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Autore: Niglia    11/11/2011    12 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XXV

 

 


















 

Cenammo in un’atmosfera che aveva davvero del surreale.

Da parte mia non capivo in che modo riuscisse a emanare sensualità anche mentre mangiava, alternando ad ogni boccone una lunga occhiata nella mia direzione. Aveva inoltre acceso lo stereo per stemperare un po’ i vuoti silenziosi, dal quale si erano sparse delle note delicate che ci accompagnarono durante la cena. Tutto sommato, dopo i primi minuti imbarazzati riuscii a intavolare una conversazione che non fosse troppo intima e pericolosa, e che Enrico seguì volentieri. Stranamente riuscimmo a non parlare più di assassini, droga, mafia o chissà cos’altro, ma sapevo benissimo che il discorso non era stato chiuso – attendeva in un angolo, come un leone acquattato in attesa del momento giusto per balzare fuori e colpire la sua preda.

Non finisce qui, aveva detto anche lui. Non potevo che dargli ragione…

Dopo cena lo aiutai a sparecchiare ignorando le sue proteste – in quanto ospite, secondo lui, sarei dovuta restare seduta senza alzare un dito – ma non volle sentire ragioni per quanto riguardava il caffè, e non me lo lasciò preparare. Con un sospiro, mi sedetti ad uno degli sgabelli della penisola della cucina, poggiando il mento sul palmo della mia mano e osservandolo mentre combatteva con la macchinetta del caffè.

Il vero problema di Enrico era che, vita da delinquente a parte, lui poteva essere benissimo l’uomo perfetto, il principe azzurro, il fidanzato che ogni ragazza sogna di avere, un giorno. No, rettifico: quello era il mio vero problema, dato che avevo ancora parecchie riserve su di lui. Va bene, non negavo di esserne attratta: e neppure che mi piacesse, un filino. E mi sarebbe piaciuto poter credere di riuscire a redimerlo, portarlo via da quel genere di vita – insomma, comportarmi come una delle eroine di quei romanzi harmony che adoravo leggere nel tempo libero. Ma purtroppo, a diciotto anni suonati, sapevo che c’era molta, forse anche troppa differenza tra la vita immaginaria, fittizia di quelle protagoniste innamorate e quella vera, dove io, volente o nolente, mi ritrovavo a vivere. Chi non sogna una vita da commedia americana, con lieto fine annesso?

Comunque, per il momento non volevo pensarci. In fondo avrei anche potuto farmi bastare l’attrazione che provavo nei suoi confronti per cedere e mettermi insieme a lui, no? Almeno per i primi tempi sarebbe bastato quello. Dopotutto le persone non si fidanzano perché sono ciecamente innamorate, ma perché trovano bella e interessante l’altra persona, abbastanza per giustificare questa scelta; non credevo particolarmente nel colpo di fulmine, quella era roba da film e romanzi rosa. L’affetto o l’amore, nella realtà, viene col tempo, se la situazione regge e sembra durare più del previsto. Dunque, perché io non avrei dovuto fare lo stesso?

Ve lo dico io, il perché. Perché non era quello che volevo per me, perché non era così che me lo immaginavo e perché, malgrado tutte le mie belle parole ciniche e realiste, io aspettavo davvero il vero amore, o perlomeno qualcosa che ci andasse vicino. E mi sarebbe piaciuto fidanzarmi con qualcuno di cui sarei stata davvero innamorata, qualcuno che mi avrebbe fatto battere il cuore semplicemente standomi accanto e che, magari, non mi avrebbe imposto la sua presenza ma avrebbe aspettato pazientemente che io mi abituassi e che la desiderassi davvero. E invece eccomi lì, intrappolata in quella situazione con Enrico senza alcuna apparente via di scampo. Che cosa diavolo ci si aspettava che facessi?

“Ecco il tuo caffè”, disse il protagonista dei miei cupi pensieri, posando davanti a me una tazzina di caffè nero e bollente. “Quanto zucchero?”

