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Autore: reb    29/10/2011    6 recensioni
Prima non ci aveva fatto caso per via del buio, ma era carina. Con quella pelle chiara e le lentiggini sul naso. Poi occhi così non ne aveva mai visti.
-Perché non togli il cappello?- chiese curioso il bambino – Hai le orecchie a punta? O magari come un gatto?-
-Hai i capelli rossi!-
[... ...]
Perché quella bambina conosciuta tanti anni prima, che per i primi mesi si era aggirata curiosa per il castello con la sola compagnia di Mocciosus, adesso era diventata non solo bellissima, ma anche popolare. E tutti, tutti dannazione, non facevano che girarle intorno.
Eppure avrebbero dovuto saperlo che Lily Evans era territorio proibito!
-Eeevaans?- esclamò ancora vicino alla carrozza.
-Esci con me, Evans?-
Era talmente presa dai suoi pensieri che nemmeno l’aveva visto avvicinarsi. -Quante volte devo dirti di no, Potter, prima di farti capire la mia risposta?-
-Tante quante io ne impiegherò per convincerti a darmi una possibilità.- rispose serio lui.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Era l’ultima sera a casa Evans e sua madre aveva iniziato a sclerare dal giorno prima, intimando a lei di scrivere più spesso e a James di non sparire, promettendogli di mandargli al più presto i suoi biscotti preferiti e arrivando perfino a invitarlo per le vacanze pasquali, visto che Natale era sacro e andava passato in famiglia.
Suo padre si limitava a scuotere la testa, conscio dell’impossibilità di frenare la moglie, osservando però divertito i tentativi della figlia di farlo e, allo stesso tempo, la lotta interiore di James, diviso a metà tra il desiderio di tornare e stare accanto a Lily e i rifiuti educati e gentili, inutili con quel vulcano di Anne tanto quanto una bottiglia d’acqua per spegnere un vulcano, vero questa volta.
George represse una nuova risa vedendo la figlia pronta a prendere fuoco nel tentativo di riportare la madre all’ordine, mentre lui e James erano impegnati in un’agguerritissima partita a scacchi. Con l’andare dei giorni quel ragazzo gli dava sempre più filo da torcere e avrebbe scommesso che entro sera sarebbe riuscito a batterlo.
Era da ammirare un ragazzo del genere. Ci voleva intelligenza e perseveranza in quel gioco, e a quel ragazzo non mancavano di certo. Avrebbe potuto voler dire lo stesso di Vernon, il marito della sua piccola Petunia, ma la ragazza era felice con lui e questo bastava.
-Mamma! Adesso stai esagerando!- strillò Lily, rossa in faccia tanto quanto in testa, sotto gli sguardi divertiti di James e del padre.
-Perché? È stato così divertente avere James in giro per casa…sarebbe un piacere caro riaverti qua per qualche giorno.- continuò imperterrita la donna, ignorando lo sguardo assassino della figlia.
-Non ti viene in mente che forse ha già altri programmi per Pasqua, o che comunque potrebbe avere di meglio da fare? Senza avere il tuo fiato sul collo, intendo…-  riprese la figlia, parandosi davanti alla madre, impedendole così di continuare a ignorarla.
-Oh, suvvia tesoro, non lo sto costringendo mica…però caro, anche mia madre sarebbe felice di vederti. E il giorno dopo Pasqua tutta la famiglia si riunisce per pranzo a casa sua.-
Lily sapeva che sua madre aveva la stessa perseveranza di un carro armato col pilota automatico, quindi pronto perfino a passare sopra le altre macchine pur di raggiungere l’obbiettivo, però qualcosa non tornava. Normalmente avrebbe riempito Potter di chiacchiere fino a portarlo all’esasperazione pur di convincerlo, come faceva con lei o con qualunque altra persona che si mostrava fermante contrarie alle sue idee. Oppure avrebbe puntato alla sua educazione o qualunque altro punto debole, per convincerlo a passare almeno un paio di giorni con loro, se avesse visto anche solo una minima traccia di desiderio di accettare.
Ma non poteva attuare nessuna delle due tattiche, perché tre lei e sua madre, avevano impedito al ragazzo di articolare anche la minima risposta. Eppure continuava imperterrita, come in un monologo, senza considerare lei e nemmeno il possibile ospite.
Cose se stesse cercando di tenerla impegnata e…oddio! Cosa le stava nascondendo adesso, quella maledetta di sua madre?
Lanciò un’occhiata incendiaria al padre e vedendolo stirare un sorriso e scrollare le spalle, prima di tornare alla sua partita con Potter, capì di averci visto giusto.
Certamente non poteva essere un’altra cena di famiglia, visto che perfino una persona pacata con il marito, avrebbe dato di matto a doverli avere in casa per la seconda volta in una sola settimana.
-D’accordo mamma, fuori il rospo!- le intimò severa, perfettamente calata nel suo ruolo di Caposcuola, tanto che Lily vide Potter alzare il viso di scatto, lo sguardo preoccupato conoscendo cosa poteva capitare quando la ragazza adottava quel tono o forse soltanto come riflesso involontario per le volte in cui si era rivolta a lui così.
-Anne sta nascondendo una rana?- chiese James sottovoce in direzione di George, incredulo dalla prospettiva.
In quei giorni tra i babbani, in cui Lily lo aveva portato in giro a volte come un pacco, James aveva capito che i babbani erano molto più schizzinosi dei maghi verso rettili o altri animali viscidi. Per non parlare della possibilità di toccare interiora o bulbi oculari, che a detta della rossa, erano considerate quasi eresie e trovava perciò altamente improbabile che Anne ne avesse toccato uno.
George per tutta risposta rise divertito scuotendo la testa borbottando un “è solo un modo di dire”, prima di tornare a concentrarsi sulla scacchiera, lasciando alla moglie l’onore e l’onere di dire la verità alla figlia, almeno quella volta.
-Staseravieneacenatuasorella!- la donna sputò fuori tutto in un soffio, sembrando ancora una volta molto più giovane della sua età quando nascose il viso dietro le mani, spiando però la reazione della figlia tra le fessure delle dita.
James ormai c’era abituato. Capitava spesso che Anne si comportasse come una ragazzina, e in generale comunque era molto giovanile per la sua età. Aveva quarantatre anni, come gli aveva confidato, ma ne dimostrava dieci meno.
Doveva aver giocato tantissimo con Lily da bambina.
La immaginava a correrle dietro ridendo, fare smorfie per far ridere una piccola bambina dai capelli rossi e incredibili occhi verdi. Doveva essere stata una madre fantastica, e lo era tuttora, nonostante facesse irritare la figlia ogni due minuti.
Pur non avendo capito la confessione di Anne, James capì che Evans lo aveva fatto quando avvertì l’immediato cambio di atmosfera e guardò George preoccupato, non sapendo come comportarsi.
Vide poi Lily sospirare e passarsi nervosa una mano tra i capelli, spostando lo sguardo in tutta la stanza fino a incontrare quello preoccupato di James.
-Lo sa?- chiese solo alla madre. Chi e cosa, James non avrebbe saputo dirlo.
Dopo averla vista annuire Lily annuì a sua volta e si voltò di nuovo verso James.
-D’accordo Potter, andiamo a scegliere i vestiti per stasera. O altrimenti Tunia darà di matto.- lo informò occhieggiando i vestiti da mago che nonostante tutto in casa continuava a portare.
Ancora senza avere bene in chiaro la situazione, o almeno il problema visto che si trattava comunque solo della sorella, lasciò la partita a metà scusandosi con un’occhiata con George e seguì Evans al piano superiore.
 











