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Autore: controcorrente    19/11/2011    5 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Non potendo rimanere molto a casa, cerco di fare più capitoli che posso, nella speranza di aggiornare il prima possibile. Ovviamente, faccio ciò che posso. Madame ha una storia piuttosto triste e malinconica ma vi dico fin da subito che non tutto è come appare. Quello che avete visto è solo una parte. Bene, ora vi lascio al prossimo capitolo. Buona Fortuna!

LAFAYETTE

 

Per arrivare alla residenza del conte La Fayette, era necessario attraversare le vie principali della città, fino a raggiungere quelli che erano i palazzi appartenenti ai ceti più agiati. La destinazione si trovava in cima ad una salita, circondata da un muro di fattura medievale, residuo forse di una precedente costruzione ed era leggermente defilata rispetto agli altri palazzi, tutti appartenenti ai ceti più ricchi, che avevano appoggiato e sostenuto la Rivoluzione ed i suoi ideali ma agli occhi degli attori si trattava di qualcosa di assolutamente nuovo e magnifico. Nessuno, tranne Madame, Girodelle e Marie, del resto, aveva mai visto Versailles.

-Maremma bona!-imprecò Geremia, vedendo la costruzione- Me l'avevano detto che l'era un bel posto...ma questo, Dio bonino, un me l'aspettavo mica!-

Teresina fissò i particolari della costruzioni, non potendo fare a meno di esserne stupita.-Per le braghe di mio nonno-disse, prima di fulminare il colosso accanto a lei- marito, un m'avete detto nulla! Se avessi saputo che l'era così bella, mi sarei messa qualche nastro...chissà se ci daranno qualche soldo in più, rispetto all'ingaggio di partenza...-

Il gigante le gettò un'occhiata benevola. Come sempre la sua sposina, mirava a racimolare più denaro possibile. Un chiodo fisso, forse, dovuto alla loro condizione precaria di artisti girovaghi e accresciuta dalla nascita della loro piccola Miranda.

-Si vede che non capisci, donna- fu il suo commento- questi, da quanti soldi c'hanno, non avranno problemi a pagare qualche dindino in più!-

La morettina strinse la piccola Miranda al petto, limitandosi a lanciare l'ennesima occhiataccia.

-Sarà meglio per te, marito- rispose, truce-o te la vedrai con tua moglie.-

A quella minaccia, neanche troppo velata, il capocomico chinava il capo.

Marie fissava stupita i particolari architettonici, che aveva visto solo su quei libri letti di nascosto in Normandia. Erano molto diversi dal ritratto che riusciva a ricavare dalle descrizioni degli autori dei testi e dalla sua, brevissima visita a Palazzo. Più luminosi ed alteri, senza quella cascata di stucchi che aveva visto a Versailles. Eppure, ai suoi occhi ingenui, quell'aria quasi spoglia di addobbi non dispiaceva. Era meno soffocante e si chiese se anche gli interni fossero in quel modo.

L'unico edificio che aveva visto, sia pure per poco, era la reggia ma si trattava di qualcosa di molto diverso.

Le iridi di giada di Erin erano invece prive di ogni emozione, come se tutta quella ricchezza non la toccasse.

Come se quello sfarzo contenuto, non rappresentasse per lei nulla.

Come se non fossero per lei altro che pietra e materia senz'anima.

Di fronte all'ingresso, c'era un uomo in livrea, dall'aria anziana ed autorevole.

-Benvenuti nel palazzo del conte La Fayette. Io sono Sebastian e sono il maggiordomo di questa casa. Il padrone mi ha incaricato di ricevervi e di occuparmi di voi. Per qualsiasi cosa abbiate bisogno, dovrete rivolgervi a me.-riferì.

La compagnia venne condotta in un ampio stanzone posto a piano terra. Era lievemente illuminato e dava sui giardini del palazzo. Marie si guardava attorno stupita, chiedendosi se tutto quello spazio fosse per loro.

Sebastian intanto li conduceva nei vari ambienti, dando loro tutte le indicazioni necessarie. Rispondeva ad ogni domanda, limitandosi a dare tutte le risposte che occorrevano.

-Il vostro padrone dov'è?-domandò alla fine il capocomico- Al momento dell'ingaggio, non mi ha dato tutti i particolari per la messa in scena dell'opera, dagli orari fino ai pagamenti.-

Il servitore alzò la testa, per raggiungere le iridi nere del gigante. -Il signore si trova in questo momento in assemblea, per discutere di alcune questioni di vitale importanza per il Paese. Ha comunque detto che sarà presente questa sera a cena. Nel frattempo, potete visitare questo palazzo, senza alcun problema. Qualora vi siano dei danni ad oggetti e cose, il loro valore verrà detratto dal denaro del vostro ingaggio. -rispose, prima di riprendere il giro.