Mi riscossi rapidamente, sollevando gli occhi su di lui e sbattendo le palpebre per tornare alla realtà. Svegliati Giulia che la guerra è finita! “Ah, sì, due cucchiaini”, risposi, raddrizzandomi e schiarendomi la voce.

Le sue labbra si stesero in un sorriso, mentre versava lo zucchero nel mio caffè. “Oh, ti piace molto dolce, eh? Chissà perché l’avevo immaginato…” Aggiunse con voce suadente, sedendosi sullo sgabello di fronte a me. Osservai quanto zucchero ci metteva lui, e storsi appena il naso nel vedere che ne versava appena mezzo cucchiaino, giusto un assaggio.

“A te invece piace molto amaro, vedo. Anch’io l’avevo immaginato”, ribattei, decisa a non voler perdere più nessuna piccola battaglia verbale. Se mi provocava, avrei iniziato volentieri a comportami allo stesso modo.

Gli sfuggì una risatina, prima che arricciasse le labbra – santo cielo! – e mi guardasse piegando la testa di lato, come se avesse voluto studiarmi con attenzione. “Ma io non sono amaro”, obiettò, con l’aria di un bambino appena rimproverato dalla madre.

Borbottai qualcosa di incomprensibile con un tono piuttosto scettico, mentre giravo il cucchiaino nella tazza e osservavo il nero e fumante caffè come se fossi ipnotizzata dal movimento circolare che faceva la bevanda. Bisognava sempre vedere tutti i punti di vista, d'altronde a me piaceva il cioccolato fondente che era piuttosto amaro, no?, quindi non credevo che fosse un male che lo fosse anche lui. Questa riflessione, comunque, vidi bene di tenerla per me.

Sorseggiai il caffè cercando di non incrociare lo sguardo di Enrico, comportandomi davvero in modo infantile. Posai nuovamente la tazzina sul piattino e passai leggermente la lingua sulle labbra per portar via il sapore del caffè, osservando un punto imprecisato sul tavolo sovrappensiero. Avevo così tanti pensieri per la mente che non mi sembra il caso di ripeterli nuovamente, erano sempre gli stessi espressi con altre parole. Mi sfuggì un sospiro che non riuscii a soffocare.

“Vorrei baciarti.”

I miei occhi saettarono su di lui e contemporaneamente mi sentii le guance in fiamme. “Cosa?” Balbettai imbarazzata; non poteva dire cose del genere all’improvviso e con quel tono, santo cielo!

Vidi le sue labbra arcuarsi in un sorriso malizioso, mentre posava il mento sul palmo della mano e mi osservava quasi bramoso. “Ho detto che vorrei baciarti”, ripeté senza alcun riserbo. Perché lui sembrava sempre così tranquillo e a suo agio, anche quando il mio cuore voleva saltare fuori dalla mia gabbia toracica e darsela a gambe?

Cercai di riprendermi e trovare una risposta abbastanza pungente da metterlo a tacere, ma non era facile con lui che mi guardava in quel modo. “Sì, beh, anche io vorrei una collana di diamanti ma non è detto che la possa avere…” Replicai poco convinta, aggrottando le sopracciglia.

Enrico non si lasciò intimidire e il suo sorriso si accentuò ancora; si sollevò sullo sgabello, posando le mani sul ripiano della penisola per mantenersi in equilibrio e si chinò veloce verso di me, avvicinandosi pericolosamente alle mie labbra. “Potrei regalartela per Natale, chi lo sa”, mormorò suadente, prima di coprire la mia bocca con la sua.

Mi ritrovai a chiudere gli occhi e socchiudere le labbra come se non stessi aspettando altro, sporgendomi verso di lui e facendo aderire meglio le nostre bocche. Gemetti appena quando la punta della sua lingua accarezzò maliziosa il mio labbro inferiore prima che iniziasse a mordicchiarlo piano, con insolita prudenza, come se temesse di esagerare e allontanarmi di nuovo da lui. Maledissi per un istante il mio corpo che contraddiceva le mie convinzioni ragionate e inattaccabili, ma fu una protesta troppo effimera che evaporò del tutto quando la sua lingua si insinuò tra le mie labbra, andando alla ricerca della mia.

