quando gliel’ho detto…
James gli lanciò un’occhiata di sottecchi. “Andiamo, sei la persona giusta, e lo sai. L’anno scorso con i Naga hai fatto scintille. E anche quest’anno coi Dissennatori…” Aggrottò le sopracciglia. “Certo che pensandoci… che due anni di merda.”
Ted non poté fare a meno di mettersi a ridere. Capì anche perché aveva sentito l’unico moto di contentezza della giornata quando aveva visto apparire James dal camino: il primogenito Potter era una delle poche persone che vedendo i suoi malumori non si scomponeva e, soprattutto, aveva il potere di farlo ridere.
Ben pensandoci, era l’unica.
Gli accarezzò un ginocchio sorridendogli. “Sì, beh… diciamo che non sia portati per vivere una vita tranquilla.”
“Non potevi dirlo meglio!” Ghignò l’altro. “Ma se non vuoi andarci, dovresti dirglielo. Dico, protestare. Non possono incastrarti in ‘sta cosa, se non vuoi.”
“Non è questo.” Si passò una mano trai capelli. Oh, beh… color verde acqua era buon compromesso con il verde palude che aveva fino a poco prima. James stranamente non glielo aveva fatto notare. Forse aveva avuto un moto di pietà.  “Devo andarci. Ci sono Albus e Tom. Voglio andare. È solo…”
“Che ti mancherò. Mi mancherai anche tu.” Concluse per lui con aria seria, mettendogli una mano dietro il collo e avvicinando i loro visi. Quella sua gestualità era a volte troppo marcata, ma dannatamente efficace. Improvvisamente non si sentì più tanto depresso.   

Merlino, avrebbe mai avuto ragione della sua improvvisa e non voluta adolescenza?
“Non è questo… cioè, anche, naturalmente… Ma lo sai, mi conosci, sono un tipo sedentario…” Balbettò tentando di svicolare. Rotolarsi tra le lenzuola di primo pomeriggio, come gli suggeriva il suo istinto, non era razionale quando doveva preparare tre valige per la partenza serale.
“Quando tornerai la nostra casa sarà già pronta.” Gli assicurò, ignorando il suo sconnesso parlare per dedicarsi al sollevamento del suo maglione. “Tranquillo, Teddy. Troveremo il modo di sentirci.”

“Non è…” Si accigliò realizzando il senso intero della frase. Era compito arduo quando il giovane uomo affascinante che aveva davanti decideva di aderirgli addosso come una seconda pelle. “… Ci lavorerai da solo?”
“In mancanza dell’altro inquilino.” Scrollò le spalle. “Magari mi faccio dare una mano da…”
No.

Tanto lo so che lo chiederesti a Lenny.
“Ma non sai neanche chi viene a darmi una mano!” Obbiettò divertito. Lanciò uno sguardo ai suoi capelli. “Oh, Teddy-arrabbiato. Ricevuto.” Sorrise. “Pensavo ti avrebbe fatto piacere tornare ed avere una casa pronta, fornita di biblioteca, tazze di the e camino funzionante!”
Ted sentì che stava covando un altro sospiro e preferì invece lasciarsi andare sul materasso. “È proprio di questo che parlavo.” Mormorò. “Perdermi le cose qui, Jamie. Le cose importanti. La ristrutturazione, lasciare i miei Tassorosso… lasciare la nonna. E… non vedere te.” Concluse passandogli le dita trai riccioli arruffati che gli ricadevano sulla fronte. “Come se non bastasse, non ho una bella sensazione in merito al Torneo.”
“Istinto da lupo?” Chiese faceto, ma neppure troppo. Si buttò accanto a lui intrecciando le braccia sotto il mento e guardandolo. Erano quei chiari occhi nocciola a fargli venir voglia di mandare tutto a monte.
Stava per cominciare una nuova vita, una vita che si preannunciava piena, una vita che aveva scelto in ogni suo singolo afflato.

… e poi, arriva la Cruda Realtà…
“Chiamalo come vuoi, ma non mi sento tranquillo. Per questo voglio partire e per questo… vorrei restarmene qua.”
“Ted Lupin, un uomo diviso.”
Ridacchiò. “Merlino, puoi giurarci.”

James si sporse per dargli un bacio a fior di labbra, e poi restò dov’era, semi sdraiato su di lui. “Non hai idea di quanto vorrei venire con te.” Gli borbottò contro il collo.
E non scherzava. Ted sapeva quanto l’altro si frenasse per non infilarsi in quella storia. C’erano i suoi fratelli, Rosie e il suo migliore amico invischiati. Conosceva la lealtà cieca che era capace di provare, e la sofferenza che sentiva quando non poteva aiutare chi amava.

Geni Potter…
“Lo so.” Non disse che avrebbe voluto averlo con lui. Anche se voleva. Perché James era sì, il suo ragazzino, ma era anche un giovane uomo capace di affrontare le emergenze. Lo aveva dimostrato più volte. “Ma sei più utile qui. Lily non ha preso bene il dover rimanere in Scozia.”
“È bene che se ne stia lontana da quel tipo.” Brontolò facendolo sorridere. “Ho sentito certe cose…”
Anche Ted aveva sentito quelle cose, ma non voleva tirare in ballo quel discorso; aveva la vaga impressione che il suo ragazzo aspettasse solo una mezza parola di supporto per partire con una crociata contro Durmstrang e un suo studente in particolare. “Rimarrà ad Hogwarts, quindi non preoccuparti.” Disse non impegnativo. “Piuttosto stalle vicino.”

