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Autore: lullaby_89    25/10/2011    4 recensioni
Ebbene ci sono di nuovo, nuovo nome, nuovo titolo, ma i personaggi sono gli stessi!
Una storia d'amore e d'amicizia senza troppe pretese. Tra lacrime, sorrisi, incomprensioni, errori e scelte sbagliate Edoardo e Giulia cercheranno di capire qual'è il confine tra amore e amicizia!
“Sono libera di scegliere ciò che voglio senza che tu mi faccia da supervisore lo sai?”
Al contrario di Niccolò, con Edo non riuscii a mantenere un contatto visivo. I suoi occhi chiari mi schiacciavano a terra senza via di fuga.
“Io voglio solo vederti felice” accarezzò la mia spalla nuda portandomi più vicina “non raccattare il tuo cuore a pezzi” [...]
“Quando troverai un ragazzo mi lascerai da parte vedrai…” sorrise nervoso e mi posò una mano sulla mia "Un giorno ti dimenticherai di me"

- probabilmente scriverò dei capitoli extra per i missing moment a rating rosso -
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Posto proprio allo scoccare del martedì! Domani non so se ho tempo, quindi ne approfitto :)

Grazie dei commenti, grazie a chi legge. Ormai vi sarò venuta a noia con questi ringraziamenti noiosi, ma sono veramente felice di vedere che la storia piace! *-*

Ho visto che tante hanno le preferenze e si spostano tutte su Edo -.-" mannaggia, succede sempre così! Ma che ha quel ragazzo? Vediamo se con questo capitolo cambiate idea. Così sembra che ce l'abbia con Edo, ma non è così…è il mio preferito ;) Infatti non so stare senza di lui ed in questo capitolo lo faccio ricomparire! 

Buona lettura! Bacio

 


CAPITOLO NONO "Delusa…dall'amicizia"

 

Ero diventata ciò che mi ero proposta di non essere mai. Ero decisamente troppo infatuata, non innamorata, non ci si innamora di una persona in due giorni, ma comunque ero presa. Se mi ero promessa di andarci piano, decisamente ero una bugiarda. Come trovarsi nelle sabbie mobili. Cadevo ogni giorno sempre più giù, nella sua morsa, con i granelli umidicci che si attaccavano ed entravano ovunque ed io me ne stavo immobile a lasciarmi trascinare giù, come se quel lento soffocamento fosse un piacere a cui non potevo sottrarmi.

L'amore è anche sinonimo di dolore in fondo. Quel che non avevo capito era che anche l'amicizia provoca sofferenza.

Era giovedì sera e me ne stavo sdraiata in giardino sul divanetto di vimini della veranda con Damon con la testa che penzolava dal bracciolo e la lingua di fuori per il caldo. Il detto tale cane tale padrona era sempre più vero. Io avevo sempre caldo esattamente come lui ed ero pure pigra come lui. 

Era una serata afosa, quelle in cui anche solo alzare un braccio mi faceva sudare e non aiutava il fatto di essere vestita con un leggerissimo abitino di cotone. Guardai il cielo che si tingeva di rosa e arancio. 

In una giornata come quella giorni addietro l'avrei passata con Edo, probabilmente in piscina, invece ero rimasta chiusa in casa a gironzolare senza una meta e con il cellulare al mio fianco. L'avevo chiamato quella mattina e non mi aveva risposto, avevo inviato un messaggio e anche a quello nessuna risposta. Non ci parlavamo o vedevamo da quasi quattro giorni. Un'eternità per noi. 

Anche mia madre se n'era accorta e puntualmente ogni giorno mi chiedeva come mai quel ragazzo biondo non fosse in giro per casa o io non fossi con lui da qualche parte. Ed io rispondevo con un'alzata di spalle perché nemmeno io conoscevo il motivo per cui non fossimo insieme e questo mi rattristava e nel contempo mi faceva venir voglia di sbattergli la testa contro il muro.

Vibrò il cellulare, disturbando il sonnellino di Damon, che guaì infastidito. Cercai tra i cuscini quel maledetto aggeggio e quando lo trovai mi stupii del nome che mi mostrava il display: Edo.

Si era degnato di rispondere con una sola frase, che mi fece in qualche modo perdere la pazienza.

 

Edo

- Ero impegnato…e stasera ho una partita.

 

Chiedere scusa no eh?