Le mie mani cercarono alla cieca le sue, per poi giocherellare con le sue dita fino a intrecciarle alle mie, cercando di trattenermi dall’immergergliele tra i capelli. Sollevai il viso per andargli incontro e approfondire meglio il bacio, chiudendo gli occhi – forse per fingere che non fosse lui a baciarmi, ma malgrado tutto mi resi conto di non aver nessun altro in mente con cui avrei voluto sostituirlo. Cercai di ignorare i feroci battiti del mio cuore – speravo che lui non potesse sentirli – e mi rilassai solo quando la sua bocca mi diede un po’ di tregua, allontanandosi da me quel tanto che bastava per lasciarmi respirare.

“Sai di caffè”, disse piano, con una strana vena intenerita nel tono. Lo vidi leccarsi impercettibilmente le labbra, ma eravamo troppo vicini perché io non notassi quel gesto; così, arrossii per l’ennesima volta. Stava iniziando a diventare un’abitudine.

 

 

“Parlami di tua madre.”

Dopo il famoso caffè ci eravamo spostati sul divano, pur senza metterci eccessivamente comodi; eravamo seduti ai lati opposti del sofà che comunque era piccolo, ma non mi sembrava il caso di abbracciarlo o sdraiarmi contro di lui o altre posizioni simili. Insomma, eravamo abbastanza vicini da giustificare quanto appena successo ma abbastanza lontani da non implicare eccessivi risvolti amorosi. Ormai non sapevo più come comportarmi – mi sentivo pericolosamente vicina allo scacco matto, e il re in pericolo non era di certo il suo – ma rimanevo comunque dell’idea che avrei dovuto andarci con i piedi di piombo, in qualsiasi modo si sarebbe evoluta l’intera situazione. Avevo pensato che chiedergli qualcosa di lui, qualcosa che non riguardasse la sua attività, sarebbe potuto essere un buon modo per fare conversazione e conoscerlo un po’ di più, e visto che quella domanda mi perseguitava dal momento stesso in cui me ne aveva parlato, mi sembrò normale affrontare il discorso.

Probabilmente fu il tono quasi dolce con cui glielo avevo chiesto a farlo sorridere in quel modo, ma fu un sorriso debole che non aveva la carica maliziosa di quelli che ero abituata a vedere e che svanì fin troppo rapidamente. Compresi che forse avevo esagerato con quella domanda, non volevo metterlo in difficoltà e quello doveva essere un tasto dolente, per cui malgrado l’imbarazzo cercai di porvi rimedio.

“Scusa, Enrico, forse non è il caso… Lasciamo perdere,” aggiunsi esitante, indecisa se allungare una mano verso di lui o meno.

Lui scosse la testa e decise al posto mio, sporgendosi verso di me e prendendo la mia mano per stringerla, massaggiandone il dorso con il pollice e accennando l’ennesimo sorriso. “No, puoi chiedermi tutto quello che vuoi”, ribatté con un tono di voce pacato, senza guardarmi. “È che non parlo molto spesso di lei; con mio padre è fuori questione affrontare certi discorsi, e con Betta non oso neanche perché non voglio che fraintenda le mie parole. E per quanto riguarda i ragazzi, beh, non posso di certo farmi vedere debole.”

Stavo già per ribattere a quell’ultima affermazione, quando la sua espressione mi fece chiaramente capire che stava scherzando; così scossi appena la testa e cercai di ricambiare il suo sorriso, avvicinandomi di più a lui fin quando le nostre gambe non si toccarono – a quel punto non potei che ringraziare silenziosamente il cielo per avermi fatto indossare i pantaloni. Erano se non altro una garanzia.

