Capitolo 13
Nei
giorni seguenti la
mia vita ritrovò una
strana e onirica monotonia: avevo deciso di tornare a lavoro subito,
perché Rita
aveva rinunciato ai suoi impegni per starmi accanto e non volevo farle
perdere
altro tempo, né farla preoccupare ancora inutilmente. Pur di
non lasciarmi sola
non era nemmeno andata a trovare Stè, lasciando a Fede e
Sofi il gravoso
compito di far da spola tra noi due. Inoltre stare in casa a piangermi
addosso,
non era mai rientrato nel mio modo di vivere e soprattutto in una
circostanza
come quella, che non aveva alcun modo per essere risolta, non avevo
alcuna
scusa per restare tra le pareti domestiche. Così mi gettai
sul lavoro,
m’impegnai in qualcosa che richiedesse la mia concentrazione
e che non mi
costringesse a stare sola con in miei pensieri… Tuttavia
questa risolutezza
l’applicai solo al lavoro, poiché non mi sentivo
ancora pronta per rivedere
Claudine e Alberto.
Il
mio senso di colpa e quello di Stè mi avevano fatto
comprendere quanto gli
esseri umani fossero fragili e quanto la loro vita fosse appesa ad un
filo, quanto
sia nostro dovere parlare chiaro con chi amiamo, aprirci a loro
finché possono
sentirci e reagire a ciò che diciamo. Non avrei mai
più avuto occasione di
rivedere il volto di Simona, quel volto così simile al mio
eppure così diverso,
non avrei più potuto parlarle, scontrarci,
aprirci… Avevo perso una persona
importantissima nella mia vita e mi ripromisi che non sarebbe mai
più accaduta
una cosa simile.
Per
questo motivo, prima di tornare a casa Castoldi, in
quell’ambiente così caldo
in cui regnava l’amore familiare più puro, prima
di rivedere l’uomo che avrei
voluto come padre, mi decisi una volta per tutte ad affrontare i miei
genitori,
per dir loro personalmente ciò che avevo lasciato in quel
biglietto.
Bussai
alla porta di casa (quanto tempo era trascorso dall’ultima
volta che ero stata
lì! Quella era stata anche l’ultima volta che
avevo visto Simo…) e vidi mia
madre che apriva la porta. Appena si rese conto che ero io, mi diede un
sonoro
schiaffo, ma dopo nemmeno un secondo mi abbracciò in
lacrime.
*****
«Perché
non sei venuta al funerale? Era tua sorella!»
Eravamo
seduti nel soggiorno, mi sentivo un’ospite in quella casa e
tremendamente a
disagio davanti agli occhi accusatori dei miei genitori. Quella domanda
postami
da mio padre sciolse il momento d’imbarazzante silenzio che
si era formato tra
noi.
«Non
ce l’ho fatta… stavo troppo male.»
I
miei genitori erano seduti uno accanto all’altra di fronte a
me, osservandomi
con un misto di dolore e rancore negli occhi e probabilmente con il
desiderio
di capire chi fosse in realtà, quella figlia che avevano
generato e che non
riuscivano a comprendere.
«Ti
aspettavamo… Credevamo che il tuo stupido orgoglio
l’avresti messo da parte
almeno per dare l’ultimo saluto a tua sorella… Ci
odi a questo punto?» mia
madre aveva il volto provato dalla sofferenza e dalla tristezza, mi si
strinse
il cuore nel vedere riflesso sul suo volto lo stesso mio dolore,
sommato al
dispiacere di vedere l’unica figlia rimasta in vita che le si
rivoltava contro.
Iniziai a dirmi di averla giudicata troppo severamente e pensai che
forse
potevo provare in quel momento così delicato, ad
approfittarne per
riavvicinarmi a lei e a mio padre: magari in quel momento erano
più disponibili
al dialogo, magari avrebbero voluto capirmi meglio per non perdere
anche
me… Sentii
le mie barriere protettive
abbassarsi e aprii loro il mio cuore:
«Io
non vi odio! E non è stato l’orgoglio a tenermi
lontano da Simona… Mi sentivo
in colpa… mi sento in colpa tuttora.»
«In
colpa? Con noi? Ma questo cosa c’entra con tua
sorella?»
«No,
non con voi… ma con lei!»
«Con
lei? E per quale motivo?»
«Perché
non le sono stata accanto quanto avrei dovuto, perché non
sono stata una buona
sorella per lei.»