James sbuffò di nuovo. “Non c’è bisogno che me lo dici. È mia sorella.”
Dica.”
“Merlino, sei più palloso di un libro stampato!”  

Sorrise e lanciò un’occhiata alle borse ancora vuote. Le avrebbe riempite con pezzi necessari della sua vita dopo. Era sempre stato un tipo che amava avere tutto pronto subito per evitare l’ansia pre-viaggio, ma poi arrivava James e… niente.
Se lo tirò addosso solo un altro po’. “Che vuoi farci… è da quando ho memoria che è un punto di principio pestarti un po’ di educazione in testa.”
James capendo tono e intenzioni ghignò. “E ci sei mai riuscito?”
“Sono un tipo paziente …”
 
I’ll be gone by the nights end
But I’ll be home in a little while
Lover, I’ll be home³
 
 
****
 
“È lo Specchio delle Brame.”
Scorpius si riscosse dal compito arduo di riordinare il suo cassetto di effetti personali post-vacanze natalizie perché Thomas Dursley era sul ciglio della porta della sua stanza.  

Era sempre straniante vedere un serpeverde vestito di tutto punto presenziare in quei locali. Il piccolo Potter, a ben pensarci, difficilmente veniva a Grifondoro in uniforme.
Dursley invece sembrava quasi sfoggiarla.
“Buon pomeriggio a te.” Sorrise chiudendo il cassetto straboccante nuovi oggetti, regali scampati ad una selezione impietosa; la maggior parte dei presenti che riceveva dalla sua ramificata parentela non gli si addicevano per nulla o, peggio, erano potenzialmente oscuri.
Cernita, cernita!
Suo padre per una volta non aveva questionato i suoi brutali metodi di valutazione; in effetti, non aveva protestato per niente. L’aveva visto sì e no due volte dopo il Ballo. Gli era più che altro apparso davanti, prima di scomparire nel suo ufficio o nei suoi appartamenti.
Credo che processerà tutto quel che è successo più o meno per il prossimo Natale. Secondo mamma in meno.
È sempre stata un’inguaribile ottimista.
“Anche a te.” Replicò Dursley riportandolo alla realtà. “Saltiamo i convenevoli?”
“Sicuro!” Annuì raggiungendolo. “Hai spaventato qualche nostro primino mentre venivi qui?”

Il serpeverde aggrottò le sopracciglia senza capire. Preferì infatti glissare. “Stavo dicendo… ho capito a cosa si riferiva la frase sul fazzoletto. Non rifletto il volto ma il cuore.” Recitò. “È scritta sulla cornice dello Specchio delle Brame.”
“Cos’è lo Specchio delle Brame?” Interloquì, facendogli cenno di accomodarsi. I suoi compagni di stanza erano ancora in Sala Comune a chiacchierare e, compiacendo Merlino, ci sarebbero rimasti fino ad ora di cena: vedere uno come Dursley seduto su uno dei loro letti avrebbe potuto scatenare un incidente diplomatico.

E poi Mister Oltre Ogni Previsione è così bravo a non far saltare i nervi…
Tom ad ogni buon conto non si sedette, preferendo rimanere impalato come un fuso in mezzo alla stanza. A Scorpius ricordò, con una certa dose di divertimento, il padre; avevano lo stesso modo di squadrare le spalle quando si trovavano in un ambiente che non consideravano piacevole.
Serpeverde… L’ho già detto?
“Lo Specchio delle Brame è un oggetto magico.” Gli fu nel frattempo spiegato. “Ho fatto delle ricerche incrociate su vari testi. Rifletto mi ha messo sulla giusta strada… era ovvio dovesse trattarsi di qualcosa…”
“… che rifletteva.” Concluse per lui con un sorriso. Tom fece una smorfia seccata, ma annuì.

Come fanno Mike e Lo a non aver voglia di interromperlo continuamente?
È troppo divertente la faccia che fa!
“… quindi ho trovato un oggetto che corrispondeva alla descrizione. E c’era una foto.” Tirò fuori dalla tasca del mantello un quadratino di pergamena accuratamente ripiegato.
“L’hai strappato da un libro?” Esclamò incredulo. Pensava che quelli come lui fossero moralmente incapaci di fare del male ai loro fidati amici di carta, spesso eletti compagni di vita.
“Non essere ridicolo.” Replicò infatti irritato, e Scorpius vide che si frenava dall’aggiungere un insulto sicuramente sinonimo di ‘babbuino’. “Ho usato il Gemino.”
Mea culpa.” Fece un sorriso di scuse, prendendola e dispiegandola; era una vecchia foto, ormai immobile; succedeva quando il sangue di drago in cui era stata sviluppata perdeva il suo effetto.
Deve essere molto vecchia.
C’era una stanza, di pietra e piuttosto spoglia. Lo specchio, alto fino al soffitto, era al centro della scarna composizione. Aveva una massiccia cornice di legno dorato che si avviluppava in volute complesse e proprio sulla sommità c’era quella frase. Esatta.
“Wow. Ottimo lavoro!” Esclamò ammirato. “E… cosa fa esattamente?”
Tom gli lanciò un’occhiata di sufficienza. “Quello che dice.”
“Dursley, è una licenza poetica grossa come un castello. Potresti gentilmente spiegarmi?” Gli suggerì paziente. Ad ogni nuova conversazione capiva sempre di più perché la sua Rosie lo avesse tanto a noia. Era insopportabile per chiunque non avesse una scorta pressoché infinita di pazienza. Il mini-Potter doveva possedere una serenità d’animo simile a quella dei centauri.  

