Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Julia Weasley    10/11/2011    12 recensioni
Seguito di “Eroi non si nasce, si diventa”.
Regulus è morto in circostanze misteriose, lasciando dietro di sé soltanto domande senza risposta. Ma quando una fidanzata che non si dà pace, un vecchio Indicibile in pensione e un elfo domestico che sa molto più di quanto possa sembrare incroceranno per caso le loro strade e uniranno le forze, tutto sarà destinato a cambiare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Black, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Regulus Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'R.A.B.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non può piovere per sempre

Capitolo 31
Tempi di cambiamenti

« La primavera è arrivata » esclamò allegramente Dedalus, osservando con soddisfazione il giardino della sua casa. « Era ora! Ragazzo, come stanno le mie piante? Mi auguro che non abbiano subito altri danni. »
« No, Dedalus, non preoccuparti » rispose Sturgis, mentre faceva ondeggiare pericolosamente il vaso che doveva trasportare.
« Ottimo. Torna al lavoro, allora. Avanti, muoversi! »
Sturgis gemette, affaticato, ma alla fine riuscì a posare il vaso senza romperlo. Poi puntò la bacchetta sulle piante e iniziò ad innaffiarle.
Emmeline aveva a mala pena notato lo scambio di battute tra i due. Se ne stava in disparte, la schiena appoggiata al tronco di un albero e le braccia strette intorno alle ginocchia. Avrebbe dovuto studiare, ma in quel momento non ne aveva alcuna voglia. Continuava a pensare alla sua discussione con Rachel e a quello che lei le aveva rivelato.
Barty è un Mangiamorte.
Quelle parole continuavano a non avere senso. Non potevano essere vere. Eppure, Emmeline aveva reagito male non perché si fidava di lui: Barty non godeva della sua fiducia da tempo, ormai. Quello che le aveva impedito di ascoltare Rachel era ben altro, perché le aveva creduto, nonostante tutto. Ma non voleva ammettere a se stessa di essere rimasta legata per più di un anno al ricordo di qualcuno che invece l'aveva sempre ingannata. Non si era mai sentita più umiliata di così. Era stata una stupida a non volerselo togliere prima dalla testa. E invece, fino al giorno precedente aveva sperato che le cose potessero tornare come prima. Per questo se l'era presa con lei: aveva distrutto tutte le illusioni che si era creata. Ma l'unica con cui era davvero arrabbiata era se stessa con la propria ingenuità. Non poteva rimproverare nessun altro.
Così aveva trascorso una notte insonne e angosciante. Alla fine però si era alzata con le idee più chiare, e in un certo senso si era meravigliata di se stessa. Si fidava di Rachel, che non le avrebbe mai detto una cosa del genere se non ne fosse stata assolutamente sicura. Inoltre, si sentiva stupita, mortificata e delusa... ma non era disperata come aveva temuto. Non soffriva come quando Barty la aveva lasciata.
Di colpo, si era resa conto di non amarlo più da tempo. Certo, ne era ancora attratta e lui le mancava, ma era sparito quel qualcosa in più che distingueva l'amore da una semplice infatuazione.
Forse, inconsciamente, si era già accorta del cambiamento di lui, ed era rimasta legata solo al ricordo di quello che era stato. In un certo senso quindi per lei era stata come una liberazione. Ma della rabbia non riusciva ancora a liberarsi. Si detestava per aver perso tutto quel tempo a rimpiangere qualcosa che non esisteva più. Era sempre stata una persona razionale, ma nell'ultimo periodo aveva completamente perso la testa.
Emmeline osservò distrattamente la fila di formiche che percorrevano il tratto di terreno nei pressi delle radici dell'albero, continuando a pensare a tutto quello che era successo.
Aveva sbagliato a usare la magia contro Rachel, ma lei non avrebbe dovuto accusarla di essersi alleata con Barty o di fare la spia. Come avrebbe potuto allearsi con un Mangiamorte? Solo ricordare il momento in cui, quando avevano stabilito una tregua, Emmeline aveva stretto quella mano che probabilmente aveva già ucciso, la faceva rabbrividire. Rachel non doveva permettersi di fare certe insinuazioni...
« Aaaaaaaaah! AIUTO! »
Emmeline balzò in piedi, spaventata. Per un istante temette il peggio: i Mangiamorte li avevano trovati? Poi capì che le urla provenivano da Sturgis: la pianta carnivora di Dedalus gli aveva arpionato la veste e, per quanto il ragazzo cercasse di sfuggirle, quella non accennava ad arrendersi. Emmeline si affrettò a soccorrerlo.
