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Autore: Will Turner    18/11/2011    1 recensioni
Cosa succede quando una ragazza scopre la verità che rischia di distruggere la storia d'amore attesa da una vita? Da quando ha incontrato Max, Faith ha imparato a sognare: il suo tormentato passato sembra ormai superato per sempre, ma un tremendo segreto incombe su di lei senza lasciarle alcuna possibilità di fuga e mettendole davanti la scelta più difficile. Un racconto d'amore fatto di romanticismo, passioni, tormenti e lacrime che riuscirà a strappare anche qualche risata.
Aggiornamento periodico mensile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Bentrovati a tutti i miei fedeli lettori!

Oggi non posso esimermi dal fare un sacco gigante di Auguri di Buon Compleanno alla mia personal beta, che proprio il 18 Novembre compie ben 27 anni!!!
Quindi un bel Happy Birthday virtuale a Monic, alias Mozzi84, beta e miglior amica!!
TANTI AUGURONI, MONIC, E TANTI BACI!! :*

Finalmente il 40mo capitolo è a disposizione di Voi tutti, spero naturalmente che Vi piaccia, ma com'è che nessuno vuole farmi sapere il proprio parere? Vedo che siete in tanti, e ne approfitto per ringraziare chi inserisce la storia tra le Preferite e Seguite!

Grazie a Saty, ormai l'unica, ma valida lettrice, che giudica con una certa pratica ogni capitolo e fa commenti costruttivi sui personaggi e le situazioni che li circondano. THANKS! :*

Ma basta parlare, e allora Buona lettura!
Vi aspetto il 16 Dicembre 2011 per un nuovo entusiasmante capitolo!

Ciao!

 
40. N UOVE SVOLTE

    La domenica Max si risvegliò con la sensazione che ogni cosa della sua vita avesse ripreso il proprio posto. Il sole che brillava ed il tepore del primo mattino di quel giorno di metà d'agosto contribuivano a farlo stare bene con sé stesso. Malgrado avesse dormito soltanto quattro ore, della stanchezza non c'era  alcuna traccia, anzi. Tutto sembrava magicamente tornato come prima.
    Stando sdraiato a letto osservò con nostalgia e tenerezza la sua stanza, teatro di tante scene d'infanzia e di adolescenza. I poster dei film preferiti da ragazzo, come “Terminator”, “Top Gun” e “Stand by me” campeggiavano ancora sulle pareti, quasi dimenticati lì, appesi, dalla fretta di voler andare via ad ogni costo.
    Realizzò quanto fosse strano che ogni cosa fatta ed ogni esperienza vissuta lontano da casa avessero finito per ricondurlo in quel piccolo paesino dell'Ohio. Stava gradualmente accettando il fatto che esistesse un sottile legame tra lui e Lakewood e si sorprese nel ripensare a quanto si era impegnato a volerlo spezzare, dimenticando che quegli stessi luoghi costituivano tuttora le fondamenta di un'esistenza trascorsa a voler superare, quasi con inconcludente ostinazione, un passato carico di rimorso e di collera inespressa.
    Quella stanza ora gli appariva più piccola, più stretta. O forse, pensò, era lui ad essere cresciuto senza rendersene conto. Quanto tempo aveva sprecato intrappolato in un ricordo e convincendosi di avere accettato la morte di suo padre? Quei dannati poster cinematografici sembravano ripeterglielo tacitamente, e i ricordi del ragazzo che era un tempo riaffiorarono nel suo cuore di adulto.
    Sospirò con le mani dietro la nuca e, voltandosi verso la libreria carica di volumi, scorse quel piccolo libro che gli stava a cuore tanti anni prima. Si trattava di una raccolta di aforismi e poesie che Blanchard, il suo professore di lettere, gli aveva donato alla vigilia del giorno del diploma e che lui aveva custodito gelosamente in quanto suo sincero ammiratore. Ricordò con rimpianto quel momento in cui, salutandolo, Blanchard lo aveva trattenuto dicendogli parole che lo avevano  fatto riflettere.