L’altro, dall’alto della sua intelligenza inespressiva, sembrò comprendere i suoi limiti. “Significa che ciò che questo specchio riflette non è la persona, ma la sua coscienza.” Disse. “Il cuore viene considerato, nell’immaginario comune, custode dei desideri più profondi.”
“È così, sai.” Rintuzzò. “Quindi mostra i propri desideri?”
“Sì.” Confermò. “Così c’era scritto.”

Scorpius notò un altro particolare, questo piuttosto curioso: la stanza in cui era stata scattata la foto aveva qualcosa di familiare. L’architettura, soprattutto, e la cornice della finestra…
“Ma è stata scattata ad Hogwarts!” Esclamò. “Questa è una finestra di Hogwarts!”
“Lo specchio è stato qui. Anni prima che noi nascessimo. Tuo padre doveva avere undici anni all’epoca.”
“Molto preciso.” Fece mente locale. “Qualcuno dei tuoi l’ha visto?”
Tom esitò un attimo, poi annuì. “Sì, Harry. Ci si è persino imbattuto. Gli ho chiesto delucidazioni… e mi ha detto questo. Mostra ciò che più desideri al mondo. Non mi ha voluto dire altro, perché…” Scrollò le spalle rassegnato. “… crede dobbiamo scoprirlo da soli.” 

Scorpius sbuffò: dei dettami grifondoro non poteva soffrire quel senso di onestà a volte ottuso. Era una cosa da Tassorosso. Perché ampliarla anche a loro? Comunque c’era poco da fare. Intascò la foto. “Come pensi funzionerà la Prova?”
Mostrerà ciò che più desidero al mondo… E questo come dovrebbe costituire una prova?
Devo rinunciarci? Pensare a qualcosa di nobile?
Gli sembrava piuttosto assurdo. L’unica cosa che desiderava in quel momento già l’aveva: l’amore della sua Weasley.
Il problema è farlo perlomeno tollerare, se non desiderare, a mio padre.
“È possibile si tratti di scegliere la cosa giusta da fare.” Osservò Tom. “Nella Prima hanno misurato il tuo coraggio. Adesso è il turno del cuore. Fegato-cuore-mente, la triade del Tremaghi.” Inarcò un sopracciglio e a Scorpius venne da sorridere; sì, quel genere di linguaggio metaforico era terribilmente trito. Ma non gli diede la soddisfazione di convenire.
“Coraggio, sentimenti e intelligenza.” Ripeté invece, riflettendoci sopra. Si sedette sul letto. “Solo a me sembra strano mettere Sentimenti e Durmstrang nella stessa frase? Dalle descrizioni, quel posto ispira tutt’altro che condivisione dei propri sentimenti.”
Dursley stirò un mezzo sorriso. “Già.” Ammise. “Ma vinceremo.”
Scorpius gli lanciò un’occhiata: sapeva che era suo Assistente per un motivo che poco c’entrava con il Tremaghi e più che altro con la sua crociata personale. “Dovrai pensare ad altro quando sarai lì… posso cavarmela anche da solo.” Non lo disse atteggiandosi a vittima; sapeva per esperienza che quando c’era di mezzo famiglia e affermazione di sé non c’era nulla che potesse mettersi in mezzo.

Tom lo guardò valutativo, poi scosse la testa. “No, ti aiuterò.” Inaspettatamente gli tese la mano. “Per Hogwarts.”
Scorpius gliela strinse con un sorriso. Sì, era un insopportabile saccente, un serpeverde fatto e finito. Ma questo non gli impediva, dopotutto, di essere una brava persona.
“Per Hogwarts.”
 
****
 
Rose era contenta di partire per Durmstrang.
Beh, contenta magari era una parola grossa, ma…
No, era contenta.
Salutò con un sorriso suo cugino Albus, prima che venisse inghiottito nelle scale buie dei sotterranei di Serpeverde. Non le sarebbero mai piaciuti.
Beh, sono anche le ultime volte che li vedi.
La riunione tra Caposcuola, nonché capi-delegazione, e professori si era svolta senza scossoni. Al era un eccellente espositore e lei… beh, lei era brava nell’organizzare. In effetti, la loro coppia era vincente e i professori erano rimasti soddisfatti dal loro operato.
Quella sera sarebbero partiti dalla stazione di Hogsmeade con un espresso transnazionale che li avrebbe portati fino all’Istituto. Sarebbe stato un lungo viaggio dato che non potevano attraversare l’oceano né volare con la carrozze. A quella sua osservazione però, Teddy aveva sorriso divertito, e così gli altri docenti.
Non se la levano mai questa mania di dirci le cose all’ultimo minuto, vero?
Beh, di certo non sarà un treno volante.