Sperai
che potessero capire da dove nasceva il mio rammarico senza
alterarsi… mia
madre si zittì; fu mio padre a continuare.
«Pasifae,
non è solo con tua sorella che hai mancato, eppure non vedo
sensi di colpa da
parte tua nei nostri confronti! Non è una scusa plausibile,
almeno al funerale potevi
presentarti! Già tutti ci chiedono che fine tu abbia fatto,
con la tua assenza
alle esequie hai dimostrato a tutti di non amare più alcun
membro della tua
famiglia, senza contare che ci hai gettato la vergogna in faccia
fuggendo via
così!»
Le
mie speranze di essere capita andarono in frantumi
nell’istante in cui mio
padre prese parola: l’apparenza!
Tutto
si riduceva a quello, anche il dolore era solo un mezzo per dimostrare
quanto
la nostra splendida famiglia fosse legata! I miei genitori erano
arrabbiati
perché non avevo dato l’ultimo saluto a mia
sorella, ma ciò che premeva loro in
maggior parte era la figura che avevano fatto davanti a familiari e
conoscenti
con il mio più totale disinteresse nei loro confronti!
«Ecco,
lo sapevo! Simona era un pretesto per farmi notare quanto profondamente
vi avessi
messo la vergogna addosso! È sempre quello il nocciolo del
problema! L’apparenza,
il dovere, il sacrificio e la
buona condotta per non far parlare i vicini! Voi non vi rendete nemmeno
conto
di quanto il vostro modo di fare abbia fatto del male a Simona, di
quanto siate
oppressivi! Se non fosse stato l’infarto a portarcela via,
probabilmente mia
sorella si sarebbe suicidata prima o poi!»
Presa
dall’ira mi alzai in piedi e i miei genitori fecero
altrettanto: mia madre mi
diede un altro schiaffo sul viso, scandalizzata e offesa dalle mie
parole,
mentre fu mio padre a replicare alle mie dure accuse:
«Ti
rendi conto di quello che dici? Sono senza parole! Come abbiamo potuto
crescere
una figlia simile?!»
Arrabbiata,
delusa e amareggiata per la piega che aveva preso il nostro confronto,
cercai
di chiudere il discorso:
«Non
ti preoccupare papà, questa è l’ultima
volta che mi vedi!»
Mi
stavo voltando per andarmene quando mia madre mi prese per un braccio:
«Pasifae
ferma! Ho già perso una figlia, non voglio perdere anche
te!» Mi girai a
fronteggiarla con parole amare sulla bocca:
«Di’
piuttosto che saresti stata contenta di perdere me anziché
la tua diletta
primogenita! Io non sono mai stata il vostro orgoglio e non lo
sarò mai, è inutile
che ci giriamo intorno!» Il
mio
risentimento esplose senza barriere, compresi che con loro due non
avrei mai
potuto instaurare il rapporto che desideravo, non avrei mai avuto
ciò che Emile
aveva con suo padre…
«Non
dire sciocchezze simili! Sei nostra figlia e ti amiamo al pari di
Simona, anche
se non condividiamo il modo in cui vivi.»
«Mamma
questa è la mia vita e voglio viverla a modo mio! E se non
vi piace, non vi
disturberò ancora con la mia presenza.»
Mia
madre continuava a tenermi il braccio e mi osservava con il viso
contratto dal
dolore. Si ammutolì alle mie parole e mio padre
continuò per lei:
«Pasifae
stai esagerando, nessuno ha detto che devi sparire dalle nostre vite,
vogliamo
solo che tu riveda il tuo modo di vivere, ma questo non significa che
non ti
vogliamo qui con noi.»
«Io
non tornerò qui papà, non siamo fatti per vivere
insieme e lo sai anche tu!
Guarda come stiamo: ero venuta per parlare di Simona, per cercare di
farmi capire,
per aprirvi il mio cuore e invece siamo solo riusciti a recriminare e
ad
erigere barriere tra noi!»
In
quel momento a mia madre tornò la forza per continuare a
parlare:
«Ci
vuoi abbandonare così allora? Ci stai ripudiando
perché non siamo i genitori
che vuoi?»
«No
mamma, non vi abbandonerò, voi non sarete i genitori che
voglio, ma anche io
non sono la figlia che volete, in questo proviamo la stessa delusione!
Ma siete
sempre coloro che mi hanno messo al mondo, quelli a cui devo la mia
vita e
quelli che mi hanno cresciuto, in un modo che non comprendo ma che
è comunque
basato sull’affetto ed io nonostante tutto vi voglio bene. Ma
non posso venire
a vivere qui con voi, non gioverebbe ad alcuno di noi tre.»