***










 
La stanza degli ospiti era la stanza preferita di Anne Evans, ma questo James non poteva saperlo.
Era la sua stanza preferita non per un particolare mobilio, né per il verde delicato delle pareti. Non lo era nemmeno per la particolare posizione della stanza rispetto alla strada o a quello che si poteva vedere dalla finestra. A ben vedere non era nemmeno per i soprammobili che con gli anni erano andati sempre più diminuendo, per le foto appese alla parete nord della stanza e nemmeno…insomma era la stanza preferita di Anne, ma per un motivo che non aveva niente a che fare con la stanza in sé. Quando per l’uso cui era adibita. E, paradossalmente, vista la soddisfazione che Anne traeva nell’avere ospiti in casa, non era nemmeno quello il motivo.
Anne adorava quella stanza perché, da maniaca delle pulizie quale era, rimaneva perfettamente in ordine per la gran parte dell’anno e una volta che l’ospite di turno levava le tende, lei poteva riprenderne pieno possesso per assoggettarla al proprio volere nonché al proprio ordine mentale.
Sarebbe stato quindi un grande shock vedere in che stato la propria adorata secondogenita aveva ridotto quell’oasi di pace e armonia, in una casa altrimenti troppo vissuta e in movimento per i gusti della donna, dopo nemmeno una mezz’ora da quando era salita insieme a Potter.
E, sebbene James non provasse certo per quelle quattro mura l’affetto che si nutre per un figlio che si è cresciuto con attenta cura e malcelato orgoglio materno, quale provava invece la signora Evans, guardava incredulo l’enorme montagna di vestiti che andavano sempre più accumularsi sul letto.
Una montagna che, e ne era sicuro, non aveva portato con se da Hogwarts. Ma che Evans aveva fatto spuntare da ogni dove.
E infatti non era un caso se, seppelliti da jeans, camicie e pantaloni di morbida fattura magica, c’erano anche un paio di completi del signor Evans, apparsi da chissà dove giacché la ragazza non aveva usato la propria bacchetta, e scartati in pochi secondi vista la faccia schifata del ragazzo.
George aveva certamente buon gusto nel vestire, ma il fatto che contasse più del doppio dei suoi anni, che fosse più basso di lui e che avesse almeno un paio di taglie in più, rendevano James parecchio scettico nell’indossare qualcosa di suo e riportare un esito positivo. E alla fine perfino la rossa doveva essersene resa conto.
Potter si alzò dal davanzale della finestra su cui era rimasto seduto fino a quel momento, lasciando Evans libera di impazzire in tutta libertà dietro la ricerca di solo Merlino sapeva cosa, per buttarsi a peso morto sul letto, schiacciando tra l’altro sotto di se un paio di pantaloni, e iniziando a rispondere alla lettera che sua madre gli aveva mandato quella mattina a colazione.
Anne era rimasta quasi pietrificata vedendo quel gufo apparire all’improvviso e una volta finito il proprio bacon aveva perfino rimandato di riordinare la cucina per telefonare alla madre ed esporre così le proprie rimostranze sul costante conformarsi a un sistema con una persona che capisse.
Quando James aveva chiesto spiegazioni George, credendo di averla in qualche modo turbata per l’improvvisa apparizione del volatile, l’uomo aveva ridacchiato raccontandogli di come la moglie avesse partecipato nel ’68 a una serie di proteste pacifiche nel cuore di Londra, trascinandosi dietro le figlie che allora avevano otto e dieci anni, e che sembrava portare tutto’ora avanti silenziosamente proprio con quell’assurda storia della posta a colazione.
-Ehi Evans, pensi che i tuoi genitori se la siano presa visto che i miei non hanno mandato loro nessuna lettera per ringraziarli dell’ospitalità o quantomeno presentarsi?- chiese dopo un po’ il ragazzo, rileggendo alcune righe della lettera della madre.
-Cosa? E perché?- rispose lei distratta, continuando a sguazzare in quel bel laghetto di vestiti.
-Beh sono stati così gentili da ospitarmi pur non avendomi mai visto e…- provò a spiegarle le perplessità espresse dalla madre, ma che erano apparse un paio di volte perfino nella sua mente.
-Era un progetto scolastico e avevo detto loro chi fosse il mio compagno. Credo avessero già messo in conto di non averti mai visto. Dopotutto loro conoscono solo Severus e le ragazze.- gli spiegò lei buttandosi quasi di testa tra i vestiti e armeggiando allo stesso tempo con delle cravatte.
Ma che diavolo voleva fargli mettere per quella cena? E soprattutto perché sembrava così nervosa? In confronto il giorno della cena con tutta la famiglia Evans era stata allegra.
E se per un attimo pensò che fosse perché voleva che lui facesse buona impressione sulla sorella, James fece presto a brandelli quel pensiero felice, ricordando che il rapporto tra le due non era proprio idilliaco.