Inspirò, frugando distrattamente nella borsa per controllare di non aver lasciato nulla in Sala Professori.
Era felice di andare a Durmstrang perché lì suo padre e i suoi rimproveri silenziosi sarebbero stati lontani.
Avrebbe mentito se avesse detto che le cose si erano aggiustate grazie alla sua rivelazione. Anzi; Ron Weasley non aveva processato un bel niente. Tutt’ora usava il trattamento del silenzio e del parlarle per interposta persona.
Credo che mamma sia stata sollevata quanto me dalla mia partenza… non ne poteva più di fare da tramite. E così Hugo.
Era riuscita a vedere Scorpius in quei giorni solo grazie all’intercessione di James e alla sua casa a Notturne Alley.
Porto franco.
Non che il suo ragazzo non avesse avuto problemi con suo padre…
Ma se non altro il suo gli parla. Poco, ma…
Sospirò incamminandosi verso la Torre di Grifondoro. Non c’era nulla che potesse fare in merito, quindi era inutile arrovellarvicisi. Persino sua madre alla fine aveva dimostrato apertamente il suo supporto.
‘Se ne farà una ragione Rosie. Prima o poi. Tu non preoccuparti e divertiti a Durmstrang.’
Se persino Hermione Weasley, che non era certo una fan dei Malfoy, si prendeva la briga di rassicurarla, allora voleva dire che le cose si sarebbero aggiustate.
Prima o poi.
Svoltò l’angolo e, presa da quei pensieri, quasi andò a sbattere contro Lily che veniva nella direzione opposta.
Lo spostamento repentino fece cadere le borse ad entrambe. Lily non la portava mai a tracolla, ma sulla spalla, e per quanto la riguardava, l’aveva ancora in braccio alla ricerca della sua agenda.
“Attenta!” Esclamò sua cugina stizzita. Quando si accorse che era lei sbuffò. “Accidenti, Rosie…” Si chinò a raccogliere ciò che le era caduto. Rose notò un pacco piuttosto voluminoso, fermato da due giri robusti di spago. Notò anche il logo dei Tiri Vispi stampato a margine.
“Posta?” Chiese incuriosita. Lily non era tipo da ordinare materiale dal negozio di scherzi di famiglia. Solo a dodici anni avevano ordinato, assieme alle amiche, dei filtri d’amore. Sfortunatamente, quel buontempone di Freddy li aveva corretti e il risultato era stato far starnutire il dormitorio del Secondo anno per una settimana.
(Quello collaterale era stato regalare a Freddy una coda da porcellino per un mese.)
Sua cugina  alla domanda prese il pacchetto e lo infilò in borsa. “Niente di che.” Borbottò un po’ troppo velocemente.
Rose non era per niente stupida. Forse molte cose le passavano sotto il naso, ma non quella.
“Lily, che cos’è?”
“Niente!” Esclamò afferrando la borsa e tirandosi su. La guardò meglio: era arruffata e accaldata. Doveva essere stata in Guferia e aveva corso nella via del ritorno. E diavolo, se sembrava sulle spine.

Era strano, perché era raro vederla così. Di solito aveva sufficiente faccia da schiaffi per far passare sotto silenzio qualsiasi sua idea malandrina. “Lily?” Ripeté. “Se non è niente perché lo nascondi?”
La quindicenne a quel punto sbuffò. “Okay. È una cosa che… che vorrei spedire a Ren.”

Improvvisamente il contenuto del pacco non le interessò più così tanto. Ma il destinatario sì. “Lily! Ti ho già detto che è meglio se gli stai lontana! Quale parte non hai capito?”
“Beh, più lontana di un paio di Stati!” Rintuzzò stringendosi nelle spalle. “Forse non lo vedrò mai più, visto che non posso venire a Durmstrang.” Serrò appena le labbra. “Volevo dargli un regalo prima di… non lo so, perdere i contatti, no?”
“Li perderai davvero?” Doveva. Luzhin era maledettamente inquietante, oltre che con seri problemi di gestione del controllo della rabbia. Ci mancava solo che sua cugina si facesse venire una fissazione per un tipo del genere.

Se già non ce l’ha. Che poi sarebbe pure di famiglia prendersi sbandate per tetri bastardi.
Lily roteò gli occhi al cielo. “Siamo onesti… quest’anno si diplomerà, e comunque viviamo in due Stati diversi. È vero, ha dei difetti… ma è stato un buon amico. Tu dovresti capire com’è quando ti manca una persona.” Le piantò gli occhi in faccia, e Rose si sentì un po’ a disagio.
“Scorpius è una brava persona, Luzhin…”
“… Sören non lo è, ma questo non fa di lui un mostro.” Ribatté secca. “È solo un regalo. Se vuoi, è un modo per augurargli buona fortuna e dirgli addio. Ho capito da sola che non è il caso di continuare i rapporti, okay? Ma questo non significa che non possa chiuderli amichevolmente.”
Rose la guardò e non vide nulla che potesse far pensare che mentisse. Era seria, con un’aria forse… beh, triste. Sembrava sincera.