Scattai in piedi nervosamente. Era telegrafico nei messaggi, ma questo era proprio una presa in giro e non ci stavo a farmi prendere per i fondelli da lui. Non voleva vedermi? Ebbene gli avrei rovinato i piani.

Guardai l'orologio, erano quasi le nove e mezza e quella sera non avevo programmi perché le ragazze erano tutte occupate, chi per una cosa, chi per un'altra e Niccolò era tornato tardi da lavoro e io non volevo farlo venire fino a qua solo per qualche ora, anche se l'avrei voluto. Sarei andata a quella dannata partita e gli avrei chiesto cosa diavolo aveva contro di me per non farsi più sentire. 

Entrai in casa e cercai le chiavi della macchina urlando che sarei uscita con Gemma per qualche ora. Salutai frettolosamente e montai sulla mia piccola Mini bianca per raggiungere il campo di calcetto, dove sapevo si svolgeva il torneo. Avevo praticamente visto tutte le partite e ormai conoscevo a memoria il campo dove giocavano: campo 4 coperto.

Spensi il motore dopo aver parcheggiato nella stradina parallela al parcheggio del campo, ovviamente pieno, visto le stagione di tornei di ogni genere, scesi e mi sembrò di entrare in un forno a microonde.  Diamine erano quasi le dieci eppure faceva ancora caldo.

Tu hai sempre caldo...

Praticamente me lo ripeteva sempre e io lo prendevo in giro dicendogli che lui non aveva sangue nelle vene. Aveva avuto i brividi anche quando avevamo parlato l'ultima volta al mare.

Un giorno ti dimenticherai di me.

Aveva torto. Era stato lui a dimenticarsi di me, tanto da non chiamarmi per quattro giorni consecutivi.

Ho bisogno di te e ho paura che qualcuno ti allontani da me.

Imbecille. Sei tu il soggetto a quella frase. Io avevo provato a chiamarlo e in risposta avevo avuto uno stramaledetto silenzio di tomba. 

Entrai nello stabilimento, dove ragazzi e uomini di ogni età erano vestiti con le loro divise colorate, alcune così assurde da farmi quasi sorridere. O meglio lo avrei fatto se non mi ribollissero dentro quelle insulse false parole.

Vagai con lo sguardo lì intorno e riconobbi Federico, il capitano della squadra di calcetto, con la sua maglia blu, la fascia rossa già a fasciargli il braccio e i pantaloncini dello stesso colore, con due righe bianche orizzontali sui fianchi. Stava dando le presenze all'arbitro di quella sera. Un ometto basso e con la pancia, aveva un non so che di Costanzo e questo mi faceva venire i brividi, in più la divisa arancio e nera da arbitro lo faceva sembrare un grosso canotto.

Passai di fronte allo spogliatoio F e aspettai, appoggiata al muro, che anche il resto della squadra uscisse, ma soprattutto un ragazzo biondo che solitamente giocava in difesa.

Federico si accorse di me e mi salutò con un cenno della testa per poi continuare a parlare con il sosia brutto e piccolo di Costanzo. 

Il mio piede intanto tamburellava sullo zerbino verde, impaziente e scalpitante. Nemmeno sapevo cosa avrei voluto dirgli. Mi sarebbe venuto in mente sicuramente.

"Che ci fai qua?" 

Ecco il momento di farsi venire un'idea. Perché dannato cervello non funzioni quando servi?

"Hai detto di avere la partita" 

Decisamente non collaborava quell'organo maledetto. 

Scostai le spalle dal muro e salutai velocemente un paio dei membri della squadra, riconoscendo Giacomo, e poi tornai a guardare il mio amico.

"Sì…e perché sei venuta?" chiese posando un borsone a terra.

Frugò nelle tasche esterne cercando non so cosa e ignorandomi completamente, aspettando con poco interesse una mia risposta, che però non tardò ad arrivare.

"Perché non ci vediamo da domenica" dissi incrociando le braccia al petto.

Nel linguaggio de corpo significava protezione e anche se non ci avevo mai pensato prima dovevo ammettere che in quella situazione lo stavo facendo. Volevo proteggermi da quello sguardo piatto.

"Ho avuto da fare…te l'ho detto no?"

Passò la carta d'identità a Federico e iniziò a togliersi l'orologio e il bracciale d'argento con la sua iniziale sopra, che come ogni volta non ne voleva sapere di sganciarsi. O meglio era difficile farlo da soli.

