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Autore: ornylumi    04/11/2011    9 recensioni
Undici anni dopo la fine della guerra magica, una Hogwarts ricostruita e leggermente cambiata si prepara ad accogliere i nuovi studenti, senza sapere che un evento senza precedenti sta per segnare la sua storia. E' il primo anno per Teddy Lupin, cresciuto da sua nonna Andromeda e desideroso di scoprire il mondo magico, e per Catherine Scott, una ragazzina proveniente da un orfanotrofio Babbano. Ma lo è anche per Neville Paciock, che per la prima volta si avvicina all'insegnamento dell'Erbologia. La storia di un'amicizia che non avrebbe speranza e che diventa invece possibile, nella generazione di mezzo tra quella di Harry Potter e quella dei suoi figli.
Dal capitolo 8:
Quando il Cappello non aveva più considerazioni da fare, quando Cathy si era arresa alla sua incapacità di scegliere e la curiosità della sala si era trasformata in una noia mortale, lo Smistatore sembrò finalmente decidersi; alzando il tono di voce, in modo che tutti potessero sentirlo, dichiarò: “Non mi lasci altra scelta… Grifondoro e Serpeverde!”
*Attenzione: sono presenti spoiler nelle recensioni*
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock, Nuovo personaggio, Sorpresa, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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3


Non era vero che Catherine Scott non sentisse la mancanza dei suoi genitori, come aveva detto quel giorno di luglio al professor Paciock. Da che aveva imparato a parlare, non aveva fatto altro che chiedere perché si trovasse lì, chi fossero suo padre e sua madre e se avesse qualche parente ancora in vita. Poche domande, però, avevano trovato risposta, e rassegnandosi al fatto che nessuno sarebbe mai venuto a prenderla aveva smesso di chiedere.

Tutto quello che sapeva di sua madre gliel’aveva detto Catherine, una delle ragazze che assistevano i bambini all’orfanotrofio. Secondo il suo racconto, la piccola era stata portata lì quando era ancora in fasce, da una donna gentile che non poteva mantenerla. Non era un caso che le due portassero lo stesso nome: quella donna aveva scelto di proposito di chiamare così la bambina, nella speranza che la ragazza a cui la stava affidando si sarebbe occupata di lei. La Catherine adulta aveva promesso di farlo e, da quel giorno, la piccola era stata chiamata da tutti Cathy per riuscire a distinguerle. Cathy aveva imparato ad amare quel ricordo come la cosa più cara che avesse, e per molti anni aveva sperato che sua madre tornasse da lei. Di suo padre, invece, non sapeva nulla.

Non aveva molti amici all’orfanotrofio. Era sempre stata considerata un po’ strana e svitata, con i suoi improvvisi quanto violenti scatti d’ira, e da quando aveva iniziato a muovere gli oggetti senza toccarli le cose erano peggiorate. Il suo unico affetto, lì dentro, era Catherine.

Catherine che aveva mantenuto la sua promessa fino in fondo, che le aveva insegnato le tabelline e l’alfabeto; Catherine che la capiva e la consolava, come le altre ragazze non riuscivano a fare, e che era stata per lei come una madre adottiva. Il mondo di Cathy cominciava e finiva con lei, tra le mura e il giardino dell’orfanotrofio. Questo, almeno, finché non era arrivato l’uomo buono.

Si erano conosciuti circa tre anni prima, se così si poteva dire, dato che Cathy non conosceva neppure il suo nome. Per la prima volta nella vita le era stato detto che c’era una visita per lei, e la bambina aveva atteso con impazienza di scoprire chi fosse. Tutto il suo entusiasmo, però, era sparito di colpo quando aveva visto il visitatore: era decisamente vecchio, con la barba lunga come un mendicante, e portava una giacca logora fuori moda. Ma soprattutto, il suo volto non mostrava il benché minimo piacere di vederla. Cathy aveva pensato, delusa, che l’uomo si fosse sbagliato nel chiedere di lei, ma presto aveva capito che non era neppure così: il vecchio non era soltanto incredulo nel vederla, era arrabbiato. La conosceva e non era contento di lei, per un motivo che Cathy non poteva immaginare.

Era rimasto con lei per ore, senza far altro che guardarla e guardarla, come per accertarsi che esistesse davvero. Quando aveva trovato il coraggio di parlare, Cathy gli aveva chiesto: “Chi sei?” ma lui non aveva risposto e, anzi, il suo sguardo si era indurito ancora di più. Cathy aveva tentato, timidamente, con altre domande, ma nessuna era andata a buon fine. Presto si era rassegnata a venire osservata in silenzio, come un animale allo zoo, anche se la cosa non le piaceva per niente.