“Okay…” Sospirò. Non poteva impedirle di spedire un pacco. Si sarebbe comportata come suo padre, e non ne aveva la minima intenzione dati gli ultimi sviluppi del loro rapporto. “Ti serve un Gufo per spedirglielo? Se vuoi puoi prendere il mio.”
Lily sorrise. “Non preoccuparti. Prendo in prestito la civetta di Gail. È più veloce, glielo recapiterà prima.” Serrò appena le dita sulla tracolla e poi le mise una mano sulla spalla, fissandola improvvisamente seria. “Se non ci rivediamo per cena, buona Durmstrang. Ti divertirai.” Squadernò di colpo uno di quei suoi ghigni fieramente perversi. “Tu e Scorpius finalmente potrete stropicciarvi in ogni luogo!”
Lilian!” Esclamò avvampando, perché non erano sole in quel corridoio. Improvvisamente, anche se stavano passando solo due ragazzini del Terzo anno, lo percepì affollatissimo.

Sua cugina rise e ne approfittò, ovviamente, per sgattaiolare via.
Rose sospirò, finendo di raccogliere le sue cose. L’agenda, come pensava, non l’aveva dimenticata in Sala Professori. La raccolse e la spolverò distrattamente.
Certo che però… cosa ci fa uno come Luzhin con un articolo dei Tiri Vispi?
 
Lily sospirò, appoggiata al muro di fronte al ritratto della Signora Grassa. La scuola era appena diventata un campo di battaglia. In realtà, lo era diventata da quando la sua mente era stata letteralmente folgorata da un proposito. Perché nessuno dei suoi cugini o fratelli o parenti acquisiti doveva scoprire cosa aveva in mente.
Ho un piano per andare a Durmstrang.
Tirò fuori la busta dalla propria tracolla, guardandola assorta: non era stato difficile far credere a Freddy che aveva intenzione di organizzare uno scherzo coi fiocchi all’indirizzo di una ragazza serpeverde rea di averle mancato di rispetto. Suo cugino era un Grifondoro semper fidelis: aveva passato i suoi anni scolastici a punzecchiarsi con la loro conclamata controparte scolastica verde-argento.
Ovviamente non era per uno scherzo.
Strappò la carta dal pacchi e un lieve baluginio le si presentò davanti. Sorrise; era figlia di un auror, figlia dell’uomo che possedeva Il Mantello dell’Invisibilità.
Non poteva avere quello, ma poteva comprarne un altro.
 
****
 
Germania del Nord, Residenza estiva degli Hohenheim.
 
Era arrivato il momento di partire.
Sören osservò i servi caricare gli ultimi bagagli nella carrozza tirata dai cupi Thestral, parte integrante del serraglio della famiglia Hohenheim da generazioni.

Lanciò un’occhiata al giovane Milo. In realtà, era ironico apostrofarlo in quel modo dato che dovevano essere più o meno coetanei. Ma in confronto ad Etzel, era un ragazzino.
Un ragazzino che dovrebbe essere ancora ferito…
I suoi movimenti erano infatti cauti e centellinati al millimetro; sembrava comunque che gli infusi e i generici rimedi Magonò avessero avuto effetto.
Il magonò strinse l’ultimo legaccio che assicurava il suo baule al tettuccio della carrozza e poi scese.
Si scambiarono poco più di uno sguardo. “Buon viaggio, Signore.” Mormorò a mezza bocca. Sören replicò con un cenno dismissivo. Il ragazzo gli lanciò una seconda occhiata di sbieco, ma c’era un’altra presenza che richiamava all’ordine entrambi, anche se per motivi diversi.
Alberich Von Hohenheim era di fronte all’ingresso principale, ad osservare la partenza. A presenziare, per meglio dire.
Sören si recò da suo zio per gli ultimi saluti, come etichetta comandava. “Vi contatterò non appena sarò arrivato.”

L’uomo fece un breve cenno della testa. “Molto bene. Fa’ buon viaggio Sören.” Gli strinse brevemente la mano. Non vacillava, ma era fredda.
Aveva letto lal lettera del Guaritore di famiglia. Non era stato affatto risolutiva: il buon’uomo lo conosceva dalla sua infanzia, ma nonostante questo non era riuscito a mettere la verità nero su bianco.
Gli aveva però proposto una conversazione via camino non appena avesse avuto un fuoco magico sicuro a disposizione.
Sicuro…
Le cose diventavano sempre più incomprensibili. Lanciò un’occhiata ai Mercemagi poco lontani; erano nei pressi del pozzo, apparentemente presi a scherzare trivialmente. Non erano tutti, ed erano comunque una dozzina.
Perché ci serve un piccolo esercito?
“È ora che tu vada.” Lo riscosse suo zio. “Ti aspetta un lungo viaggio.”
“Naturalmente.” Convenne docile. Si inchinò per un ultimo formale saluto e poi salì la scaletta della carrozza.

Quando si fu accomodato trai cuscini e sentì i Thestral dare lo strappo di partenza inspirò; era ora di tornare a vestire i panni di Luzhin. 
Non sarebbe stato facile, affatto.
 
 
****
 
Scozia, Hogwarts, Ora di Cena.
 