    Era l'ultimo giorno di scuola e presto la sua vita, come quella di molti coetanei, avrebbe intrapreso una strada diversa e sarebbe inevitabilmente cambiata, anche se non sapeva ancora bene in quale modo. Gli ultimi anni non erano stati affatto facili e, da quando suo padre se n'era andato, Max aveva terminato gli studi senza l'entusiasmo con il quale li aveva iniziati, lo stesso entusiasmo che non era passato inosservato al professor Blanchard fin dai primi momenti.
    Quel giorno, Blanchard, stando seduto dietro alla cattedra, aveva salutato gli studenti con un'amichevole stretta di mano e, quando era arrivato il turno di Max, l'ultimo a rifare lo zaino e ad uscire, lo aveva invitato a fermarsi  per qualche minuto.
    Ricordò che il professore, dopo aver estratto dal borsone quel libretto usurato, ma ancora in buono stato che ora teneva tra le mani, gliel'aveva porto suggerendogli di aprirlo in una pagina con l'angolo superiore piegato.
- Max, leggi ad alta voce quelle poche righe sottolineate a matita.- Lo aveva pregato.
    Incuriosito, Max, aveva guardato dapprima il libretto, poi il professore che, con lo sguardo, lo esortava a leggere. Allora si era schiarito la voce e, con una sorta di esitazione, aveva preso a leggere lentamente.
- È stupendo scoprire come dentro di noi vive un'anima che possiede delle matite speciali, capaci di colorare anche le pagine più nere della nostra vita e di trasformare in consapevole saggezza le brucianti ferite del passato.-
    Confuso, il ragazzo aveva alzato lo sguardo dal libro. In un certo senso aveva inteso cosa Blanchard stesse cercando di dirgli, ma si trattava di qualcosa a lui difficile da ammettere.
- Cosa vuol dire?-
- Vuol dire che sei fortunato, anche se non te ne rendi conto.- Gli aveva risposto il professore.
- Io non sono fortunato. Questo aforisma è per le persone che hanno il dono.-
- E tu ce l'hai, il dono, non io e nemmeno tutti quelli come me, che si improvvisano maestri e professori soltanto perchè hanno studiato libri su libri. Tu possiedi le matite, ma ancora non lo sai. Sono le persone come te che possono fare e dare tanto agli altri e a sé stessi.-
    Max aveva esibito un sorriso triste fissando il libretto e scuotendo la testa.
- Presto ti renderai conto di essere una persona straordinaria e sarà in quel momento che diventerai lo scrittore della tua stessa vita. Non come hai fatto in questi ultimi anni. Io ho visto chi sei realmente. L'ho capito guardandoti durante la prima lezione, come ho capito che poi ti sei smarrito e hai lasciato che qualcun'altro scrivesse la tua vita per te. Tu sei tra i pochi  che si contraddistinguono dalla maggior parte della gente e che possono cambiare tutto ciò che vogliono in un modo assolutamente genuino e profondo. Possono fare della propria vita ciò che vogliono quando vogliono.-
    Provando imbarazzo e orgoglio, Max aveva indugiato per qualche attimo nello sguardo del professore senza dire niente. Sapere che c'era qualcuno al di fuori della sua famiglia che vedeva in lui qualità così valide lo aveva riempito di coraggio, ma anche di timore di non riuscire a scoprire quelle matite speciali descritte nel libro, che vivevano dentro di lui. La paura di deludere il suo professore, e specialmente sé stesso, con la conseguente ed inevitabile disillusione dal possedere virtù così rare ed ambite.
- Sono sicuro che presto le scoprirai.- Aveva mormorato il professore prima di salutarlo, quasi gli avesse letto nella mente.
    Max aprì il libretto alla pagina con l'angolo piegato. Si sdraiò di nuovo sul letto e rilesse mentalmente quelle poche righe sottolineate a matita. Non l'aveva più fatto da quell'ultimo giorno in classe perchè il solo pensiero gli procurava una malinconia dolce, ma allo stesso tempo, tremenda.