Mia
madre e mio padre si ammutolirono, apparentemente vinti dalle mie
argomentazioni e vidi nascere la comprensione sui loro volti: anche
loro
sapevano che le mie parole erano vere, che per quanto ci si possa voler
bene,
quando si hanno dei caratteri incompatibili, quando si vede la vita in
due
ottiche opposte, non c’è legame che tenga, la
convivenza diventerebbe un vero e
proprio incubo. “Se
ami qualcuno devi
lasciarlo libero di andar via”; avevo letto questa frase su
qualche muro a
scuola e mi tornò alla mente in quel momento, mentre ero in
procinto di testare
l’amore dei miei genitori, soprattutto la loro propensione a
lasciarmi andar
via, libera di vivere a modo mio.
Mia
madre lasciò andare il mio braccio e chinando il capo, mi
disse:
«Ti
chiedo solo di non dimenticarti di noi» in
quel momento tornai a vederla fragile e disperata e il cuore
tornò a contrarsi
per qualche secondo, prima che la mia razionalità avesse la
meglio:
«No
mamma, non potrei mai dimenticarvi. Ci vediamo presto.»
Mi
voltai definitivamente diretta all’uscio e chiusi la porta
alle mie spalle
dicendo addio alle mie illusioni, abbracciando la nuova realistica
consapevolezza sul tipo di rapporto che avrei instaurato con i miei
genitori.
*****
Tornare
a casa di Emile mi fece uno strano effetto: l‘ultima volta
che ero stata in
quel luogo, tutto era diverso e la mia unica preoccupazione era la
malinconia
che sentivo perché lui non era lì. Da allora
erano cambiate alcune cose dentro
di me, avevo perso delle speranze ma ne avevo acquistate di nuove:
Emile mi
chiamava appena poteva, la prima cosa che faceva era chiedermi come mi
sentissi
e quando gli dicevo davvero come stavo, solo allora, passava a
raccontarmi del
tour e del successo che sembravano avere col pubblico. Era sempre
gentile e pacato,
eppure sentivo una nota di distacco in lui e continuavo a temere che
quella
premurosità fosse solo dettata da un suo senso del dovere
per ripagarmi per le
cure che prestavo a sua madre. Con lui il mio proposito di non
rimandare il
confronto con chi amavo era inutile, quel confronto c’era
già stato e avevo
ricevuto anche il benservito, eppure il nostro rapporto sembrava ora
più
confidenziale di prima, più intenso… potevo
davvero sperare di essere speciale
per lui o la sua gentilezza era solo formalità?
Sapendo
che sarei tornata da loro, Alberto rincasò un po’
prima per salutarmi: appena
mi vide mi salutò con un caldo abbraccio:
«Come
ti senti piccola?»
«Va
meglio ora, anche se non credo che mi riprenderò
mai.»
«Se
ti va di parlarne io ci sarò sempre ad
ascoltarti.» Mi guardò col solito viso
affettuoso e sentii il sincero attaccamento che aveva nei miei
confronti.
Senza
Emile in casa e senza di me a dargli una mano nel pomeriggio, Alberto
si era
ritrovato totalmente solo a dover prestare le cure a Claudine e non
potendo
rinunciare al lavoro per un mese intero, aveva dovuto chiedere aiuto ad
un
altro infermiere, che si alternava a Sabrina durante il giorno, mentre
la sera
Claudine era accudita esclusivamente da suo marito. In una situazione
simile,
non era stato in grado di venire a trovarmi e vidi nei suoi occhi un
sincero
dispiacere per non essermi stato accanto in quei momenti
così bui. Riscaldata
da quell’affetto e desiderosa di farlo sentire meno in colpa,
l’abbracciai.
«Grazie.»
Probabilmente
non aveva la più pallida idea di quanto avesse preso
importanza la sua presenza
nella mia vita, al contrario io in quel momento mi resi conto che di
quella
famiglia non avrei più potuto fare a meno; ne amavo ogni
singolo componente e
non avrei mai più potuto concepire la mia vita senza di
loro.
