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Autore: Dira_    09/11/2011    15 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLV




 
 
Darkness is a harsh term don’t you think?
Yet, it dominates the things I see
It’s not the long walk home that will change this heart
But the welcome I receive with every start¹
(Roll Away Your Stone, Mumford & Sons)
 
 
5 Gennaio 2023
Scozia, Stazione di Hogsmeade, sera.

 
Era l’Espresso di Hogwarts eppure sembrava diverso. Forse era qualcosa nella forma delle locomotiva, o forse nei pochi vagoni che le erano attaccati. Cinque non erano certo il numero canonico.
Teddy non vi era ancora salito, troppo preso a controllare la truppa di due dozzine di elementi esagitati dalla partenza. Persino Al, che era Caposcuola e mediamente un ragazzo pacato, non riusciva a non fare casino esattamente come il coro, chiacchierando entusiasta con Rose.

Umanamente, era comprensibile: Hogwarts non organizzava mai gite fuori porta, ad eccezion fatta per Hogsmeade. Lì si trattava addirittura di cambiare paese.
Dei tutti, quasi preferiva Tom che se ne stava nel suo spazio vitale dal diametro di circa tre metri, con la sacca da viaggio a tracolla e lo sguardo perso nel nulla della Foresta Proibita.
“I permessi, ragazzi… prima di salire fatemi avere i permessi. Alla mano!” Esclamò fermando per un braccio un entusiasta Quarto anno Grifondoro, parte del coro, che si stava lanciando sull’unica entrata aperta del treno.
“Se vuole li raccolgo io professore!” Esclamò Malfoy, in mezzo alla mischia e con un gran sorriso allegro. Sembrava il più esaltato di tutti e ad ogni buon conto doveva esserlo.
Il problema è che è un esagitato e agita empaticamente chiunque gli stia vicino…
“Lo faccio io, sono il Capodelegazione!” Replicò infatti Al, ricordandosi i suoi doveri nel momento sbagliato.
Ted inspirò lentamente; aveva lasciato James da un paio d’ore e già aveva voglia di prendere a testate qualcosa o infilarsi sotto una coperta come faceva da bambino. Non sapeva se fosse dipendenza o semplice disperazione. Optava per entrambe.
Avrei dovuto farmi aiutare almeno dalla McGrannit…
Aveva pensato che fosse opportuno lasciare i due anziani professori prendere posto nei rispettivi scompartimenti mentre lui pensava a far salire la delegazione e controllare che non ci fossero intrusi.
… è come avere centinaia di Snasi potenzialmente più pericolosi. Al momento passerebbero sul mio cadavere…
“Ci penso io!” Aggiunse Rose. “Fatela finita!” Strillò, ignorata dai più.
“Osate ignorare la mia fidanzata?!” Tuonò Scorpius quando vide un indisciplinato serpeverde fare un gestaccio in direzione della ragazza. “Tu, sei morto!”

“Lascia stare Patton!” Si erse a sua difesa Al, salvo acchiappare il ragazzino per il bordo del mantello e dirgli qualcosa all’orecchio che bastò a farlo sbiancare come un lenzuolo.
Oh. Mio. Merlino.
“Adesso basta!” Tuonò con il suo tono migliore e, miracolosamente, tutto tacque. Effettivamente, gli era sempre stato detto che quando si arrabbiava era spaventoso. Dovevano essere i capelli. E il fatto che alcuni dei suoi studenti fossero davvero minuscoli a suo confronto.

Si schiarì la voce. “Molto bene. Adesso mettetevi in fila, permesso alla mano, così finalmente partiamo.” Tese la mano al primo ragazzino che annuì, cacciandoglielo in mano efficientissimo.
Ted sentì qualcosa frusciare alle sue spalle quando si scostò per farlo passare. Si voltò: non c’era nulla però, solo il vano che introduceva al vagone, illuminato fiocamente da una lanterna.
Strano… mi era sembrato che qualcosa mi sfiorasse…
Ma le risatine sottovoce e i mormorii un po’ ridimensionati dei ragazzi potevano tratte in inganno. Si voltò di nuovo e controllò il secondo permesso.
 
 
****


“Io voglio quel letto, quello sopra!”
“Va bene, Malfoy. Nessuno ti sta impedendo di prenderlo.”
“… ah, beh. Attestavo.”
Al sospirò, lanciando un’occhiata di sbieco a Tom che ricambiò con una lieve smorfia compartecipe. Tra loro e i componenti maschi del coro erano otto e infatti quattro letti a castello erano stati fatti entrare nello scompartimento che, per l’occasione, era stato tramutato in un dormitorio compatto ma allo stesso tempo funzionale.

Chissà perché non hanno utilizzato un incantesimo di ampliamento…
Non che si stesse stretti, ma dal modo in cui Tom aveva serrato le labbra quando vi era entrato, era chiaro che la sistemazione fosse per lui soffocante.
Lui e i suoi venti metri quadrati di spazio vitale.
“Mi ricorda il Nottetempo.” Borbottò infatti con tono funereo, buttando il proprio borsone in uno dei letti in alto, sfidando un ragazzo del Quinto ad osare avvicinarsi. Al si scusò con lo sguardo, ed occupò frettolosamente il letto di sotto prima che potessero scatenarsi incidenti diplomatici ancor prima di partire.
“Oh, il Nottetempo!” Esclamò Scorpius, che sembrava aver ingerito una Pozione Risvegliante, a giudicare da come saltellava in giro. “Ho sempre desiderato farci una corsa, ma mio padre me l’ha proibito!”
“Un uomo saggio.” Mormorò a mezza bocca Tom, prima di arrampicarsi sulla stretta scaletta e sparire oltre le sbarre del letto.