« Relascio! »
La pianta mollò la presa e Sturgis cadde con la schiena a terra.
« Stai bene? »
« Sì, grazie » bofonchiò lui, paonazzo per la vergogna, mentre si rimetteva in piedi.
« Non sapevo che Dedalus avesse delle piante carnivore. »
« Nemmeno io. »
« Come mai te ne stai occupando tu? »
Sturgis sospirò.
« Dedalus è molto possessivo nei confronti delle sue piante, le tratta come figlie. Stamattina ho pestato per sbaglio un'aiuola, quindi mi ha costretto a curargli il giardino... Ma tu da dove sei spuntata? Non ti avevo vista. »
« Ero dietro quell'albero. Stavo... »
Emmeline si bloccò, suscitando la sua curiosità.
« Cosa? »
« Stavo pensando » ammise lei.
« Anche a me piace riflettere all'aperto, soprattutto se sono triste. La primavera mi mette allegria. »
Emmeline annuì educatamente, ma non ne era molto convinta.
« Non mi credi, vero? »
« Non è per questo. È che quando succedono tante cose brutte, non ce la faccio proprio ad essere allegra. »
« Dovresti provarci, invece. D'inverno le piante sembrano morte, ma poi le foglie ricrescono sempre. Questo pensiero mi fa venire voglia di ricominciare, anche se siamo in un periodo difficile. A te non succede? » aggiunse Sturgis, esitando con imbarazzo.
Emmeline non ci aveva mai pensato davvero, ma non poteva che dargli ragione. Forse era l'aria della primavera, ma aveva una gran voglia di lasciarsi alle spalle il passato e cambiare gran parte della propria vita.
« Non hai tutti i torti... »
« Meno male, pensavo di aver detto una delle mie solite sciocchezze » fece lui, nervoso.
« Tu non dici sciocchezze. Non devi essere così insicuro » lo tranquillizzò lei.
Sturgis fece spallucce, impacciato ma anche compiaciuto.
« A volte parlo troppo e dico tutto quello che mi passa per la testa. »
« Non c'è niente di male nel parlare chiaro. C'è tanta gente che vive solo di menzogne... » commentò Emmeline, pensando a Barty con rabbia. Poi si riprese e aggiunse: « Se vuoi ti aiuto. »
« Grazie... » fece lui, porgendole l'innaffiatoio. « Se non sono troppo indiscreto, come mai sei così giù? »
Lei esitò, indecisa se dirlo oppure no.
« Scusa, non c'è bisogno che mi risponda. »
« Grazie. Non mi va di parlarne... »
« Giusto, come vuoi... Oh, guarda chi c'è! »
Emmeline si voltò, vedendo Sturgis salutare qualcuno in direzione della casa, e si ritrovò a stringere le labbra con fastidio quando notò Rachel. Quest'ultima stava parlando animatamente con Sirius, che la stava spingendo fuori.
« Vai » stava dicendo lui, anche se da quella distanza si sentiva a mala pena.
« E va bene! » sbottò lei, indispettita.
Rachel uscì in giardino e si diresse verso Emmeline. Quando le si fermò davanti, calò un silenzio imbarazzato. Sturgis guardò prima l'una e poi l'altra, confuso, ma non fece domande.
« Senti, mi dispiace di aver dubitato di te. Non avrei dovuto » disse, tutto d'un fiato, lisciandosi nervosamente le pieghe della veste.
Emmeline tacque per alcuni istanti, poco incline a perdonarla così presto. Ma alla fine le parole le uscirono spontanee, prima che si potesse rendere conto di quel che diceva.
« Non importa. Lo hai detto nel mio interesse... e ti credo. »
Rachel ne fu sorpresa.
« Davvero? »
« Sì. E, a proposito, scusa per averti colpita. »
« È già passato. »
Le due continuarono a guardarsi per alcuni istanti, a disagio.
« Credo che andrò ad innaffiare quell'aiuola laggiù » disse Sturgis, rendendosi improvvisamente conto di essere di troppo.
Quando il ragazzo si fu allontanato, Rachel si rivolse di nuovo ad Emmeline, con un'espressione corrucciata.