“Se ne vuoi parlare, io ti ascolto”, gli proposi gentilmente, scambiando i ruoli delle nostre mani e ritrovandomi ad essere io ad accarezzare la sua. Lui la strinse e io mi misi comoda, permettendogli di aggrapparsi alle mie dita come avrebbe fatto un naufrago perso in mezzo alla tempesta; probabilmente anche lui era perso, in balia di quei ricordi che l’avevo costretto a rispolverare. Il minimo che potessi fare era offrirgli metaforicamente la mia spalla, nello stesso modo in cui mi aveva consolato lui quando era morto mio nonno. Solo, mi chiedevo se sarei stata così disponibile e comprensiva nei suoi confronti anche se non ci fossimo mai baciati; chi poteva saperlo?

Enrico annuì appena, come se stesse raccogliendo i pensieri.

“Mia madre è morta a causa di un tumore; un cancro al fegato”, esordì di punto in bianco, con un cambio di tono così repentino da farmi sobbalzare sul divano. Dopodiché iniziò a raccontare senza quasi riprendere più fiato, come un fiume in piena – come se avesse atteso anni e anni prima di parlare di questa cosa e adesso non gli sembrava vero di potersi confidare con qualcun altro. Come aveva fatto a tenersi dentro quel dolore per tutto quel tempo?

“Aveva un cancro al fegato impossibile da operare, così l’unica soluzione proposta dai medici era stata la chemioterapia; le aveva dato tutti gli effetti collaterali possibili, ma tutto sommato era sembrato funzionare. Neanche cinque mesi dopo, però, gli ultimi esami del sangue che mia madre faceva periodicamente risultarono essere di nuovo compromessi; eravamo sotto Natale, per cui mamma preferì rimandare l’inizio della nuova terapia a dopo le feste. In quel periodo si indebolì parecchio, così al primo ciclo di chemio si sentì molto male e rimase ricoverata in ospedale per oltre due settimane. Andai a farle visita poche volte, ero piccolo e mio padre non voleva che la vedessi in quelle condizioni; non so cosa pensare di questo, so solo che adesso rimpiango di non aver potuto trascorrere anche quei giorni al suo fianco. Andò avanti così per oltre un anno; mia madre faceva in continuazione la spola da casa all’ospedale, era sempre più debole, e a volte i dottori erano costretti a posticipare la terapia per permetterle di riprendersi tra un ciclo e l’altro, anche se poi a quello successivo i problemi si ripresentavano.

“Sai, il brutto delle malattie che colpiscono il fegato è che influiscono anche sull’umore; puoi immaginare quindi che cosa potesse fare un cancro simile. Era sempre arrabbiata, scattava per un nonnulla, si offendeva e non riusciva ad essere dolce neanche con me; purtroppo non ho conservato molti bei ricordi di mia madre, proprio a causa di questo periodo – credevo che avesse smesso addirittura di volermi bene”, aggiunse abbassando ancora di più la voce, con una punta di rammarico. La sua mano strinse la mia con forza ma non mi lamentai, ormai del tutto immersa nel suo racconto e nel suo dolore; non riuscivo neppure a concepire una cosa simile, immaginare mia madre in quella situazione… Mi faceva male solo il pensiero.

“È morta senza che io riuscissi a dirle una volta sola quanto… Quanto fosse importante, per me”, continuò in un mormorio che mi straziò il cuore. Sollevò la mano libera a massaggiarsi e stringersi le tempie, con un gemito misto ad un sospiro che mi spinse ad avvicinarmi di più a lui.

Non sapevo che cosa dire; d’altronde, che parole potevano esserci per cercare di consolare una simile sofferenza? Adesso capivo perché Enrico non mi aveva mai raccontato nulla di tutto questo; primo, non avevamo ancora un rapporto tale che giustificasse una simile intimità, e secondo, probabilmente aveva ragione lui quando mi aveva spiegato che avrei potuto cambiare il modo di vederlo e di rapportarmi a lui, se l’avessi saputo. Non voleva che iniziassi ad uscire con lui per pietà, e come dargli torto? Malgrado tutto, adesso mi accorgevo che mi sarebbe dispiaciuto da morire se non gli avessi dato neppure quella piccola possibilità.