-Potrei dire a mamma di mandare ai tuoi un cesto di ringraziamento, cosa ne pensi? Mia madre li adora…- cercò di distrarla ancora, sperando allo stesso tempo di trovare una soluzione a quella situazione che sua madre aveva definito “lontana da qualunque anche minima pretesa di buone maniere”.
-Ma figurati! Mamma si è divertita così tanto con te intorno che non c’è alcun bisogno di ringraziamenti. Credimi, se vuoi farla felice basterà che tu le scriva un paio di righe per Natale e ti riempirà così tanto di dolciumi che non saprai che fartene…ma ora basta! Provati questi!- gli ordinò alla fine allungandogli un paio di pantaloni e una semplice maglia rossa.
-Evans, mi vuoi dire qual è il problema? Voglio dire non ci saranno le tue cugine che cercano di sposarmi, tuo zio mi adora viste le mie conoscenze astronomiche e tua nonna…- le disse con i vestiti in mano.
-E’ che…è che…Ti ho mentito. I miei parenti…se non sanno niente non è solo per il decreto. Ma anche per mia sorella. Tunia, ecco lei…mi odia.- confessò alla fine giocando nervosamente con una cravatta a righine e senza guardalo in faccia.
James non sapeva esattamente come comportarsi. Cosa si doveva dire quando la ragazza che ami da tutta una vita ti confessa che la sorella la odia? Avrebbero dovuto tenere corsi sull’argomento a Hogwarts, invece che assurdità come Antiche Rune o Divinazione.
Quando Sirius gli aveva raccontato dei suoi problemi sempre più grossi con Regulus era stato facile. Erano al quarto anno e si erano ubriacati per la prima volta, evadendo la sorveglianza di Gazza quanto quella di Remus grazie al Mantello dell’Invisibilità. Quando poi i rapporti con il Serpeverde erano cessati del tutto, avevano preferito una corsa nella foresta come Animaghi e un tuffo nel lago, rischiando quasi l’ipotermia, oltre che l’espulsione.
Ma cosa doveva dire a Evans?
Per quanto di lei avesse imparato nel corso degli anni, che aveva tanti modi di sorridere, che si aggiustava i capelli quando era nervosa, che si stropicciava il naso quando era stanca e che si mordeva le labbra per non urlare, non conosceva l’altra Evans.
Della Evans che viveva tra i babbani non sapeva niente. E questo lo bloccava.
-Sono sicuro che ti sbagli. Magari le manchi soltanto…- provò ad articolare prima di zittirsi vedendola scuotere il capo con un sorriso triste. E gli occhi, ancora non riusciva a vederli.
Come poteva capire cosa pensava se gli impediva di guardarla negli occhi?
- Petunia non mi parla da anni. Se escludi gli insulti, poi, non lo fa da quanto sono partita per Hogwarts al primo anno.- continuando a stringere la cravatta come a volerla spezzare, Lily, si andò a sedere sul letto vicino al ragazzo, prima di riprendere.
-Voleva entrare anche lei a Hogwart, lo voleva davvero tanto, ma Silente le spiegò che non era possibile. E lo stesso fece la professoressa McGrannit quando venne a casa a parlare con i miei per convincerli che non era uno scherzo. Per il resto dell’estate Petunia fu intrattabile, ma ero troppo occupata con questo nuovo mondo per preoccuparmene troppo. Ascoltare le storie di Severus su Hogwarts e sulla magia mi impediva di pensare ad altro.-
James strinse una mano a pugno sentendo il nome del ragazzo. Era nei suoi ricordi già prima di Hogwarts, era stato il suo più caro amico, ricordò con una fitta di gelosia.
Quanto era stato stupido, Mocciosus, a gettare via tutto quanto solo per un po’ di potere?
A gettare via lei, per un po’ di potere.
-Sai mi sono resa conto che la sua rabbia era una rabbia strana, diversa da quella con cui aveva accolto la mia lettera, solo il giorno della partenza. Mi volevo convincere che era dispiaciuta perché non mi avrebbe rivisto per mesi e anche perché non era stata ammessa e le promisi che avrei chiesto al preside se poteva fare un’eccezione, ma…non ne volle sapere. Da allora era andato tutto sempre peggio.- James aveva la strana sensazione che mancasse qualcosa a quella storia, che Lily non gli avesse detto tutto, ma il desiderio di farla stare meglio era più forte perfino dell’istinto.
Così le accarezzò piano i capelli, ancora impantanato in quella strana sconosciuta che era quella nuova Evans, e rimase sorpreso di sentirla appoggiarsi a se, la sua testa sulla spalla, nascondendo però ancora gli occhi.
Avrebbe giurato che stesse piangendo, se fosse stata completamente un’altra persona. Ma in quei giorni a casa sua, tra i comportamenti inusuali della ragazza aveva ritrovato anche che aveva tanti modi di sorridere, che si aggiustava i capelli quando era nervosa, che si stropicciava il naso quando era stanca e che si mordeva le labbra per non urlare, che non era poi così diversa dalla ragazza che aveva imparato a conoscere. E capì che no, Evans non stava piangendo anche se avrebbe voluto farlo.
Forse perfino loro due avevano qualcosa in comune. Lui sorrideva sempre, anche quando non voleva farlo.
E, adesso lo capiva, Lily aveva qualcosa in comune perfino con Sirius.
 