« Non avrei mai voluto darti una notizia del genere. Non sai quanto mi dispiace. »
« Rachel, davvero, non preoccuparti. Anzi, grazie per essere stata sincera con me. Sei un'amica. »
Emmeline le rivolse un sorriso accennato, che Rachel ricambiò non senza un certo stupore ed esitazione.
« Come ti senti? » le chiese con cautela.
« Sono delusa, arrabbiata e triste. Sento di aver perso troppo tempo per colpa sua... Ma ora sono anche pronta a voltare pagina. Voglio dimenticarlo. »
Rachel le mise le mani sulle spalle, guardandola con determinazione.
« Ce la farai. Tu meriti di meglio. »
Poi la abbracciò, ed Emmeline si ritrovò a pensare che niente come il sostegno di un'amica avrebbe potuto aiutarla a superare quel momento.

***

« Tim, non dovresti essere qui, lo sai? »
Il ragazzino uscì dal nascondiglio dietro il cespuglio, evidentemente contrariato per essere stato scoperto quasi subito mentre tentava di seguire Remus.
« Voglio venire con te » replicò, testardo.
Remus sospirò. Se l'era aspettato, quindi non poteva dire di essere sorpreso della sua presenza.
« Stavolta è pericoloso. »
Tim sbuffò. Gli si avvicinò, incrociando le braccia e guardandolo dal basso verso l'alto.
« Dove stai andando? Devi incontrare altri lupi mannari, vero? »
« Non ti si può nascondere niente, eh? Sì, sto per incontrare alcuni lupi di altri due branchi che non sono fedeli a Voldemort. Voglio parlare con loro per convincerli a stare dalla parte dell'Ordine della Fenice, prima che sia Greyback a persuaderli. Però sarebbe meglio che tu non venissi. Se fosse una trappola... »
« Tu saresti in difficoltà senza di me. Con me saremmo pari, ma se non ci fossi tu saresti in minoranza. E dai, Remus! Sei riuscito a convincermi che Greyback si sta solo approfittando di noi. Potrei esserti utile per convincere anche quei lupi mannari che devi incontrare. E dai! »
Remus non poté fare a meno di sorridere. Da quando lo aveva conosciuto, non aveva mai visto Tim così allegro ed esuberante. Era sempre stato schivo e sospettoso, ma ora il bambino che la licantropia aveva soffocato stava uscendo fuori. Ed il merito era sia suo che degli altri Malandrini. L'ultima notte di luna piena aveva confermato a Tim che tutto quel che Remus gli aveva detto era vero: esisteva anche un altro modo per affrontare il loro problema, e c'erano persone che non nutrivano pregiudizi nei loro confronti... e anche altre che si sforzavano di superarli.
« Va bene, vieni. Tanto anche se ti dicessi di no mi seguiresti, e non posso arrivare in ritardo. Seguimi, ma prometti che, nel caso in cui succedesse qualcosa, scapperai senza guardarti indietro » lo ammonì severamente.
« Ok, d'accordo » borbottò il ragazzino, che in realtà lo stava ascoltando poco. Non vedeva l'ora di aiutarlo in quell'impresa.
Remus continuò a camminare, con Tim alle calcagna. La notte era calata già da un po' ma lui non aveva paura. Era abituato alla notte ormai, anzi, preferiva di gran lunga quando era più buia. Era la luna piena che detestava con tutto se stesso. Quel globo argenteo costituiva il suo incubo ricorrente. Era difficile vivere nella perenne attesa dell'ennesima volta in cui si sarebbe trasformato in lupo mannaro, mese dopo mese. Non si riusciva mai a sentire completamente libero; e sapeva che tutti quelli come lui condividevano le stesse angosce. Quanto avrebbe voluto che qualcuno trovasse una cura per la loro malattia...
« Stai attento, ci sono molti rovi qui » lo avvertì Remus, e Tim annuì, chinando la testa e facendo attenzione al sottobosco. Non che si preoccupasse di graffiarsi – i graffi delle spine erano una bazzecola in confronto alle ferite provocate dai suoi stessi artigli – ma non aveva voglia di strappare sempre di più i vestiti già abbastanza laceri che aveva addosso. L'inverno era passato, ma il freddo si sentiva lo stesso, soprattutto per chi era costretto a dormire all'aria aperta. Perciò era meglio restare il più coperto possibile.
Camminarono per una buona mezzora. Tim si stava già stancando, ma non voleva dimostrarlo. Così, ogni volta che Remus gli lanciava un'occhiata esitante, lui accelerava il passo, salvo poi rallentare per riprendere fiato.
