7
– La notte delle confessioni
Scusate sempre il ritardo, ma eccomi qui. Capitolo difficoltoso e
ricco di dialoghi.
Vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per i vostri commenti e
per l’interesse che dimostrate verso questa storia.
Vi lascio alla lettura e spero apprezzerete.
Per Livia; ho ricevuto la mail, appena posso giuro che ti rispondo.
Un saluto a tutti.
*********
La serata si era conclusa in maniera naturale, senza
apparenti malumori.
La
musica si era fermata; l’ esibizione del Conte di Fersen era terminata e Oscar,
nonostante le insistenze dello svedese, non volle più continuare a suonare
adducendo la stanchezza; di conseguenza, io avevo smesso di ballare,
recuperando lucidità e fermezza perse poco prima tra le braccia di André.
Oscar, con un tono sin troppo pacato che contrastava
visibilmente con lo sguardo acceso di rabbia che solo io avevo scorto in lei,
si era congedata con eleganza, augurando a me e a Fersen la buonanotte.
Mentre mi salutava colsi la sua espressione;
qualcosa non andava e nel suo sguardo una scintilla fredda come ghiaccio,
tradiva i suoi veri pensieri.
Una luce famigliare che conoscevo bene le faceva
brillare gli occhi celesti, una luce che troppe volte avevo intravisto in lei:
era quella dell’ostinazione, quella che mia sorella aveva quando era decisa a
scoprire qualcosa, a raggiungere il suo obiettivo, qualunque esso fosse.
André si era staccato da me senza parlare, non prima
di aver allacciato un’ ultima volta lo sguardo col mio; profondendosi in un
inchino si era apprestato a seguire la sua padrona che lasciava la sala della
musica per ritirarsi nelle sue stanze.
Ero rimasta sola con Fersen per un tempo breve; lui
aveva tentato un ultimo azzardato approccio per non finire la sua notte in
bianco, ma aveva dovuto arrendersi sconcertato, di fronte al mio rifiuto
opposto con un sorriso tranquillo e serafico che mascherava ben altra
inquietudine.
“Contessa, io credo che sarebbe un peccato finire
qui la nostra bella serata, non trovate? Perché non godere delle piacevoli ore
che può concederci questa notte?”
“Conte, non bisogna cogliere il fiore troppo presto;
bisogna attendere che sbocci. Sono certa che capite cosa voglio dire e che
rispetterete il mio desiderio. Vi auguro la buonanotte.”
Mi ritirai svelta senza preoccuparmi delle sue
incerte proteste.
Raggiunsi
la mia camera dove Ninette mi attendeva per aiutarmi a prepararmi per la notte;
liberò il mio corpo dalle vesti e dalla pressione del corsetto, sciolse i miei
capelli e li spazzolò con cura.
Contrariamente
a quanto facevo di solito, con la scusa della stanchezza scambiai solo poche
parole con lei e la congedai in fretta.
Volevo
stare sola.
Restai seduta davanti allo specchio della mia
toilette per svariati minuti, fissando stranita la mia immagine allo specchio.
Alle mie spalle, la luce riflessa delle candele creava un alone attorno alla
mia testa.
Con la mente, come un’ossessione, continuavo a
tornare ai momenti che avevano scandito quella strana serata; il piacere e il
turbamento provato tra le braccia di André mentre ballavo con lui e lo sguardo
di Oscar che ci aveva guardato in un modo che non ero riuscita a decifrare, e
poi quella rabbia cupa e violenta che ero certa di avere scorto, era stata come
un lampo improvviso, la luce di una saetta che viene a squarciare il buio.
Non ero tranquilla e non ero sicura che avrei chiuso
occhio.
Allo specchio il mio riflesso mi restituiva
l’immagine del mio doppio; Oscar mi guardava con un’espressione severa.
Una strana inquietudine mi ribolliva dentro e mi
mordeva la coscienza.
Uno strano presentimento agitava il mio animo e mi
sentivo ridicola a essere vittima dei miei sensi troppo eccitati che mi
suggerivano cose inesistenti.
Mi alzai e camminai per la stanza avvolta nella seta
della mia camicia da notte per alcuni minuti; mi lasciai cadere su una poltrona,
mentre aspettavo di riacquistare la giusta calma che potesse conciliare il
sonno che tardava a venire.
Dopo non so quanto, mi decisi a mettermi a letto.
Mi addormentai con difficoltà.
Mi rigiravo tra le lenzuola in preda all’ansia
mentre i miei occhi non volevano chiudersi; restavano aperti fissi nel buio a
scrutare il nulla.
Alla fine, mi assopii, ma nel dormiveglia accadde
qualcosa di strano.
Non so di preciso, quanto durò il mio sonno leggero.