-Ha parlato con me perché un po’ ci assomigliamo.- commentò a bassa voce Sirius.

 
Ricordava perfettamente le parole che gli aveva detto in Sala Comune quella sera, dopo averli trovati abbracciati. E se quella notte Sirius gli aveva dato solo qualche vago indizio, problemi in famiglia…sua sorella…, adesso capiva almeno cosa volesse dire.
-Sirius avrebbe saputo cosa dire.- commentò vagamente con una punta di amarezza, in linea con i pensieri di poco prima, quasi senza rendersene conto.
-Black avrebbe detto tutto e niente. Come quella sera…sai, ero convinta che ti avesse detto tutto.- ammise la ragazza sotto voce.
James provò ancora una nuova fitta di gelosia al pensiero di quei due insieme, soprattutto di quel segreto solo loro che continuavano a custodire, ma la mise a tacere.
-Non mi ha detto niente. Solo che un po’ vi assomigliavate…- confidò lui, glissando sul piccolo indizio che l’amico gli aveva comunque dato, vista l’inutilità dell’informazione quando l’aveva ricevuta.
-Più di quanto credi…- bisbigliò ancora lei, prima di alzarsi a ributtarsi a capofitto tra i vestiti con un –E ora muoviamoci. Abbiamo perso anche troppo tempo.-
E se James avrebbe potuto rimanerci male da quel totale cambio di discorso, quasi non fosse mai avvenuto come ormai era tipico di lei, vedendo che aveva smesso di fuggire il suo sguardo almeno un poco tutto cambiò. Gli bastò incontrare quegli occhi sensazionali, di un verde ancora lievemente umido, per leggerci dentro il sorriso grato che le labbra ancora non riuscivano a fare.
 