*****
Una
volta riprese le mie attività quotidiane, i giorni
iniziarono a scorrere via:
ero tornata alla mia routine e la mia vita sembrava essere come
l’avevo
lasciata, col solo dettaglio che un dolore forte e opprimente mi
premeva sul
cuore ogni giorno e che se solo mi fermavo a pensarci, venivo
schiacciata dal
senso di colpa. Cercai di non lasciarmi andare alla disperazione,
tentando di
pensare ad altro ogni qual volta il mio cuore sembrava pesarmi come un
macigno,
ma se non pensavo a Simona, spuntava l’altro mio cruccio, che
per forza di cose
era stato messo in secondo piano, ma che continuava a infestare i miei
sogni.
Emile
in quegli ultimi tempi non si era fatto sentire, non avevo sue notizie
da più
di una settimana: nei primi giorni di silenzio pensai semplicemente che
fosse
troppo occupato con il tour, ma quando si fecero più
numerosi, mi dissi che
probabilmente si era stancato di quelle formalità e iniziai
a temere di
ritrovarlo nuovamente distaccato e formale, una volta tornato a
casa…
Quanto
avrei potuto reggere ancora una situazione così logorante?
Eppure sapevo che
non avevo modo di sottrarmi a lui e a ciò che scatenava in
me ogni volta che lo
vedevo o lo sentivo: non avevo scelta, ormai ne ero consapevole, non
avrei
potuto fare altro che amarlo, qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi
cosa
avesse fatto nei miei confronti.
Un
tardo pomeriggio come tanti di quei giorni tutti uguali, scanditi
dall’alternarsi del dolore e della malinconia, allo scadere
del mio turno con
Claudine, invece di congedarmi Alberto mi trattenne con sé:
«Ho
preparato una cosa deliziosa. Vieni con me in cucina!» mi
prese la mano e mi
trascinò al piano terra.
«Ma
Claudine è sola...»
«Non
preoccuparti, Sabrina è ancora con lei, e poi ci metteremo
poco!»
Alberto
aprì il frigorifero e ne trasse due coppe di un dolce freddo
al cioccolato dall’aria
più che invitante:
«L’hai
fatto tu?!» gli chiesi sorpresa.
«Ebbene
sì! Sono un ottimo pasticcere, sai! Questa è una
delle mie specialità, la Coppa
Lussuria!» ed era proprio una lussuria dei sensi quel dolce!
Strati di
cioccolato alternati a biscotti e panna con una spruzzata di Nutella in
superficie, qualcosa che alzava
il tasso
glicemico a livelli epici e metteva anche dei chiletti addosso, ma che
almeno
una volta nella vita si doveva provare! Ero immersa nella delizia di
quel dolce
quando sentii la porta di casa aprirsi:
«Stanco
per il viaggio? Vieni a rallegrarti con noi, siamo in
cucina!» disse Alberto,
prima di infilarsi un cucchiaino stracolmo di bontà in
bocca: aveva le labbra
contornate di cioccolata e sembrava un bambino alle prime prese col
cibo, io
non dovevo essere da meno e ne ebbi conferma quando Emile comparve
sulla soglia
della cucina e si fece una grande risata:
«Siete
ridicoli! Due bambini ingordi!»
Si
appoggiò all’uscio della porta, lasciando andare
la valigia a terra accanto a sé
per osservarci divertito. Era visibilmente stanco eppure per me era uno
spettacolo: la sua figura alta e longilinea, quella pelle chiara che
risaltava
sull’abbigliamento blu scuro, il sorriso luminoso, gli occhi
lucenti e quella
chioma rossa che sembrava avere vita propria… Ero
così felice di vederlo!
Dentro di me ero preda dalla gioia più grande e quel sorriso
così spontaneo e
vero rivolto non solo a suo a padre ma anche a me, mi fece tornare
tutte le
speranze. Per di più, nonostante avessi dovuto sentire una
grande agitazione
nel rivederlo, la familiarità della scena e quel senso di
intimità che si era
creato in quel momento tra noi, non diedero spazio al mio cuore per
mettersi a
battere più velocemente e reagii alla sua battuta con tutta
la naturalezza del
mondo, come se non ci vedessimo che da poche ore:
«Saremo
anche ingordi ma siamo nel Paradiso ora! Non sai cosa ti stai
perdendo!» e
presi un’altra cucchiaiata di quella delizia.
«E
chi ti dice che voglia perdermelo!?» entrò in
cucina e si diresse direttamente
verso il frigorifero, l’aprì, prese la sua coppa e
si accomodò di fronte a me,
accanto al padre, che gli assestò un bacio al cioccolato
sulla fronte dandogli
il bentornato. Uniti da quella delizia che, seppure non era in grado di
togliermi il dolore dal cuore, era riuscita a darmi un benvenuto
momento di
felicità e di serenità, trascorremmo una
mezzoretta a parlare insieme in
armonia, come le famiglie a colazione delle pubblicità.
