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Autore: Tico_Sarah    14/11/2011    2 recensioni
Cloud parve rimurginare a lungo sull’affermazione di Zack, poi chiese:-Ed è difficile?-
Zack si riscosse di colpo.-Cosa?- fece, tornando a guardare gli occhi dell’altro.
-Essere un soldato.-
Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Zack.-No, essere un soldato non è difficile.-
Cloud sorrise, come se quella risposta gli avesse risollevato il morale.
Zack, vedendo quell’espressione, si astenne dal dire: “Fare il soldato è impossibile.”
Eccomi! Tico è tornata con una delle sue solite seghe mentali su quanto sia brutta e inutile la guerra! A parte gli scherzi, Tico è tornata *tutti scappano*
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Sephiroth, Un po' tutti, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Era tardi e il corpifuoco era passato da un pezzo.

Il cielo notturno di Midgar donava una quiete assoluta, quasi irreale, ad ogni via della città; i palazzi, silenziosi e bui, si affacciavano sulle strade deserte; i cartelloni al neon lampeggiavano in modo lugubre, solitari; solo alcuni poveracci senza una casa erano stati costretti a trovarsi un riparo per la notte e giravano per la città come fantasmi.

Alla stazione due vagabondi seduti su una panchina stavano guardando i binari, mentre pian piano sentivano che la terra sotto i loro piedi cominciava a tremare, accompagnata da un fischio sempre più insistente.

Dal cornicione di un palazzo, con un fruscio d’ali, s’alzò in volo un corvo nero come le notte, che si levò fino a coprire la luna e cominciò a volare in direzione del fischio. Salì sempre più in alto: con i suoi occhi vide la città e, in mezzo ai palazzi, una scatola metallica che correva a massima velocità sui binari.

Il treno cominciò a sbuffare ripetutamente quando arrivò davanti alla panchina dei due vagabondi. Gradualmente diminuì la propria velocità e si fermò.

Le porte dei vagoni si aprirono con uno scricchiolio.

Cominciarono a scendere ingenti gruppi di persone, tutti soldati a giudicare dalle divise; un paio di giovani atletici si prendevano a gomitate mentre scendevano dal treno, felici di essere tornati a casa; un uomo dagli occhi schivi, tutto imbacuccato, si guardò intorno e si dileguò tra la folla il più in fretta possibile; un gruppo di ragazzi se ne andò senza esultare, in silenzio.

Ci fu un attimo di marasma: voci, rumori, suoni, il treno che riprendeva a fischiare, un vortice di colori scuri. Poi basta. La terra tremò ancora, la folla si disperse rapidamente, il treno ripartì e prese velocità.

Uno dei vagabondi sulla panchina seguì il treno in lontananza, già ridotto ad un puntino; l’altro ricominciò a guardare i binari vuoti, ma stavolta trovò una differenza: davanti ad essi c’era un ragazzo alto, dal fisico prestante e il viso giovane, che si guardava intorno, indeciso se muoversi oppure no. Teneva sulla schiena una spada che era quasi più grande di lui, eppure non sembrava preoccuparsene molto. Ai suoi piedi se ne stava abbandonato uno zainetto, in cui forse c’erano tutti i suoi averi.

Doveva essere un soldato, senza ombra di dubbio. Che stesse aspettando qualcuno? Perché non si muoveva?

Il soldato infilò la mano in tasca di malavoglia ed estrasse il cellulare. Lo guardò, compose un numero, poi ci ripensò, riattaccò e gettò di nuovo l’apparecchio in tasca. Poi si chinò per raccogliere lo zaino, quando un uomo, che il vagabondo sulla panchina non aveva neanche visto arrivare, gli si avvicinò.

Il nuovo arrivato era perfino più grosso del soldato, portava una giacca scura, una sciarpa legata attorno al collo e un cappello. Sembrava che non volesse farsi notare da nessuno.

Quando arrivò di fronte al soldato lo squadrò dall’alto in basso, poi parlò:-Cosa farai ora?-

-Non lo so.- Rispose subito il soldato, afferrando lo zaino e tirandosi dritto. Anche così non raggiungeva l’altezza dell’altro uomo, né riusciva ad eguagliare il suo portamento.

I due si guardarono a lungo, senza dire nulla, come se le parole non fossero necessarie per esprimere ciò che stavano pensando; bastava uno sguardo per comprendersi.