***












 
Erano le sette e quarantacinque. L’ora era giunta, perché Lily, conoscendo sua sorella, avrebbe giurato che nel giro di dieci secondi avrebbe suonato alla porta di casa.
Sentiva i crampi allo stomaco tanto era agitata e ormai aveva perso il conto delle volte in cui si era alzata dal divano, aveva controllato la tavola e poi il vestito di lana verde che aveva indossato, prima di tornare a sedersi, sobbalzando però a ogni minimo rumore.
Suo padre la guardava con malcelato dispiacere, conscio di quanto l’attesa la stesse snervando e di quanto la serata avrebbe fatto il resto, rovinandole del tutto l’appetito e i nervi. Lily si ritrovò tristemente a pensare che ormai avrebbe dovuto essere abituata a tutto quello, eppure ogni volta non poteva fare altro che cercare di reprimere aspettative e speranze di fronte alla necessità di salvaguardare se stessa e il proprio cuore.
A undici anni era rimasta impotente di fronte all’odio che Petunia le aveva riversato addosso. E così l’estate dopo e quella dopo ancora, fino a capire che l’illusione che l’aveva accompagnata negli anni di ricucire i rapporti con la sorella, ritornare quella bambina di undici anni che vedeva nella sorella la sua migliore amica, era soltanto quello, appunto. Un illusione.
Così continuava ad agitarsi senza scopo, forse sperando che l’ansia avrebbe ucciso l’aspettativa. Forse sperando che il movimento avrebbe soltanto fatto passare più velocemente quei minuti di attesa.
E il senso di colpa che provava verso Potter da quasi dieci minuti non aiutava, sebbene le distraesse la mente.
Certo quello stupido non poteva pensare che l’apparire improvviso, in un momento critico quale era quello che stavano vivendo, di un gufo l’avrebbe ben disposta. Nei confronti del ragazzo o del gufo non importava, visto che gli aveva urlato contro con tutto il fiato che aveva in gola, minacciando di schiantare, lui e il pennuto, quando l’aveva visto tirare fuori la bacchetta per pronunciare un Engorgio e riportare alle originali dimensioni il cesto di ringraziamento che mamma Potter aveva mandato ai signori Evans debitamente ridotto, per evitare così l’infarto per sovraccarico al piccione.
Lily sapeva che nel corso della settimana erano arrivati a una specie di compromesso riguardo gli incantesimi, che erano stati di fatto relegati alla casa soltanto, ma comunque permessi, ma come poteva essere venuto in mente a quell’enorme idiota di fare una magia quando sua sorella avrebbe potuto entrare in casa da un momento all’altro?
Eppure gli aveva spiegato quanto fossero orribili i rapporti con Tunia, anche se forse aveva omesso qualcosa.
Come “mostro” o “abominio” o ancora “terrore”.
Ma nonostante gli anni passati ancora non riusciva a credere che sua sorella le avesse detto davvero cose del genere, figurarsi a dirlo ad alta voce.
-Lily, tesoro, perché non vai a chiamare James? Vernon sta parcheggiando ora l’auto.- le disse gentile il padre, probabilmente per darle la possibilità di riprendersi prima dell’inevitabile.
Era stata così tanto presa dai suoi deprimenti pensieri da non aver neppure sentito il rumore. O forse semplicemente le sue antenne, tese fino allo spasmo per tutto il pomeriggio, avevano definitivamente rassegnato la resa dichiarandosi sconfitte di fronte alla sua pazzia dilagante.
Perché ovviamente era quello il suo problema.
Nonostante il dolore che provava ogni volta, infatti, non ricordava di essere mai stata così tanto nervosa per un incontro con Petunia. Ma forse l’isteria era dovuta soltanto all’aver saputo dell’incontro solo qualche ora prima, non avendo così avuto il tempo di preparasi mentalmente a quello che l’avrebbe aspettata.
-Ehi Potter è arrivata mia sorella.- lo chiamò attraverso la porta, pronta a vederselo apparire davanti arrabbiato o quantomeno risentito dopo il trattamento cui l’aveva sottoposto poco prima.
E invece se lo vide apparire davanti con il suo solito sorriso da schiaffi e per l’ennesima volta Lily si ritrovò a considerare che James sorrideva sempre, anche quando chiunque altro lo avrebbe fatto, che con lei lo faceva sempre o quasi, le volte che l’aveva visto irritato o anche solo dispiaciuto di qualcosa che lei aveva fatto o detto si potevano contare sulle dita e solo recentemente.
Ma per la prima volta capì coscientemente che non era giusto.
Non era giusto che James sorridesse sempre, probabilmente anche quando non voleva farlo. Non con lei almeno.
Capì che l’isteria non era dovuta a psicosi né paura. Era per James. Non avrebbe mai voluto gettarlo in pasto a Petunia, non avrebbe mai voluto che tastasse con mano il disprezzo di sua sorella per quelli come loro.
Non voleva che venisse riversato lo stesso disprezzo anche su di lui, che non c’entrava niente, ma soprattutto non se lo meritava.
E lo capì nel momento in cui, entrando in soggiorno, i suoi occhi si incontrarono con quelli impauriti di Petunia.
 












 

***










 
 