    Per qualche strano e bizzarro scherzo del destino quella stessa frase ora gli suscitò un sorriso, apparendo ai suoi occhi in maniera del tutto diversa da quando l'aveva letta davanti a Blanchard. Non poteva essere sicuro di avere scoperto tutte le matite, ma era consapevole di essere a buon punto. Avrebbe desiderato tornare a quel giorno e dire al suo professore che aveva ragione, che la vita poteva essere scritta come ciascuno desiderava e che lui in parte c'era riuscito.
    Facendo scorrere le pagine, lesse frasi che lo indussero a riflettere a ciò che per lui aveva più importanza, che fosse ancora nella sua vita e che ormai gli sembrava perduto.
“Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo, ma solo poche catturano il tuo cuore... segui quelle.”.
    Un'altra lo fece ripensare a Faith.
“Un amore crollato, ricostruito, cresce forte, leggiadro, grande più di prima.”
    Richiuse il libro ed inspirò a fondo. Era ancora possibile sistemare le cose con lei? Si poteva davvero creare lo stesso rapporto basandosi sugli errori commessi, ma utilizzandone soltanto la saggezza per farlo maturare?
    Faith era l'unica persona che lui avesse mai amato così profondamente, e non voleva più rinunciare a ciò che donava un senso alla sua intera esistenza. Era arrivato il momento di mettere da parte tutti i vecchi risentimenti e di smettere di celare i propri sentimenti dietro alla superbia.
    Adesso doveva riconquistare il grande e unico vero amore della sua vita. Lei gli apparteneva, lo completava in tutto e per tutto, continuava a vivere in lui, gli dava l'impulso nelle prove più difficili. Nonostante la distanza li tenesse lontani, Faith sussurrava, rideva, gridava nella sua testa, e per Max era come sentirla vicina, sempre.
    Se prima era convinto del contrario, ora voleva dirsi certo che una minima possibilità poteva esistere e che le cose erano difficili soltanto quando non ci si metteva alla prova.

    Quella mattina stessa, dopo aver preparato la colazione a zia Becky, Faith approfittò della bella giornata per dare una sistemata alla sua stanza. Da troppo tempo ormai l'aveva trascurata per potersi dedicare a tempo pieno all'anziana.
    Dall'angolo vicino alla finestra partiva una sottile ma elaborata ragnatela e il riflesso del sole  la illuminava fino alla punta dell'armadio; gli abiti giacevano accavallati agli schienali delle poltrone; decine di scarpe spaiate erano sparse sotto il letto; gli scaffali e i mobili, ricoperti da uno strato di polvere, avevano perso la loro naturale lucentezza. Faith vi scarabocchiò velocemente sopra con un dito, e storse il naso. Si guardò meglio intorno, curvando gli angoli della bocca verso il basso, disgustata. Non che la camera fosse come lo scantinato, ma ci andava molto vicino, pensò tra sé.
    Si procurò rapidamente alcuni strofinacci e prodotti per la pulizia e, armandosi di buona volontà, cominciò a spolverare e rassettare. Poco prima di mezzogiorno la stanza era tornata lustra e pareva più luminosa del solito.
    Si era bloccata spesso innanzi al mazzo di rose essiccate poste davanti allo specchio. Più di una volta lo aveva afferrato con decisione, ma quando sollevava il coperchio del secchio della spazzatura, lo riguardava, dicendo a sé stessa che avrebbe pensato a cosa farne. A mezzogiorno le rose stavano ancora al loro posto, davanti allo specchio. Malgrado la profonda ferita che Max le aveva procurato, ogni volta che riguardava quei fiori non poteva che ripensare ai singoli attimi felici che avevano condiviso. Non aveva senso gettarli via, perchè con loro avrebbe dovuto gettare anche il suo cuore e i suoi pensieri.
    Decisa a volersi fare di nuovo del male, sedette sul letto ed aprì il cassetto del comodino. Un paio di fogli immacolati sembravano essere stati messi lì apposta per nascondere qualcosa. Li sollevò e, con una tormentata amarezza, osservò il sottile anello che non aveva più indossato dal giorno in cui il ragazzo se n'era andato.
“Vorrei che ti togliessi quell'anello dal dito.” Le aveva detto.