Avevo strane sensazioni che non comprendevo. Poteva
essere un sogno, ma sembrava troppo reale.
Dietro le palpebre chiuse, mi pareva di avvertire un
chiarore provenire da un punto imprecisato della mia stanza e poi una presenza
ignota da qualche parte nello spazio, incombente e vagamente sinistra aleggiava
attorno a me. La paura mi impediva di aprire gli occhi per scacciare quel
fantasma materializzato dal mio inconscio.
Doveva essere un sogno, forse un incubo; mi pareva
di non riuscire a svegliarmi e mi sforzavo di aprire le palpebre serrate per
tentare di scacciare quella strana sensazione d’angoscia. Alla fine, mi
svegliai del tutto e mi ritrovai a fissare il soffitto e le impalpabili cortine
del mio letto attraverso una vaga oscurità che non era così netta come avrebbe
dovuto essere. Mi chiesi che ore fossero e quanto avessi dormito, perché mi
sembrava che fosse passato pochissimo tempo da quando mi ero coricata.
Lentamente compresi che una luminosità vaga e incerta si apriva tra
quell’oscurità, come se la debole luce di una candela sfidasse il buio. Tra le
nebbie fumose della mente ricordai che non avevo lasciato candele accese e con
un profondo senso di panico realizzai che non ero sola nella stanza.
C’era qualcuno lì con me.
Lo sentivo; un respiro incerto attraversava l’aria
fredda dell’ambiente.
O forse, mi ingannava la mia fantasia?
Sarebbe bastato girare il volto e avrei visto chi
era, ma non trovavo la forza per muovermi.
Lasciai passare qualche minuto in cui avvertii il
mio cuore martellare frenetico nel petto, ad un ritmo assordante, indecisa se
era per paura o speranza; il timore vago che Fersen avesse frainteso il mio
rifiuto non mi sconvolgeva come la speranza un po’ indecente e sfacciata che
un'altra persona avesse finito per cedere ai miei inviti seppur velati. Sperai
ingenuamente e in maniera del tutto irrealistica che André avesse raggiunto la
mia alcova in piena notte, attirato da chissà quale forza misteriosa; il
desiderio represso per Oscar, l’eccitazione dei sensi turbati dalla nostra
vicinanza che ero quasi certa di aver indovinato in lui.
Finalmente, trovai il coraggio e sollevai lo sguardo
nella direzione della piccola luce tremolante, una candela posta su un mobile, la
cassapanca addossata ai piedi del mio letto.
I miei occhi si adattarono alla semioscurità e
vagarono poco distanti su una sedia posta proprio sul fondo di fianco al mio
letto.
E la vidi; una figura seduta, ne distinguevo le
gambe snelle e forti fasciate nei pantaloni, la camicia chiara, il nodo sciolto
della cravatta di seta lievemente aperta sul collo. Forme gentili ed eleganti.
Solo il volto restava in penombra, nascosto nella semioscurità. Non parlai,
preda dell’iniziale stupore, quasi le parole mi fossero state rubate a forza.
Quando la figura si mosse sulla sedia ed emerse sotto la luce, sporgendosi in
avanti con i gomiti appoggiati ai braccioli, con un brivido di vero terrore
riconobbi gli occhi resi lucidi dall’alcol, il volto incorniciato da lunghi,
scarmigliati capelli biondi.
Oscar…
Mia sorella mi fissava senza parlare e in mano
reggeva per il collo una bottiglia di vino bianco, vuota per metà.
Quando la chiamai, la mia voce uscì stentata e quasi
irriconoscibile alle mie stesse orecchie.
“Oscar? Ma… cosa fai qui, in piena notte?”
Mia sorella non rispondeva, ma continuava a
fissarmi. Aveva un aspetto selvaggio che mi metteva in agitazione. Io mi alzai
a sedere sul letto, appoggiando la schiena contro i cuscini ricamati, restando
semicoperta per difendermi dalla frescura della notte.
“Ti senti male?” chiesi, senza ricevere risposta.
Continuavo a sentire addosso l’insistenza di quel
suo sguardo strano, offuscato dall’alcool.
L’aspetto indolente le dava uno strano fascino
perverso.
“Insomma Oscar! Mi hai spaventata da morire! Che sei
venuta a fare in piena notte in camera mia? Sei ubriaca?”
“Non abbastanza.” Sussurrò con voce profonda e colsi
un brivido di freddo, quasi un formicolio passarmi sulla pelle del braccio. La
vidi abbassare la mano e posare a terra la bottiglia, vicino al polpaccio.
Inclinò la testa di lato come se volesse studiarmi.