Erano passate tre ore da quanto Petunia e suo marito Vernon erano arrivati.
La cena di Anne era ottima come sempre, per quanto James spesso si ritrovasse nel piatto roba che non aveva mai mangiato prima, bel lontani dai pasticci di zucca o dal crumble al rabarbaro con crema alla vaniglia cui il loro elfo l’aveva abituato.
E forse era proprio il cibo che rendeva quella serata sopportabile, non era un caso, dopotutto, che dopo la prima portata avesse accolto con gioia il continuo riempirgli il piatto da parte di Lily prima e Anne poi, che gli evitava di dover intervenire nelle discussioni, nonostante si sentisse un tacchino il giorno di Natale e ancora non fosse stato servito il dolce.
Non sapeva bene nemmeno come fosse possibile essere arrivati già al dolce, visto quanto velocemente aveva staccato cervello e orecchie dalle mortalmente noiose chiacchiere che tale Vernon, un tricheco baffuto e pronto all’ingrasso che aveva incrociato il suo sguardo forse due volte da che erano entrati, continuava a tirare fuori parlando di viti e treppani e motore, che solo Merlino sapeva cosa fossero.
Evans gli era rimasta a fianco tutta la sera, irrigidendosi sempre più ogni volta che la sorella interrompeva Anne quando tirava fuori qualche discorso sulla scuola o sulla loro settimana studio, senza mai peraltro rivolgersi alla rossa.
Era stato proprio quell’atteggiamento, il costante evitare una qualunque vicinanza fisica tra le due ragazze e l’intensionale fingere che non fosse nemmeno presente, più che non lo sguardo sempre più cupo di George e quello più battagliero di Anne che invece cercava di coinvolgere le figlie in ogni modo, a convincere James che qualche pezzo effettivamente mancasse alla storia che Lily gli aveva raccontato quel pomeriggio.
Non aveva mai visto la sua rossa così arrendevole e sconfitta, nemmeno quando aveva rotto ogni contatto con Mocciosus.
Odiava quella situazione di stallo perché non sapeva come aiutarla. Lui era un Grifondoro, dannazione! Quelli come loro erano fatti per i campi di battaglia, per affrontare le situazioni di petto, per difendere un amico senza paura, non per destreggiarsi in quella logorante guerra fredda sotterranea che non dava appigli per mosse a effetto.
Quella situazione sarebbe stata l’ideale per un Serpeverde, dovette ammettere con stizza, sebbene l’idea di essere loro inferiore in qualcosa, fosse anche solo l'essere subdolo lo rendesse nervoso come un Ungaro Spinato.
-Vado io a prendere il dolce mamma. Mi aiuti James?- chiese improvvisamente Lily, riportandolo con i piedi per terra.
La seguì docilmente in cucina, ben contendo di avere una scusa per allontanarsi da quel clima opprimente, pensando che se erano arrivati al dolce non poteva mancare poi tanto perché sorella e consorte levassero le tende, senza peraltro sentirsi minimamente in colpa nello sperare in una loro veloce dipartita.
-Mi spiace, James, non avrei mai voluto coinvolgerti in qualcosa di tanto spiacevole.- si scusò ancora la rossa, quella volta senza motivo e dovette capirlo anche lei visto che continuò –Non credevo che mamma avrebbe invitato Tunia. Avrei preferito ti evitasse una scena del genere.-
James si morse il labbro inferiore, indeciso se dirle quello che stava pensando davvero oppure buttarla sullo scherzo come sempre, decidendo però di essere sincero senza sapere bene nemmeno perché. Forse per qualcosa che aveva visto negli occhi di lei, o forse perché quel pomeriggio si era aperta con lui come mai prima e l’ultima cosa che voleva era farla arrabbiare e chiudere di nuovo a riccio per un comportamento da idiota.
-Il clima è irrespirabile, Evans. Tua sorella non mi piace e tanto meno quel tricheco noioso, ma ho visto di peggio. Il mondo è pieno di boriosi idioti come lui e il Ministero sembra contenerne la maggior parte.- ammise alla fine, censurando i suoi pensieri molto, ma mooolto.
Non poteva certo dirle che sua sorella sembrava una stronza snob e che il marito era uno stupido ciccione…ah no quello più o meno l’aveva detto comunque. Ma la ragazza non sembrava essersela presa troppo.
La vide sistemare su un vassoio il dolce di Anne, fantastico e appetitoso come sempre anche se non aveva idea di cosa ci fosse dentro, sorridendogli grata.
-Dopo un po’ ci si fa l’abitudine, ma grazie a Morgana è quasi finita. Mia sorella non rimarrà più al lungo del necessario per non scontentare mamma, non quando sono io in casa.- confidò senza motivo, apparentemente più tranquilla di prima, come se l’idea che se ne andassero le togliesse un grande peso.
-Evans…- stava per dirle “cos’è che non mi hai detto”, ma ingoiò quelle parole sapendo per qualche strana forma di empatia che con lei non aveva mai avuto che non era la cosa giusta da dire e optando invece per un -…piacerai a mia nonna.- che era la cosa più stupida e sincera che potesse dirle mai.
La vide guardarlo stupita, probabilmente cercando di capire il senso di quell’affermazione, ma cogliendo la sincerità nella sua voce.
-Grazie. Per non essere scappato a gambe levate, intendo.- rispose lei con lo stesso tono, prima di avviarsi verso il salotto chiedendogli con un occhiata di aprirle la porta visto che aveva le mani occupate.
Proprio mentre le teneva ferma la porta, per farla passare con agio come gli era stato insegnato in anni di barbose lezioni di etichetta cui sua madre l’aveva obbligato, fingendo perfino di non vedere sua nonna impastoiarlo per farlo stare fermo, che James ebbe la risposta a quella domanda che per tutta la sera l’aveva tormentato.
 

“Che cosa mi nascondi, Evans?”