Aveva detto un campo di battaglia?
Si sbagliava, era una corsa ad ostacoli.

Lily inspirò: fu un moto di sollievo dato che aveva finalmente seminato il cugino: non le dava pace da tutto il pomeriggio. Alla fine aveva dovuto inventarsi una convocazione dal buon vecchio Neville per sfuggirgli. Naturalmente, Hugo si era offerto di accompagnarla.
È tutto il giorno che cerca di capire se sto organizzando qualcosa per Durmstrang! Argh!
Sfortunatamente il suo valletto, dietro l’aria arruffata e macilenta, aveva un cervello di prim’ordine, ereditato per via direttissima dalla famigerata, cervellotica, madre. E doveva entrarci in qualche strano modo anche Abigail. Era piuttosto certa, infatti, che avesse fatto la spia.
Su cosa non lo so… ma evidentemente non sono così brava ad inventarmi scuse.
… sì, in effetti ho sempre fatto abbastanza schifo.
Si appoggiò al muro di pietra all’imbocco della Torre di Grifondoro. Dentro, c’erano i preparativi tumultuosi di chi andava. Tra un paio d’ore il treno sarebbe partito.
Ed io sarò là sopra, costi quel che costi.
Si guardò attorno; c’era un motivo per cui aveva deciso di uscire, oltre che per liberarsi del cugino.
Se Gail mi vedesse armeggiare con una borsa adesso… beh, capirebbe tutto.
Percorse tutto il corridoio e finì all’imbocco delle scale mobili. Lì, due fiere armature nascondevano ciò che aveva accuratamente preparato e occultato. Si chinò e tirò fuori il compatto zainetto da viaggio che usava per portare parte del suo ragguardevole bagaglio annuale per Hogwarts. Non era molto grande, ma conteneva il necessario per partire. Inspirò di nuovo poi se lo nascose sotto il mantello; doveva portarlo perlomeno fino alla Sala Grande, nasconderlo nel bagno e aspettare che tutti fossero usciti per seguirli con il mantello.
Sarebbe tutto più semplice se Hugo non sospettasse. Cavolo!
C’erano pochi studenti in giro. Molti erano nelle proprie Sale Comuni, alcuni già accomodati a servirsi la cena. Era l’occasione per agire indisturbata.
Mangerò come tutti, fingerò di essere stanca e mi ritirerò nella mia stanza… Gail non mi seguirà di sicuro. Sarà tutta presa a dimostrare a Hughie quanto sta bene senza di lui. E Hugo sarà troppo concentrato a sobbollire.
A quel punto tirerò fuori il mantello, passerò invisibile in Sala Comune, uscirò, prenderò lo zaino dai bagni e mi accoderò alla delegazione.
Ripeterselo da ore aiutava a renderlo reale; e poi era perfetto. Infatti riuscì a nascondere perfettamente lo zaino e il mantello pesante dentro il bagno delle ragazze, sotto il lavello. Soddisfatta ne uscì con un gran sorriso. Dovette rientrare bruscamente dato che Al e Tom le passarono davanti, diretti probabilmente verso la Sala Grande.
Dannazione!
Seguire un piano perfetto era più difficile di quanto non credesse.
Se Al e Tom sospettassero qualcosa…
Non erano Hugo, né Rosie. Sarebbero stati capaci di legarla al letto della sua stanza e somministrarle forzosamente una pozione soporifera, il tutto per impedirle di fare una cavolata.
Serpeverde. Sexy, adorabili e dannatamente coalizzati nel fare buone azioni moralmente discutibili…
Passato il pericolo si incamminò di buona lena verso la Torre di Grifondoro; doveva rassicurare Hugo circa la sua totale innocenza, e non c’era niente di meglio che farsi scortare a cena.
Nel tragitto incontrò una sequela di quadri che osservò pigramente; il Primo anno ne era stata affascinata. Un dipinto che si animava era ben diverso da una fotografia. Li aveva sempre trovati poetici, in qualche modo. Da matricola si era persino fermata qualche volta a conversare con loro.
E a dire il vero, ho anche cercato di trovare il Preside Piton…
Sfortunatamente non c’era mai riuscita.
Beh, questo prima di incontrarlo mentre litigava con Ren. Litigavano, non c’è storia.
C’erano tante cose che non le tornavano; per questo doveva andare, per questo doveva fare delle domande e avere delle risposte. I suoi genitori avrebbero dovuto capirlo.
Capiscono se si tratta di Al e Tom… ma non di me?
Serrò appena le labbra.
So delle cose… Non sono fuori da questa faccenda, è inutile che tentino di allontanarmi!
E poi c’era anche il volto che aveva visto quando aveva usato la Legimanzia Naturale su Sören; non l’aveva scordato, non aveva potuto in quel periodo sebbene convulso. Era come se qualcuno glielo avesse stampato in mente e appiccicato davanti agli occhi.
Chi era l’uomo che ho visto? Un parente di Ren? Non gli somigliava per niente…
Alla fine, proprio per non perderlo, aveva usato uno dei regali di Natale che le erano stati fatti; ironia della sorte i suoi genitori le avevano regalato una macchina fotografica mnemonica. Era in tutto e per tutto simile ad una macchina fotografica a pellicola, tranne che al posto di sviluppare ciò che c’era davanti all’obbiettivo sviluppava ciò che immaginavi nel momenti in cui scattavi.
Tirò fuori dalla borsa la foto sviluppata: la custodiva gelosamente nella propria agenda e l’aveva guardata un bel po’.
L’uomo aveva un’età indefinibile e assomigliava tremendamente a Thomas. Sfortunatamente era in bianco e nero – l’unico modo per sviluppare foto di quel genere. Ma l’immagine era vivida abbastanza per metterle inquietudine.
Sì, assomiglia a Tommy, ma…
Tom non aveva quello sguardo inespressivo. Non era un mostro di comunicatività, ma quell’uomo, chiunque fosse, non aveva dipinta in volto una sola emozione. Né nella piega delle labbra, né nella curva sottile delle sopracciglia. E, cosa peggiore, i suoi occhi erano come gusci vuoti.
Ci passò il pollice pensierosa. Improvvisamente non ebbe più voglia di andare a riscontrare Hugo e inscenare la commedia delle buone intenzioni.
Sarò nei guai fino al collo quando sarò su quel treno…
Ormai aveva deciso e non sarebbe tornata indietro, ma sapeva bene a cosa andava incontro.
Oh, starò in punizione per secoli…
Improvvisamente qualcosa di molto nero le entrò nella visuale. Non capì subito perché un allegro quadro di giochi campestri si era improvvisamente rannuvolato. Poi notò che non era il quadro, era il soggetto ad essere cambiato – i festosi campagnoli in effetti si erano dispersi piuttosto velocemente.
“Preside Piton!” Esclamò senza riflettere, perché era proprio l’eroe della sua infanzia che le stava passando davanti.  Quello non diede segno di averla sentita e tirò dritto.
Sta passeggiando trai quadri? Ogni tanto ho visto Silente, ma lui non l’ha mai fatto!
“Professor Piton!” Tentò di nuovo, ma la figura nera e austera interruppe una partita di sparaschiocco tra un paio di maghi molto barbuti e continuò il suo incedere.
Doveva parlargli; era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. L’uomo ritratto aveva litigato con Sören.
E non si litiga con qualcuno come il Preside… beh, il quadro del preside … se non si hanno ottime ragioni.
“Severus!” Tentò infine e in effetti, stavolta, accadde qualcosa. Il mago si fermò e si voltò, guardandola come se stesse per decidere se darla in pasto ad una muta di Crup o abbandonarla nella Foresta Proibita alla mercé delle Acromantule.
“Noto con piacere che la sfacciataggine è una dote genetica, nei Potter.” La voce era proprio come suo padre gliel’aveva descritta; monotona, bassa e maledettamente angosciante.
Lily sentì improvvisamente il peso del suo essere una studentessa di quindici anni.
“Mi scusi.” Mormorò. “Ma non si fermava.”
“Non le è venuto in mente che avevo ottime ragioni?”
“Va di fretta?” Chiese stupita. “Cioè, lei è un quadro, non avete esattamente…” Smise di parlare all’ennesima occhiataccia raggelante. Si fece coraggio, perché conosceva quel genere di mimica. Tom era stata una bella palestra. “… non avete il senso del tempo.” Concluse.