Sbuffai e mi avvicinai prendendo il suo polso. In un attimo il bracciale penzolava nella mia mano e glielo porsi senza ricevere una grazie. Non che me lo aspettassi, ma non capii veramente cosa gli stava succedendo. 

"Me l'hai detto, ma farsi sentire no?" sbottai un po' nervosa.

"Sono uscito con i ragazzi…e tu eri occupata quanto me o sbaglio?" 

Forse fu una mia impressione, ma pronunciò quella frase quasi con disgusto. Ed io che ero andata lì per stare con lui, capire come mai non mi aveva chiamata e soprattutto sapere come stava.

"Sì" annuii "ma non significa che non debba più vederti" scossi la testa sconsolata sapendo che tanto avrei potuto dire tutti i vocaboli del vocabolario o fare un'orazione perfetta al pari di Cicerone e non sarebbe cambiato niente. Perché dovevo sprecare fiato?

"Immaginavo che preferissi stare con lui" disse dopo una lunga pausa.

Che potevo rispondere? Certo che mi piaceva stare con Niccolò, ma non avrei abbandonato un amico per un ragazzo. L'amore può anche finire, ma gli amici veri sono così rari che perderli sarebbe una stupidaggine.

"Voglio stare anche con te…come con Vale, Vittoria e Gemma…" mormorai "poi tu mercoledì vai in ritiro…io al mare, non ci vedremo per un bel po'! Dai Edo, non ti sono mancata nemmeno un pochino?"

Solitamente funzionava fare il labbruccio come i bambini e nonostante fossi andata lì con l'intento di…bè, a dire il vero non lo sapevo perché ero corsa al campo. O meglio volevo vedere Edo.

"Sì…" abbassò gli occhi e afferrò la borsa.

"Allora andiamo in piscina domenica? Dillo anche a Giacomo, penso che a Vale piaccia sai?"

"Ok…scusa, devo andare"

Annuii in silenzio aspettando di sentirmi chiedere se volevo restare, invece si avvicinò solamente per accarezzarmi i capelli. Si era chinato, come a volermi dare un bacio, ma forse avevo frainteso, perché quando la mano, posata sulla mia spalla scivolò via, sentii solo un ciao e poi il numero 17 stampato sulla sua schiena allontanarsi fino a scomparire dietro la porta del campo coperto.

Sapevo per certo che non mi avrebbe mai chiamata e che quindi l'avrei dovuto contattare io. Non mi aveva mai pesato essere la prima a fare il primo passo quando le cose mi interessavano, ma in quel momento mi sembrava quasi uno spreco di tempo. Era evidente che avermi visto quella sera non fosse stato per lui una gioia, ma quasi un fastidio. Forse gli ricordavo Gemma…sì, era certamente così. Dovevo solo aspettare. Mi era sembrato strano in fondo che si fosse dimenticato di lei così i fretta. Bastava essere pazienti. 

Eppure c'ero rimasta male. Lì, immobile, con le braccia distese, l'espressione vacua e sola.

Tornai indietro percorrendo la stessa strada, con emozioni diverse e un umore decisamente più sollevato, ma anche con un certo fastidio, un qualcosa che forse, con il passare del tempo, sarebbe diventata più di un prurito sopportabile.

 

Venerdì sera era arrivato in fretta e anche più di quello che avevo sperato. Nonostante avessi passato un pomeriggio sotto il sole cocente tra le vie di Firenze alla ricerca di un abito per il matrimonio di mio cugino più grade. Dopo ben nove anni di fidanzamento aveva deciso di sposarsi. Il 5 settembre. Mia mamma mi aveva trascinata per negozi per "farsi un'idea" così aveva detto quel giorno a pranzo. Risultato: quattro ore e nessun acquisto. Per meglio dire nessun acquisto relativo alla cerimonia, perché poi mi ero comprata una canottiera carina e una gonna di jeans, quelle che avrei indossato quella sera. 

Ero in ritardo. Sembrava che quando dovessi uscire con Niccolò la puntualità fosse scappata nella tana con il bianconiglio di Alice.

Guardai l'orologio e avevo solo mezz'ora alle dieci. Corsi per casa come una matta ricevendo urli da mia mamma, che mi diceva di andare piano perché aveva dato la cera al marmo e rischiavo di catapultarmi giù dalle scale. Non accadde propriamente quello, ma finii con il sedere a terra davanti alla porta del bagno nello stesso momento in cui il campanello iniziò a suonare. 