« Ci siamo » disse alla fine Remus, dopo quella che gli parve un'eternità.
Tim si guardò intorno. Si trovavano nei presi di una cascatella. L'unico rumore che si percepiva fino a quel momento era lo scrosciare dell'acqua, ma presto tutti e due iniziarono a percepire alcuni passi che si avvicinavano sempre di più. Presero a fissare un punto della foresta tra due alberi, dal quale emersero lentamente due figure magre e ricurve.
Tim osservò i due lupi mannari avanzare e avvicinarsi. Erano trasandati quanto loro. Il più basso era anche il più anziano. Indossava un lungo impermeabile che gli arrivava sotto i piedi. L'altro era un giovane sulla trentina, anche se il pessimo stato in cui versava lo faceva sembrare molto più avanti con l'età.
« Sei tu Lupin? » chiesero.
« Sono io » rispose lui.
« Charlie MacDougal » si presentò il più anziano. « E lui è Silvanus Cook. Pensavamo che dovessimo incontrare solo te » aggiunse, scrutando Tim.
« Lui è con me. »
« Ma... è un bambino » esitò Silvanus Cook.
« So mantenere i segreti. E Remus si fida di me » replicò Tim, sfidandoli con un'occhiata truce.
« Ok, come non detto. Abbiamo portato qualcosa. »
Charlie si mise a frugare dentro una bisaccia che aveva appesa sulle spalle, e ne estrasse un po' di pane stantio.
« Grazie. »
Per qualche minuto tutti tacquero, intenti a masticare. Poi Charlie esordì.
« Sappiamo di cosa vuoi parlarci, e te lo diremo chiaramente. La nostra vita è già abbastanza miserabile e complicata. Non abbiamo voglia di partecipare ad una guerra in cui verremmo disprezzati da entrambi i fronti. »
Remus e Tim si lanciarono un'occhiata delusa. Charlie era stato molto chiaro e aveva messo subito le mani avanti. Con quelle premesse non sarebbe stato facile convincerli.
« Capisco perfettamente, ma io mi limito ad augurarmi che voi e i vostri branchi non decidiate di parteggiare per Voldemort. Credo che conosciate Greyback... »
« Certo che lo conosco, è stato lui a farmi diventare così! » sbottò Silvanus, diventando d'un tratto paonazzo.
« Lo stesso è accaduto a me e a Tim » rispose Remus, posando una mano sulla spalla magra del ragazzino, che guardò gli altri due quasi con aria di sfida. « Greyback è dalla parte di Voldemort, sapete che vuole creare un esercito. E lo fa mordendo bambini come lui, anche più piccoli. »
« Lo sappiamo... » disse Charlie, con lo sguardo sfuggente. « E ti assicuro che nessuno di noi si unirà mai a quelle canaglie dei seguaci di Greyback. Ma vogliamo vivere per conto nostro. Il mondo magico ci disprezza, non ci interessa combattere. »
« Non è sempre così. Ci sono persone convinte del fatto che i lupi mannari abbiamo gli stessi diritti degli altri. Silente è uno di questi. Altrimenti, come avrei mai potuto frequentare Hogwarts? È stato grazie a lui e alla gente che ho conosciuto lì che ho capito che cedere al vittimismo non porta da nessuna parte. »
Charlie sembrava ancora scettico, ma Silvanus lo guardava con stupore.
« Hai frequentato Hogwarts? Davvero? »
« Sì... »
« Sarà, ma sono pochi quelli come Silente » lo interruppe Charlie, burbero.
« Questo perché, fino a che Voldemort metterà a ferro e fuoco il nostro mondo, le cose non potranno cambiare. È per questo che io combatto. Continuare a nasconderci e piangerci addosso non servirà a niente. So come ci si sente, lo sappiamo tutti perché siamo nella stessa situazione. Ma dobbiamo lottare per migliorare le nostre condizioni. »
« Non ha torto » commentò Silvanus.