*****
«Sono
felice di vedere che stai reagendo.» mi disse Emile quando
suo padre andò a
congedare Sabrina per prendere il suo posto accanto a Claudine.
«Sì,
era inutile comportarmi in quel modo poco dignitoso, non avrebbe fatto
bene né
a me, né a…
a Simona.»
«Tante
volte mi sono chiesto come reagirei se perdessi mia madre…
Sai ogni volta che
ha una crisi mi preparo al peggio e non solo allora! Però
resta il fatto che
lei è ancora qui e nonostante mi dica di essere preparato a
perderla, credo che
nessuno di noi lo sia mai quando una persona cara se ne va.»
«Già…
non si è mai preparati. Simona mi mancherà per il
resto della mia vita e non
finirò mai d’incolparmi per non essere stata una
buona sorella con lei.» Emile
non replicò a quella affermazione, anche lui aveva un senso
di colpa non
indifferente verso sua madre anche se di natura diversa e capiva il mio
stato
d’animo. Rimanemmo in silenzio per un po’, entrambi
immersi nei propri
pensieri, finché Emile riprese a parlare:
«Pasi,
mi sono reso conto di non averti mai ringraziato per essermi stata
accanto
tutto il tempo quando mia madre ha tentato il suicidio.»
calò improvvisamente
la testa sentendosi colpevole.
«N-no
Emile che dici! Non ti preoccupare! E poi hai fatto altrettanto per me,
questo
vuol dire tanto credimi, vale più di tante parole, ti sei
sdebitato completamente!»
«Non
l’ho fatto per sdebitarmi... O meglio, non solo per
quello.»
Allora
il suo non era solo un gesto di gratitudine come credevo! Ma
allora…
«Quando
mio padre mi ha detto di tua sorella, ho pensato immediatamente a come
potevi sentirti
e ho capito che volevo stare accanto a te, che non volevo farti
affrontare quel
dolore da sola, così ho preso il primo aereo utile e sono
venuto.» lo ascoltai
senza aprire bocca, troppo in ansia, troppo agitata per dire qualsiasi
cosa:
Emile mi stava forse per dire…
«Pasi,
io… io ho capito di amarti… e la cosa mi
terrorizza!» Emile alzò gli occhi
verso i miei, mi guardò con un’espressione
tormentata sul viso: perché doveva
rendere così complicato un sentimento così
bello?! Mi amava! Emile aveva appena
detto di amarmi! Non riuscivo a crederci, non mi uscivano le parole di
bocca!
«Lo
so che detta così non è affatto una dichiarazione
romantica, ma non posso
nasconderti tutto ciò che provo, sia i lati positivi che
negativi. Ti dissi
tempo fa che la mia vita è votata al riscatto dei miei
genitori e che finché
avrò vita la musica avrà sempre la precedenza su
tutto ed è ancora così! Però
da quando sei entrata nella mia vita, sento che stai
prendendo prepotentemente un posto nel mio
cuore: ho lottato con me stesso per tenermi
a distanza da te ma ho capito che non riesco e non voglio mandarti via!
Ma non
voglio venir meno alla promessa che mi sono fatto, non voglio venir
meno a mia
madre: tu e lei ora vi state dividendo tutto ciò che
c’è dentro di me e sono
terrorizzato all’idea di perdere di vista i miei obiettivi!
Riesci a capirmi?»
Gli
occhi di Emile erano di un azzurro intenso, vedevo le acque agitate del
suo
animo rispecchiarsi nelle sue iridi cangianti e capii la tremenda
battaglia che
infuriava nel suo animo: non voleva perdere di vista il suo giuramento,
ma non
voleva perdere nemmeno me. Mi amava a questo punto! Mi amava quanto
amava sua
madre e questo lo spaventava perché non credeva di poter
amare così due persone
diverse! Aveva giurato a se stesso di vivere solo per la musica, si era
negato
il lusso di legarsi a qualcuno e invece ora si era ritrovato a
combattere (e a
perdere) davanti a ciò che sentiva per me!