“Cattivo umore?” Gli chiese confuso.
Al scosse la testa. “È Tom.” Fu sufficiente, perché il Grifondoro si limitò ad annuire con aria saputa, prima di buttarsi seduto sulla branda dirimpettaia alla sua.
“È un peccato viaggiare di sera… ci perderemo un bel po’ di paesaggi!” Esclamò, fissando il finestrino che rifletteva solo il buio fuori e lo sbuffo compatto della locomotiva in stallo.
“Arriveremo domani sera… credo vedremo paesaggi fino alla nausea.” Dal letto di sopra non si udivano rumori e Al seppe che Tom aveva già tirato fuori il proprio fido lettore mp3 per infossarsi nel suo autismo musicale.
“Oh, a proposito. Secondo te come facciamo a passare la Manica? Siamo in treno!” Chiese il biondo e anche Al ci fece un pensiero in merito.
Non ci si soffermò più di tanto però. “Con la magia.” Era una risposta diplomatica, quanto stringata, ma era stanco e si sentiva inquieto. Andare a Durmstrang stava diventando reale e non riusciva a condividere l’entusiasmo di Malfoy e degli altri ragazzi. Sarebbe stato lontano da casa; e non lontano una mezza giornata di treno, ma lontano oltre-confine. Certo, non era la prima volta, ma in Germania era stato diverso; lì aveva ritrovato Thomas, ed era stato un rush, un impulso.
Stavolta è diverso. Stavolta l’abbiamo pianificato.
Ma, onestamente, quando mai le cose vanno come spero?
L’altro ragazzò gli lanciò un’occhiata, forse intuendo il suo stato d’animo. Si sporse verso di lui. “Ehi, mini-Potter.” Lo apostrofò dandogli un colpetto sulla gamba. “Sta’ allegro! Siamo gente in gamba, ce la caveremo.”
Gli sorrise; non era il discorso incoraggiante dell’anno, ma era comunque avere un amico, e Malfoy aveva un’aura incredibilmente positiva. Dominique aveva ragione a chiamarlo Raggio di Sole.

E per una volta è bello vedere un viso sorridente … mi fa ricordare che questa è anche una vacanza. All’incirca.
Era bello avere qualcuno che si prendeva la briga di consolarlo; gli sarebbero mancati Michel e Loki.
Beh, soprattutto Mike… Lo non è proprio tipo che consola. Ghigna solo un sacco.
“Grazie Scorpius.” Rispose. “Vado a vedere come se la cava Rosie con le ragazze, mi fai compagnia?”
“Non aspettavo altro!” Esclamò saltando in piedi. Probabilmente era vero.

Rise, imitandolo. Lanciò uno sguardo in alto; Tom era steso sul materasso e teneva una mano a sostenersi la nuca, dato che il cuscino doveva essere troppo sottile per lui. Le cuffie erano già al loro posto. Gli sfiorò la mano e l’altro aprì gli occhi, aggrottando le sopracciglia in una muta domanda.
“Vado a fare un ultimo giro di controllo.” Non sapeva se avesse sentito, ma diede comunque un segno di assenso. Lo prese per buono.
La locomotiva si mise in moto in quel momento con un fischio acuto. Tom gli trattenne la mano di colpo, ma come l’aveva afferrata la lasciò, dandogli le spalle in un tacito messaggio.
Non preoccuparti per me… certo Tom, come no. È così facile dopo che hai questi scatti…  
Sospirò appena, facendo cenno a Scorpius di seguirlo. Fu grato che l’altro non commentasse il gesto, anche se di sicuro l’aveva visto.
 
Il corridoio di passaggio era molto stretto e soprattutto, per fortuna, vuoto; dalla carrozza accanto potevano sentire le ragazze chiacchierare allegramente e persino il rumore di una radio.
“Non si dormirà facilmente stanotte, ho idea. Festa in pigiama!” Ghignò Scorpius. “Chiamiamo gli altri e ci uniamo alle ragazze?”
Sapendo che non avrebbe potuto comunque fermare una cosa simile, neppure i professori se lo sarebbero aspettato, Al scosse la testa. “Tu fa’ pure… io non mi fermo, faccio il giro…” Ci rifletté. “…il rettilineo a dirla tutta, del treno.”
Malfoy ridacchiò, annuendo. “Come vuoi. Ma, seriamente, chi ti aspetti vada a gelarsi le chiappe per infrattarsi negli altri vagoni? Non saranno neanche riscaldati!”

