Capitolo 19
La
felicità, il nostro desiderio più ambito,
l’obiettivo che ci affanniamo a
raggiungere durante il corso di tutta la vita. Emile aveva detto una
grande
verità, la felicità fugge via ed è per
questo che quando siamo felici dobbiamo
viverci quei momenti al meglio possibile, senza sprecare un solo
istante nella
paura che essi finiscano. Perché tanto finiranno.
È una legge della vita.
Dopo
esserci concessi quella domenica tutta per noi, io ed Emile decidemmo
di comune
accordo di concedere una domenica di riposo anche a suo padre: non si
era mai
staccato da sua moglie da che avevo memoria e meritava anche
più di noi un
giorno di svago. Alberto però fu duro da convincere, non
voleva imporci un’intera
giornata accanto a Claudine e sospettai anche che non volesse staccarsi
da lei
per paura che le accadesse qualcosa. Così scendemmo a patti:
riuscimmo a
strappargli un pomeriggio di relax anziché
l’intero giorno, così nel dopo
pranzo lo spedimmo fuori a rilassarsi con qualche collega, mentre noi
ci prendevamo
cura dell’amore della sua vita.
Era
la prima volta che io ed Emile ci trovavamo insieme a badare a Claudine
e anche
se non avremmo fatto nulla di nuovo, essere lì insieme era
una piacevole
novità. Inoltre adoravo vedere il modo dolce e premuroso in
cui il mio Pel di
Carota si prendeva cura di sua madre: era una dolcezza ricolma di
tristezza, ma
anche di un amore infinito che mi commuoveva sempre.
«Emile,
tu ci credi al Destino?»
Ero
in piedi accanto alla finestra, intenta ad osservarlo mentre dava da
bere a sua
madre, quando mi venne in mente il giorno in cui lo vidi
all’ospedale con lei…
quel giorno in cui Simona si fece male.
«Stavo
pensando a quando c’incontrammo la prima volta
all’ospedale e mi sono venute in
mente tutte le circostanze che mi hanno portato ad essere qui con te
ora… io
credo che qualcuno lassù, abbia deciso che dovevamo
incontrarci a tutti i costi
e abbia fatto di tutto per far si che ciò accadesse. Sofia
ci ha raccontato
anche una leggenda al riguardo, sulle persone legate dal Filo Rosso del
Destino…»
Raccontai
per sommi capi la storia di Sofi mentre Emile venne a sedersi sulla
poltrona, a
breve distanza sia da me che da sua madre, per ascoltarmi e non perdere
di
vista Claudine.
«È
una leggenda molto bella e romantica e non ti nascondo che sarebbe
bello
crederci… ma sono convinto che siamo noi a scegliere il
nostro Destino. Se non
fosse così non potrei pensare che quel qualcuno che dici tu,
abbia deciso di
privare mia madre della sua vita e della sua felicità e
sarebbe altrettanto implicito
che qualsiasi sforzo faccia per emergere, potrebbe essere inutile se
non fosse
scritto nelle stelle. Invece sono convinto che per quanto tu debba
sforzarti e
sudare, se hai la volontà ferrea di raggiungere un
obiettivo, riuscirai nel tuo
intento, perché niente al mondo riuscirà a
bloccarti, niente al mondo ti
tratterrà dal raggiungere il tuo scopo.»
Emile
parlava con foga e con una luce intensa nello sguardo, era chiaro che
si stesse
riferendo al suo obiettivo di diventare famoso e capii da quella
febbrile
determinazione che lo pervadeva, quanto fosse forte il suo desiderio di
emergere, che avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il mio
pensiero andò momentaneamente a Claudio, ma lo accantonai
dicendomi che le sue
si erano rivelate vuote minacce, che il pericolo era passato, ma mi
chiesi
anche se non ci fosse la possibilità che si ripresentasse
successivamente… «Ci
sei rimasta male?» Emile mi riportò alla
realtà con quella domanda.
«Come?»
«Ho
visto che ti sei ammutolita e ho pensato che ci fossi rimasta male per
la mia
risposta… Sai Pasi, io non sono così
ottimista e buono come te e non riesco a credere alle
favole…» il suo sguardo
si fece amaro d’improvviso e d’istinto mi
accovacciai accanto a lui per
accarezzargli il viso:
«Assolutamente
no, hai espresso il tuo parere e siamo tutti liberi di avere opinioni
differenti Emile e non per questo penso che tu sia un insensibile.