L’uomo misterioso fu il primo a parlare:-Per questa settimana sei congedato.- Disse.-Schiarisciti le idee, poi vieni a riferirmi la tua decisione.-

Il soldato sorrise mestamente.-Grazie Sephiroth.-

I ringraziamenti caddero nel silenzio. L’uomo misterioso si girò, dando le spalle al soldato, e se ne andò senza dire nient’altro, silenzioso com’era arrivato.

Il vagabondo curioso che aveva assistito a tutta la scena, si calò il baschetto verde e consumato davanti agli occhi blu, e per un attimo immaginò che forse avrebbe dovuto chiedere l’elemosina al soldato. Avvertì che il compagno gli aveva tirato una gomitata d’incoraggiamento, ma lui non riusciva a chiedere nulla ad un giovane che probabilmente aveva poco più di loro. Si vedeva lontano un miglio che quel povero soldato non era ricco, né benestante, e molto probabilmente le uniche cose che aveva erano quella grande spada e ciò che stava nello zaino. Parlando di quello, poi, non era neanche un granchè di zaino. Sembrava che avesse partecipato ad una guerra, tanto era logoro!

Il soldato si ravviò i capelli neri, e soltanto allora il vagabondo notò che una cicatrice gli deturpava la guancia. Vide anche che, dopo aver sistemato il ciuffetto corvino, la mano guantata del soldato aveva sfiorato la cicatrice, e nei suoi occhi era apparso un dolore così grande che il vagabondo aveva perso ogni determinazione a chiedergli aiuto.

Fu allora che il soldato si accorse che i due mendicanti lo guardavano. Si avvicinò con un sorriso lieve stampato sulla faccia e li osservò.

-Avete bisogno di qualcosa?- domandò, amichevole.

Il mendicante con il basco verde in testa arrossì fino alla punta delle orecchie e abbassò la testa, nascondendo quasi tutto il viso nella sciarpa rossa.

-Solo qualche moneta.- Rispose l’altro vagabondo, una donna, a giudicare dalla voce.

Il cappuccio del mantello le copriva tutto il viso e anche il corpo, e il soldato non seppe definirne il sesso con certezza. Rimase a fissare i due con aria comprensiva, ma al tempo stesso dispiaciuta per non poter fare molto.

-Posso solo offrirvi un riparo per la notte.- Disse, allegro.-Se volete venire con me, a casa ho abbastanza spazio per tutti noi.-

I due mendicanti si guardarono, attoniti. Non avevano mai trovato nessuno così generoso.

-Mi chiamo Zack.- Si presentò il soldato.

-Io Tifa.- Disse la vagabonda, abbassandosi il cappuccio e rivelando un viso dai lineamenti delicati, bellissimo.-Lui è Cloud, un mio amico.- E indicò il compagno.

Cloud alzò appena gli occhi verso il soldato, poi, vedendo che lo guardava, li riabbassò subito.

Zack li esortò ad alzarsi dalla panchina, lanciò lo zaino a Cloud  e fece cenno di seguirlo con la mano.-Andiamo, sono stanco e qui fa freddo.-

 

***

 

Casa di Zack era l’appartamento più disordinato che Tifa avesse mai visto. Si trovava al terzo piano di un palazzo poco distante dalla ShinRa Corporation, l’azienda  di produzione elettrica più potente del pianeta. Dalla finestra se ne poteva vedere l’ampio edificio e i reattori che lo circondavano, il tutto immerso nel buio stellato di una notte invernale.

Tifa osservò il panorama finchè il vetro non si appannò, costringendola a pulirlo con la manica del maglione.

Quando si voltò, trovò che Zack era di fronte a lei e le progeva una tazza.

-Bevi,ti riscalderà.- Si raccomandò il soldato.

Lei sorrise e ubbidì.

Cloud, alle spalle di Zack, se ne stava seduto attorno al tavolo, con l’aria spesata e confusa. Era stato un bel colpo di fortuna trovare qualcuno così gentile e disponibile, quasi un miracolo forse. Certo, la casa non era delle più lussuose, la cucina, il tinello e la sala facevano tutt’uno, il bagno era piccolissimo e le camere da letto erano solo due: una era quella di Zack, nell’altra c’era solo un letto.

-So che è una rottura.- Disse Zack, marciando verso un armadietto addossato alla parete del “soggiorno”.-Ma non ho due letti. Cloud, tu puoi dormire nella mia stanza. Tifa, tu prendi pure quella di...- s’interruppe, a disagio.

Tifa lo guardò, in attesa del resto della frase.