Si strinse nelle spalle; sapeva bene che non c’era bisogno di controlli, dato che i Tiratori scelti avevano passato a setaccio tutto il treno prima del loro arrivo, ma era un modo per farsi passare il nervoso che lo attanagliava. “Dì a Rosie che non c’è bisogno venga con me.” Anticipò.
Scorpius annuì distratto, già completamente focalizzato sull’organizzare un meeting intra-Casa.
Malfoy è proprio caos racchiuso in un corpo umano.
Passò in silenzio nel vagone dei professori. Ted e gli altri adulti erano chiusi nelle loro stanze; nessuno sembrava aver intenzione di lasciare le proprie confortevoli stanze per andare a gelarsi svariate estremità nell’ultimo vagone, quello bagliagli, dove erano stipati bauli e oggetti pensati per tre mesi di trasferta.  
Illuminò l’ambiente con la bacchetta, guardandosi attorno. Passò le dita sulla custodia voluminosa e di cuoio solido che proteggeva la sua scopa da corsa. La verità era che non voleva quel clima di festa; forse era la pioggia che batteva sottile contro i finestrini, oppure …
Oppure il fatto che te la stai facendo sotto. È reale. È appena diventato reale.
Sentì un fruscio alla sua destra e sobbalzò. Si diede dell’idiota quando notò che era Anacleto, il suo gufo. Riconosceva la base della gabbia, coperta da un panno di lana per difenderlo dal freddo.
“Scusa Cleto… sono un po’ nervoso.” Sussurrò infilando le dita nelle sbarre per farsele beccare affettuosamente. “Mi dispiace per la sistemazione, ma con il tempo che c’è, attraversare l’oceano è fuori discussione. Porta pazienza, okay?” Si voltò a cercare Kafka dato che la cornacchia gracchiava piuttosto veementemente. Tolse la copertina dalla gabbia.
Curioso… di solito Tom non la rimbocca così. Dice che la rende claustrofobica.
Curioso era anche il fatto che non fossero stati i soli a farsi sentire. Anche il resto dei Famigli era agitato.
Sarà che sono entrato in fretta e furia…
“Ehi, chiacchierona…” La apostrofò affettuoso, senza però azzardarsi a infilare nulla di potenzialmente dilaniabile tra le sbarre. Kafka era un uccello sanguinario.
“Preferisci la compagnia dei volatili agli esseri umani?” Lo riscosse una voce. Era Tom, in maglietta e pantaloni della tuta che usava solo, rigorosamente, per dormire. Si erano tutti già inseriti nell’ottica della notte. Tutti tranne lui. “Devo averti contagiato.”  
Sorrise di rimando. “Succede quando passi del tempo con una persona con gravi carenze sociali.”
Tom non disse nulla, ma gli si avvicinò, tirandolo a sé in un abbraccio. Fu abbastanza inaspettato, ma non se ne lamentò; anzi, lo ricambiò con forza, seppellendo il viso dove la stoffa era ruvida per la trama di un disegno sicuramente tenebroso. Ne aveva bisogno.
“Se io sparisco, nessuno lo trova strano. Se sparisci tu vanno tutti in ansia, Caposcuola.” Sussurrò al suo orecchio. “Sono di là ad infrangere il coprifuoco e si chiedono dove tu sia. Andiamo?” Tom avrebbe preferito un milione di volte starsene in pace con la sua musica, piuttosto che accompagnarlo ad un’occasione conviviale.
Però… lo fa per me, ho idea.
“Va bene.” Gli prese la mano e la trovò singolarmente calda. “Ma… sei caldo?”
Tom sbuffò. “Il sangue circola. Se le tengo in tasca, si scaldano.”

Non gli chiese se ricordava l’appunto sulle sue mani da morto. Conoscendolo, se l’era presa a morte. Lo baciò e gli strinse la mano, un po’ più saldo e un po’ meno spaventato.
 
 
****
 
Lily stava letteralmente congelando.
Seriamente, dentro il vagone bagagli ci sarebbe morta.
Inspirò lentamente aria fredda e rilasciò umida condensa.
Decisamente morta.

Si strinse addosso la coperta che aveva messo nello zaino; era stata previdente. Aveva infatti previsto – in quel momento amava quella parola – che il vagone dove si sarebbe nascosta non sarebbe stato graziato del comodo sistema di riscaldamento magico delle altre carrozze.
E stiamo pur sempre attraversando la gelida Scozia…
Non era stato facilissimo intrufolarsi nel treno, ma neppure difficile come la sicurezza di Hogwarts aveva pensato; era bastato nascondersi tra le delegazione, armata di Mantello, e aspettare il momento giusto in cui Ted avrebbe lasciato un varco aperto tra lui e la porta. Quel momento era arrivato quando il ragazzino che aveva squadernato il permesso si era attardato nel dispiegarlo per consegnarlo ben visibile al professore.
A volte paga essere basse… e veloci.
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza la capacità di reazione fulminea ereditata dalla madre.
Aveva rischiato, certo; Ted avrebbe potuto comunque accorgersi della sua presenza. Il Mantello la celava alla vista, ma Teddy aveva una specie di super capacità sensoriale per acchiappare chi tramava alle sue spalle.
Jamie ne ha fatto per anni un punto personale cercare di spaventarlo ad Halloween… mai riuscito.
Fortuna aveva voluto che il chiasso della delagazione aveva offuscato le super-percezioni dell’amico di infanzia. Quindi era riuscita a salire sul treno e correre verso il luogo meno frequentato dei pochi vagoni approntati per la partenza.
Le sue vicissitudini però non si erano fermate lì; poco dopo la partenza Al era entrato nel suo nascondiglio, e per poco non le era inciampato addosso. Solo la fortuna aveva voluto che avesse deciso di accoccolarsi tra due bauli per creare un effetto ‘caverna’ necessario a preservare un po’ di calore.
Aveva trattenuto il fiato per tutta la permanenza del fratello.
Per nascondermi devo aver urtato un bel po’ di roba. Ho fatto chiasso. Al è entrato dopo, non l’ha sentito, ma i Famigli sì, eccome. Specie quella carogna di Kafka.
Poi per fortuna era arrivato Tom e se l’era portato via.
Sbuffò appena, giocherellando con le frange della fida coperta di lana. Fare un incantesimo riscaldante non era sicuro, non con le probabili barriere che i Tiratori Scelti dovevano aver appiccicato un po’ ovunque.
Si strofinò le mani sulle guance, sentendole appena più calde rispetto al ghiaccioli che aveva come dita. I guanti aiutavano, ma solo ad evitare la cancrena per congelamento.
Non aveva mai pensato sarebbe stata una scampagnata, ma era… dura.
E la solitudine, il silenzio del vagone la stavano facendo pensare. Meglio, riflettere.
Sto facendo la cosa giusta?
… sì. La cosa giusta. Ma non è detto che sia quella che avrei
dovuto fare.
Non era quello il punto, ovviamente; sapeva che doveva trovare Sören, che doveva parlargli. Quello era il punto. Qualsiasi cosa stesse facendo, doveva fargliela smettere perché in tutti quei mesi, Sören era stato un dannato treno sparato verso l’abisso.
La paura che aveva letto nel suo comportamento, i suoi scatti, le sue strane sparizioni e le sue ferite… erano tutti pezzi di un puzzle che aveva un senso.
Forse non stava a lei deviare quei binari o roba simile. Non era certo un eroina e non intendeva esserlo per nulla al mondo – aveva visto che rischi si correvano, dato che scorrevano nel sangue Potter.
… ma non posso abbandonarlo. Non posso. So che lo rimpiangerei per il resto della mia vita.
E cavolo, sarebbe un sacco di tempo!
Si rannicchiò dentro la coperta. Ormai non poteva più tornare indietro; sarebbe quindi andata avanti.
 