“Non riesci a dormire, Danielle? Mi pare tu abbia il
sonno un po’ agitato. Cosa o chi turba i tuoi sogni?”
Da quanto tempo era lì? Se era ubriaca non lo era
così tanto da non poter rispondere alle mie domande. Anzi, improvvisamente mi
parve anche troppo lucida; il vino non aveva annebbiato la sua mente e se
attraverso i fumi dell’alcool aveva raggiunto la mia stanza, doveva esserci un
motivo molto serio.
“Forse cara, potrei farti la stessa domanda; anche
tu non riesci a dormire e vaghi di notte in casa mia come un fantasma. Per
giunta, devi aver bevuto parecchio, mi pare ovvio. Il tuo stato è
preoccupante.”
“Meno di quanto tu creda. – Prese la bottiglia, la
portò alle labbra e bevve un sorso, poi la riposò a terra. - Dobbiamo parlare,
Danielle.”
Tentai di obbiettare.
“Ora? Non possiamo farlo domani, con più calma? Io
vorrei dormire, sono piuttosto stanca, Oscar.”
“No. Io voglio parlare adesso; è importante non
perdere tempo. Domani potrebbero esserci troppi testimoni.”
Era determinata e io mi preoccupai.
“Non capisco.”
“Tu no, ma io sì. Cosa ti sei messa in testa di
fare?”
Sibilò astiosa e io sussultai di leggero spavento al
rumore della bottiglia che rotolava sul pavimento della stanza, e spezzava il
silenzio pesante sceso fra noi; Oscar l’aveva toccata con un piede in un moto
di nervosismo. Sentivo il leggero gorgoglio del liquido che si riversava sul
pavimento.
“Sai Danielle, c’è stato un momento in cui ho
pensato che fosse tutto un trastullo per ingelosire il Conte di Fersen, ma dopo
quello che ho visto questa sera, è abbastanza chiaro che non è lui che ti
interessa veramente. Ti sei stancata dei nobili damerini vanesi che di solito
frequentano il tuo letto, e hai deciso di puntare la tua attenzione sulla
servitù? Se cerchi nuove esperienze, faresti bene a cercarle altrove.”
Nonostante l’ironia del tono di voce, sentivo la
rabbia nascosta tra le parole; covava come brace sotto la cenere.
“Le tue allusioni sono volgari e indegne di te, mia
cara. Per chi mi hai preso? Per una di quelle donnine stupide e di facili
costumi che infestano la corte e certi salotti di Parigi? Sei mia sorella;
dovresti conoscermi un po’ meglio.”
Opposi al suo cinismo un tono altrettanto irritato.
Ma Oscar aveva appena iniziato a mordere e da quella notte, molto altro doveva
ancora venire; veleno, dolore e verità che brucia come sale sulle ferite mai
chiuse.
“Ti conosco Danielle, meglio di quanto potresti
credere. E capisco quando sei affascinata da un uomo. Parliamo di André; lo
guardi in un modo che non mi piace affatto. Non pensavo potessi arrivare a
tanto. Stai pensando di sedurlo, per caso? Vuoi fare di lui il tuo prossimo amante?”
“Oscar!!”
“Voglio la verità, Danielle. E non raccontarmi
fandonie, perché non sono dell’umore giusto per sopportare chiacchiere inutili!
Non ho chiuso occhio e l’insonnia mi rende nervosa e tesa.”
“Ti rendi conto di quello che dici? Sei diventata
pazza?”
“Non sono mai stata più seria né più lucida e non me
ne andrò da questa stanza finché non avrò saputo ogni cosa, a costo di tenerti
sveglia tutta la notte. Guarda che non esagero. E non costringermi a
minacciarti con la spada!”
“Non oseresti!” Mi ribellai.
“Non mettermi alla prova, Danielle.” Il tono fermo,
quasi duro mi intimorì.
Solo allora notai il ferro abbandonato di fianco al
bracciolo della poltrona.
Lessi la sfida nei suoi occhi attraverso le ombre
cupe della stanza; capii che era la resa dei conti. Se Oscar voleva la verità,
l’avrebbe avuta, ma anch’io ero decisa ad avere la mia parte. Trovavo
profondamente ingiuste le sue accuse; non avrei mai voluto svilire Andrè al
ruolo di semplice amante.
No, sarebbe stato molto più importante per me. Ma
fino a che punto potevo spingere le mie confidenze? Avrebbe capito i miei veri
sentimenti? O avrei scatenato maggiormente la sua furia? Perché c’era tutta
quella rabbia in lei, e perché era così simile alla gelosia? Poteva essere così
possessiva solo perché non voleva dividere l’amico con altri? O non voleva
dividerlo proprio con me? Ero dunque io, la pietra dello scandalo? Il tabù con
cui Oscar non voleva confrontarsi, neppure in rapporto con André?