Durante la visita, Marie tenne la testa per aria, immersa nella contemplazione di quegli affreschi. Rappresentavano divinità classiche e paesaggi campestri, in un tripudio di colori pastello, che dava luminosità agli ambienti. Eppure la vista di una simile luce la rendeva inquieta, come se fosse solo una calma apparente.

-Sei nervosa?-le domandò Erin vedendola muoversi agitata.- Non temere, se vogliono, questi ricconi non mordono.-disse, prima d'incamminarsi, senza più degnarla di uno sguardo.

Gli occhi di ghiaccio si spalancarono, insieme alla bocca, pronta a chiedere risposte.

La sagoma della signorina O'Neal però, si era già allontanata, insieme al significato di quelle parole, per la novizia, quasi sibilline.

 

Marguerite era rimasta un po'indietro, fissando tormentata la bellezza di quegli addobbi. Erano magnifici, di prima qualità, eppure le sembravano freddi e distanti. Ben presto, si ritrovò sola, nell'immenso corridoio. Sebastian si era infatti allontanato ma non dubitava che, una volta accortisi della sua assenza, avrebbe mandato qualcuno a cercarla, forse temendo che rubasse qualche oggetto prezioso. Quel luogo ne era, in effetti, piuttosto ricco, sebbene lo sfarzo fosse abilmente celato dietro ad un'austerità puramente simulata. Lentamente si guardo attorno, fino a quando l'occhio le cadde su una tela.

Era una giovane dama, dagli occhi di cielo ed i capelli biondo scuro.

A quella vista, una morsa dolorosa avvolse l'animo di Madame.

Portava un abito alla moda e, benché possedesse ancora dei lineamenti da bambina, era piuttosto seria e distaccata.

La donna si fermò di fronte a quel ritratto, studiandone mesta i tratti.

Le sembrava di vederla lì, in carne ed ossa.

Non poteva sbagliarsi sulla sua identità.

-Era Madame Genevieve Mathilde Quetpée di Laborde La Fayette, prima moglie del mio padrone. Una persona piuttosto sfortunata. E'morta più di trent'anni fa, dopo quattro anni di matrimonio. In questo quadro non ne aveva nemmeno venti.-rispose una voce bassa che la donna riconobbe appartenere al maggiordomo.

-Si trova in una zona piuttosto visibile di questo palazzo...-disse Marguerite- il vostro padrone doveva amarla molto.-

Non guardò mai il servitore, temendo di tradire i sentimenti che intanto si agitavano nervosi dentro di lei.

Sebastian fissò l'ospite, poi il quadro.

-Madame era la mia padrona. Il conte l'ha amata come ogni marito è tenuto ad amare la propria sposa.-rispose.

L'altra annuì silenziosa, senza smettere di fissare l'immagine.

Chissà se Genevieve era felice durante il suo matrimonio. Era stata la prediletta della casa. Aveva sempre avuto il meglio, compreso l'uomo amato da sua sorella maggiore. Non poteva negare a sé stessa di averla odiata per questo, pur sapendo che non era lei la causa della sua infelicità...che in fondo, anche se fosse stata l'unica figlia nubile rimasta, gli occhi del vecchio conte La Fayette non l'avrebbero mai guardata come una possibile nuora.

Marguerite non poteva sapere nulla di quello che Genevieve aveva passato. Poco dopo la sua morte, infatti, era venuta a sapere che la sorella le aveva scritto molte volte ma le lettere erano state tutte sequestrate da suo padre.

Ne era venuta a conoscenza solo alla morte del genitore, quando la governante, per mettere a tacere la sua coscienza, le aveva consegnato quei fogli. Quella serva tremava nel darle quei pezzi di carta, mentre la servitù, vestita a lutto si occupava di mettere ordine ai mobili del palazzo.

La dama conservava ancora tutte quelle lettere, l'ennesima pietra conficcata nel suo animo, pieno di malinconia e abbandono. In quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di riabbracciarla. Di accarezzare nuovamente quei capelli color grano e quegli occhi chiari, offuscati dall'apatia.
Istintivamente allungò il braccio verso di lei, nell'illusione di poter toccare quel corpo e non la tela dipinta.