Gli
presi le mani che in quel momento si stava torturando e con una calma
che non
avevo mai avuto prima in vita mia, gli risposi:
«Sì,
ti capisco, perché io stessa ho combattuto prima di
accettare ciò che provo per
te. Ma ora capisco anche che le nostre vite sono brevi e che dobbiamo
viverci
il più possibile le persone che abbiamo accanto, trovando un
giusto equilibrio
tra i nostri sogni, i nostri doveri e le persone che amiamo. Io non ti
chiederò
mai di rinunciare alla musica Emile, né di scegliere tra lei
e me. E non
rinuncerò mai a me stessa per starti accanto, non
rinuncerò ai miei sogni o a
ciò in cui credo. Io ti amo e che Dio mi benedica, ho il tuo
amore e questo è
ciò che conta, perché sono certa che riusciremo a
venirci incontro e a superare
gli ostacoli per il solo fatto che entrambi vogliamo il bene
dell’altro.»
Dove
mi fossero uscite parole così ponderate e decise non lo
capii mai, forse aveva
fatto capolino quella saggezza che Alberto diceva di vedere in me o
forse
lasciai che il mio cuore parlasse con la sua nuova consapevolezza.
Fatto sta
che dovettero avere effetto su Emile perché quando finii di
parlare, staccò le
sue mani dalle mie per prendermi il viso e baciarmi.
Mi
colse di sorpresa ma reagii immediatamente al suo bacio: le sue labbra
mi
cercavano, erano assetate e desiderose, ed io avevo sognato
così tanto quel
momento che non avevo la minima intenzione di staccarmi da lui. Sentivo
il suo
bisogno di me e conoscevo benissimo il mio, il nostro fu un lungo bacio
tanto
atteso e voluto, carico di speranza e desiderio.
L’abbracciai
forte a me, ero così bramosa di lui, che non volevo
staccarmi per niente al
mondo:
«Non
allontanarti da me, restiamo cosi.» gli sussurrai, mi strinse
forte a sé nello
stesso modo, sospirando il mio nome ed io mi sciolsi di
felicità tra le sue
braccia.
*****
Avrei
voluto godermi quella serata insieme ad Emile, ma sapevo che doveva
essere
stanco per il viaggio, inoltre non volevo iniziare ad essere
appiccicosa, anche
se ero sicura che entrambi avessimo il desiderio di trascorrere del
tempo
insieme. Ma quando gli dissi che tornavo a casa, mi rispose che se
avessi atteso
il tempo di una doccia, mi avrebbe accompagnato lui personalmente:
staccando le
mani dalle mie, mi diede un bacio e si avviò al piano di
sopra.
Ancora
non riuscivo a crederci: Emile mi amava!
Sentivo
ancora l’eco di quel bacio appassionato che ci eravamo
scambiati, così carico
di parole non dette e sentimenti repressi, che mi batteva forte il
cuore al
solo pensarci! Per un attimo pensai alla follia di quel momento: avevo
un
dolore immenso nel cuore, eppure ora quello stesso cuore batteva
all’impazzata
per la felicità… L’essere umano
è davvero un insieme di contraddizioni!
Salii
anch’io al piano di sopra per condividere quella gioia con
un’altra persona che
di sicuro sarebbe stata felice quanto me ad apprendere la notizia.
Entrai nella
stanza di Claudine: Alberto le stava dando un brodino mentre lei lo
osservava
con sguardo perso; quando fu palese la mia presenza, al padre di Emile
bastò
guardarmi due secondi negli occhi per capire che c’era
qualcosa di nuovo e
bello nell’aria:
«Finalmente
lo ha ammesso!» la sua era un’affermazione
più che una domanda ed io feci un
cenno d’assenso incapace di dar voce alla mia gioia:
possibile che Emile si
fosse aperto a suo padre? O forse più semplicemente, Alberto
aveva compreso
senza bisogno di parole cosa si agitasse nell’animo
tormentato di suo figlio…
«Oh
bambina, sapessi come sono felice! Vieni qua che voglio abbracciarti
come si
deve!» Si alzò dalla poltrona con le braccia
aperte ed io mi fiondai verso di
lui, per farmi avvolgere dall’abbraccio di
quell’uomo che desideravo fosse mio
padre.
«Era
ora figliolo! Menomale che ti sei deciso!» Alberto
urlò all’improvviso in
direzione del figlio, chiuso in bagno nella stanza accanto ed io mi
feci
piccola al pensiero dell’irritazione che di sicuro doveva
provare ora, sentendosi
prendere in giro da suo padre… ma un’altra parte
di me gongolava tantissimo!
Adoravo vederlo mentre perdeva la sua aria di superiorità e
il suo freddo
contegno: lo rendeva più umano, più reale,
più adorabile!