Poteva nutrire per André sentimenti oscuri che non
osava dichiarare a se stessa?
Non trovavo normale quel suo atteggiamento. Anzi,
era davvero eccessivo.
“A parte l’assurdità delle tue accuse, mi sorprende
che tu sia così morbosamente gelosa di André. Ultimamente in effetti, è
diventato spesso motivo di attrito tra noi. Cosa significa, Oscar? Non posso
avvicinarmi a lui, senza subire le tue rimostranze; per caso, hai deciso che la
sua amicizia è appannaggio esclusivamente tuo?”
“Io, gelosa di André? Non essere ridicola. E poi, se
fosse solo una questione di amicizia, non mi preoccuperei. Credo che il tuo
interesse malsano verso il mio attendente sia di natura molto dubbia e non è
amicizia.”
“Allora, il problema sono io. Supponiamo per un
momento che sia vero quello che dici; se non fossi tua sorella, la cosa ti
lascerebbe indifferente?”
Vidi Oscar esitare un istante, e la cosa mi fece
pensare.
“Cosa c’entra questo? André è un servo, ma è anche
mio amico. Sarebbe uno scandalo, per non parlare del rischio che comporterebbe
una cosa simile. Non puoi coinvolgerlo in una vicenda del genere;
sconvolgeresti la sua vita.”
Mia sorella non sospettava quanto la vita del suo
attendente fosse già scossa dai marosi tumultuosi di un amore chiuso in fondo
all’anima. Mi chiesi se era davvero così ingenua, e all’improvviso mi fece
rabbia, perché mi parve di leggere dell’ipocrisia nelle sue parole. Sembrava
protettiva, ma in modo ambiguo; non capivo se era un atteggiamento che assumeva
verso André o se stessa.
“Sconvolgere la sua vita? Forse sei tu Oscar, che
hai paura di scossoni alla tua esistenza. Non puoi pretendere che André non
abbia altre esigenze o desideri che esulano dalla tua persona. Hai mai pensato
che potresti non essere il centro di tutto il suo mondo?”
Mi ero sporta in avanti sui cuscini, mentre Oscar
pareva voler arretrare nello schienale della sedia.
“Non capisco a cosa alludi. André è libero di fare
quello che vuole. Non l’ho mai obbligato a seguirmi.” Ribattè secca.
“Certo, salvo che ti vive accanto come un’ombra,
senza quasi avere una vita propria. Ti sei mai chiesta se abbia altre speranze
per sé, magari aspirazioni diverse? O credi che ti farà da attendente tutta la
vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato!” Esclamai vivacemente.
Oscar pareva incapace di ribattere, ma nel modo
ostinato e acceso in cui mi fissava sentivo che dovevo aver toccato un tasto
doloroso. Stavo sollevando quesiti che forse aveva sempre cercato di
minimizzare.
“E se Andrè fosse davvero attratto da me? E se
anch’io mi sentissi attratta da lui non dovrei assecondare il mio cuore?”
Il suo sguardo mutò trasfigurato da una specie di
spavento; improvvisamente compresi che era vera paura quella che leggevo nei
suoi occhi. Temeva che potessi portarle via André? Temeva di perdere l’amico di
una vita, o un affetto tanto profondo impossibile per lei da dire?
“No, Danielle. Non con André. Non lo puoi fare;
sarebbe un grave errore.”
“Il vero errore sarebbe negare o non seguire i
propri sentimenti.”
“Sentimenti? Di quali sentimenti stiamo parlando?”
Panico nella sua voce. Tratteneva i braccioli della
sedia artigliandoli con le dita.
“Vuoi la verità? Bene. Questa sarà la notte delle
reciproche confessioni. Sarò onesta con te, Oscar, ma tu dovrai esserlo
altrettanto con me. Te la senti?”
“Io non ho nulla da nascondere.”
Tirai un profondo sospiro, prima di iniziare a
parlare. Sentivo lo sguardo di Oscar pesarmi addosso, implacabile.
Avevo l’impressione che volesse trapassarmi, ma
anch’io stavo cercando di scoprire i segreti della sua anima. Segreti che in
parte conoscevo, ma volevo che fosse lei a svelarmeli.
Se ci fossimo guardate fino in fondo, senza le
nostre reciproche maschere, forse ci saremmo davvero avvicinate una all’altra.
Ci saremmo capite sul serio. Non mi sarei tirata indietro; saremmo comunque
arrivate a quella svolta, tanto valeva affrontare i nostri fantasmi personali.