    Come poteva dimenticare quelle parole e quegli occhi carichi di assurda disperazione e odio tagliente?
    Prese l'anello e lo rigirò tra le dita, stringendolo, annusandolo, sforzandosi di avvertire un profumo, ricordare anche un solo piccolo ed insignificante particolare che potesse ricollegare a Max. Ma non c'era. Quel piccolo cerchio di diamanti, il cui continuo luccicare appariva privo di significato, era freddo ed inanimato.
    Giunse le mani in grembo e, lanciando un'occhiata al cassetto, vide spuntare il biglietto che Lexie le aveva lasciato quando era stata in Ohio. Sembrava quasi ammiccarle, là in mezzo alle pagine di un libro. Con decisione, aprì il volume e rilesse il messaggio.
    Quel giorno, nella veranda della casa di Max, Lexie le aveva spiegato com'era accaduto l'incidente del padre del ragazzo, ma non era riuscita a terminare il racconto.
    Ripensandoci ora, la sua curiosità venne improvvisamente riaccesa e, nonostante conoscesse a memoria i fatti, si ricordò che alcuni dettagli dovevano esserle sfuggiti. Particolari che suo padre, con molta probabilità, aveva omesso.
    Non ci trovò niente di male a voler chiamare Lexie per farsi spiegare tutto, così, d'istinto, andò in salotto,  fece un profondo respiro, afferrò la cornetta e digitò il numero.
    La ragazza rispose dopo un paio di squilli e Faith, colta dal timore di aver sbagliato di nuovo tutto quanto, riagganciò rapidamente.
“Era proprio la voce di Lexie! Se non c'è niente di male a chiamarla, perchè ho riattaccato? Cretina!” Pensò sedendosi sul divano e massaggiandosi nervosamente la fronte.
“Adesso la richiami, da persona adulta.” Ordinò a sé stessa.
    Digitò il numero una seconda volta e attese.
- Pronto?- Rispose cortesemente Lexie.
- Lexie? Sei tu?- Domandò Faith, realizzando di nuovo che razza di stupida fosse. “Certo che è lei! Che domande fai?”.
- Si, sono io. Con chi parlo?-
- Ciao, sono Faith. Ci siamo conosciute...-
- Ciao, Faith! Che piacere sentirti! Sinceramente non mi sarei mai aspettata una tua telefonata.- Confessò     Lexie in tono stupito ma felice.
- In effetti... nemmeno io, ma senti, ho assolutamente bisogno di sapere una cosa.- Le disse Faith senza esitare.
- L'incidente di Will Warren.- Azzardò Lexie, con la certezza che non vedeva altri motivi per cui Faith l'avesse chiamata.
- Si. Più o meno. Insomma, mi stavi raccontando di quel giorno, quando... quando...- Citare ad alta voce il nome di Max le creava con sua sorpresa ancora disagio - Quando Max è uscito di casa interrompendo il discorso. Volevo sapere cosa avevi visto quel mattino.-
- Promettimi di non dirgli nulla.- La pregò la ragazza.
    Faith spalancò gli occhi. Le era chiaro che Lexie ancora non era stata aggiornata circa la sua relazione con Max.
- Lexie... Lui ed io non stiamo più insieme.-
    Dall'altro capo non si avvertì più nulla per qualche istante e Faith immaginò con facilità l'espressione di Lexie.
- Oh, Faith. Mi dispiace. Io non ne sapevo niente, lo giuro. Ma cos'è successo?-
- Beh, ha scoperto che mio padre ha causato quell'incidente. Perciò volevo sapere da te...-
- Faith... Tuo padre è Brian Harrington?- Domandò quasi ostentando sorpresa.