-Tu prendi quell’altra.- Concluse Zack, indicando una direzione a casaccio.-E io dormo qui.-

-Qui?- chiese Tifa, perplessa.-Qui dove?-

Zack sorrise con allegria e tirò fuori dall’armadietto un sacco a pelo.

-Ma...!- cercò di obiettare Tifa.

-Niente ma!- esclamò Zack, con un gran sorriso, mentre sistemava il sacco a pelo nell’unico angolo disponibile.

Cloud lo fissò con aria sempre più sorpresa.

-Non è certo una reggia-, rise Zack, inginocchiandosi sul pavimento.-Però credo che ci possiamo accontentare, no?-

Tifa non ne era così sicura. Lanciò un’occhiata imbarazzata a Cloud, che invece semprava contento. Allora si tranquillizzò anche lei e disse:-Vado a sistemare la mia stanza.-

-Perfetto.- Rispose Zack, salutandola con entusiasmo.-Vuoi andare anche tu, Cloud? Non fare complimenti, mi raccomando.-

Il ragazzo abbassò la testa.-Non dovevi.-

Zack si bloccò. Sul suo viso passò un’espressione indecifrabile, poi tornò a regnare il buon umore:-Non scherzare!- esclamò.-Certo che dovevo!-

Cloud era giovane, pensò Zack, guardando il suo viso dalla pelle pallida. Non aveva mai incontrato nessuno con due occhi così fragili e insicuri, o con dei capelli così biondi, e il pensiero di averlo aiutato lo riempiva di soddisfazione. Non gli servivano i suoi ringraziamenti, capiva da solo che Cloud era felice di stare al caldo. Chi, si chiese Zack, non lo sarebbe stato, al suo posto?

Un silenzio di pace e tranquillità, ma anche di imbarazzo (almeno dalla parte di Cloud), pervase la stanza, interrotto solo da un fischiettare vago che proveniva dalla stanza accanto, quella di Tifa.

Cloud non si decideva ad alzarsi dalla sedia. Guardò Zack destreggiarsi con il sacco a pelo finchè non ebbe terminato, poi lo vide tirarsi su e sospirare pesantemente.-Sei un soldato?- gli chiese.

-Sì.- Rispose Zack, avvicinandosi al tavolo e sedendosi accando a Cloud. Si lasciò cadere sulla sedia, esausto.-Sono un soldato dell’esercito della ShinRa.-

Già... Zack gettò la testa all’indietro e cominciò a guardare il soffitto. Era una soldato, ma chissà perché la cosa non lo esaltava più come un tempo. Se avesse incontrato Cloud giusto qualche anno prima, molto probabilmente avrebbe risposto con più entusiasmo. Ora, pensò, chiudendo i pugni con forza, era felice solo di essere tornato a casa.

Cloud parve rimurginare a lungo sull’affermazione di Zack, poi chiese:-Ed è difficile?-

Zack si riscosse di colpo.-Cosa?- fece, tornando a guardare gli occhi dell’altro.

-Essere un soldato.-

Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Zack.-No, essere un soldato non è difficile.-

Cloud sorrise, come se quella risposta gli avesse risollevato il morale.

Zack, vedendo quell’espressione, si astenne dal dire: “Fare il soldato è impossibile.”

-Domani ti aiuterò a trovare un lavoro.- Fece Zack.-Conosco una persona che può aiutarti.-

-Davvero?- domandò Cloud, allibito.

-Sì.- Annuì Zack, gentile.

Cloud arrossì violentemente.-Perché fai tutto questo per noi?-

Zack fu indeciso se rispondere oppure no. Alla fine decise di tenere nascoste le proprie motivazioni, si alzò dal tavolo con aria allegra e diede a Cloud una pacca sulla spalla.-Bisogna sempre aiutare il prossimo!-

Cloud per un attimo non seppe cosa rispondere. Sentiva di non meritare tutta quella gentilezza.

-Vai a dormire Cloud.- Ordinò Zack, gioviale.-Domani mattina sarà meno freddo, io sarò meno stanco e tutti noi potremo conoscerci meglio.-

Gli occhi di Cloud si allargarono; lui si alzò e scappò via.

Zack rimase in piedi a fissare il vuoto.

-Ho bisogno di dormire.- Mormorò. E nel farlo si lasciò andare sul sacco a pelo, tutto vestito.

Era così stanco che non riusciva neanche a togliersi le scarpe, così lasciò anche quelle.

Ben presto, cercando di scacciare quel turbinio di pensieri che gli affollavano la mente, scivolò tra le braccia di Morfeo.