Non poteva fare uno squillo? Certo che non poteva! Avevo il cellulare in camera e per giunta silenzioso. 

"Mamma è per me! Non aprire!" urlai afferrando la borsa e scendendo le scale a velocità fin troppo elevata. Ringraziai qualunque cosa non mi avesse fatto schiantare contro la porta d'ingresso.

"Giulia chi è?" ecco mia mamma che non si faceva i fatti suoi.

Non è che non mi lasciasse privacy o cose simili, semplicemente era come me: curiosa. Da qualcuno dovevo pur aver ereditato quella sfaccettatura del mio carattere.

Cercai di catapultarmi fuori congedandomi con un frettoloso ciao, ma appena tentai di mettere le chiavi di casa in borsa venni raggiunta da mia mamma. Per fortuna papà era fuori per una cena di lavoro.

"Vittoria ha cambiato macchina?" domandò sporgendosi per vedere dalla finestra.

"Ehm no…" balbettai.

Cercai di raggiungere la maniglia, ma non ci fu verso. Tanto valeva affrontarla.

"Quella di Edo non è bianca?"

"Sì mamma. Infatti non è Edo" spiegai con poca voglia "È un mio amico"

"Quando me lo presenterai questo amico?" scandì bene quell'ultima parola facendomi quasi ridacchiare.

"Non lo so…ma ora posso andare? È lì fuori da quindici minuti mamma…"

Volevo sbrigarmi ad uscire, sia per sfuggire alle grinfie di quella donna, sia perché il ragazzo in questione mi era mancato in quei giorni. 

Non era in programma essere scoperta così. Non che fossi una di quelle che non raccontano niente in casa, non tenevo le mie cose per me, o meglio, lo facevo qualche volta quando ritenevo giusto non spifferare ai quattro venti gli affari miei, ma in quel caso non c'era niente da dire. Era presto presentare una persona che probabilmente non avrei rivisto neppure dopo le vacanze. 

"Ok, vai. Torna presto però. E…ti chiamo verso le undici"

Annuii digrignando i denti infastidita. Non avevo due anni e non era necessario controllarmi. 

"Ciao mamma" 

Sfuggii il più in fretta possibile sperando di non sentirmi richiamare una volta fuori. Ne sarebbe stata capace, anche solo per curiosità. 

Aprii e richiusi il cancellino entrando in strada dove Nicco mi stava aspettando poggiato alla macchina. Sembrava tranquillo e per niente infastidito dal mio ritardo.

"Scusami, sono stata intrappolata da mia mamma" 

Invece di arrabbiarsi iniziò a ridere. Alzai un sopracciglio stupita.

"Non voleva farti uscire? Ho così tanto la faccia da cattivo ragazzo?" scherzò aprendo lo sportello della macchina.

"Ma no…è buio, quella non l'ha vista" ridacchiai "Sto scherzando! voleva solo sapere chi sei" 

Mi stupii io stessa di quella scioltezza. Non ero una ragazza solitaria né poco incline alle amicizie, ma con i ragazzi ero tutt'altra persona. Vale mi aveva confessato che cambiavo persino tono di voce.

"E tu che le hai risposto?" domandò curioso.

"Bè…" non mi restava che dire la verità "un amico" mormorai tornando la ragazza timida di sempre.

"E se l'è bevuta?" chiese ridacchiando.

Intanto aveva acceso la macchina e stava svoltando in fondo alla via per poi tornare a guardarla.

"Mi sa tanto di no. L'unico ragazzo che è venuto a prendermi a casa è stato Edo…quindi penso proprio che domani mi metterà seduta e mi tempesterà di domande" 

In quel momento ridevo spensierata, ma non so quanto avrei riso il giorno dopo quando le mie supposizioni sarebbero diventate realtà. Conoscevo bene mia mamma e niente l'avrebbe fermata dal suo intento di scoprire la verità.

"C'era da aspettarselo…non sai mentire bene tu!"

Alzai un sopracciglio stupita. C'eravamo un'altra volta con il fatto di essere un libro aperto per tutti, ma non era quello che mi aveva fatto chiedere "perché?".

"Non siamo propriamente due amici no?"