- Si. Ma non lo sapevi?-
- Non sapevo fosse tuo padre. Senti, Faith, ti ringrazio per avermi chiamato e mi ha fatto molto piacere sentirti, ma dimenticavo che proprio oggi devo presenziare nell'orfanotrofio qui in paese. Magari ne riparliamo, ok? Richiamami e giuro che ti spiegherò tutto quello che vuoi sapere.-
- Ok, Lexie, nessun problema. A presto...-
- Ciao, Faith!-
    Lexie riattaccò lasciando Faith incuriosita e con il vago sentore che le avesse mentito. L'aveva liquidata troppo in fretta, cosa stava tentando di nascondere? Il tono della voce e la sua disponibilità erano totalmente cambiate dal momento in cui le aveva detto di Brian. Se Lexie aveva visto con i propri occhi la scena dell'incidente, non avrebbe dovuto sorprendersi in quel modo. A meno che non fosse stata a conoscenza di ulteriori particolari a quel punto fondamentali, e il rivelarli l'avrebbe cacciata in guai seri. Inoltre perchè continuava a chiederle di tenere Max all'oscuro di tutto?
    Per la prima volta da tanto numerosi sospetti prendevano forma. Tuttavia Faith non riusciva a collegare razionalmente i fatti. Ricordò soltanto in quell'istante di quando Brian le aveva raccontato che non sapeva bene come era avvenuto l'incidente. Lui era ubriaco fradicio e probabilmente, al risveglio, aveva perso la memoria. Quindi tutto ciò che le aveva raccontato gli era stato raccontato da qualcun'altro.
    C'era la possibilità che qualcuno si fosse preso gioco di lui e della sua memoria attribuendogli tutta la colpa? C'era la possibilità che Brian le avesse descritto ciò che non gli era realmente accaduto, ma ciò di cui lo avevano convinto fosse successo?
    Il flusso intricato dei suoi pensieri fu interrotto dal richiamo di zia Becky, così ripose il foglietto vicino all'apparecchio telefonico ripromettendosi che sarebbe andata a fondo della storia. Un'idea le era già balzata in mente e non vedeva l'ora arrivasse il momento per metterla in pratica.

    Già a metà pomeriggio Max aveva ballato con tutte le bambine e le ragazzine che gliel'avevano chiesto. Non si sentiva più le estremità dei piedi, ma la soddisfazione nell'averle fatte contente era sufficiente per ignorare il dolore che provava. Aveva fatto salire le più piccole sui piedi e si era divertito tanto a danzare con loro. Le più grandicelle, invece, avevano  cercato di prendere più seriamente la cosa, ma, inesperte quali erano, avevano finito per pestarglieli continuamente. Max, con infinita pazienza e rispetto aveva insegnato loro i movimenti di base ripetendoli due, tre, quattro volte, finché la ragazzina di turno non aveva dato segno di averli appresi.
- Hai mai pensato di aprire una scuola di ballo, Max?- Gli chiese Lexie avvicinandosi alla panchina sulla quale si stava riposando.
    Il ragazzo alzò lo sguardo sorpreso.
- Lexie! Che ci fai qui?- Si rimise in piedi e l'abbracciò stretta.
- Beh, io ci vivo. Tu piuttosto che ci fai qui?- Replicò lei con un sorriso smagliante.
    Max si grattò lievemente dietro la testa sorridendo a sua volta e trovandosi inaspettatamente senza parole.
- Ho deciso di trascorrere questo week end con mia madre. C'erano alcune cose che volevo chiarire con lei, così... eccomi qua.- Concluse allargando le braccia.
    Lexie lo guardò per qualche istante e piegò la testa di lato.
- Ti va di camminare un po'? Potremmo prendere una bibita e...-
    La ragazza fu distratta da una ragazzina che si era avvicinata a Max e aveva iniziato a tirargli l'orlo della maglietta per attirare la sua attenzione chiamandolo per nome.
- Max, possiamo ballare ancora un po'?-
    Max si chinò all'altezza del suo viso e le prese amorevolmente la mano.
- Vieni qui, Jo. Ti voglio presentare un'amica.- Le disse indicandole Lexie - Lei è Lexie.-
    La ragazza si fece avanti e strinse la mano di Jo.
- Io mi chiamo Jo. Sei davvero carina, Lexie.- Osservò gentilmente Jo.
- Grazie. Anche tu lo sei.- Replicò compiaciuta.
- Ti spiace se Max balla ancora un po' con me?- Le chiese la ragazzina guardandola dal basso.