Piton sospirò distintamente. Chi aveva dipinto il quadro era stato poco generoso nell’ingentilire quei tratti arcigni.
Realismo eccessivo?
Però c’era qualcosa di Ren in Piton. O viceversa. E guardarlo le dava una strana sensazione di deja-vu. Era piuttosto doloroso.
“Voi marmocchi vivete nell’illusione che noi ritratti amiamo conversare amabilmente a vostra richiesta.” La riscosse.
“Beh, di solito è così.” Stavolta ignorò la smorfia con naturalezza. “Voglio dire, è così. Comunque vorrei farle solo una domanda.” Non era brava come Albus nel fare gli occhi dolci, e dubitava che un oggetto inanimato come un dipinto potesse cadervi preda, ma comunque… “Per favore.” Mormorò con il suo migliore tono bisognoso.

Che fosse un pezzo di tela o meno, qualcosa cambiò impercettibilmente nell’espressione dell’uomo. Perse espressione, a dirla tutta. Lily si aspettò rassegnata un rimbrotto, ma invece ci fu un sospiro. “Parli.”
Era troppo stupita per gioire della sua insperata fortuna. “Lei ha … insomma, un paio di settimane fa ha parlato con Sören. Sören Luzhin, il Campione di Durmstrang.”
“Lo ricordo.” La rintuzzò infastidito. “Abbiamo avuto una conversazione decisamente spiacevole.”
“È la stessa cosa che ha detto lui.” Confermò senza scomporsi; dall’espressione dell’amico e da come l’aveva tirata via era stato piuttosto ovvio che non si fossero scambiati memorie familiari. “Perché avete litigato?”
“È questa la domanda?” Fece un sorrisetto sarcastico. Suo padre gli aveva descritto efficacemente anche quelli. In effetti, irritavano da morire. “Dovrebbe chiederlo a lui.”
“Non me l’ha voluto dire e adesso è partito.” Si strinse nelle spalle, ignorando il tono palesemente indagatoria del ritratto. “Io… so che qualcosa lo turba. Non so cosa, ma so che è piuttosto qualcuno.” Le venne in mente che forse Piton poteva sapere chi era l’uomo che aveva visto. Con un po’ di fortuna poteva essere un loro parente comune. Tirò fuori la foto dall’agenda mettendola davanti alla cornice. “Conosce quest’uomo?”
Piton aggrottò le sopracciglia. “Non so chi sia.”
Lily la rimise al suo posto, un po’ delusa. Doveva aspettarselo; del resto quello non era il vero Piton, ma solo una sua parvenza ed in ogni caso, pure l’uomo in carne ed ossa poteva non averlo conosciuto.