“Andrè è un uomo gentile, un amico sincero e fidato,
e mi piace molto stare in sua compagnia, sto bene insieme a lui; è spontaneo e
onesto nei suoi pensieri. Non ho mai trovato nulla di tutto ciò tra le persone
che mi circondano. Ma è anche molto attraente, non lo nego, e io sono una
giovane donna sposata ad un uomo che non ama. Sai che cosa vuol dire, Oscar,
vivere così? Senza vero amore e affetto? Senza un po’ di comprensione?
Complicità e vera intimità? Immagini quanto sia vuota la mia vita, priva di
tutte queste cose?”
Avevo parlato con impeto, animata da un fremito che
mi sconvolgeva e che mi lasciava senza freni nelle mie esternazioni. Mi ero
sporta sollevandomi e quasi stavo per scendere dal letto. Oscar mi aveva
ascoltata scrutandomi con cipiglio severo e corrucciato, ma nei suoi occhi
continuavo a scorgere una luce di profonda inquietudine. Le ombre si
disegnavano strane attorno a noi.
“Conosco le buone qualità di André, so che genere di
uomo è. Perché lui? Credi che possa darti quello che cerchi? Non ti preoccupi
delle conseguenze? Lui non potrebbe riempire la tua vita, senza pagarne un
prezzo che sarebbe troppo alto.”
Punta sul vivo dalle sue parole, presi la camicia da
notte appoggiata al fondo del letto, la infilai e mi alzai di fronte a Oscar.
Quasi mi lasciai scappare una lieve risata.
“Tu pretendi di conoscere André? – Esclamai. – Oh,
potrei sorprenderti, cara; io conosco di Andrè, cose che tu neppure sospetti,
nonostante non vivo accanto a lui come fai tu da anni! Ma a volte è meglio non
vedere; per te è sempre stato più semplice fare finta di nulla, vero Oscar?”
“Fare finta? Di cosa parli? Secondo te, io non
conoscerei André, che è quasi un fratello per me? Da dove ti viene questa
presunzione? Ti stai accalorando un po’ troppo, Danielle.”
“Hai detto bene, un fratello. Ma non è tuo fratello,
Oscar! Non c’è nessun legame di sangue tra voi.”
“Questo non significa niente.”
“Invece, significa tutto. Tu ti nascondi Oscar;
fingi di avere un cuore da uomo e i tuoi sentimenti sono da donna, li nascondi
con la divisa da Colonnello. Sei mortalmente gelosa di André, in un modo che
dovrebbe farti riflettere, per non parlare di quello che provi per il Conte di
Fersen; ti sei infatuata di un uomo frivolo che non è degno di incrociare la
spada con te e si dichiara innamorato infelice della nostra regina.”
“Cosa?”
“Suvvia Oscar! Sono la tua gemella e tra noi certe
cose si avvertono spontaneamente. Ti sei invaghita di quell’uomo, ma non vuoi
riconoscerlo perché ti fa sentire troppo debole, una cosa che tu non puoi
permetterti. Ma l’amore non è una debolezza, Oscar. Sono una donna, oltre che
la tua gemella e conosco da sempre il conflitto che ti attanaglia, perché in
fondo è simile al mio. So anch’io quanto è difficile accettarsi.”
A quel punto, Oscar si alzò dalla sedia,
allontanandosi dalla fioca luce della candela per andarsi a piazzare davanti al
vetro della finestra, dandomi le spalle. Fuori, l’oscurità della notte
avvolgeva ogni cosa e lei mi appariva come una sagoma indistinta. La sua voce
mi giunse quasi in un sussurro.
“Cosa ne sai tu, del mio conflitto? Tu non hai mai dovuto vivere nascondendo la tua natura, il tuo cuore. Credi che la mia vita sia più facile? Se la tua vita è vuota, puoi riempirla in mille modi, ma non devi lottare per essere te stessa. Non devi reprimere emozioni che non dovresti avere. La tua vita non è una lotta per dimostrare al mondo cosa vali. Tu non devi far dimenticare agli altri cosa sei, in realtà!”
Era una confessione quella? Sì, in una forma singolare.
Oscar mai mi aveva esternato pensieri tanto personali, tanto intimi. Eppure avevo l’impressione di averli sempre percepiti in lei; non so come, in quel momento mi commosse, come se quell’interiorità io la scoprissi per la prima volta.
“Oh, Oscar… questo è un problema che abbiamo tutte,
anche noi donne cosiddette normali!
Le nostre opinioni non hanno peso e raramente siamo prese in considerazione.
Perché stiamo qui a farci la guerra? Non ho mai pensato che sia stato facile
assecondare il desiderio di nostro padre, ma… - mi avvicinai a lei di qualche
passo – a volte ho l’impressione che tu non ti renda conto del privilegio che
ti è stato dato.”