Abbiamo solo
due opinioni diverse, tutto qui.» mi guardò con
intensità, i suoi occhi si
screziarono d’azzurro e la sua bocca si arcuò in
un dolce sorriso. Mi fece
segno di sedermi in braccio a lui e una volta accomodata mi prese il
volto tra
le mani…
«Come
farei senza di te?» …e mi diede un dolcissimo
bacio.
Restammo
abbracciati così per un po’, quando sentii lo
sguardo di Claudine su di noi: alzai
il capo in sua direzione e le sorrisi… e notai una luce in
quegli occhi che non
avevo visto mai prima.
Il
suo sguardo passò dal mio volto a quello di Emile e con
un’istantanea
comprensione sul viso disse:
«Mon
petit… tu es heureux mon petit! Tu es
heureux!» *
La
poltrona su cui eravamo seduti era abbastanza vicina da poter toccare
Claudine,
così Emile allungò una mano per accarezzare il
volto di sua madre e le rispose:
«Oui
maman, Je suis heureux.»
Era
la prima volta che lo sentivo parlare in francese: in quel momento
stavano
comunicando davvero, stavano interagendo: Claudine era vigile, non era
un
guscio vuoto e parlava con lucidità a suo figlio in una
delle rare occasioni in
cui ciò era accaduto!
Sentendo la risposta di Emile, versò una lacrima e chiuse per un momento gli occhi e quando li riaprì disse:
«Je suis heureuse aussi mon
trésor. Je t’aime mon
bébé!»
Emile
osservò sua madre con occhi ad un passo dalla commozione e
attese di riprendere
la calma prima di rispondere:
«Je
t’aime aussi, maman.», stringendo la sua mano su
quella smagrita della madre,
mentre Claudine tornò al suo sonno con un sorriso sul volto.
Quella
fu l’ultima volta che la vidi.
Due
giorni dopo Claudine si uccise con una dose massiccia di sonnifero,
approfittando di un attimo di distrazione di Alberto.
Quando
mi arrivò la notizia era sera ed ero al centro a mettere in
ordine alcuni
documenti, quando all’improvviso Fede, che proprio quella
sera era con Alberto,
mi chiamò.
«Pasi,
chiama Emile e correte all’ospedale, Claudine ci ha
riprovato, si è imbottita
di sonnifero.»
Rimasi
pietrificata: dopo averla vista interagire con Emile, avevo sperato
nuovamente
che si stesse riprendendo, che la gioia di vedere suo figlio felice
l’avrebbe
riscossa e fatto reagire… non poteva fargli questo! Non
poteva fare una cosa
simile ad Alberto, non poteva lasciarci così!
«Pasi?
Pasi mi hai sentito? Avverti Emile e correte all’ospedale,
noi stiamo andando
già lì.»
Allertata
dalla voce pressante di Fede, mi riscossi quel tanto che
bastò per reagire:
Emile! Dovevo avvertirlo! Dovevo andare da lui e stargli accanto!
«S-sì
Fede, arriviamo subito!»
Quella
sera Emile era con il gruppo in riunione straordinaria con il
produttore:
stavano prendendo alcune decisioni riguardanti
il lancio del CD, era una serata importante ed era
richiesta la presenza
di tutti i GAUS al completo. Per questo motivo ebbi delle remore a
chiamarlo,
ma si trattava di sua madre, non era una sciocchezza e aveva il diritto
di
sapere cosa le fosse accaduto, così mi decisi ad usare il
cellulare.
«Pasi,
che succede?»
«Scusa
se t’interrompo ma è urgente Emile! Sto andando al
pronto soccorso, Claudine...»
«Arrivo.»
non mi lasciò terminare la frase e attaccò la
chiamata.
Quando
giunsi all’ospedale Emile non era ancora arrivato: Alberto e
Fede erano nel
corridoio in attesa e corsi ad abbracciare il primo per poi chiedergli
cosa
fosse accaduto. Alberto era visibilmente preoccupato, eppure non aveva
quell’ansia addosso che gli avevo visto la volta precedente,
sembrava
stranamente tranquillo, nonostante le condizioni di Claudine dovessero
essere
decisamente più gravi.
Probabilmente
confidava nei medici… Oppure era arrivato ad abituarsi a
quella situazione, ma
quel pensiero mi risultò quasi un’aberrazione:
come ci si può abituare all’idea
che chi ami voglia morire?