****
 
 
Scandinavia, Istituto Durmstrang.

“La tua stanza, Sören.”
Dionis reggeva una torcia magica: Sören ne aveva viste tante durante la sua infanzia, ma tutte appese ai muri, mai rette da una persona. Era quello a rendere Durmstrang diversa da Hogwarts: i fuochi erano accesi raramente, e solo per scopi magici. Le torce appese ai muri erano poche, quelle bastevoli e ben poco illuminavano.
Ricordava Durmstrang. Sette anni passati in un posto non erano nulla. La ricordava, ma non la teneva nei suoi ricordi felici. Era semplicemente un ricordo.
Radescu tirò fuori una chiave elaborata che aveva appesa al collo e aprì la porta della sua stanza. “Sai come funziona… la puoi aprire solo tu, con la tua bacchetta.” Si schiarì la voce. “Ed io, naturalmente.”
“Sei il custode delle chiavi?” Chiese con un mezzo sorriso, e l’altro ricambiò.

“Già. La mia famiglia lo è da tre generazioni.” C’era orgoglio nel suo tono di voce e Sören poteva capirlo: custodire le chiavi dell’ala dell’élite era un grande onore.
L’Ala Nera – chiamata così per via di qualche leggenda che aveva francamente dimenticato - era una porzione esigua del castello, la più distante dal corpo centrale e, paradossalmente, la più prestigiosa. Lì dormivano il corpo scelto di Durmstrang, l’eccellenza tra gli studenti.
Era la prima volta che visitava quel posto.
Essere chi sono significa anche non dare nell’occhio. Ed essere uno dei prescelti, è come avere un cartello appeso al collo. In colori sgargianti, peraltro.
La stanza non era poi molto diversa da quella che aveva utilizzato nei suoi veri anni scolastici: una branda, una scrivania, una piccola libreria e un’alta finestrella da cui spirava aria di mare. Le pareti erano pura roccia, essendo l’Istituto stato edificato a ridosso della montagna. Notò qualche scarno effetto personale. Un paio di libri di testo scolastici, un set di scacchi magici dall’aria costosa. Nessuna foto: Luzhin non era certo un tipo che amava arredare.
Oppure ha liberato la stanza in vista del mio arrivo.
Non si era mai chiesto che fine avesse fatto; supponeva che  suo zio avesse pagato profumatamente lui e la sua famiglia per starsene fuori dai piedi.
E se non sono bastati i galeoni, penso siano state sufficienti le pressioni.
“Il tuo baule arriverà tra poco… hai bisogno di qualcos’altro?” Lo riscosse Radescu, girandosi la chiave tra le dita. Gli dispiaceva vederlo nervoso: era evidente che non si sentisse a suo agio con l’idea di averlo lì.
È un élite, e l’élite sta negli spazi a lei dedicati. Nessun altro ha il permesso di entrare, o non avrebbero un custode delle chiavi.
Ma non poteva preoccuparsi anche di quello.
“No, grazie.” Scosse la testa. Ci ripensò. “Poliakoff è già arrivato?”
“Ieri sera, sì.” Annuì, fermandosi sul ciglio della porta. “Te lo vado a chiamare? Dovrebbe essere in refettorio.”

“Digli che sono qui, sì.” Confermò. Doveva aggiornarsi con il russo. Non c’era molto che dovesse dirgli, ma forse Kirill aveva nuove informazioni.
Non sarebbe così improbabile che mio zio dicesse più a lui che a me.
Fece una smorfia e congedò con un cenno della testa Dionis che si tirò dietro la porta con delicatezza.
Finché non arrivava il baule con dentro il suo Fuoco Magico portatile, parlare con il dottore di famiglia era impossibile; a Durmstrang di camini ce n’erano pochi, quelli bastevoli per le lezioni o per le cucine.
Passò le dita tra la pelliccia di orso che copriva il letto. Era più morbida di quella in cui aveva dormito per sette anni.
Era ironico che occupassa la stanza del ragazzo che doveva impersonare senza sapere quasi nulla di lui; sì aveva le informazioni bastevoli per rendere credibile la sua recita, ma…
Ma non sei Luzhin. Sei tornato ad essere lui, tutti ti credono lui.

Aveva incrociato ragazzi sconosciuti e persino volti che ricordava nebulosamente appartenessero ai suoi ultimi anni di scuola. Tutti lo avevano salutato usando quel maledetto cognome, alcuni gli avevano persino sorriso e si erano complimentati per la risultato ad Hogwarts. Il piano di suo zio, dopotutto, stava funzionando.
… ma non sei lui. Non sei lui.  
Non fare nulla lo stava logorando. Ma in effetti, dalla Prima Prova, cosa aveva fatto di operativo?
A parte ingannare Lilian…
Si alzò di scatto, gettando un incantesimo riscaldante attorno alla stanza; i brividi di freddo che lo scuotevano stavano diventando insopportabili.