 
-Ti avevo detto di essere gentile, Petunia.- Anne stava sgridando sottovoce la figlia con un tono triste che non poteva davvero appartenerle.
-Sono venuta e ho sopportato lei e quel suo amico, in cosa non sono stata gentile?- sibilò in risposta la figlia, quasi incredula di quello che stava sentendo.
-Potevi parlarle intanto. O almeno chiederle come stava. È tua sorella e…-
-Io non ho una sorella. Non ce lo voglio un mostro in famiglia. E se vuoi siete fieri di avere una…una strega in famiglia…non mettetemi in mezzo.- sputò la donna prima che George la interrompesse mormorando un “Lily” basso e pieno di dispiacere.
Il silenzio circondò tutti i presenti e se James si era aspettato uno scoppio d’ira da Evans e da Anne rimase stupito nel vedere come entrambe le donne rimasero impietrite dalle parole di Petunia, ma ancora più dalla consapevolezza che la rossa avesse sentito.
Quel silenzio James l’aveva già sentito. Era lo stesso che circondava Sirius ogni volta che lui e Regulus, o peggio i suoi genitori, si ritrovavano nella stessa stanza.
Era pieno di parole orribili e piene di rancore non dette, ma non per evitare di ferire l’altro o per cercare di arginare i danno. Rimanevano così, sospese e silenti, per il semplice fatto che già erano state pronunciate non niente le avrebbe cancellate per le ferite che avevano lasciato.
Lily era già stata chiamata così. Probabilmente più di una volta e con maggior rancore.
-Petunia chiedi scusa a Lily.- chiese alla fine Anne, schiacciata dalle parole della figlia maggiore, senza la solita energia che la contraddistingueva.
-Mamma, lascia stare…- provò a mettersi in mezzo Evans, muovendo un passo per mettersi tra lui e la sorella.
James non capiva. Lui in quel momento avrebbe voluto soltanto portare via Lily, per allontanarla da tutte le cattiverie che la sorella le aveva appena riversato addosso e come probabilmente aveva già fatto in passato, perché invece i suoi genitori se ne rimanevano seduti e in silenzio?
-Scusarmi? Per cosa?- urlò incredula Petunia –E’ un mostro, devo scusarmi di questo?-
-Andiamo Evans.- James iniziò a tirarla verso l’ingresso, convincendosi di volerla portare fuori per proteggerla, quando invece forse era lui quello ad aver maggior bisogno d’aria.
-Cos’è? Scappi dalla verità? Fa male, vero, che qualcuno abbia il coraggio di dirvi in faccia cosa siete?- gli urlò contro Petunia, ormai fuori controllo.
James fu costretto a fermarsi sentendo Evans opporre resistenza, cercando di liberarsi dalla sua presa. Allentò così la stretta senza tuttavia liberarla del tutto. Tenersela vicina gli stava impedendo di lanciare un incantesimo contro la donna e stava cercando di convincersi che era quella la scelta giusta, e non lanciarle addosso uno schiantesimo sperando di seppellirla nel muro.
-Petunia, dimmi quello che vuoi. Insultami se ti fa stare meglio. Chiamami mostro se questo significa dimenticare quanto tu stessa volevi essere una strega, ma non mettere in mezzo James.- le sibilò contro la rossa, con un tono che James non le aveva mai sentito prima.
C’era rabbia dentro, ma anche qualcos’altro che non riusciva a definire.
-Tu…!- iniziò l’altra, prima di essere nuovamente interrotta dalla più piccola.
-Odiami, non mi importa. Ma non provare nemmeno a pensare di insultare James, o giuro che questa volta me la paghi.- sibilò di nuovo prima di prendere a tirare il ragazzo, come era già successo in altre occasioni, senza ascoltare una sola delle richieste di fermarsi di Anne o le urla piene di paura e odio di Petunia.
Come poco prima aveva fatto lui, Evans, si diresse verso la porta e senza pensarci due volte e cominciò ad allontanarsi dalla casa a passo di marcia probabilmente senza meta.
Continuarono a camminare velocemente e in silenzio per quasi mezz’ora prima di fermarsi in un parchetto. Solo dopo averne varcato il cancello, ancora aperto nonostante l’ora tarda, Evans riprese a camminare lentamente e allentò la presa sulla sua mano, lasciandola del tutto per sedersi su una delle altalene senza ancora articolare un suono.
James invece rimase in piedi a pochi passi da lei, continuando a guardarla come se la ragazza dovesse sgretolarsi da un momento all’altro, indeciso se avvicinarsi o meno. Se toccarla o meno. Se parlarle o meno.
Alla fine fu l’istinto a guidarlo quando, ancora indeciso come tanto spesso gli capitava con lei, le si avvicinò inginocchiandosi davanti a lei toccandole leggermente le ginocchia.
Perfino in quel momento, con le lacrime agli occhi e il labbro inferiore martoriato dai denti, era la cosa più bella che avesse mai visto.
-Evans…-
-E’ divertente, non trovi? Che una babbana ci consideri dei mostri, quando dall’altra parte c’è un mago che considera loro degli abomini. Immagino questo riporti in qualche modo l’ordine nell’universo.- gli disse con voce spezzata, senza ancora cedere alle lacrime.
-Che diavolo stai dicendo! Nessuno ha il diritto di dirti certe cose, non ce l’aveva Mocciosus al quarto anno e non ce l’ha nemmeno tua sorella adesso.- quasi urlò stringendo le mani sulle sua gambe, incredulo che lei la stesse quasi scusando, quando invece avrebbe soltanto dovuto odiarla…
Odiarla.
Odiare sua sorella.
Un attimo dopo aver pensato quelle parole avrebbe voluto rimangiarsele.
Lui tra tutti avrebbe dovuto sapere quanto fosse difficile odiare la propria famiglia. Aveva visto Sirius tentare per anni di farlo senza reale successo, che non fosse il disprezzo.
Aveva ammirato per anni l’amico proprio perché non riusciva a odiarli, nonostante tutto quello che gli avevano fatto passare. Perché per Evans avrebbe dovuto essere diverso? Ma soprattutto perché non riusciva a provare, in quel momento, niente altro che rabbia verso Petunia? E perfino verso i suoi genitori.
Sentì una carezza sul viso, mentre ancora fissava le sue mani perso nei propri pensieri.
-Cosa stai macinando in quella testa?- gli chiese la ragazza, senza allontanare la mano, anzi costringendolo a guardarla in viso.
Il silenzio si protrasse mentre ancora una volta decideva se era la cosa giusta da fare dirle la verità o meno.
-I tuoi genitori avrebbero dovuto evitare tutto quanto. Non avrebbero dovuto invitarla stasera, avrebbero dovuto farla stare zitta, avrebbero dovuto schiantarla…- rispose alla fine con voce affilata.
Sentì un attimo la presa di Lily tremare, prima che gli sorridesse triste portando la mano tra i capelli e spettinandoli con affetto.
-Anche Petunia è figlia loro.- si limitò a dire soltanto, come se quello spiegasse tutto quanto.
E forse era davvero così.
Aveva considerato George e Anne straordinari vedendo con quanta naturalezza avessero accettato una realtà così lontana da loro, e lo avevano fatto solo perché Lily era la loro adorata bambina.
Aveva considerato George e Anne quasi dei traditori per aver permesso che la figlia venisse ferita così profondamente senza muovere un dito. Ma non aveva considerato che chi lo stava facendo era figlia loro a sua volta e probabilmente non sapevano come proteggere l’una senza ferire mortalmente l’altra.
Ed era assurdamente patetico che fosse Evans a tranquillizzarlo, a confortarlo, quando invece avrebbe dovuto essere lui a confortare lei.
Avrebbe dovuto essere lui a proteggerla da tutto quello schifo che c’era nel mondo.
-Ci sono io a proteggerti.- disse senza nemmeno rendersene conto, ancora inginocchiato ai suoi piedi e con la sua mano ancora tra i capelli, guardandola negli occhi come per immergi visi.
La sensazione di aver appena detto una cosa idiota, di essere un completo cretino e di essere deriso da lei, dopo una dichiarazione tanto attempata e idiota, appunto, svanì vedendo gli occhi di Evans riempirsi di nuovo di lacrime.
Quante volte aveva visto quegli smeraldi così liquidi? Ormai non lo ricordava nemmeno più. Ma sapeva che ogni volta, sempre, quale che fosse il motivo di quelle lacrime, Evans non le aveva mai versate. Non di fronte a lui, almeno.
Invece quella sera, James, vide il suo mento tremane e sentì un singhiozzo uscirle dalle labbra, giusto un secondo prima che la prima lacrima le scorresse sulla guancia.
Senza una sola parola la abbracciò, poggiando la testa sulla sua pancia, mentre lei, scivolava leggermente in avanti sull’altalena per poter stringersi alle sue spalle e nascondere il viso nel suo collo.
L’aveva vista piangere, o almeno la cosa più vicina a essa, solo una volta, tra le braccia di Sirius. E come quella sera tremava lievemente contro il suo corpo, ma c’era qualcosa di diverso, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Sentiva le sue unghie contro la camicia, le ginocchia a pungergli i fianchi e le lacrime che dal viso di lei passavano al suo collo e sapeva che come in quel momento non erano stati vicini mai.
 