Passarono mesi prima che l’uomo si facesse vedere di nuovo. Cathy si era quasi dimenticata di lui, quando lo rivide entrare nella sua stanza non molto diverso dalla prima volta. Fu un altro pomeriggio di silenzioso imbarazzo e a quello ne seguirono altri, sempre più spesso. Finché Cathy non ne fu più spaventata, ma iniziò a comportarsi come se lui non ci fosse. Aveva chiesto a Catherine se c’era un modo per impedirgli di venire, ma il Direttore aveva continuato a permetterglielo ignorando quella richiesta. Poi, inaspettatamente, una sera l’uomo le aveva finalmente parlato. Erano state poche parole, che suonavano come un giudizio finale dopo tutti quei giorni di muta osservazione: “Non hai niente di speciale”.

Cathy aveva alzato le spalle e gli aveva risposto “No”, come per chiedergli che cosa si aspettasse, e di tutta risposta l’uomo aveva iniziato a ridere. Ma era una risata strana, quasi folle e un tantino inquietante. La stessa che Cathy poté sentire in un’altra occasione, quando chiese all’uomo di non spegnere la luce prima di uscire perché aveva paura del buio. Gli spiegò che era una cosa seria, le provocava attacchi d’asma che potevano costarle la vita, ma nonostante tutto lui non la prese sul serio.

Passò altro tempo prima che quelle frasi sporadiche diventassero una vera e propria conversazione. Man mano che cresceva, Cathy iniziò a pensare che forse un po’ speciale lo era; come spiegare, altrimenti, i fenomeni che generava senza volerlo, e che lasciavano inebetiti gli altri bambini? Pensò che all’uomo potessero interessare, così un giorno gliene parlò.

“Riesco a far muovere le cose senza toccarle. E a volte parlo con gli animali, sembra che mi capiscano”. Per la prima volta riuscì ad attirare la sua attenzione.

“Buon per te” le rispose l’uomo. “Iniziavo a pensare che fossi una Magonò”.

“Che cos’è una Magonò?” chiese Cathy interessata.

“Una figlia di maghi che nasce senza poteri magici”. Era la prima volta che rispondeva a una sua domanda, e sembrò pentirsene subito. Cathy balzò letteralmente dal letto a quelle parole, avendo ricevuto più informazioni in un’unica frase che in dieci anni di vita. “Allora i miei genitori erano maghi? Tu li conoscevi? Chi sei?” Gli fece quelle domande tutte di fila e avrebbe voluto fargliene altre mille, approfittando di quella rara occasione. Ma l’uomo non era più disposto a risponderle.

“Ascoltami bene, ragazzina” le intimò, alzandosi dalla sedia di fronte al suo letto. “Non risponderò alle tue domande su di loro e tantomeno su di me. E, credimi, è meglio per te se eviti di chiedere”.

Cathy non era per nulla soddisfatta, ma quel tono minaccioso la raggelava e non se la sentì di contraddirlo. “E allora come ti chiamerò?” domandò soltanto.

“Signore” rispose lui, con uno strano ghigno sotto la barba lunga.

“Va bene, signore. Posso almeno sapere perché viene a trovarmi?” Cathy pose quella domanda con i toni più gentili di cui era capace, in un modo che avrebbe fatto inorgoglire il signor Bennett.

“Questa è una buona domanda” commentò lui. “Forse per curiosità, per il gusto di scoprire come sei. Una come te cresciuta qui, tra i Babbani…” Prima che Cathy potesse chiedere cosa fossero i Babbani, l’uomo continuò a parlare. “Non ti invidio per niente, Catherine Scott. Certo, questa gente deve averti influenzato, ma mai mi sarei aspettato qualcosa del genere… Hai anche paura del buio! È ridicolo”.

Sembrò che Cathy non riuscisse più a trattenersi. Abbandonando del tutto i modi imposti dall’orfanotrofio, si alzò in piedi e lo fissò con aria di sfida. “Le ho già detto che è un problema serio! E qualsiasi cosa siano questi Babbani, il tono in cui l’ha detto non mi piace per niente! Non le permetto di offendere le persone con cui vivo, mi vogliono bene e non mi prendono in giro, al contrario di lei!”

Inaspettatamente, dopo quella sfuriata, l’uomo ammutolì. Rispose al suo sguardo con la stessa aria di provocazione, restarono occhi negli occhi per interminabili secondi e solo alla fine riuscì a trovare qualcosa da dirle.

“Ecco. Ora sì che ti riconosco, ragazzina”. Ma non era soddisfatto come voleva sembrare. Per quanto Cathy ne capisse degli adulti, sembrava piuttosto infelice. Forse fu quell’impressione, o il gesto che l’uomo compì poco dopo, a cambiare per sempre il corso degli eventi.