«Cherié
notre petit Emile est heureux finallement!» Alberto si
rivolse a Claudine in
francese, probabilmente era un modo per arrivare più
facilmente alla sua anima,
o era solo un vezzo, ma Claudine si volse verso suo marito e fece uno
stanco
sorriso, come se in un angolo della sua mente avesse compreso tutto
ciò che era
accaduto:
«Mon
petit Emile, est un bon fil.» rispose ed io ne fui sorpresa:
«Ti
ha risposto! Allora interagisce con te!» mi staccai
dall’abbraccio di Alberto
per guardarlo negli occhi.
«Qualche
volta piccola mia, quando le parlo in francese, qualche volta riesco ad
attirare la sua attenzione. Se poi le dico che Emile è
felice, è quasi sicuro
che reagisca, anche se in un modo del tutto distaccato dal
discorso.»
Ecco
perché Alberto non si rassegnava e non voleva rinchiuderla
in una clinica:
Claudine in qualche modo dava ancora dei segnali e al di là
di tutto, era viva,
per cui poteva ancora capire cosa accadeva intorno a lei ed esserne
stimolata!
Iniziai a sognare un giorno in cui come per magia, la madre di Emile si
svegliasse di colpo e tornasse a vivere, abbandonando una volta per
tutte
quello stato di catalessi che faceva soffrire tutti gli abitanti di
quella
casa. Sarebbe stato bello vederla muoversi attivamente, sentire la sua presenza, sentirla
parlare, ridere,
scherzare… di sicuro ne avrebbe giovato anche
l’animo sofferente di Emile!
Dopo
qualche minuto quest’ultimo sbucò
sull’uscio della porta e con aria inacidita
disse:
«Abbiamo
finito di fare mercato, sbandierando i fatti altrui al
vento?» Non capii se si
riferisse a me o a suo padre, ma m’importò poco,
adoravo troppo vederlo in
imbarazzo!
«Oh
insomma non fare l’acido, sembri una vecchia
zitella!»
«E
tu sei un’infida strega! Coraggio andiamo.»
«Vai
via Pasi? Non ti fermi a dormire qui?»
Ad
un tratto mi feci viola all’idea di dormire nella stessa casa
di Emile dopo ciò
che ci eravamo detti: di sicuro avrei trascorso la notte insonne prima
di
decidermi a saltargli addosso! Probabilmente visto il modo in cui mi
aveva
baciato, l’idea non lo repelleva, ma qualcosa mi diceva che
avrebbe avuto
ancora più paura di me se mi fossi lasciata andare in quel
modo. Per cui decisi
che sarebbe stato meglio se avessi messo distanza tra me ed Emile
quella
notte...
«N-no...
ecco... domani devo andare a lavorare, e... Emile è stanco
per il viaggio...»
balbettai anche più del solito e sapevo che quella risposta
avrebbe innescato
qualche battuta che non volevo sentire:
«E
quindi stasera non è il caso che vi divertiate,
capito!» Alberto colpì
immediatamente il segno e com’era suo solito si fece una
bella risata mentre il
mio volto prendeva tonalità dal fucsia
all’amaranto! Emile che si era
avvicinato a Claudine per salutarla, rispose
con una solita battutina acida:
«Eh
no, il divertimento l’abbiamo lasciato tutto a te che, noto,
te la stai
spassando! Vieni Pasi, andiamo.» Allungò una mano
in mia direzione per
invitarmi ad unirmi a lui. Salutai Alberto con un caldo abbraccio e
diedi un
bacio sulla guancia di Claudine che si voltò lievemente in
mia direzione,
sorridendomi col suo abituale flebile sorriso e mi affrettai a prendere
la mano
di Emile che mi attendeva in direzione della porta.
*****
«Perché
non mi hai detto che non vivevi più con i tuoi?»
Eravamo
fermi sotto casa di Rita ed Emile esordì con questa frase
appena spense il
motore dell’auto.
«Non
sono rimasto tanto sorpreso
nel sapere
che stavi dalla tua amica, quanto nel rendermi conto che la sua casa
era la
stessa che credevo fosse quella che dividevi con la tua famiglia! Ho
avuto un
momento di perplessità su quanto di vero io sappia di
te.»
«Vorresti
dire che per una cosa che ho omesso
già hai dei dubbi sul fidarti o meno di me?!»
«Diciamo
che ti ho vista sotto un’altra luce!» Lo sguardo di
Emile era insieme ironico e
in attesa di ricevere una risposta, così mi decisi a
parlare:
«Beh…
ecco… Avevo timore di deluderti. Tu desideri così
tanto avere tua madre accanto
ed io invece ho lasciato i miei genitori… temevo la tua
reazione!»