Lily si era calmata da una decina di minuti eppure non accennava ad allentare la presa, così come lui non dava segno di volerlo fare.
Erano rimasti così per un tempo che lei non avrebbe saputo dire, con la sola consapevolezza che stava bene tra le sue braccia. Era caldo come ricordava e profumava di buono.
Ma soprattutto, quella sera Lily scoprì che tra le braccia di James si sentiva a casa.














ANGOLO AUTRICE (SE ANCORA MI POSSO DIRE TALE).



Ebbene si, sono ancora viva, anche se poteva sembrare il contrario.
So che sono passati un paio di mesi dall’ultimo aggiornamento e non posso che chiedere perdono. Come continuo a fare da mesi a questa parte.
Sono pessima, lo so, mi spiace davvero aver fatto passare così tanto tempo.
Sarebbe inutile dirvi che ho iniziato l’università e quaranta minuti di viaggio di andata e altrettanti di ritorno, insieme alle lezioni, la ricerca dei libri e delle divise per il tirocinio ha risucchiato il mio tempo, sarebbe una bugia (per quanto sia vero).
La verità era che non riuscivo a scrivere questo capitolo. O meglio non riuscivo a scrivere di Petunia.
E alla fine è venuto fuori quello che avete letto.
Avevo in mente fin dall’inizio di far incontrare James e Petunia, ma non volevo che succedesse quando ormai James e Lily erano felici e pronti a sposarsi perché volevo che James se ne rendesse conto prima della fine. Voglio dire dopo il settimo anno DEVONO vivere “felici e contenti”, almeno per me. Fondamentalmente perché dopo il settimo anno hanno solo pochi anni insieme.
A ogni modo ci sono un paio di note che voglio mettere prima di defilarmi, pronta a schivare il lancio di pomodori e patate (scegliete quelle, almeno fanno più male) per essermi rifatta viva dopo tutto questo tempo.
Petunia dovrà assomigliare almeno un po’ ai genitori, no? Ecco, da Anne ha preso la mania per la pulizia.
Harry invece, come James, si ritrova a considerare che a Hogwarts dovrebbero tenere corsi anche per capire le ragazze e non solo su come trasformare un bottone in uno scarabeo. Per rimanere in tema di chi ha preso da chi.
Nel ’68 Lily e Petunia avevano davvero otto e dieci anni e visto che Anne ha questa fissa per la posta magica volevo renderla un po’ comica, visto e considerato il magone dopo, anche se non ho assolutamente la pretesa di scrivere storia in questa fic.
Poi il “crumble al rabarbaro con crema alla vaniglia”, che vi consiglio vivamente, ha un suono così invitante, l’ho preso da internet. Non avrei mai potuto inventarmi una cosa del genere!
Lily piange per la prima volta davanti a James e si apre con lui. Direi che i nodi cominciano a venire al pettine!
In ogni modo mi scuso ancora per l’enorme ritardo con cui pubblico. E anche perché fino a lunedì non avrò tempo per rispondere alle vostre recensioni.
Un abbraccio enorme a chi ha letto e recensito lo scorso capitolo e uno altrettanto grande a chi lo farà con questo, nonostante…beh nonostante i ritardi continui.
Spero vi sia piaciuto.
Rebecca.




P.s. ho visto solo ora lo stato in cui avevo pubblicato il capitolo, non posso che inorridire da sola. Il nuovo capitolo lo sto giusto giusto finendo. Abbiate fede. Io ne ho (e questo è già tanto). Baci.
   
 
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