"Be'…no…" 

Eravamo due persone con un'attrazione reciproca, che piano piano cercavano di conoscersi per scoprire se quel qualcosa che provavano si sarebbe trasformato in qualcosa di importante. Probabilmente avevano scelto il momento sbagliato: l'estate. Si sa che l'atmosfera estiva porta ad essere più libertini. Forse è quel senso di libertà, forse le vacanze con gli amici, forse semplicemente l'aria.

Niccolò sarebbe partito da lì a pochi giorni e io non potevo certo pretendere chissà cosa da lui, né fedeltà né promesse.

"Allora concordi?"

"Sì"

In due minuti non avevo formulato una risposta che contenesse più di due sillabe.

"Bene, perché tu mi piaci. Te l'avevo già detto questo" si passò una mano sul collo come imbarazzato "Sto bene con te, anche se sembra un po' presto affermare una cosa del genere dato che ci conosciamo da poco più di una settimana. Vorrei che tu mi facessi una promessa."

Rimasi ancora più spiazzata. Che promessa potevo fargli?

"Mercoledì mattina parto…te l'avevo accennato vero?" annuii lasciandolo andare avanti "potrà sembrare pretenzioso, ma non sopporterei l'idea di te con un altro adesso. Non stiamo insieme, ma preferirei che non frequentassi nessun altro, come del resto farò io…puoi farmi questa promessa?"

Dentro di me sentivo il cuore fare le capriole. Non era certo una dichiarazione d'amore eterno, ma era un passo avanti e soprattutto si era messo in gioco, aveva confermato il suo interesse nei miei confronti.

"Posso" annuii "l'avrei fatto comunque anche se tu non lo avessi chiesto" confessai.

Tra i tanti difetti che mi caratterizzavano non c'era quello della falsità e del tradimento. Ero sempre stata fedele, che si trattasse di amicizia o di amore. L'ultimo campo ancora era da sperimentare perché con le storie brevissime che avevo avuto non si poteva affermare niente. 

"Ma dove sei stata tutto questo tempo?" 

"Qua ad aspettarti penso" 

La risposta mi uscì fluida e sembrava presa da un film sdolcinato e così romantico da far venire le carie anche solo guardandolo per dieci minuti. 

Parcheggiò in centro senza che nemmeno me ne rendessi conto e tolta la cintura si sporse verso di me posando una mano sulla mia vita e una sulla mia nuca portandomi verso di lui. Aveva veramente uno sguardo perforante, quello tipico del ragazzo cattivo, ma che inevitabilmente attraeva le sue prede nella rete. In quel momento però pensavo solo a quella bocca dannata che mi stava trasportando in un altro mondo.

"Se continuiamo così rimetto in moto e ti porto a casa" scherzò sulle mie labbra.

Il mio corpo stava urlando un bel sì, il mio raziocinio invece mi convinse che era meglio uscire all'aria aperta sperando di calmare i bollenti spiriti.

"Ok, andiamo. Ma dove andiamo?" domandai scendendo.

"Che ne dici di quel bar dietro la Piazza del Comune? Ci si sta bene e non c'è confusione…e non rischio di trovare i miei amici, che sicuramente ci proverebbero con te" rise.

Lui non avrebbe rischiato, ma io sicuramente avrei trovato metà della mia ex classe del liceo, speravo con tutta me stessa di non trovare il gruppetto delle tre galline starnazzanti.

"Quelli con cui vai in Sardegna?" domandai incamminandomi.

"Quelli. Sono vecchi compagni di scuola. Un branco di animali, ma sono simpatici"

Mi prese per mano ed intrecciò le dita con le mie.

"Sai che uno ha il tuo stesso cognome? L'ho incontrato giusto poco tempo fa, eravamo grandi amici poi ci siamo persi di vista quando si è fidanzato, ma siamo usciti insieme qualche volta in questi ultimi tempi" mi informò.

"Davvero? Mio cugino ha la tua stessa età, ma dubito che sia lui dato che non abita a Firenze e nemmeno è geometra!"

"Io non ho abitato sempre lì…a dire il vero stavo nel paese vicino al tuo fino a sei anni fa e non ho sempre frequentato l'ITG, ho frequentato per un anno l'istituto tecnico"

"Ok…non dirmi che si chiama Alessio ti prego!" lo guardai speranzosa nemmeno so per quale motivo, in fondo cosa ci sarebbe stato di male? Ma la coincidenza sarebbe stata veramente eclatante.