- Adesso farò quattro passi con Lexie e ti prometto che al mio ritorno balleremo ancora. Sei d'accordo?- Le propose Max in tono quasi paterno.
- Ma no,- Lo interruppe Lexie - balla ancora un po' con lei. Io posso aspettare.-
- Sicura?- Fece Max riducendo gli occhi a fessura.
- Vai.- Sorrise Lexie.
- A tra poco, allora.- Affermò il ragazzo annuendo leggermente con la testa.
    Lexie si sedette sulla panchina sistemandosi l'abito leggero e lo osservò ballare con Jo. Aveva dimenticato quanto quel ragazzo fosse fantastico. Ora che non stava più insieme a Faith lei aveva campo libero per poterlo conquistare. Non avrebbe più commesso gli errori del passato e presto Faith sarebbe definitivamente uscita dai suoi pensieri, se ovviamente già non l'aveva fatto. Non sapeva da quanto tempo si fossero lasciati, perciò questo avrebbe potuto essere l'unico ostacolo ad un suo eventuale congiungimento con Max. Conoscendolo, era consapevole di quanto vivesse ogni relazione con eccessiva e drastica serietà. Certo, all'inizio le avrebbe detto di non sentirsi pronto per intraprendere un nuovo rapporto, ma con le giuste parole e un po' di tempo, lo avrebbe convinto a cambiare idea. In fondo era sempre stata del parere che sarebbero stati una coppia perfetta e non c'era momento più adatto per dichiararsi a lui.
    Come non c'era più necessità di raccontargli che ad uccidere Will Warren non era stato Brian Harrington, ma il suo stesso padre, Larry Brice.

- Allora, come va con Faith?- Gli chiese distrattamente Lexie sorseggiando la sua bibita.
    Max indugiò per alcuni secondi.
- Io e lei ci siamo lasciati qualche mese fa.-
    La ragazza si voltò verso di lui con una mano sul petto, fingendo stupore.
- Mi dispiace, Max. Io...-
    Lui sollevò un angolo della bocca e le accarezzò una spalla per tranquillizzarla.
- Non preoccuparti. Sto bene. Davvero.-
- Sono stata una sciocca ad intromettermi nei tuoi affari. Possiamo cambiare argomento, se vuoi...-
- Non c'è tanto da dire, in fondo.- Sospirò Max riprendendo a camminare.
    Osservò con malinconia il giardino intorno a loro, così carico dei colori intensi del tramonto. L'arancio vivo che rivestiva ogni cosa gli riempiva il cuore di svariati frammenti di ricordi.
- Sei ancora innamorato di lei?- Gli domandò Lexie.
    Max la guardò a fondo abbozzando un sorriso, e mentì perchè non era ancora pronto a rivelare quella nuova svolta a qualcuno.
- No.- Rispose voltandosi verso il sole. Quanto male gli faceva nascondere quel grande amore per Faith! Eppure riteneva che fosse giusto farlo. Ricordava che Lexie lo aveva amato quando erano ragazzini e con il passare degli anni si era convinto che si fosse trattato soltanto di una cotta adolescenziale, ma pensò che fosse terribilmente ingiusto e meschino ostentare di fronte a lei l'amore che provava nei confronti di qualcun'altro.
- Domani sera riparto, Lexie.- Mormorò guardandola di nuovo.
- E... dove vai?- Gli chiese la ragazza facendoglisi più vicina.
- Ho il mio lavoro a Londra e non posso trattenermi qui a lungo.-
    Lexie si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e quel gesto lo colpì in pieno petto. Faith era solita farlo quando si sentiva insicura o quando teneva a precisare qualcosa. Amava quando lo faceva.
- Così non ti rivedrò più per un paio d'anni?-
- Ci vedremo per il giorno del Ringraziamento. Poi ci sarà il Natale.- Ribatté lui con dolcezza.
    Lexie sorrise amareggiata tentando invano di accettare quella distanza temporale che presto li avrebbe separati.
- Natale sembra così lontano.- Osservò con un filo di voce in una punta di dispiacere.