Emile
arrivò dopo poco: gli corsi incontro e abbracciati
c’incamminammo verso
Alberto. Quando arrivò accanto a suo padre, i due si
osservarono intensamente,
come se stessero comunicando col pensiero e la scena mi
sembrò surreale: temevo
che cadessero a pezzi, ero preparata a sostenere entrambi e invece
apparivano
stranamente tranquilli, dando vita ad una strana ansia dentro di
me… e quando
arrivarono i medici, lo stato della mia preoccupazione si fece
allarmante:
«Abbiamo
fatto il possibile, ma la signora ha ingerito una dose letale di
sonnifero… non
siamo riusciti a salvarla.»
In
quel momento persi il contatto con la realtà: tornai di
nuovo a qualche mese
prima, ero di nuovo con Stè in quello stesso ospedale,
mentre mi diceva che mia
sorella era morta. Simona non c’era più ed ora
anche Claudine se n’era andata!
«No,
non è possibile!» sentii la mia voce alzarsi di
tono, «Dovete salvarla, non può
morire così! Non ora, non ora!» come quella volta,
il mondo prese a vorticare
intorno a me e solo la voce di Emile mi riportò alla
realtà:
«Pasi,
calmati, Pasi!»
Mi
tenne stretta a sé e tornai alla lucidità,
rendendomi conto che la più
sconvolta tra i due ero io. Guardai Alberto, anche lui aveva la stessa
compostezza
del figlio, nonostante stesse piangendo.
«Ma
cosa significa? Perché siete così calmi? Ho
capito male forse? Claudine sta
bene?»
«No
Pasi, hai compreso perfettamente, mia madre se n’è
andata.»
Mi
voltai di scatto verso Emile: «E allora perché
siete così tranquilli?! Io… Io
non capisco Emile! Ti rendi conto? Claudine! Claudine!»
Emile
tornò a stringermi a sé e parlò con
calma: «Lo so, se n’è andata, ma ora
è in pace
Pasi, mamma ora è felice.»
Alzai
il viso verso il suo, gli occhi erano rossi di pianto eppure la sua
espressione
era serena: alla fine quella da consolare ero io!
«No!
Non lo posso accettare Emile! Stava meglio! Ti ha parlato
l’altro giorno, ho
visto la luce che aveva negli occhi! Stava meglio! Stava
meglio!»
«Mi
stava dicendo addio Pasi; quel giorno era felice, le ho visto la
serenità negli
occhi e ho capito che ci avrebbe lasciato a breve.»
Mi
tenne stretta nel suo abbraccio, trattenendo il dolore per farmi forza,
mentre
il mio prese il sopravvento. Era troppo, perché se
n’era andata anche lei?
Quante persone avrei dovuto perdere ancora in quel modo? Non sopportavo
più
quel luogo, non volevo più dire addio alle persone che
amavo; perché, perché
andavano via, perché mi lasciavano?!
«L’ha
fatto anche con me piccola, ha detto addio anche a me in quello stesso
modo due
giorni fa.» Alberto posò una mano sulla mia spalla
e abbracciò con l’altra suo
figlio: «Fatti forza piccola, fatti forza. Ora Claudine
è serena, e dobbiamo
esserlo anche noi.»
*****
“Sii
forte”, la
frase che mi disse Emile prima di
tornare in Germania; “Fatti
forza”,
fu l’eco di suo padre. Loro due erano forti, lo erano da
vent’anni,
aspettandosi l’addio improvviso di Claudine ogni giorno,
guardandola ogni volta
come se fosse l’ultima… e quando quel giorno
giunse, mantennero fede ai loro
propositi, si fecero forza
reciprocamente.
Io
no. Io non ce la facevo a sopportare anche quella perdita a distanza di
pochi
mesi. Continuai a piangere e a sentirmi nuovamente spezzata, eppure una
voce
dentro di me era consapevole che Emile e suo padre dicevano la
verità. Avevo
visto tutta la scena anche io, ero stata presente all’addio
di Claudine verso
suo figlio, e avevo notato gli occhi rossi di Emile mentre le diceva “Ti voglio bene anch’io
mamma”; in quel
momento si erano detti addio, ma non me n’ero resa conto!
Dovevo
essere forte anch’io, se non per me, almeno per Emile e per
Alberto: per quanto
si fossero preparati ad affrontarlo,
il
mio dolore doveva essere niente in confronto al loro!