“Privilegio? Stento a crederlo! Sbaglio o vorresti
essere al posto mio, Danielle?”
Sentii sorpresa nella sua voce che attraversava
l’oscurità che ci divideva.
“Vorrei sapere cosa si prova a essere liberi; di
pensare, di vivere, di scegliere. Oh, Oscar, forse in alcuni momenti avrei
desiderato essere come te. Io devo far dimenticare al mondo che sono la tua
gemella! Sai quanti uomini mi cercano solo per quello e non vanno oltre il mio
aspetto? In me, cercano te. Sono una fantasia, la trasgressione. Fersen fa la
stessa cosa. Riesci a capire che significa?”
“Non credo che per te, sia mai stato un problema. E
Fersen non è quel tipo d’uomo…”
“Continui a difenderlo, eh? È esattamente quel
genere d’uomo. Potresti verificarlo anche da sola.”
“Come?”
“Mettendoti nei miei panni: dovresti provare solo un
ora a essere me.”
“Eeehh??”
Era un’ idea bizzarra buttata lì per caso, ma
all’improvviso mi sembrò un colpo di genio. Se soltanto fossi riuscita a
convincerla; sarebbe stato un modo perfetto per mettere Oscar in contatto con
la sua femminilità.
Mia sorella restò in silenzio per un lungo attimo;
continuò a scrutare l’oscurità oltre il vetro, poi si volse verso di me.
“Davvero vorresti essere come me, Danielle? Perché?”
“Te l’ho detto, Oscar: la libertà. – Misi una certa
enfasi nel pronunciare la parola. – Libera da un matrimonio imposto, da regole
stupide. Libera di costruire la mia vita come voglio, seguendo delle legittime
aspirazioni, libera di esprimere il mio pensiero più autentico senza che sia
sottovalutato, soprattutto libera di scegliere da sola l’uomo giusto da amare.”
“Tu credi che io abbia tutta questa libertà? -
Avvertii una nota ironica nella voce. - Io ho sposato la vita militare,[1]
il dovere, l’obbedienza ai superiori; non è un matrimonio facile. Libera di
amare? Chi? Fersen? Non si accorge neppure che sono una donna. Pochi se ne
accorgono, in verità: uno di questi è proprio André. – La sentii sospirare
pesantemente. - Sì, Danielle, è inutile nasconderlo proprio a te; provo
qualcosa per il Conte, forse perché mi sembra diverso da tutti gli altri, è un
uomo dal cuore onesto… Poi… vedo come ti guarda. Come non può guardare me. E mi
confonde… da quando Fersen è arrivato qui, non mi pare lo stesso uomo che
conosco… non capisco più il suo comportamento.”
Profonda amarezza filtrava da quelle parole, la
sentivo soffocarmi l’anima e mi faceva male.
Mi dava la misura dell’ amore tormentato che Oscar
nutriva per quell’uomo; era un sentimento mortificato dall’obbligo di dover
soffocare la sua essenza femminile che smaniava per liberarsi. Si era accorta
dell’interesse di Fersen nei miei riguardi e immaginavo che fosse un ulteriore
schiaffo per lei, come se io fossi quella con cui era impossibile competere. Mi
sembrava assurdo che fosse così insicura; Oscar era fisicamente identica a me,
due copie perfette della stessa persona. Non ebbi il tempo di riflettere su
quelle impressioni perché Oscar mi riportò bruscamente alla realtà.
“Ora tocca a te. Abbiamo fatto un patto. Saprai
essere altrettanto sincera?”
“Certo. Riguardo cosa?”
“Riguardo ciò che provi per André. E ricorda: sono
la tua gemella e certe cose le avverto anch’io spontaneamente. Fino a che punto
ti senti attratta da André? Per caso, ti stai innamorando del mio attendente?”
La domanda fu talmente diretta e inaspettata che io
restai a bocca aperta, incapace di rispondere. Il silenzio scivolò fra noi più
denso dell’oscurità, un silenzio che valeva più di mille risposte che avrei
potuto darle. Ma Oscar era decisa a farmi parlare e quel patto insano lo avevo
proposto io, lei ne stava solo approfittando.
“È una
domanda semplice. Perché non rispondi, Danielle?”
“Ecco, io… provo sincero affetto per lui. Non ho mai
provato nulla di tanto profondo per nessuno prima. – Incrociai le braccia sul
petto e abbassai lo sguardo. - Non mi sembra un reato tanto grave. Io cerco
solo il calore di un sentimento vero e con André sento di poterlo avere. Tu più
di tutti dovresti comprendermi. Non negarmelo Oscar, ti prego.”