Aveva bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa; l’immobilità gli avvelenava la mente, gli faceva sanguinare le cuticule delle unghie morse ferocemente.
Sentiva il veleno della sua incertezza, della sua rabbia, della sua confusione stillargli doloroso nelle vene.
Sentì bussare alla porta. “Avanti.” Possibile Poliakoff fosse già arrivato?
Non lo era, ma era l’elfo domestico che trascinava il suo baule. Lo congedò velocemente e finalmente ebbe la possibilità di aprire il forziere contenete il fuoco magico e chiamare il dottore.

Agrippa, l’aveva sempre conosciuto così, era un lontano parente di suo zio. Era un uomo dall’aria in apparenza fragile, e la barba e i capelli grigi gli davano un’aria quasi polverosa. Sören aveva sentito durante tutta la sua infanzia la punta della sua bacchetta sfiorargli la pelle per esaminarla, guarirla.
“Sören, ragazzo mio, che piacere!” Sorrise al di là delle fiamme verdognole. “Anche se ormai dovrei rapportarmi a te come l’uomo che sei.”
“Buonasera Agrippa.” Replicò cortese. “Come state?”
“La salute è cosa labile, figliolo.” Scrollò le spalle. “Ma ammetto che essere un Guaritore aiuti i miei acciacchi.”
“Ne sono lieto.” Prese un respiro. “Devo farvi delle domande.” Vedendo l’uomo premere le labbra in una linea nervosa, aggiunse. “So che non vi sentite a vostro agio. Immagino mio zio vi abbia intimato il segreto.”
“Vige anche il principio tra Guaritore e Paziente, Sören. Il giuramento di Ippocrate non è solo cosa da babbani…”
“Lo capisco.” Lo interruppe. “Ma è mio zio.”

L’anziano sospirò. Lo poteva vedere anche attraverso il fuoco. “Vostro zio… è malato.”
Lo sapevo.
Lo sapeva, ma non poté fare a meno di sentire una stretta allo stomaco, e una potente ondata di panico scuoterlo. Suo zio era l’uomo che l’aveva plasmato, allenato, punito e che gli aveva dato uno scopo fino a quel momento. Suo zio doveva essere indistruttibile, eterno, inscalfibile.

Invece era un essere umano, come lui. Naturalmente lo sapeva, ma non l’aveva compreso fino a quel momento.
“Quanto… quanto gli resta?” Perché era quello. Hohenheim stava morendo. Non aveva bisogno di conferme per leggerlo nel viso quieto e dispiaciuto del Guaritore che aveva servito per generazioni la loro famiglia.
“Non credo che ci sia pozione o incantesimo che possa guarirlo, ormai.” Esitò. “Genetica. Non si può combattere. Sono i suoi polmoni.”

“Non può essere guarito?” Neppure con tutta la magia, le Arti Oscure e l’Alchimia che avevano a disposizione? Si sentiva frastornato, incredulo. Suo zio sarebbe morto.
E allora? Cosa succederà? La Thule andrà avanti, immagino… immagino, credo. Ma io?
“Temo che non sia nelle mie possibilità, né in quella di un altro Guaritore. Vostro zio lo sa.” Ci fu una nuova esitazione. Era ovvio che l’anziano mago non sapesse tutto, ma sapesse abbastanza da voler tenerlo segreto.

“Cos’altro, Agrippa?”
“Null’altro che non possiate immaginare… sta mettendo in ordine i suoi affari, mi ha detto. È tutto ciò che so, e tutto ciò che mi ha detto quando gli ho comunicato che non potevo far molto per aiutarlo, tranne allieviare le sue sofferenze.”

Sören sentì le unghie premergli sulla parte morbida del palmo, premere e fare male.
Mettere in ordine i suoi affari…
Non era una mera figura retorica, un fare testamento, un predisporre un piano per le sue esequie.
Vuole fare qualcosa di drastico. Vuole suo figlio, e non credo sia solo per parlargli o affidargli le fortune di famiglia.
No, era qualcosa di molto peggio. Non aveva idea di cosa fosse, ma non aveva poi molta importanza.
Perché ci trascinerà tutti giù con sé, per farlo…
I mercemagi, la perdita di contatti costanti con l’Organizzazione, la mancanza di informazioni, l’affiancargli un ragazzo inesperto come Poliakoff, quell’insensato attacco dei Dissennatori, il portare Thomas lontano dall’Inghilterra…
“Signore?” La voce di Agrippa lo riscosse. “Mi dispiace avervi dovuto dare questa spiacevole notizia… sarebbe stato meglio se ve ne avesse parlato vostro zio…”
“Sapete bene quanto me che non l’avrebbe fatto.” Tagliò corto. Si stupì della durezza che sentì nel suo tono, ma non cercò di aggiungervi una diversione cortese. Non era affatto dell’umore, per eufemizzare.

L’uomo sembrò infatti a disagio. “Non dite così, siete il suo unico nipote…”
No, sono un mezzo. Come lo siete voi, come lo è Kirill, o la Thule …

“Grazie Agrippa. Sarete ricompensato per la vostra sincerità.” Disse, ammorbidendo l’asprezza che sentiva premere lungo la gola. “Naturalmente questa conversazione deve rimanere tra me e voi.”
“Naturalmente.” Confermò il Guaritore; Sören poteva fidarsi del silenzio dell’anziano mago. Una delazione avrebbe portato guai anche a lui. “Temo di dovermi congedare…” Infatti non vedeva l’ora di terminare quella conversazione. Non era il solo.