Le mancava molto Genevieve, soprattutto durante il suo matrimonio.

Un pensiero che le aveva attanagliato le viscere e che si ripresentava in quel momento in tutta la sua pena. La gelosia per Genevieve, unita al senso di colpa per aver anche solo pensato di poter essere qualcosa d'importante per l'uomo che il Cielo aveva destinato a sua sorella, la tormentavano non poco. Non mi merito niente, non mi merito niente si ripeteva, in una litania angosciante. I tratti della dama si fecero a poco a poco tremuli e opachi, mentre una sensazione di bagnato si depositava sulle sue guance.

Stupita si toccò la pelle umida.

Non si era accorta che alcune lacrime avevano iniziato a scendere lungo la sua guancia.

La chiesa era decorata con fiori di ogni genere, i cui profumi le stavano dando alla testa. Era seduta accanto a sua madre, con lo sguardo fisso verso le due sedie poste di fronte all'altare.

C'erano molte persone in chiesa, tutte vestite in modo elegante e quasi barocco.

Solo lei sfigurava in quel contesto. Portava delle vesti quanto mai semplici, di un celeste smorto che metteva in risalto la sua chioma bionda, raccolti semplicemente in alto. Al collo portava una piccola croce con al centro un'opale.Si sentiva profondamente inadeguata. Era troppo vecchia per poter essere un buon partito per cui non aveva indossato nulla di vistoso.

Vedeva i volti soddisfatti dei suoi genitori e sapeva che non erano rivolti a lei, come l'attenzione generale degli invitati. Per l'ennesima volta si sentì invisibile.

Vedeva Genevieve nel suo abito bianco, acconciata come una bambola inespressiva.

Vedeva La Fayette immobile accanto, con l'attenzione rivolta al prete.

Non si guardarono mai, per tutta la cerimonia, così come nessuno di loro si voltò a guardarla, tranne lo sposo che, per un breve istante la fissò muto.

Marguerite si sentì attraversare da quelle iridi ma non mosse un muscolo.

Era lì, eppure la sua testa ed il suo cuore volevano essere altrove, lontano da quel matrimonio che per lei sapeva di morte.

-E'sempre bella come allora-mormorò una voce bassa.

La donna sussultò, voltandosi di scatto e specchiandosi in due occhi scuri.

Il maggiordomo non c'era più, lasciando il posto a colui che aveva tormentato per molto tempo i suoi pensieri.

Percorse con lo sguardo i lineamenti della persona che si trovava di fronte, muta come una statua di sale.

-Non è vero, Marguerite?-disse, sorridendo nostalgico.

La dama rimase impietrita, vedendoselo così vicino. Il cuore batteva impazzito in petto, come se fosse sul punto di esplodere da un momento all'altro. Era lì, di fronte a lei, senza quella distanza che aveva costantemente smorzato le sue speranze.

-Gilbert...-mormorò incredula, mentre sentiva il suo corpo scosso da mille brividi. Non riusciva a credere che il Fato avesse nuovamente posto quell'uomo sul suo cammino. Soprattutto ora che le sembrava di aver perso ormai tutto, tranne quella vita vuota e di mera sopravvivenza.

-Sono io, Marguerite- rispose rassicurante.

E per un momento, la dama rivide in quel viso, il volto del giovane di nemmeno venti anni che l'aveva aiutata anni prima, salvandola, sia pure per poco dall'apatia di una vita a metà. Non seppe dire come finì in quelle braccia. Razionalmente, Madame non se lo spiegò mai, né sforzò mai di trovare una spiegazione al suo comportamento. Era troppo stanca per farlo.

L'unica cosa che sapeva era che non poteva sopportare più di doversi fare forte, quando i guai la rincorrevano senza sosta, anche quando credeva di essere al sicuro.

Non ce la faceva più.

Era scoppiata a piangere come mai gli era successo, dopo tanti anni, e lo aveva fatto, ironia della sorte, tra le braccia di colui che l'aveva illusa maggiormente.

 

 

Marie fissava assorta il soffitto della nuova stanza in cui avrebbe trascorso la notte. Quelle foglie di stucco che decoravano quella parte della stanza, nel buio della notte, sembravano quasi luminescenti. Erano molto belle, tanto da avere la sensazione di essere in una foresta di luce. Era un po'spaesata, di fronte allo splendore di quel luogo.

Se avesse saputo che un giorno sarebbe finita in una casa per nobili, non ci avrebbe mai creduto. E come poteva non esserne scettica?