« Voi siete ancora giovani » ribatté il più anziano. « Quando sarete arrivati alla mia età, e non sarà cambiato niente, allora capirete. La gente non cambia, il mondo magico è sempre lo stesso. Siamo sempre stati trattati da emarginati, ancora prima che Voi-Sapete-Chi nascesse. Perché una sua sconfitta dovrebbe cambiare le cose? Credete che qualcuno ci sarebbe riconoscente se contribuissimo alla vittoria? No, ci ricaccerebbero nello stato in cui siamo vissuti nei secoli... »
« Ma che stai dicendo? » sbottò improvvisamente Tim, indignato. Tutti lo guardarono con perplessità, ma lui non si fece intimorire. « Allora vuoi restare senza fare nulla, mentre Greyback continua a fare del male ad altre persone? Pensi solo a te stesso! »
« Bè... non intendevo dire questo... » bofonchiò l'uomo, imbarazzato.
« Ma è questo che faresti » replicò Remus, con un tono tranquillo.
Charlie era diventato rosso per la vergogna. Silvanus sembrava impressionato dalla grinta di quel soldo di cacio, ma concordava con lui.
« Non prendetevela con Charlie, ne ha viste troppe di ingiustizie per essere ancora fiducioso nel prossimo. Però avete ragione quando dite che non possiamo starcene con le mani in mano. Mi sento una schifezza quando penso che c'è tanta gente che muore, mentre io non faccio nulla per impedirlo... »
Charlie aveva una smorfia dipinta sul volto segnato dalle rughe e dalle cicatrici. Sembrava in preda ad una lotta interiore.
« Ma cosa vorresti che facessimo? Noi non abbiamo neanche una bacchetta... »
« Non vi chiedo di combattere apertamente. Vorrei solo che spargeste la voce, che mi aiutaste ad impedire che altri lupi mannari decidano di seguire Greyback. Sarebbe già un grande aiuto. Uno dei modi per combattere Voldemort è anche quello di sottrargli seguaci. »
« Io ci sto! » esclamò Silvanus, in tono deciso. « Contate pure su di me e il mio branco. In fondo, è come se fossimo tutti fratelli: abbiamo tutti qualcosa che ci unisce. »
Remus sorrise, sollevato; poi rivolse lo sguardo all'altro lupo mannaro.
Charlie esitava ancora, ma alla fine sospirò.
« D'accordo, va bene, avete ragione voi... È che sono pessimista, cosa volete farci? Comunque vi darò una mano, anche se secondo me non servirà a nulla... »
« Questo si vedrà. Grazie » disse Remus, sollevato.
Tim si sentiva immensamente soddisfatto.
Il tragitto di ritorno gli sembrò molto più corto. Camminarono in silenzio per parecchi minuti, poi Remus gli parlò.
« Sei stato in gamba, sai? »
« Visto che avevo ragione a voler venire con te? Devi imparare a darmi retta. »
« Lo ammetto, senza di te sarebbe stato più difficile convincere Charlie. »
« Perché era così pessimista? »
Remus assunse un'espressione grave.
« Vedi, lui non è stato fortunato come me. Non ha mai avuto nessuno a sostenerlo e incoraggiarlo. È naturale che sia così. »
Tim si incupì improvvisamente.
« Quindi io sarei diventato come lui, se non fosse stato per te. »
Remus tacque, costernato.
« Ma è andata diversamente » lo incoraggiò.
Tim si bloccò. Erano appena arrivati nei pressi del nascondiglio del branco di Greyback.
« Grazie, Remus » bofonchiò, imbarazzato. Non era abituato a gesti e parole affettuosi, ma si sentiva in dovere di dimostrare la propria riconoscenza a quel ragazzo.
Dopo di che gli voltò le spalle e si addentrò nel folto della foresta.
« Ehi, Tim. Dove sei stato? » gli chiese una bambina dai capelli arruffati. Il suo nome era Sarah ed era più piccola di lui: doveva avere all'incirca sette anni.
« In giro... » rispose Tim, vago.
Ma poi si soffermò a guardare sia lei che tutti gli altri bambini. Tutto a un tratto gli era venuta un'idea. Se Remus stava cercando di sottrarre seguaci a Voldemort e Greyback tra gli adulti, anche lui avrebbe potuto dare il suo contributo. Lì era pieno di ragazzini come lui, che ancora non si erano induriti al punto di rassegnarsi. Era pericoloso, ma l'adrenalina lo esaltava, facendogli dimenticare ogni paura. Si sarebbe posto a capo di una rivolta di quei piccoli lupi mannari. Anche loro aveva il diritto di conoscere la verità su Greyback. Remus lo aveva sottratto al lavaggio del cervello, e ora Tim avrebbe fatto lo stesso con i suoi coetanei. Sì, ormai aveva preso la sua decisione.