Mi
feci piccola, in attesa dell’ira per aver detto e/o fatto una
stupidaggine,
invece Emile parlò con calma:
«Ciò
che dici è vero, dentro di me spero sempre che un giorno mia
madre si risvegli
con la voglia di vivere e che torni ad essere presente nella nostra
vita… Ma
questo non significa che gli altri si debbano sentire in colpa se non
vanno d’accordo
con i propri genitori! È una scelta tua, che presumo avrai
ponderato
attentamente, quindi se hai deciso che questo è il meglio
per te, io non ho
nulla da rimproverarti. E poi cosa temevi? Che ti facessi la ramanzina?
Come se
non fossi capace di rispondermi per le rime!» Fece un
sorrisetto ironico, ma
non era malefico come il suo solito, era un sorriso caldo, lo stesso
sorriso
che rivolgeva a suo padre quando gli rispondeva: quel sorriso mi
scaldò il
cuore e mi buttai decisa tra le sue braccia.
«Sei
proprio venefico!» Emile si fece una risata e mi
circondò con il suo abbraccio:
«Adoro
vederti imbarazzata.» mi prese il viso dal mento e lo
sollevò verso il suo, «Adoro
vedere come i tuoi occhi si agitano in preda al tumulto interiore, come
le tue
guance diventino più rosa e come il tuo viso assuma
quell’espressione indifesa
di bambina.» avvicinò il suo volto al mio e mi
diede un caldo bacio. Le sue
labbra continuarono a esplorare il mio viso, baciò il mio
naso, la mia fronte,
i miei occhi... e poi scese lungo il collo… e
all’improvviso si staccò.
«Ora
vai sennò facciamo tardi, sogni d’oro mia
adorabile streghetta.» mi diede un
altro bacio e a malincuore mi separai da lui.
*****
Inutile
dire che quella notte non dormii granché, il mio sonno fu
costellato di sogni
strani: sogni dolci, sogni bollenti e sogni tristi. La gioia infinita
che
provavo si mischiava al dolore ancora troppo fresco per Simona, il suo
viso e
quello di Emile si alternavano e a volte si confondevano e in certi
momenti non
sapevo più nemmeno se essere felice o piangere.
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* "Tesoro, il nostro piccolo Emile è felice finalmente!"
** "Il mio piccolo Emile è un bravo figlio"
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NDA
ALLORA, siete contente
stavolta? xD
Capitolo lungo (come
piace alla sister Vale ^ ^) e, come
promesso senza lacrime e direi che per la parte finale un bel ALLELUJA
ci sta
tutto! xD
Ci sono voluti 13
capitoli e una triste dipartita, ma il nostro eroe finalmente ha
ammesso ciò che prova per Pasi, e ora siamo tutti
più felici! ^ ^
Mentre ricontrollavo questo capitolo, complice una certa ossessione finnica che imperversa da qualche tempo, ho pensato ad una canzone degli HIM perfetta per sottolineare il momento in cui Emile si dichiara a Pasi.
Si chiama " Scared to Death" e alcuni versi dicono così:
"Sono spaventato a morte,
Sono spaventato a morte
d'innamorarmi di te
...
E tu sei dolce come un veleno"
Io la sto canticchiando anche ora xDAngolo dei Ringraziamenti:
Amori mieiiiii!!! Il capitolo precedente è stato duro e impietoso e credetemi, mi sono commossa anche io mentre lo scrivevo, ho sofferto insieme a Pasi per la perdita di sua sorella. Per questo ho deciso che doveva meritarsi una felicità che compensasse almeno in parte il suo dolore ^ ^
Ma veniamo al dunque: le vostre reazioni al capitolo sono state altrettanto forti, e non mi ero nemmeno resa conto che ciò che avevo scritto potesse scatenare una tristezza e una sofferenza simile, per cui mi dispiace per avervi fatto star male (e spero di aver compensato con questo capitolo ^ ^), ma vi ringrazio ancora immensamente perché la vostra partecipazione al dolore di Pasi, ha reso la mia bimba viva anche dentro di voi, e non solo dentro di me. Grazie un milione di volte perché se non ci foste voi, questa storia sarebbe solo un file di Word messo in una cartella in un hard disk di un pc qualsiasi.
Grazie davvero tesore mie, di cuore <3
Grazie infinite anche a chi ha messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. Grazie mille davvero!