 

***

 

In un’altra stanza, dentro la ShinRa Corporation, il clima era ben diverso da quello di grato imbarazzo che regnava in casa di Zack.

Sephiroth, gettata la giacca, il cappello e la sciarpa sul letto, aveva preso un bicchiere e ci aveva versato dentro un po’ di liquore. Nel berlo si era sentito un po’ meglio; quel nodo che aveva allo stomaco si era un po’ sciolto, e adesso gli sembrava tutto meno terribile.

Rimase a contemplare con aria inespressiva la parete di fronte, portando il bicchiere alle labbra finchè non ebbe bevuto tutto. Poi lo posò sul tavolino, e in quell’istante il rumore del vetro contro il legno fu soffocato da un deciso battere alla porta.

Sephiroth sbuffò e andò ad aprire: era il figlio del presidente della compagnia, Rufus Shinra, impeccabile come sempre.

-Ho appena saputo che eri tornato.- Disse, non appena Sephiroth apparve alla soglia.

Il soldato sostenne un’aria impassibile, come al solito.-Porterò domani il rapporto della missione.-

-Non sono venuto per questo.- Fece Rufus, diventando improvvisamente serio e cupo allo stesso tempo.

Sephiroth si arrabbiò, però non voleva darlo a vedere.

-Non abbiamo calcolato che...- Rufus aveva appena iniziato a parlare, ma la sua voce si spense non appena notò un bagliore strano illuminare gli occhi di Sephiroth.-Credo che tu debba dormire. Ne riparleremo domani mattina.-

-C’è poco da dire.- Replicò Sephiroth, seccato.

Rufus lo squadrò con aria irritata, poi gli diede le spalle e se ne andò a passo di marcia.

Sephiroth chiuse la porta, reprimendo la voglia che aveva di buttarla giù a calci. Era già abbastanza infuriato per tutto quello che era successo durante la missione nel Wutai, non aveva bisogno che Rufus Shinra lo facesse arrabbiare ancora di più.

-Che mal di testa...- sbottò Sephiroth, buttandosi sul letto con le tempie che gli pulsavano dolorosamente. Era sempre più difficile convivere con quello strano istinto distruttore, con la voglia di demolire tutto ciò che gli capitava a tiro. Fortunatamente il suo autocontrollo impediva a quella parte di sé di prendere il sopravvento, e questo era già tanto. Solo che poi gli faceva male la testa, e doveva riposarsi. Di dormire non se ne parlava neanche, perché il suo corpo e la sua mente erano troppo tesi per permettergli di addormentarsi.

Inoltre, pensò con amarezza, il giorno dopo avrebbe dovuto parlare al presidente della missione.

E il solo pensiero lo disgustava.

Ormai non riusciva a trovare pace in nessun luogo: era diventato impossibile distinguere la realtà dal sogno e il sogno dalla realtà; l’unica cosa da fare era affidarsi all’abitudine, chiudere gli occhi e sentire ancora il fragore delle armi, le esplosioni continue e le grida di battaglia.

Sephiroth era appena tornato da una guerra e già voleva tornarci: per lui la morte era perfino meglio della vita. Era nato per combattere, ed ora combattere era l’unica cosa che voleva fare.

Lo stare lì a silenziosamente a dormire lo annoiava.

 

 

 

Angolino di Tico:

 

  Salve! È un sacco di tempo che non pubblico più un questa sezione, e farlo mi emoziona un po’ (a parte che è un sacco che non pubblico qualcosa in generale). Comunque, ho deciso di farmi sentire con questa nuova fic... Come dire... Boh. Non so come definirla, visto che è venuta sul momento.

Do alcune indicazioni generali: la storia non c’entra niente con quella originale, si svolge in un mondo parallelo, simile ma non totalmente uguale. Non aggiungo altro, altrimenti faccio spoiler.

Altra cosina... Ci sono due coppie: una è  (indovinate) e l’altra non ve la dico... Una coppia particolare, ma che a me piace veramente tanto.

Come al solito il mio stile è una sintesi tra guerra e sentimenti, quindi non mancheranno né l’uno né l’altro, soprattutto i sentimenti *è un’inguaribile romantica (nel senso letterario del termine)*

Beh, non ho altro da dire... Fatemi sapere cosa ne pensate; se fa schifo non la pubblicherò più, promesso. Anche se la nipote mi ucciderà ;D (mi ucciderai comunque, immagino)!

SONO TORNATA A TORMENTARVI!!! SARO’ IL VOSTRO PEGGIOR INCUBO!!!

Tico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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