Si avvicinò alla porta per andare via, ma quando la mano era già sulla maniglia la ritirò di scatto e se la infilò in tasca, come per afferrare qualcosa. Istintivamente, la bambina pensò a Catherine, che tante volte nascondeva nelle tasche un regalo per lei e lo tirava fuori senza alcun preavviso, cogliendola di sorpresa. A quel ricordo la sua rabbia si placò, Cathy trasse un profondo respiro e dalle sua labbra uscirono parole nuove, inaspettate: “Secondo me sei un uomo buono, anche se non lo dai a vedere”.

La stretta della mano si allentò, il misterioso signore rinunciò a quello che stava per fare e ritornò all’idea di lasciare la stanza. Prima di uscire, le disse soltanto: “Non sai quanto ti sbagli”.

Da quel momento, qualcosa cambiò nel loro strano rapporto. L’uomo non mostrò mai un vero affetto per lei né le fece alcun regalo, ma iniziò a parlarle molto di più, soprattutto della magia. Ben presto, Cathy capì che quella parola non aveva nulla a che vedere con cappelli a cilindro e conigli, che le streghe esistevano davvero e che lei era una di loro. L’uomo le confessò di essere egli stesso un mago, le parlò di Hogwarts e delle quattro Case senza però rivelare nulla del suo passato da studente. Fu una vera emozione scoprire che a undici anni avrebbe frequentato quella scuola meravigliosa, anche perché – così le fu assicurato – Bennett non avrebbe avuto nulla in contrario. Ma la sorpresa più grande fu come l’uomo si autodefinì per lei, una mattina soleggiata in cui erano insieme sotto il gazebo del giardino: il suo tutore, la persona che da quel momento si sarebbe occupata di lei in accordo con l’orfanotrofio. Cathy non sapeva se esserne davvero felice, ma le sembrava un bel gesto e pensò che fosse giusto ringraziarlo.

Nello stesso periodo, cospicue donazioni iniziarono a giungere all’orfanotrofio, che ogni giorno sembrava accrescere il proprio prestigio. Il Direttore era entusiasta delle sue creazioni e fermava spesso Cathy e gli altri bambini nei corridoi, per chiedere loro che cosa ne pensassero. L’unica persona che non sembrava apprezzare quelle novità era Catherine: trovava dei difetti praticamente in ogni cosa, dai pavimenti di marmo alle disposizioni artistiche dei giardini, diceva che tanto sfarzo era esagerato in un posto come quello e storceva il naso ogni volta che il tutore andava a trovare Cathy. Che i due non si piacessero non era un mistero per nessuno: lei lo accompagnava dalla bambina di malavoglia, lui si mostrava ancora più scontroso del solito quando aveva a che fare con la ragazza. Ma il momento peggiore fu l’arrivo della lettera. Cathy ne era elettrizzata tanto quanto Catherine la temeva, e per la prima volta le due ebbero un vero scontro. La ragazzina non avrebbe rinunciato per niente al mondo a quell’occasione, anche se significava trascorrere quasi un anno lontano da casa e anche se lei per prima avrebbe sentito la mancanza di Catherine. La ragazza invece non accettava di lasciarla andare, poiché non si fidava di quell’uomo odioso e tantomeno del suo mondo bizzarro. Ma era una partita persa in partenza: Catherine non aveva alcun potere su di lei, men che meno ora che esisteva un tutore e che Bennett era tanto entusiasta di lui. Alla fine, dovette arrendersi alla realtà dei fatti, e quando accompagnò Cathy da Paciock avevano già fatto pace.

Qualche giorno dopo la visita del professore, Cathy fu ben felice di raccontare al tutore di quell’incontro e del fatto che sarebbe davvero partita il primo settembre. Lui commentò con un laconico “Bene”, senza mostrare emozioni e senza neppure un sorriso, e d’altra parte non sorrideva praticamente mai. Le spiegò come utilizzare i gufi per comunicare con lui, chiedendole di informarlo su ogni piccola cosa. Cathy fu entusiasta di tutto quell’interessamento e un po’ per quello, un po’ per l’emozione del momento, fu allora che trovò il coraggio di fargli la domanda più importante.

”Signore… Mi dica la verità, lei è mio padre?”

Lo sguardo dell’uomo la trapassò da parte a parte, mentre le rispondeva: “Non pensarci nemmeno”.


Note:

Questa volta ho davvero poco da aggiungere, in questi primi capitoli sto presentando tutti i personaggi che diventeranno importanti nel corso della storia, e spero che questo "uomo buono" sia di vostro gradimento! Un grazie speciale a Circe per le recensioni, e a tutti voi che la state seguendo!

   
 
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