Niccolò iniziò a ridere e tra una risata e l'altra sentii qualche "sì". Non ci potevo credere.

"Magari è un omonimo…" borbottai fra me.

"Ne dubito, in più ora che ci penso vi somigliate molto sai?" disse.

Ci sedemmo ad uno dei tavolini del bar. Erano tutti sistemati nella piccola piazza, sotto ombrelloni neri e grandi a cui erano appesi piccoli lampadari bianchi. La musica usciva dalle casse donando un'atmosfera piacevole, ma il volume non troppo alto permetteva di parlare senza problemi.

"Non è possibile" iniziai anche io a ridere.

A volte la vita era veramente stravagante.

"Davvero" disse lui.

In quel momento arrivò il cameriere, che ovviamente conoscevo dato che passavo molte ore in quel bar con le altre. Valentino sorrise ammiccando, non era un segreto che fosse gay, ma doveva decisamente smettere di spogliare Niccolò con gli occhi.

"Cosa vi porto?" domandò gentile.

"Io un martini, tu piccola?"

"Un coktail alla frutta…dolce" 

I tavolini erano quasi tutti occupati, alcuni da coppie di ogni età, altri da gruppetti di ragazzi e ragazzini. Tutte le volte che ero stata lì avevo fatto parte di quest'ultimo gruppo. 

"Insomma sei la cugina di Ale…mi farebbe piacere rivederlo ancora" disse Niccolò.

"Quando vuoi, penso che anche a lui faccia piacere. Ad agosto è sempre in Versilia con me, quindi se volessi venire a trovarmi quando torni dalla Sardegna…"

Lo stavo invitando da me, non potevo crederci.

"I miei zii e i mie genitori se ne vanno una settimana in Corsica e noi siamo soli…cioè siamo io, i miei cugini e la ragazza di Ale, ma Enrico praticamente lo vediamo solo a cena e a dormire!" ridacchiai nervosamente.

Ok. L'avevo veramente invitato a passare qualche giorno a casa mia. Senza i miei genitori.

"Perché no, magari due giorni al mare prima di tornare in ufficio non sarebbero male. Grazie"

Ok. L'avevo fatto.

I miei non l'avrebbero mai saputo in fondo, quindi non c'era niente di male, era come se fosse venuto Edo. 

Ma chi vuoi prendere in giro? Edo non è Niccolò.

Nel frattempo arrivarono le ordinazioni e questa volta insistei per pagare il mio, ma come sempre ebbe la meglio Niccolò.

"Sei sicura che posso venire?" domandò dopo aver bevuto un sorso.

"Certo…a me fa piacere"

Eccome se ero entusiasta. Il tremore della mia voce però poteva far capire altro, ma era solo timidezza.

"E come mi presenterai quando arriverò?" 

La domanda venne fatta mentre il suo corpo si spostava in avanti, le braccia incrociate sul tavolino e uno sguardo che avrebbe fatto svenire chiunque. Soprattutto mi tolse tutte le facoltà di rispondere.

Quella era una domanda che non poteva avere una risposta giusta o una sbagliata, ma rimanere in silenzio non era concepibile. In quel momento però sentivo solo la voce di James Blunt che cantava …. e la mente che ronzava alla ricerca di qualche parola da dire.

"Come vorresti essere presentato?"

Rispondere con un'altra domanda era meschino, ma non ero il tipo da fare il primo passo.

Dire che era un'amico era riduttivo, ma etichettarlo come qualcosa di più era eccessivamente prematuro. Non mi restava altro che aspettare una sua risposta.

Lo vidi alzare un sopracciglio per poi indossare una faccia piuttosto seria, pensosa. Probabilmente nemmeno lui sapeva trovare una definizione adatta a se stesso in quel preciso istante.

"Come Niccolò per adesso credo possa bastare"

Gli sorrisi consapevole che una risposta neutra era la più adatta. 

Assaggiai finalmente il mio coktail, che aveva un piacevole retrogusto di ananas e kiwi, e osservai le labbra di Niccolò posarsi sul bicchiere ormai a metà e soprattutto colmo di cubetti di ghiaccio. Era di una sensualità unica e se non fosse stato per quella vocina stridula che pronunciava il mio nome incessantemente lo sarei stata ad ammirare all'infinito, ma dovetti alzare lo sguardo per vedere una mia ex compagna di classe venirmi in contro.