“Certo, porti saluti alla sua famiglia.”
“Lo farò. Sempre vostro servo, Signore.” Con un lieve cenno ossequioso della testa sparì tra le fiamme.
Sören fece appena in tempo a chiudere il forziere che sentì bussare alla porta. “Sören, sono Kirill!”
“Entra.” Tempismo imperfetto, ma andava bene così. Fu quasi sollevato di vederlo; non aveva voglia di restare solo con i propri pensieri.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle, guardandosi attorno. “Ma come? Non ti sei già sistemato?”
“Il baule è arrivato pochi minuti fa.” Scrollò le spalle. Il russo lanciò un’occhiata al fuoco portatile, ma non disse nulla. Si guardò attorno e poi sbuffò.

“Beh, mi avevi mandato a chiamare, no?” Dalle briciole presenti sulla sua divisa era chiaro gli avesse interrotto un pasto. Uno dei tanti.
Direi che gli ho fatto un favore… le vacanze natalizie non hanno aiutato la sua dieta.
“Hai ricevuto ordini da mio zio?” Gli chiese a bruciapelo. Non si preoccupò dell’impressione che poteva avere l’altro sentendolo chiedere, invece che sapere.
Kirill aggrottò le sopracciglia, poi si strinse nelle spalle. “Nessuno. Pensavo li avessi tu…” Un lampo confuso gli balenò nello sguardo, ma null’altro. Perché non chiese.
Non è preoccupato?
“Dobbiamo andare avanti con il piano.” Si risolse a dire, per non fare seguire un silenzio forse rivelatore della sua inquietudine. “Aspettare la Seconda Prova. Hai materiale per me?”
“Certo.” Confermò con un cenno. “Se vuoi te lo posso mostrare adesso. La mia camera è poco distante da qui.” Sembrava tranquillo e fu questo a metterlo in allarme.

Gli ho appena detto che praticamente non ho ordini da mio zio e lui non chiede perché?
Lo guardò a lungo, ma non vide niente che potesse fargli intendere che nascondeva qualcosa. Sempre la stessa espressione stolida, sempre la stessa piega arrogante delle labbra.
E non è un Occlumante… me ne accorgerei.

Poliakoff, lo realizzò in quel momento, era un elemento imprevedibile, in quella storia. Sembrava troppo stupido per avere la confidenza e soprattutto, la fiducia, di suo zio. Eppure …
Eppure non devo presupporre che sia tutto qui.

Perché ora, tutto quello, era un problema. Era una corsa verso l’abisso. E forse un tempo non si sarebbe accorto di stare per cadervi dentro. Anzi, se suo zio glielo avesse chiesto, avrebbe addirittura accellerato fino a non sentire più il terreno sotto i propri piedi.
Ma adesso quell’abisso lo vedeva. E lo spaventava, a morte.
 
****
 
 
Highlands, Scozia. Notte.
 
Rose rischiò quasi di ficcare un piede nello sterno di qualcuno quando tentò di stiracchiarsi.
L’idea del pigiama-party poteva essere carino, ma quando si era sedici persone pigiate in uno scompartimento che doveva contenerne otto non era esattamente agevole. Loro e il gruppo del coro avevano chiacchierato, aperto dolci e persino cantato vecchi successi babbani e wrock fino a tardi. Quando il sonno era arrivato, era finito tutto in un gran caos di coperte, cuscini e persone che dormivano per terra. Tom e Albus erano gli unici veramente comodi, anche se dividevano un solo letto; Rose supponeva che nessuno sano di mente avrebbe chiesto a Thomas Dursley di lasciargli un po’ di spazio sul materasso. Tranne Albus, che gli aveva appoggiato la testa su petto con la naturalezza di anni di dormite alla Tana.
Devo ammetterlo… quando dorme Tom riesce persino a sembrare carino. Dopotutto è privo di sensi.

Era bizzarro che fosse rimasto, ma dopotutto era strano anche che avesse riportato loro Albus dopo che era scomparso con la scusa del giro di perlustrazione.
“Rosie?” Si sentì chiamare nella penombra. Malfoy le era appiccicato addosso, caldissimo e incuneato tra lei e la parete. Doveva stare scomodo, considerando la sua stazza non esattamente da matricola. “… Sto perdendo un braccio.” Piagnucolò infatti.
Rose sbuffò, ma non aveva tutti i torti. Non si sentiva i piedi da mezz’ora. “Andiamo a prendere un po’ d’aria. E vedi di non uccidere nessuno, passando.”
“Parla per te, Weasley.” La rintuzzò e dal tono sembrò immensamente sollevato. “Noi Malfoy siamo leggiardi.” 

“Allora la leggiadria deve aver saltato una generazione.” Replicò.
Con molti tattici passi in diagonale e qualche calcio non voluto, seguito da lamenti assonnati, riuscirono ad uscire in corridoio. Fuori dai finestrini il buio della brughiera era punteggiato da qualche scarsa luce; paesini babbani ignari che un treno magico sfrecciava sulle loro terre.

“Woah!” Scorpius si stirò smodatamente. “Stavo per perdere l’uso degli arti! E poi chi lo diceva a quelli del Torneo?”
“Esagerato.” Sbuffò stringendosi la vestaglia addosso con un brivido di freddo; all’interno del vagone letto faceva un caldo torrenziale. Fuori, un freddo abbacinante.
La dinamica dell’escursione termica…

“Questa promiscuità farà venire un infarto alla vecchia McGrannitt domattina.” Ghignò l’altro per tutta risposta. “Ma dopotutto che si aspettano? Non hanno messo muri o scale scivolose a guardia di voi graziose fanciulle.”
“Come se avessimo bisogno di guardiani…” Sbuffò divertita, inarcando poi un sopracciglia al leggero pigiama dell’altro. “Ma non hai freddo?”
“Bambinaal Malfoy Manor questa temperatura è considerata gradevole. Vieni tra le mie forti braccia!” E la attirò a sé, strizzandola un po’. “E riscaldati!”
Rose si mise a ridere, non potendone farne a meno. Gli battè una pacchetta sul petto. “Sì, Malfoy… funzionerebbe se non avessi la temperatura interna di un rettile.”
Scorpius spalancò la bocca oltraggiato. “Guarda che non è colpa mia se ho i piedi freddi!”
“Sono due pezzi di ghiaccio, non li hai soltanto freddi.”