In quel momento, per la prima volta, mi sentii sola – fu come un’improvvisa e inattesa presa di coscienza di ciò che mi circondava.

Non era il tipo di solitudine triste e devastante di chi non ha nessuno, ma piuttosto quella pacata, rilassante, quasi confortevole di chi è in pace con se stesso e non ha paura di esserlo. Fino a quel momento avevo sempre contato molto su Alessandra e i miei amici, sui miei genitori, sulla mia famiglia, ma ora mi rendevo conto di essere completa, di non aver bisogno dell’approvazione di chicchessia o di chiedere il permesso alla mia migliore amica per frequentare qualcuno – cosa che, di fatto, era accaduta fino a quel momento. E in tutta quella completezza, in questo nuovo stadio delle cose, potevo essere abbastanza forte da gestire tutta la faccenda-Enrico – da gestirla da sola.

Anche se continuavo ad essere dell’idea che fosse improbabile che riuscissi ad amarlo quanto, invece, sembrava amarmi lui, niente mi impediva di continuare a frequentarlo. In fondo poteva diventare un capitolo interessante della mia vita, qualcosa che, negli anni a venire, avrei ricordato con un certo divertito piacere.

 

 

 

Mi riaccompagnò a casa molto più tardi – erano quasi le due e mezzo del mattino.

Dopo quella breve parentesi sul suo dolore, avevo cercato di tirargli su il morale e a quanto pare ci ero riuscita, così ci siamo trovati a bere vodka alla fragola nella biblioteca mentre giocavamo a carte e parlavamo del più e del meno. Non avevo mai riso tanto in sua compagnia – ma non voglio essere così ipocrita da attribuire la colpa della mia allegria all’alcool, anche perché lo reggo piuttosto bene – e anche se sia Ale che il resto della cricca potevano pensare che non era possibile trascorrere quasi sette ore a casa di un ragazzo, di notte, senza andarci a letto, quello era esattamente ciò che era successo.

Sul fatto che Enrico fosse un gentiluomo, da quel punto di vista, non si discuteva.

Per quanto di tanto in tanto l’avessi scorto ad osservarmi in un modo non del tutto amichevole, non aveva cercato di provarci neppure quando lo avevo abbracciato, dopo che si era confidato con me. Rispettava le mie convinzioni – anche se non le condivideva – e sembrava essersi rassegnato al fatto che io, per il momento, potessi concedergli solo baci e carezze. Cosa che invece non aveva fatto Matteo, il cui maldestro tentativo di approccio nei miei confronti si era rivelato essere un fallimento su tutti i fronti e aveva, oltretutto, rovinato sia la nostra amicizia che il clima del nostro bel gruppo.

Avevamo appena finito di ridere dopo il mio ennesimo aneddoto riguardo le avventure di quando ero piccola; ormai le avevo inventate tutte pur di risollevargli l’umore, e in fondo non trovavo ci fosse qualcosa di imbarazzante nelle bambinate che avevo combinato negli anni precedenti e subito successivi alla nascita di mia sorella – e Enrico d’altra parte sembrava trovare fin troppo divertente l’idea del terremoto che ero stata un tempo per non approfittare dell’occasione di rivederlo sorridere. L’atmosfera tetra che c’era stata a casa sa si era quindi diradata, permettendoci di concludere la nostra uscita in bellezza.

Parcheggiò dietro l’auto di mia madre e spense il motore, mentre l’eco delle risate si spegneva nell’abitacolo che veniva lentamente invaso dall’oscurità; solo il lampioncino crepuscolare che mio padre aveva installato nel parcheggio ci permetteva di vedere ancora parte dei nostri volti.

“Allora… Grazie della bella serata”, disse alla fine Enrico, incerto – suppongo – su come salutarmi.