“Signorina Potter…” Il mago riportò piuttosto bruscamente l’attenzione su di sé. “Quello che io e il Signor Luzhin abbiamo discusso, è affare che non la riguarda in nessun modo. In ogni caso… posso dirle questo.” Lily drizzò le orecchie perché se non ne stava parlando, ci stava andando maledettamente vicino. “Non è chi dice di essere. Non è affar mio quel che…”
“Che vuol dire?” Quell’affermazione non era qualcosa su cui poteva far compromessi. “Che vuol dire che non è…”
Signorina Potter.” Stava giocando con il fuoco; quella era un’occasione assolutamente unica poter parlare con il dipinto più misantropo di Hogwarts. Ma proprio per questo non poteva avere riguardi.

“Ren è mio amico.” Lo disse con forza, perché l’avrebbe ripetuto finché non le avessero tappato la bocca. E allora lo avrebbe pensato. “Gli sta succedendo qualcosa e nessuno vuole dirmi in che guaio si è cacciato. Voglio scoprirlo.”
“O che guaio si sta portando addosso.” Interloquì il ritratto. “Ha cercato di avvicinarmi millantando una parentela nei miei confronti…”
“Ma è vera!”
“Ha detto che sua madre era una Prince, ma mia madre aveva solo un fratello.” Inarcò le sopracciglia. “Curioso, non trova?”

Lily cercò di far mente locale; in pochi attimi vagliò tutte le ipotesi possibili, i motivi per cui Sören avrebbe dovuto mentire ad un suo parente, peraltro racchiuso in una cornice.
Non ne trovò uno valido e restò stupidamente in silenzio, stringendo la borsa come se fosse un salvagente.
“Non ho idea del perché abbia dovuto inventare una storiella simile, ma ho sentito voci in giro… i ritratti hanno la fastidiosa abitudine di spettegolare. Il suo… amico…” Non sembrava un insulto ma neanche un complimento da come l’aveva pronunciato. “… è evidentemente invischiato in qualcosa da cui lei, sciocca ragazzina, deve star lontana. Oppure oltre alla sfacciataggine, da suo padre ha ereditato anche l’ incoscienza?”
Lily avrebbe dovuto forse offendersi, ma in realtà non le importava. Perché sì, era ufficialmente sfacciata e sconsiderata. Stava per partire per Durmstrang solo per avere delle risposte, dopotutto.

“Qualsiasi cosa dicano i ritratti… o la gente… io so che Ren è mio amico.” Sbottò sentendosi le guance scottare per l’agitazione. “Lo conosco.”
“Toccante.”
Era come avrebbe risposto il vero Piton. E per un momento, Lily desiderò che fosse vero, carne, ossa e cattivo carattere, e non una sua riproduzione di carta, per quanto interattiva. Perché avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva. Per lui. Lo aveva sempre pensato, ancor prima di capire che, dopotutto, Piton aveva fatto le sue scelte e ad esse aveva risposto.

Avrebbe dovuto esserci qualcuno che combatteva per lui come io faccio per Ren…  
Sorrise a quei tratti austeri e amari. “Dovrei lasciar perdere secondo lei?”
“Sarebbe consigliabile.”
“Beh, non posso.” Si strinse nella spalle e sorrise di nuovo all’espressione scettica dell’uomo. “Io Ren non lo abbandono.” Non aspettò risposta perché sapeva che non ci sarebbe stata. Aveva smesso di guardarla male, però. Più o meno. Il che, considerando il soggetto, era già molto. “Grazie Signore, mi è stato molto utile!”
“Questa buona azione indubbiamente rischiarerà la mia serata.” Commentò aspro il mago. “Sono libero di tornare al mio quadro o ha altre sciocche domande da sottopormi?”
“No, nessuna!”  Detto fatto, il ritratto se ne andò senza articolare neppure un saluto, allontanandosi con un gran svolazzare di mantello.

In pieno stile Piton, avrebbe detto papà…
Lily si raddrizzò. C’era notizie, e non erano buone. Ma non aveva tempo di pensarci, non davvero.
Avrebbe avuto un intero viaggio in treno per farlo.
 
****
 
 
Note:
 
E questo capitolo è anche, collateralmente, un buon compleanno a Red_93! Auguri, ragazza!


1. Questa la canzone
2. Bàn significa “bianco” in gaelico irlandese. Sì, la civetta di Gail è una civetta delle nevi come quella di Harry. ;D Ed è un maschio, per inciso.

3. Questa l’altra canzone. È un inedito quindi non è scaricabile. :/
  
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