« Sarah, posso parlarti un secondo? » esordì, emozionato.
Lei lo guardò con curiosità. Poi annuì.

***

Si udì un lamento lacerante, seguito immediatamente dopo dal rumore di qualcosa che si spezzava di colpo. Un denso fumo nero si levò lentamente dall'Horcrux infranto, salendo verso il soffitto come una spirale che andava diradandosi sempre di più.
Silente fece cadere l'athame per terra, mentre le mani gli tremavano violentemente. Osservò da vicino l'anello, con il cuore che palpitava per l'agitazione. Il fendente inferto dal Preside non aveva potuto risparmiare completamente la pietra che vi era incastrata. La montatura aveva quasi ceduto del tutto sotto il colpo, la Pietra aveva una grossa crepa. L'Horcrux era distrutto, ma quel che Albus temeva più di ogni altra cosa era che anche la Pietra perdesse i suoi poteri. Aveva deciso di distruggere l'Horcrux prima di provarla, memore di quanto era accaduto a Orfin che, nonostante tutti i suoi sforzi per guarirlo, non sarebbe vissuto a lungo. Gli restavano alcuni mesi, ma la maledizione del medaglione non aveva rimedi.
Ora però... forse iniziava a pentirsene... aveva aspettato quel momento da una vita intera...
Sapeva perfettamente cosa raccontava la storia dei tre Fratelli: l'aveva letta e riletta così tante volte da saperla a memoria. Ma in fondo era solo una fiaba, il cui scopo era quello di insegnare qualcosa... Ma la realtà doveva essere diversa. La Pietra della Resurrezione doveva possedere poteri straordinari. E ora si trovava lì nelle sue mani, e non aspettava altro che di essere usata.
Prese l'anello e lo infilò al dito, trattenendo il respiro.
Non accadde nulla. Tutto era silenzioso intorno a lui, soprattutto dopo il rumore assordante che l'Horcrux aveva fatto prima di distruggersi. Lo faceva rabbrividire, insinuandogli nel profondo un sentimento di oppressione e angoscia.
« Perché? » sussurrò a se stesso, disperato.
Si era aspettato di ritrovarsi di fronte sua sorella, suo padre, sua madre... e invece non c'era nulla, solo le pareti diroccate e le imposte sbarrate della Stamberga Strillante.
Poi capì. Si rese conto di aver perso la lucidità, se non era riuscito a ricordare un dettaglio così banale.
Sfilò l'anello, lo posò sul palmo della mano tremante e lo fece girare su se stesso.
Una... due... tre volte.
Si accorse di avere gli occhi chiusi. Non aveva il coraggio di aprirli. Temeva al tempo stesso di non vedere nulla e di incontrare tutti i membri perduti della sua famiglia. Qualcosa lo fece tremare: sentiva le loro presenze intorno a lui.
Alzò le palpebre e si guardò intorno, con il cuore in gola.
Tre sagome lo circondavano nell'ombra e lo guardavano fisso.
Percival gli somigliava molto. I capelli rossi, gli stessi occhi azzurri brillanti... ma lo sguardo era molto diverso da quello che ricordava. Era cupo, come se fosse spento, e lo guardava con qualcosa che sembrava più rassegnazione che stupore o felicità.
Kendra aveva la stessa espressione del marito. La fronte corrugata rendeva ancora più duri i suoi lineamenti accentuati dagli zigomi alti.
« Albus... »
La voce che aveva parlato lo fece sussultare. Era sonora e delicata al tempo stesso, la stessa voce che ormai aveva imparato a dimenticare, perché lei non aveva più parlato da quando era stata aggredita.
Si voltò a guardare la sagoma più bassa ed esile, con gli occhi lucidi e colmi di lacrime che non riuscivano a sgorgare.
L'espressione di Ariana era meno dura di quella dei genitori. I capelli erano raccolti in una treccia, e lei indossava lo stesso abito a fiori che aveva il giorno in cui era morta... Albus riusciva ancora a ricordare quel maledetto giorno come se non fossero passati anni e anni.
Era convinto di doversi sentire felice nel vedere di nuovo la vita nel suo sguardo. Ariana era lì, di fronte a lui, con gli occhi aperti...
Ma era triste e fredda, separata da lui come da un velo.
Le parole che sapeva a memoria da anni lo colpirono con la violenza di un tuono. Il volto di Ariana ora emanava sofferenza e malinconia.