Decisi di levargli l’impiccio di dover anche pensare a qualcosa che non mi ‘offendesse’ eccessivamente, visto che non mi sembrava il caso di continuare con quella specie di messinscena. “Grazie a te della cena, era tutto ottimo”, replicai con un sorrisetto rilassato mentre cercavo di sganciare la cintura difettosa.

Lo vidi inarcare un sopracciglio nella penombra della macchina. “Ma se in pratica hai cucinato tutto tu!” Ribatté fingendosi contrariato.

“Lo so, appunto”, ribadii ostentando un tono di falsa modestia.

La sua ennesima risatina mi lasciò talmente compiaciuta che mi ritrovai a sbattere le palpebre, perplessa per quella piega che aveva preso l’intera faccenda e che un tempo avrei catalogato senza pensarci due volte come indesiderata. Si trattava di una piega decisamente troppo intima e disinvolta, che ero certa mi avrebbe fatto rimuginare come un’anima in pena per il resto della nottata. E del giorno dopo. E di quello successivo…

“Bacio della buonanotte?” Chiese, imbronciando le labbra e atteggiando gli occhi in quello che comunemente si definirebbe uno sguardo da cucciolo bastonato.

Fu il mio turno di ridacchiare, scuotendo appena la testa. “Con tutti i baci della buonanotte che ti sei fatto dare stasera, potresti andare a dormire tranquillo per i prossimi due mesi”, risposi, mostrandomi tutta impegnata nell’infilare la giacca per nascondergli un sorrisetto.

“E dai, non essere antipatica. Ho messo un tetto sulla tua testa, ti ho nutrita…” Iniziò, elencando i suoi gesti di buon Samaritano sulla punta delle dita e inarcando le sopracciglia con fare compito.

“Mi hai fatto quasi ubriacare…” Aggiunsi sul suo stesso tono, prendendolo in giro.

A quella risposta si mostrò indignato. “Non è colpa mia se ti piacciono gli ammazzacaffè!”

Risi ancora, voltandomi completamente contro di lui e poggiando comodamente la spalla contro lo schienale del sedile. “Dimmi che non stiamo facendo tutto questa storia solo per un bacio”, scherzai, storcendo il naso.

“No, non per un bacio. Almeno per cinque”, precisò serio.

“Da quando in qua sono diventati cinque?”

“È l’inflazione, tesoro. Dai, dammi un bacio…” Insisté, sporgendo tutto il busto in avanti con un sorrisetto sensuale al quale era impossibile resistere anche volendo – e io avevo già resistito abbastanza. Non mi ero accorta che anche lui si fosse tolto la cintura, la qual cosa lo rendeva più libero e fluido nei movimenti. Arricciai le labbra come una bambina e sfiorai le sue labbra con le mie con un bacetto casto e schiocco enfatizzato, che tuttavia non lo soddisfò come speravo. Dischiuse solo un occhio per ammonirmi e sollevò una mano insinuandola tra i miei capelli, approfittando di quella presa delicata per avvicinarmi a sé e prendere definitivamente il controllo della mia bocca. La sua lingua ne seguì il contorno con studiata lentezza, cosa che mi fece socchiudere le labbra per assaporarlo meglio e permettergli inconsciamente di approfondire il contatto – cosa che non si fece ripetere. Ad ogni affondo nella mia bocca si staccava appena per sospirare, a mezza voce, un numero: come promesso al cinque si ritrasse, proprio quando io invece avevo iniziato a prenderci gusto.

“Non c’è cinque senza sei”, borbottai senza senso, afferrando il bavero della sua camicia e strattonandolo per tirarlo di nuovo contro di me. Mi fermai soltanto quando sentii le sue dita insinuarsi dentro la giacca e al di sotto della maglietta, a contatto con il fianco nudo: il contatto della sua pelle gelida contro la mia, bollente, mi fece rabbrividire e mi riportò con i piedi per terra, facendomi staccare quasi con la forza da lui e strappandogli di conseguenza un brontolio contrariato.