L’altro sbuffò, senza mollarla di un centimetro. Rose sapeva di essere mediamente più calda di quel vampiro biondo, quindi si limitò a farsi usare con scaldino con enorme spirito di sacrificio.
“Mini-Potter era strano…” Mormorò dopo un po’ Scorpius, con la guancia appoggiata sui suoi capelli. “… sembrava angosciato.”
“Puoi biasimarlo?” Sospirò guardando verso lo scompartimento. Se Al e Thomas, due notabili solitari, preferivano passare del tempo con un branco di Grifondoro e Tassorosso – era questa la maggioranza – significava solo una cosa.

Vogliono pensare il meno possibile.
“No.” Confermò Scorpius serio. La sciolse dall’abbraccio. “È solo… che vorrei davvero poterli aiutare. L’anno scorso in qualche modo siamo stati utili, no? Invece quest’anno…”
“È meglio così.” Si appoggiò alla parete di legno, scivolando a sedere, subito imitata dal suo ragazzo. Aveva un suono dolce quella parola.

Probabilmente la userò al posto del suo nome per mooolto tempo.
“Pensaci, l’anno scorso abbiamo rischiato di metterci nei guai un sacco di volte.” Riprese. “E poi, alla fine, le cose si sono sistemate senza che avessimo voce in capitolo. Forse è giusto così.” Si strinse nelle spalle; ci aveva pensato, a chiedere ad Albus se potesse essergli utile, in qualsiasi modo. Ma la realtà era che tutta quella storia era spaventosa, oltre le loro possibilità. Il cugino ci era entrato non per il malato desiderio di provare emozioni forti, ma perché non voleva abbandonare Tom.
Odiava Tom, per quello; lo odiava perché aveva forzato Albus ad entrare in una situazione che, lei lo sapeva bene, lo spaventava a morte. Al non era Harry Potter. Era il suo migliore amico, che voleva diventare Guaritore e che dormiva ancora con un peluche.
Si sentì sfiorare la guancia da un dito. “Uno zellino per i tuoi pensieri.” La apostrofò Scorpius, inarcando le sopracciglia indagatorio.

“Sto solo pensando…” Esitò, poi continuò perché quel pungono andava condiviso. “… sto solo pensando che se succedesse qualcosa ad Al… sai, per la faccenda di Tom e di suo padre…” L’altro annuì. “Beh… sarebbe tutta colpa di Tom.”
Scorpius la fissò perplesso. “Non credo che Dursley volesse questo per lui e mini-Potter.”

“Sì, ma…” Detestava quando l’altro la faceva sentire sciocca; perché ci si sentiva. Ma non poteva fare a meno di pensare che Thomas fosse orribile ad … essere chi era.
Scorpius si fece serio, sospirando. “Rosie, vuoi bene ad Al. Normale. Ma non è un bambino… ha scelto lui di stare accanto a Dursley.” Si grattò la nuca. “E in tutta franchezza, non so se sarei capace di fare una cosa del genere per qualcuno. È tosto.”

“Al è straordinario.” Convenne, e poi rimasero in silenzio. Il rumore dei binari, secco e monotono, la cullò nel dormiveglia. Si avvicinò maggiormente a Scorpius: poteva essere un ghiacciolo, ma non era importante al momento. Fu ricompensata da un braccio attorno alle spalle e dal profumo di pulito del suo pigiama costoso filato sfruttando chissà quanti elfi domestici.
“Durmstrang non sarà una passeggiata, vero?” Mormorò. “Per nessuno di noi.”
“Diventeremo grandi e forti.” Rispose Scorpius dandole un bacio sulla fronte. “E un giorno, avremo un sacco di cose da raccontare ai nostri dodici figli.”

“Dodici…” Si bloccò. “Dodici?
“Voglio una famiglia numerosa, fiorellino!” Ghignò l’altro con aria beata. E anche un filino maniacale, come sempre quando partiva per la tangente delle sue elucubrazioni mentali “Pensaci, potremo fare a metà. Metà dei nostri figli avranno nomi della tradizione Malfoy, e l’altra metà…”
“L’altra metà scordatelo, idiota. Sono una ragazza, non un forno.” Le veniva da ridere, anche se fino ad un momento prima si era sentita sperduta, come quel piccolo treno in mezzo ad una dannata distesa di nulla. “E non chiamerò mio figlio Aldebaran.”

“Che ne dici di Cygnus?”
Rose non potè fare a meno di scoppiare una risata che sciolse il magone come neve al sole. Il matrimonio sembrava, ed era, una cosa lontanissima. Ma andava bene parlarne; era meglio che riflettere troppo su Durmstrang.
Sentirono la porta dello scompartimento aprirsi. Ne uscirono un arruffatissimo ed insonnolito ad Al, seguito da un apparentemente sveglio e compostissimo Tom.

Sembra sempre non dorma mai. Forse ha una bara da vampiro a casa sua e ad Hogwarts fa finta.
“Ehi.” Sbadigliò Al. “Che fate qui fuori?”
“Mi avete svegliato.” Li accusò Tom con aria mortifera. Al gli rifilò una gomitata che lo reso molto meno spaventoso. Più che altro, dolorante.
“Parliamo.” Scrollò le spalle Scorpius. “Lì dentro manca l’aria e al mio corpo statuario anche lo spazio.”
“Sei un cerebroleso, Malfoy.” Sospirò Tom. “Tutte quelle cadute dalla scopa…”

Si trovarono tutti e quattro a guardarsi, sapendo esattamente cosa ciascuno di loro stava pensando. Cosa temeva sarebbe successo e sperava invece accadesse.
Scorpius si strofinò le mani per riscaldarsele. “Allora!” Esclamò spezzando il silenzio e Rose fu quasi certa di vedere un lampo grato nello sguardo di Thomas. “Partita a Sparaschiocco?”
Morgana, se amava il suo Malfoy.