Era più di quanto io potessi ammettere. Non stavo mentendo e Oscar se fosse stata attenta, avrebbe sentito l’emozione autentica e forte che vibrava nella mia voce. Mia sorella si allontanò dalla finestra e si avvicinò a me, spostandosi dietro la fioca luce della candela che sfidava l’oscurità. Non riuscivo a distinguere nettamente il suo volto, ma sapevo che lei vedeva il mio, illuminato dal leggero bagliore della fiammella.
Mi arrivò il sussurro deciso della sua voce.
“Sai quanto tengo ad André e non voglio che soffra
per un tuo capriccio. Non voglio negarti la sua amicizia, ma se intendi
avvicinarti in altro modo a lui, allora non posso tollerarlo. Mi hai capito?
Resta con i piedi per terra e non comportarti da sciocca.”
Il tono di Oscar era molto serio: mi parlava come se
stese impartendo direttive della massima importanza a un suo subalterno. Ma
dietro quel tono all’apparenza distaccato, sentivo tutta la sua ansia e forse
una segreta minaccia.
“Certo Oscar, e non voglio creare problemi ad André,
né mettere te in imbarazzo, te lo giuro.”
“Bene. Mi è piaciuta la nostra chiacchierata. Credo che
rifletterò su alcune cose che ci siamo dette; sono certa che avremo modo di
riparlarne. - Si mosse per andare verso l’uscio. - Cerca di dormire ora. Buonanotte.”
E mi lasciò lì, al freddo della mia camera, frastornata e sconvolta dalla tensione.
Avevo dormito poco, dopo che Oscar se n’era andata.
Forse mia sorella per quella notte si accontentò di quella risposta, forse non fu del tutto convinta. Certamente altro le passò per la testa e magari fui io a insinuare in lei il dubbio e la curiosità: il discorso sulle nostre differenti identità l’aveva coinvolta molto, io stessa mi ero lasciata trascinare su un terreno un po’ sconnesso.
Se la notte fu sorprendente, anche il mattino seguente presentò i suoi imprevisti.
Facevo colazione in compagnia del Conte di Fersen sotto il pergolato esterno del giardino della villa, quando Ninette venne ad avvisarmi che nel cortile era rientrata la carrozza di mio marito; il Conte Leopold Remy di Recamier era sopraggiunto all’improvviso dal suo viaggio nella Loira e non era solo. Una gentile signora lo accompagnava: si trattava di madame Lisette De Marchard, donna di qualche anno più giovane di lui, ancora graziosa e piacente. Mi era giunta voce che fosse la sua attuale amante.
Non l’avevo mai incontrata prima, mai più mi sarei aspettata di riceverla in casa mia.
Immaginavo che Leopold non si aspettasse di trovarmi nella residenza di campagna e credendomi a Parigi, fosse venuto lì, per restare solo con la sua amante. Davvero uno bizzarro scherzo del destino, per lui e per me. Reciprocamente infedeli, cercavamo sempre di salvare le apparenze, evitando situazioni imbarazzanti per entrambi.
Lo vidi venirmi incontro seguito dalla sua amabile accompagnatrice.
Mentre avanzava verso il tavolo dove eravamo seduti io e Fersen, osservai Lisette. Era una donna formosa dall’aria gioviale; un sorriso spontaneo e solare le illuminava il volto rotondo e gli occhi erano scuri, ma vivaci. Non tradiva alcun tipo di alterigia, appariva piuttosto semplice anche nell’abbigliamento che non aveva nulla di ricercato, nessuna ostentazione nei gesti o nei modi, caratteristica tipica di chi apparteneva alla piccola nobiltà di campagna.
Segretamente ero un po’ sorpresa che Leopold potesse avere del reale interesse per quella donna, ma così doveva essere.
Leopold mi salutò con cortesia prima di presentarmi la donna che pareva per nulla imbarazzata.
“Contessa di Recamier, sono davvero lieta per questo incontro.” Cinguettò serena.
Stentavo un po’ a crederlo, ma presi per buone le sue parole. La voce di Lisette era come lei, festosa e gradevole.
La cosa più logica che potessi fare era reggere il gioco.
“Cosa vi porta qui, Madame De Marchard? Amate anche voi la campagna?”
“Oh, sì. In realtà, sto andando a trovare i miei parenti che vivono poco lontano da qui. Vostro marito si è offerto di ospitarmi un paio di giorni prima di rimettermi in viaggio.”
Non saprei dire se fosse stata istruita da Leopold o se era la verità, ma non mi importava molto.
Presentai loro il mio ospite, il Conte di Fersen, che con la sua inconfondibile galanteria, fece ossequi alla signora e salutò con rispetto mio marito.