Anche se era tornata nel mondo dei mortali, non ne faceva veramente parte e soffriva.
« Albus, sei così lontano... » disse Ariana, sussurrando.
Lui non capiva. Le era vicinissimo, quasi poteva sfiorarla, anche se non aveva la forza di provarci. Ma forse si illudeva. Forse Ariana diceva la verità... era lui ad essere lontano, a non essere degno. Non era mai stato Padrone della Morte. Non ne aveva mai capito il senso...
I suoi familiari facevano parte di un altro mondo, e lui era stato talmente cieco da non capire che nessuna Pietra della Resurrezione li avrebbe fatti tornare indietro... tanto meno se a utilizzarla fosse stato un uomo che ancora non aveva capito nulla dei Doni della Morte, nonostante tutti gli anni che aveva speso nella loro ricerca. Neanche l'aiuto della Bacchetta di Sambuco sarebbe servito a qualcosa.
Cos'altro mi aspettavo? Si chiese. Non ho mai pensato che potessero tornare indietro.
E poi capì di poter fare soltanto una cosa. Era poco, ma erano anni che si era tenuto tutto dentro, senza avere la possibilità di fare ammenda dei propri sbagli di fronte a chi più di tutti aveva pagato.
« Mi dispiace » gemette, la voce spezzata, guardando prima i suoi genitori. « Mi dispiace per tutto. »
Poi si soffermò su Ariana, e il suo animo tremò sotto lo sguardo della sorella. Lei però non aveva un'espressione accusatoria, non l'aveva mai avuta. Era lui che si era sempre sentito in colpa guardandola, quando era viva perché la considerava un peso, ora perché non sapeva da quale bacchetta era provenuto l'anatema mortale che la aveva uccisa.
Eppure era arrivato molto vicino a saperlo, tanti anni prima... Dopo aver sconfitto Gellert, quest'ultimo lo aveva voluto colpire con ciò che più temeva al mondo: la verità.
« Non vuoi sapere chi tra noi è stato, Albus? » gli aveva mormorato, il volto deformato dalla rabbia mentre gli Auror lo portavano via.
« Dillo! Dillo, una volta per tutte! » aveva gridato lui, uno dei rari momenti in cui aveva perso il controllo. Lo aveva afferrato per il bavero della veste, furioso e incurante degli sguardi preoccupati degli Auror. In quell'istante quasi non gli importava di quale sarebbe stata la verità. Almeno la avrebbe conosciuta.
E invece Grindelwald aveva sorriso con crudeltà di fronte alla sua espressione sconvolta dal dolore.
« No, non te lo dirò. Per te sarà peggio convivere per sempre con questo dubbio. »
Era stata l'estrema vendetta di uno sconfitto, ma ad Albus aveva fatto male come se lo avesse accoltellato. Solo il pensiero di aver voltato le spalle alla propria famiglia per colpa sua lo faceva invadere dal rimorso.
« Perdonatemi » aggiunse, a fil di voce.
Lasciò cadere la Pietra a terra, ritrovandosi di nuovo solo. Percival, Kendra e Ariana erano scomparsi.
 
 
 
 
E così anche il secondo Horcrux è stato distrutto, Tim comincia a sognare in grande, con lui stesso a capo di una rivolta di lupetti (si darà una ridimensionata, però, e capirà che non è un gioco per ragazzini), ed Emmeline è rinsavita, anche se dovrà soffrire ancora. A proposito di lei, non so se ho spiegato bene quello che le sta capitando. Emmeline è nella fase in cui ha perso la stima, la fiducia (chiamatela come preferite) in Barty, ma ancora non riesce a staccarsi del tutto. E' la fase di mezzo tra l'illusione e la disillusione, e bisogna che ci passi per lasciarlo perdere definitivamente ^^
Silente non mi fa troppa simpatia per come sfrutta tutti, ma penso che un'occasione per vedere la famiglia morta e parlarci di nuovo se la meritava, e gli ci voleva anche per fargli capire un paio di cosette. Ah, ovviamente, le due frasi in corsivo in quella scena sono citazioni della storia dei Tre Fratelli, se non si era capito!
Nel prossimo capitolo, oltre a stragi e battaglie, finalmente darò spazio anche ad un personaggio che ho ignorato per ben trenta capitoli, e che forse è il momento di inserire! XD
Quindi vi do appuntamento al 24 novembre.
  
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Julia Weasley