In fondo, era solo una povera orfana, allevata per pietà dalla sua stessa famiglia, svenduta come una merce e finita, in un modo quasi rocambolesco dentro un convento. Chissà quante persone si erano trovate in una situazione simile alla sua.

Una?

Due?

Dieci?

Cento?

Mille?

Non lo sapeva.

-Ehi Marie- mormorò la voce bassa della donna dagli occhi felini.

La ragazza si voltò.

-Erin-fece, badando bene di non svegliare nessuno.

-Non riesci a dormire?-domandò la più grande.

Le sue iridi sembravano pezzi di giada, messe lì in quel mare di ombre. Marie, a volte, si era sentita in soggezione, sotto quello sguardo. Le pareva che volesse quasi leggerle l'anima ed i pensieri.

-Non molto-confessò, dopo qualche minuto di silenzio.

-Nemmeno io.-fece la prostituta.

Non si dissero altro, ognuna rinchiusa nei propri silenzi. Poco dopo, la piccola Chevalier sprofondò nel mondo dei sogni. Alla fine, l'eccitazione che la vista di quell'ambiente insolito le procurava, aveva lasciato il posto alla stanchezza.

Erin invece rimase a fissare quel luogo, muta, poi, quando fu certa che nessuno avrebbe mai fatto caso alla sua assenza, lasciò la stanza. Non aveva sonno, per quanti sforzi facesse. Era più forte di lei, forse perché era abituata a dormire con un occhio aperto, con il costante timore di ricevere qualche offesa.

Da quanto tempo, non riesco ad abbandonarmi con fiducia a te, Morfeo andava pensando, non senza una punta d'ironia amara.

Il russare di Geremia si diffondeva nell'ambiente, creando un rumore costante e monotono. Era tutto tranquillo ma lei non riusciva ad abituarsi.

Si girò varie volte nel morbido giaciglio, prima di alzarsi per raggiungere i giardini. Le era passato il sonno e, forse, era troppo stanca anche solo per dormire. Si mise a sedere sul materasso di cenci, si guardò attorno, poi uscì.

Ad accoglierla all'esterno della struttura, c'era il freddo paesaggio di novembre di Parigi, celato dal muro di pietra del palazzo. Erin si guardò attorno.

Quei giardini erano avvolti dal buio della notte. In quell'atmosfera scura e tenebrosa, dove solo la luna, quasi invernale, gettava i suoi raggi, indicando il cammino, Erin si sentiva quasi a casa. Il vento gelido le sferzava il viso, scompigliandole i capelli ma a lei non importava. La luna, sua compagna di solitudine era lì quella notte e lei non mancava mai al suo appuntamento, quando l'insonnia la coglieva.

A quella vista, si accoccolò sui gradini, senza posare i piedi sul suolo dei giardini. Era troppo freddo, persino per lei. La chioma scendeva ribelle fino ai fianchi, creando un velo nero come quella sera senza stelle. Le piaceva vedere il cielo notturno, forse perché era l'unico svago che poteva concedersi. Da quando gli zii la sbatterono fuori casa, obbligandola a dormire nella cuccia insieme al cane, trascorreva le notti a fissare il firmamento, nella speranza di riconoscere qualche costellazione.

Era stato suo padre ad insegnarglielo, poco prima di andarsene.

Un ricordo che ancora, a distanza di tanti anni, le gettava addosso un velo di malinconia e di amarezza. Lui non c'era più con lei. Se ne era andato, lasciandola a quelle carogne dei suoi zii. In cuor suo si augurò che fossero stati ammazzati dagli sgherri degli strozzini, insieme a quel maledetto che l'aveva abbandonata. Lo aveva sempre pensato...ma ora, dopo tanti anni, per quanto si sforzasse di odiarli, si rendeva conto che non serviva a niente.

Si erano presi tutto di lei, rendendola uno schifoso pezzo di carne da usare a piacimento. Se anche fossero crepati, che ci avrebbe guadagnato? La sua vita era rovinata.

A volte, si chiedeva quale santo l'avesse tenuta in vita fino a quel momento: non era da tutti, in fondo, passare quasi venti anni in un bordello, senza contrarre gravidanze indesiderate o la sifilide.

Deve essere, di certo, un santo con un pessimo senso dell'umorismo andava pensando, cinicamente.

Improvvisamente, uno spostamento d'aria alle sue spalle, accompagnato dal calore di un corpo. Erin non si voltò, continuando a fissare il firmamento appannato dalle luci e dai fumi della città. Non voleva avere nessun elemento di disturbo che potesse rompere quella bolla di quiete fasulla che si era creata...men che meno a quello che riteneva un fattore di disturbo.