****
 
Poliakoff si richiuse la porta della stanza dietro le spalle: non aveva molto tempo prima che Sören tornasse. Non era tipo da gustarsi una cena. Mangiava poco, meccanicamente.
Era una vera pena capitale vedere come si alimentava, perché mangiare non era un verbo adatto; dubitava avesse persino un cibo preferito.
Per sicurezza castò un incantesimo di rilevamento attorno alla porta, poi aprì il baule del fuoco magico portatile. Vi lanciò una scarna manciata di polvere – Sören non doveva accorgersi della diminuzione nel piccolo cofanetto.
Il volto di Hohenheim si palesò immediatamente. Sapeva che aveva un fuoco portatile sopra la scrivania. Il Maestro non poteva essere tipo che si inginocchiava davanti ad un focolare.

“Ode alla Thule.” Recitò.
“Poliakoff. Aspettavo la tua chiamata.”
“Mi scusi, ma Sören ci ha messo più del previsto a disfare i bagagli e non dispongo di un fuoco portatile… inoltre…”
“Quale novità mi porti?” Lo bloccò. “Le tue impressioni, ragazzo.”
Kirill ispirò. Era un onore. Era un onore il compito che gli era stato dato, da Von Hohenheim in persona. “Credo che lei abbia ragione. È inquieto.” Inspirò passandosi le dita tra il ciuffo di capelli che gli era caduto sugli occhi. Tutta quella storia lo faceva sudare. E le scale che portavano all’ala dell’élite non erano poche. “… Si comporta in modo strano. Forse sospetta qualcosa.”
“Questo è certo. Mio nipote non è un idiota. Non glielo avrei permesso.” Replicò. Poliakoff chinò la testa in assenso. “Devi tenerlo d’occhio. Non lasciare il suo fianco neppure per un attimo.”
Kirill annuì di nuovo; così, dunque, Von Hohenheim pensava che Sören potesse tradire la Thule. All’inizio di quella storia gli sarebbe parso assurdo. Quel damerino gli erano sembrato una specie di manichino senza spirito, che viveva in attesa di ordini.

Ma poi ha perso la testa per la gallinella che doveva avvicinare… che imbecille.
“Per il resto, Signore?”
“Va’ avanti con il piano. Tieni tranquillo mio nipote, e informati sulle routine di mio figlio. Non devono esserci errori, non stavolta.”
“Sarà fatto.”
Non ci furono saluti o commiati, il fuoco sparì in uno sbuffo di fumo, e Kirill fu lesto a richiudere il bauletto e riporlo sotto la branda dove era stato precedentemente posizionato.

 
****
 
“Milo.”
Essere un servitore era dura. Passare il tempo a cercar riparo nel quartiere magico di Lubecca e non trovarlo era peggio, certo, ma ore intere a rimanere fermo in un angolo ad attendere ordini era… sfibrante.
“Signore.” Si fece avanti. Hohenheim aveva avuto una breve conversazione in una lingua che non conosceva, forse russo a giudicare dai suoi slavi che aveva percepito. Sembrava infastidito, ma era difficile dirlo visto che non vi erano lineamenti più duri di quelli di Alberich Von Hohenheim.

“Prendi il candelabro.” Voleva che lo scortasse; era un po’ che succedeva. Era molto però, aveva sentito dire da Etzel, che il padrone non utilizzava la bacchetta, neppure per un lumos.
In ogni caso obbedì e accese il grosso manufatto in ottone che rischiarò i loro passi; poteva essere giorno come notte. A volte gli sembrava di vivere una notte senza fine.

Capisco che non è sempre lo stesso giorno dal fatto che le mie ferite stanno guarendo. Solo da questo.
Affiancando lo stregone non aveva bisogno di sapere dove stessero andando. In cima ad una scala, l’uomo tese la mano. “Da qui continuo da solo.”  
Milo gli passò il candelabro senza una parola; ogni palazzo aveva delle stanze proibite, o segrete. Ed infatti; lavorava lì da cinque mesi, e non era la prima volta che veniva in quell’ala del castello. Soloper scortare il padrone che poi spariva inghiottito da una porta che si riapriva solo molte ore dopo.

“Aspettami qui.” Gli ordinò.
Milo si limitò ad appoggiarsi alla parete fredda dietro di sé. Non che dovesse ribattere; si lasciò dunque inghiottire dalle tenebre docilmente.

Perché sapeva, ad istinto, che erano di gran lunga meglio quelle, rispetto a ciò che c’era là sopra.
 
 
****
 
Note:


È passato un delirante periodo di tempo, lo so. E questo capitolo non è neanche allegro.
Il prossimo però sarà esplosivo. Al goes wild. (Immaginate anche perché :P)
In questo periodo mi sono stati fatti tanti regali meravigliosi. Vorrei linkarli tutti , ma visto che sono un culopeso da paura, vi invito a friendare la mia pagina facebook sopra alla mia pagina profilo(dicendomi magari chi siete ^^) ed ammirarli nella loro fulgida bellezza nella cartella immagini.
Dio, ho bisogno di una vacanza dalla vita reale... ah! Risponderò alle recensioni il prima possibile. Le leggo e davvero, GRAZIE.


1. Qui la canzone.
 
  
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