Non ero una persona scontrosa o che si faceva problemi a fare amicizia, ma avevo sempre odiato le persone frivole e soprattutto doppia faccia. Quelle che di fronte a te si mostrano dolci e buone e appena volti le spalle ne dicono di tutti i colori.

"Ciao Giulia! Oh pensavo fossi con le altre…" 

L'ultima parte la sussurrò con un tono basso e, ci avrei giurato, molto civettuolo, rivolta verso Niccolò, che la guardava senza darle troppo peso.

"Come vedi no" le risposi con troppa enfasi "Insomma come mai qua tu?" le chiesi tendendo volontariamente Niccolò fuori dalla conversazione.

"Al solito, una seratina tranquilla con le amiche" scosse i capelli neri, tinti, e lanciò l'ennesima occhiata al ragazzo di fronte a me "ma non mi presenti?" domandò civettuola.

Con poca voglia fui costretta a farlo.

"Lui è Niccolò. Niccolò lei è Irene, veniva a scuola con me" dissi brevemente.

Vidi lei porgere la mano al moro, che con un sorriso la strinse e poi tornò a guardare me. Non c'era stata nemmeno un'occhiata o un qualcosa che mi avrebbe potuto dar fastidio, ma ero terribilmente gelosa degli sguardi che lei lanciava a lui. 

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Lei amava le cose altrui, aveva sempre voluto quello che gli altri possedevano. Peccato che l'intelligenza non potesse comprarla.

Se c'era una parola per descriverla quella era sicuramente oca. Civettava con l'intera popolazione maschile e spesso aveva pure successo nonostante il suo trucco pesante e le sue gambe a x.

"Da quanto vi conoscete?" domandò lei.

Stavo per rispondere, ma qualcuno mi precedette.

"Ci frequentiamo da un bel po'" disse Niccolò sorridendole compiaciuto "l'ho conosciuta e non ho intenzione di lasciarla andare"

Irene rimase a bocca spalancata come uno stoccafisso. Non so se per lo stupore che uno come lui potesse uscire veramente con me o per la rabbia di saperlo impegnato e per niente incline a rispondere alle sue continue provocazioni. Perché lei lo stava provocando da quando si era avvicinata. A partire dalla posizione in avanti, più vicina a lui che a me, il continuo mordicchiarsi del labbro o lo sbattere di ciglia che tra un po' avrebbero causato un uragano.

"Ah…" fu l'unica sillaba che riuscì a dire.

"Non se ne trovano molte come lei, solitamente le donne sono tutte frivole e oche" 

Frecciatina.

"Ehm sì…scusate, sono già in ritardo" si affrettò a dire "Ciao, ci vediamo Giulia" detto questo scappò prima che potessi rispondere. E non che ne avessi intenzione.

Scoppiai a ridere senza freno. Io non avevo mai avuto il coraggio di dirle certe cose, non ero il tipo e la maggior parte delle volte lasciavo perdere perché sapevo di essere superiore a lei. Però fu troppo divertente vedere la faccia d'Irene sconvolta dopo le parole di Niccolò.

"Ti ringrazierò a vita" dissi cercando di smettere.

"Dovere" disse lui "non sopporto quel tipo di persona, chi indossa una maschera tutta la vita e dietro le spalle parla male di te con chiunque"

In meno di tre minuti aveva capito che razza di persona fosse quella ragazza. Era veramente un bravo lettore. Chissà cosa aveva visto in me.

"Be' grazie lo stesso" dissi sinceramente "Certo che quando vuoi sei veramente perfido" scherzai.

"Oh no…sono un bravo ragazzo, ma ho un lato cattivo anche io" mi fece l'occhiolino e si spose verso di me per sussurrami qualcosa nell'orecchio "per esempio…adesso vorrei stare un po' da solo con te, tutta questa gente mi dà fastidio. Che ne dici di andare?"

Non so se c'era veramente da fidarsi di quel tono di voce, ma era impossibile non seguirlo anche in capo al mondo, perciò non tardai ad annuire e rispondere affermativamente.

"Ok, ho un'idea" dissi stupendolo mentre ci incamminavamo "ti fidi? stasera guidi e ti farò da navigatore" scherzai.

"Va bene, stupiscimi piccola!"

Mi fermai in mezzo alla strada e mi alzai sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.

Ero veramente cotta di quel ragazzo.

  
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