Più passava il tempo, più Victor Clemente Girodelle aveva l'impressione di avere a che fare con un gatto, di quelli selvatici e con il pelo costantemente ritto, per la tensione. La donna che se ne stava seduta lì sui gradini, in quella posa accovacciata e assorta, con la testa rivolta al cielo ed i capelli scompigliati dal vento di novembre sembrava proprio così: un animale diffidente e aggressivo. Aveva avuto modo di osservarla, in quei giorni, quando ovviamente questa non era impegnata ad evitarlo o a metterlo a tacere ad ogni respiro.

Aveva indubbiamente una personalità quanto mai sanguigna, lontana anni luce dal modello a cui era abituato solitamente, distaccato e cortese. Una categoria alla quale anche Oscar apparteneva, pur nella sua unicità.

Eppure, quella sera, sotto la pallida luce di quella luna di novembre, quella persona mostrava, seppure inconsciamente un volto ancora diverso.

Selvaggio.

Oscuro.

Misterioso.

Sfuggente.

Una sorta di strega, di quelle presenti nelle fiabe che la sua balia amava tanto raccontargli quando era un bambino discolo e per niente propenso ad addormentarsi.

Le venne quasi da ridere a quel pensiero. Devo essere proprio impazzito si rimproverò, scuotendo la testa, senza rendersi conto che la sua smorfia non era sfuggita alla donna.

-Vi sembro così ridicola?-domandò questa, aggrottando la fronte.

Quel nobile cominciava ad irritarla. Non solo si comportava come un bravo scolaretto tra gente umilissima come loro -una farsa ai suoi occhi- ma aveva pure il coraggio di burlarsi di lei, come se fosse sicuro che non avrebbe pagato per i suoi modi insopportabili: ovviamente, l'aveva sottovalutata. Erin si guardò attorno per qualche istante. Non c'era nessuno nei paraggi, a parte loro. Niente seccatori in giro. Potrei picchiarlo a sangue come merita...oppure, conficcare uno degli stecchi per capelli di Isabella in una delle sue splendide gambe rifletté, prima di rendersi conto di aver fatto un complimento a quel tizio e maledirsi di conseguenza. Pure le belle parole devo pensare, di questo manichino finto! grugniva, piena di disappunto.

Era così presa dai suoi pensieri da non accorgersi che Girodelle non aveva smesso di fissarla.

E forse, era meglio così.

Se se ne fosse accorta, molto probabilmente non ne sarebbe stata lieta.

-Più che ridicola-la corresse l'aristocratico, avvicinandosi improvvisamente a lei-direi interessante.-

E a quella battuta, del tutto inaspettata, come quell'incontro ravvicinato con le iridi di falco di quel tale, la prostituta non seppe cosa dire.

Ok, ammetto di non essere completamente soddisfatta di questo capitolo. Mi sembra di aver affrettato qualche passaggio ma, dato che molto probabilmente, non potrò aggiornare prima, ho preferito postare subito. Se non mi soddisferà lo correggerò.Qui abbiamo l'incontro tra Marguerite e La Fayette. Non so la loro età ma fate finta che il grande condottiero delle Americhe sia un po'più grande della nostra dama. Questo incontro sarà una bella svolta per la storia, sappiatelo.

Marie per il momento rimane in disparte. Madame si lascia andare un po'con il nostro aristocratico, mentre Erin ha un primo avvicinamento con Girodelle, con un accenno del suo passato.

I modi di Victor la mettono notevolmente a disagio perché nessuno l'ha mai trattata come una persona, nel vero senso del termine. La sua storia è simile e diversa da quella di Marie e, forse, più triste. Non sa come comportarsi con lui. cosa che la mette sulla difensiva. Il nostro soldato, passata la sorpresa, dovuta ai modi sanguigni del personaggio, ha iniziato ad imparare come metterla a tacere:prendendola alla sprovvista...e forse, questo è l'unico modo per far abbassare la corazza di Erin. Quanto all'interesse del militare, voglio precisare che è dovuto per il momento alla curiosità. Victor è un personaggio intelligente, che non si accontenta di avere intorno solo bellezze vuote. Ora come ora, si tratta di una cosa molto cerebrale.

Risponderò alle vostre recensioni in settimana, quando non potrò postare il nuovo capitolo.

Spero che vi sia piaciuto.

Alla prossima

cicina

   
 
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