“Quel Conte di Fersen? La vostra fama vi precede. Voi venite dalla Svezia, se non erro. Siete qui su invito di mia moglie, immagino…”
Io colsi l’allusione e anche Fersen la colse e si affrettò a smontare le possibili congetture.
“Sì, vostra moglie voleva allontanarsi da Parigi e ha invitato me e vostra cognata, madamigella Oscar a tenerle compagnia per qualche giorno, e godere della tranquillità della campagna.”
“Oh, anche Oscar è qui? La saluterei volentieri la mia cognata di ferro.”
“Sta ancora riposando. Potrete farlo più tardi.” Risposi pronta.
Leopold considerava Oscar una bizzarria stravagante di nostro padre. Di mentalità poco elastica, non concepiva che una donna potesse ricoprire un ruolo maschile, ma non avrebbe mai osato sfidarla a duello, né avrebbe mai ammesso di averne anche un po’ paura. Si stupiva meravigliato di come André riuscisse a confrontarsi con lei.
Stanchi per il viaggio, Leopold invitò Lisette a ritirarsi nella sua stanza; io stessa avevo dato disposizioni alla cameriera. Poi si congedò senza rinunciare a un pizzico d’ironia, lasciandomi in compagnia del Conte di Fersen.
“Non offendetevi se non resto in vostra compagnia, ma ho bisogno di qualche ora di riposo; voi capite, non ho la vostra gioventù. Sono certo che mia moglie saprà intrattenervi nel modo migliore.”
“Non preoccupatevi; sono sicuro che avremo altre occasioni per approfondire la nostra conoscenza, Conte di Recamier.”
Solo più tardi, ebbi uno sincero scambio di pensieri con mio marito.
Mi aveva raggiunto nel mio salotto privato, poco prima di pranzo, deciso a giustificare la presenza di Lisette in casa nostra. Naturalmente aveva accampato improbabili scuse, spiegazioni che non avrebbero convinto neppure una donna con meno malizia di me. Quella dell’ingenua non era una parte che avevo voglia di sostenere e in quel caso fingere non mi interessava. Seduta in poltrona, ascoltavo quei vani discorsi agitando il mio ventaglio annoiata e infastidita.
“Vi prego Leopold, evitiamo questi imbarazzanti sotterfugi; è ovvio che quella donna sia la vostra amante e voi pensavate che io fossi a Parigi. Lungi da me l’idea di farvi una scenata di gelosia, ma almeno potevate avere il buon gusto di non portarla in questa casa: sono pur sempre vostra moglie e la madre dei vostri figli.”
“Oh, questa poi! Non coinvolgete quelle creature innocenti. Lisette è una donna degna del massimo rispetto, una cara e gentile amica che mi sono trovato ad aiutare in circostanze particolari… – Mio marito si agitava, camminando avanti e indietro per la stanza, con le mani dietro la schiena. - E in quanto a buon gusto, anche voi cara, non dimostrate di averne molto.”
“Cosa vorreste dire?”
“Sto parlando di quel Fersen! Il favorito di Maria Antonietta! Vi siete scelta davvero un bel personaggio, sarete additata da tutta la buona società di Parigi, per non parlare di quello che diranno a Corte.”
“Fersen non è il mio amante, se è questo che pensate. E poi sono sempre stata più brava di voi a evitare gli scandali.” Obiettai decisa.
“Eppure sembravate molto intimi, stamattina. Mi sembrate un poco stanca, avete dormito poco…”
Non feci alcun commento; Leopold non poteva immaginare la notte che avevo avuto e non volevo entrare nei dettagli.
“Allora, vorrete spiegarmi il motivo della sua presenza qui?” Continuò.
Alzai di poco il tono di voce sottolineando le parole.
“Il Conte di Fersen è qui unicamente in virtù della sua amicizia con mia sorella. L’ho invitato per fare un piacere a Oscar, e se la cosa vi disturba il problema è vostro. Invece, le vostre scuse con Lisette sono davvero ridicole. Spero che non resterà qui a lungo.”
“Accompagnerò madame Marchard dai suoi parenti tra qualche giorno. Fino ad allora, voi cercate di essere gentile con lei.”
“E voi cercate di non mettermi in imbarazzo di fronte ai miei figli: vivono in questa casa, quindi sono coinvolti.”
Non avevo voglia di proseguire quella conversazione che trovavo irritante e inutile. Aprii il ventaglio in maniera teatrale e mi alzai dalla poltrona per andarmene senza attendere oltre: avevo già sentito più di quanto fossi disposta a sopportare.
Continua…
[1] Ispirazione tratta da una frase letta altrove. La frase esatta era “Ho sposato l’esercito” solo che non ricordo dove l’ho letta. Se qualcuno la riconosce come sua, me lo faccia sapere che la inserirò nella citazione.