    Max allora le cinse le spalle con un braccio e lei posò la testa sul suo petto mentre riprendevano a camminare adagio lungo il sentiero ghiaiato.
- Sai, Max,- Esordì lei dopo un lungo silenzio - da quando te ne sei andato non faccio che incolpare me stessa  per averti fatto in un certo senso fuggire da qui.-
    Istantaneamente avvertì Max respirare a fondo, quasi un modo di prendere tempo per formulare una risposta che potesse essere sensata senza cadere nello scontato.
- Non sono fuggito da te, questo ci tengo che tu lo sappia.- Mormorò piano osservando i fiori e i sottili fili d'erba vibrare nel vento leggero - Allora ero arrabbiato con chiunque mi rivolgesse la parola, persino con me stesso. Ma mi rendevo anche conto che nessuno aveva colpe per ciò che era successo a mio padre. E questo mi faceva un male terribile perchè avrei tanto voluto trovare qualcuno da incolpare nonostante fosse completamente sbagliato. Andare via da qui, lasciare mia madre, i miei amici, te e Lakewood mi è servito per comprendere che non sempre nella vita è necessario attribuire colpe soltanto per sentirsi meglio con sé stessi e provare così meno dolore. Non è giusto per nessuno. Arrivi ad un certo punto in cui devi capacitarti di ciò che ti accade e imparare ad accettarlo incondizionatamente, anche se non sempre è facile.-
    I due ragazzi giunsero sul ponticello di legno che attraversava un piccolo specchio d'acqua dove il sole ne stava tingendo d'ambra e rosso la superficie increspata.
    Lexie prese il braccio di Max liberandosi dalla sua presa e gli tenne la mano poggiandosi al parapetto del ponte. Fece scorrere le dita sul legno avvertendone la ruvidità e l'irregolarità, mentre un refolo di vento caldo le soffiò tra i capelli.
- E tu sei sicuro di esserci riuscito?- Gli domandò con una certa perplessità guardandolo negli occhi.
    Max increspò le labbra e chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì.
- Non lo so per certo ma, ora come ora, so di aver sbagliato a comportarmi così con chi mi ha sempre voluto bene. Imparando dai miei errori adesso so cosa sarei disposto a fare, non come dieci anni fa, quando ero convinto che ogni decisione sbagliata avrebbe potuto far crollare il mondo intero. A sedici anni è praticamente impossibile sapere cosa è giusto fare. Perciò mi spiace di averti trattata male e di averti lasciato per tutti questi anni con la convinzione di avere tutte le colpe.-
    Lexie sorrise stringendosi nelle spalle. Poi gli accarezzò una guancia e, chiudendo gli occhi, si avvicinò a lui e lo baciò sulle labbra.

    Il telefono in casa di Lexie squillò tre o quattro volte prima che la madre alzasse il ricevitore.
- Salve, parlo con la signora Brice?- Chiese gentilmente Faith senza ombra di esitazione.
- Si, sono io.- Rispose la madre di Lexie - Posso esserle utile?-
- Si, vorrei parlare con il signor Larry. È in casa?-
    La donna tacque per qualche istante che parve un eternità.
- Mi dispiace, signorina. Larry è morto circa dieci anni fa.- Affermò con freddezza la donna.
    Faith rimase in silenzio, completamente sconcertata.
- Signorina, è ancora lì? - Ripeté la donna più di una volta.
- Mi scusi, non lo sapevo... Mi scusi tanto.-
    Riattaccò, mentre la madre di Lexie continuava a parlare, e rimase immobile vicino alla finestra. La complicata matassa di eventi che si era formata nella sua testa andava via via sciogliendosi.
    Ormai le era chiaro che a causare l'incidente di Will Warren era stato il padre di Lexie. Non era nemmeno certa che fosse realmente morto come le aveva raccontato la moglie. Probabilmente si trattava di una bugia e lui era fuggito chissà dove per non finire la sua vita in carcere.
    Restava soltanto da chiarire l'esatta dinamica dei fatti e solo una persona sapeva esattamente com'era andata. 
  
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