“Okay. Vado. Buonanotte”, balbettai, indietreggiando verso lo sportello e afferrando alla cieca la levetta che l’avrebbe aperto. Una volta fuori dalla macchina mi ritrovai a barcollare appena sui tacchi, disabituata quasi a stare in equilibrio sulle mie gambe, e mi allontanai verso la veranda di casa mia mentre sentivo Enrico accendere il motore e fare manovra per uscire dal vialetto di casa. Rimasi a guardarlo appoggiata ad un pilastro fin quando non vidi i fari posteriori dell’auto sparire dietro l’angolo, e quando ciò accadde sentii uno strano fremito lungo la schiena e nel basso ventre, nonché un senso di vuoto all’altezza del petto.

Poteva essere un gentiluomo e tutto il resto, ma non dovevo dimenticare che era pur sempre un uomo giovane con i suoi bisogni e i suoi desideri: fino a quando avrei potuto tirare la corda, con lui? Non mi sentivo ancora pronta per quel passo, volevo essere sicura, volevo esserne certa, volevo avere la sicurezza che non me ne sarei pentita dopo… Oh, diavolo.

La verità era che io non la volevo una relazione seria con un delinquente, e se ci fossi andata a letto questo era proprio ciò che avrei ottenuto. Ma la parte peggiore di tutto questo – che io non sopportavo – riguardava senza dubbio il fatto che Enrico mi stesse facendo cambiare idea al riguardo!
































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AA - Angolo Autrice:
Pubblico questo capitolo praticamente senza rileggerlo, perchè se lo facessi non lo pubblicherei più visto che non ne sono soddisfatta, dunque non ho controllato se ci sono incongruenze o grossi errori grammaticali; abbiate pietà.
Arrivo ad aggiornare con un ritardo talmente terribile che, se scrivessi per lavoro, sicuramente sarei già licenziata già da tempo e questa non sarebbe una cosa da scrivere tra le mie credenzialità. Vi chiedo immensamente scusa, ma sappiate che non mi sono "grattata" in tutto questo tempo, ma ho avuto i miei buoni motivi per assentarmi dagli schermi - anche se avrei preferito di gran lunga non averli. Comunque non è qualcosa su cui vi voglio tediare, perciò amici come prima e facciamo finta di niente! ;D

Passando alla storia. Probabilmente visto l'attesa che avete dovuto sopportare vi sareste aspettate un capitolo lungo chilometri, pieno zeppo di colpi di scena (o perlomeno di tanto sesso) e mi rincresce davvero avervi dovuto deludere anche stavolta. Non so se per il sesso siamo lontani o vicini, e non ve lo so dire neppure per i colpi di scena, ma posso assicuravi che cercherò di non far mancare nè l'uno nè gli altri! xD Al momento godetevi questo ennesimo capitolo di passaggio (dove, spero, la nostra protagonista sia riuscita ad aprire un po' di più gli occhi e il cuore ad Enrico - alle gambe penseremo poi - oggi sono in fase zozza, scusatemi!) in attesa dell'altro che, devo ammettere, non ho ancora iniziato a scriverlo e pertanto non posso promettervi che ci sarà presto. Comunque cercherò di fare il possibile per muovermi!
Adesso vi saluto, scappo dalla folla inferocita che credo si sia formata al di là dello schermo, vi saluto con un bacio per ammansirvi e - spero - ci sentiamo presto!

PS: Per qualche astruso motivo a me ignoto, la casella di posta di EFP non mi funziona molto bene, per cui ricevo in ritardo mail e risposte e finisco per sembrare maleducata. Proprio ieri ho ricevuto una mail risalente a settembre, per cui... Se volete scrivermi, chiedermi qualcosa, o semplicemente per incitarmi ad accelerare nel pubblicare i miei aggiornamenti (xD) potete contattarmi tranquillamente su Faccialibro!

Di nuovo con affetto, vostra
Niglia.

   
 
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