Eppure
non riuscii ad esserlo.
Al
funerale di Claudine Flaubert c’erano poche persone, i pochi
intimi che la
conoscevano e l’amavano, o chi aveva imparato a farlo tramite
i racconti di chi
l’aveva conosciuta quando era sana e vitale. Alberto
mandò un telegramma in
Francia per comunicare alla famiglia Flaubert la dipartita di sua
moglie, ma
nessuno si fece vedere alla funzione, né mandarono altri
segni di aver ricevuto
la notizia. I miei
amici invece, vennero
tutti, sia per affetto verso di me che per dare sostegno ad Emile, ma
mi
accorsi ben poco della loro presenza: quelle ore le trascorsi
abbracciata a lui
in lacrime, preda dello sconforto e del dolore. Piansi per me, per
Emile, per
Simona, per Claudine… probabilmente piansi per tutti coloro
che non riuscivano
a farlo o che lo facevano ben poco. Due sole cose ricordo di quel
funerale: il
mio pianto e l’abbraccio convulso di Emile che non mi
lasciava.
E
come lui non mi aveva lasciato un secondo durante quel luttuoso evento,
altrettanto io ero restia ad allontanarmi da lui, andandomene da quella
casa.
Claudine aveva vissuto quasi esclusivamente nella sua stanza, eppure in
quell’abitazione che lei aveva scelto anni addietro, si
sentiva tragicamente la
sua assenza: d’improvviso quella casa sembrava immensa e
vuota.
Intorno
a Claudine si erano sempre avvicendati medici e infermieri e in un modo
o in un
altro, grazie a lei quella casa aveva sempre ospitato
un vai e vieni di persone, che ora non ci
sarebbero più state. Ora restavano solo Alberto ed Emile,
solo loro due, in una
casa troppo grande, vuota e silenziosa. Saperli soli in quel vuoto non
mi dava
pace, così decisi di trascorrere quei primi giorni con loro:
non m’importava se
avessero avuto da ridire, se avessero voluto fare i forti; sarei stata
irremovibile, non li avrei mai lasciati da soli! Probabilmente non ero
forte
come loro, ma avrei potuto aiutarli a non cedere, avrei potuto dare un
po’ di
sostegno in qualche altro modo e non volevo staccarmi da due persone
che
consideravo parte integrante della mia famiglia. Inoltre,
da un punto di vista del tutto
egoistico, non avendo presenziato al funerale di mia sorella, mi sentii
in
dovere di essere partecipe di quello di Claudine in ogni suo aspetto,
come se
avessi potuto espiare in quel modo, la colpa di essere stata assente
per mia
sorella una volta di troppo.
Per
fortuna sia il padre che il figlio non avevano le energie necessarie a
discutere, così quando dissi loro della mia intenzione di
restare in quella
casa, non fecero obiezioni di sorta… probabilmente anche se
si mostravano
forti, entrambi sentivano la stessa sensazione di vuoto che percepivo
io, anzi,
con tutta probabilità in loro era tutto amplificato;
vent’anni di convivenza e
di amore non si possono cancellare in qualche giorno!
Le
ore successive al funerale, trascorsero nel ricevere le condoglianze di
cortesia del vicinato, nel sentire qualche frase di circostanza e nel
rispondere con altrettante frasi fatte. Nei pochi mesi in cui avevo
frequentato
quella casa, non avevo mai visto una di quelle persone far visita a
Claudine
quand’era viva e osservarli in quel momento, mentre
mostravano il loro finto
dispiacere di circostanza, mi provocò un impeto di rabbia
per quell’ipocrisia e
per quelle inutili formalità. Ero contraria a simili gesti
da sempre, avevo
avuto le migliori discussioni con i miei genitori proprio a causa
dell’apparenza
a cui loro tanto tenevano, ma in quell’occasione capii molto
più profondamente
ciò che avevano vissuto Aberto ed Emile in quegli anni,
capii il profondo astio
che aveva dovuto provare il mio Pel di Carota davanti ad un continuo
andirivieni di persone pettegole e ipocrite, che volevano solo salvare
le
apparenze o impicciarsi delle vicende altrui. Capii quanto gli fossi
dovuta
sembrare invadente e intrigante quelle prime volte che ci eravamo
visti…
Gli
ero stata accanto tutto il tempo quel giorno e in quel momento, alla
luce di
quella comprensione, gli strinsi una mano, per tenermi il
più possibile
aggrappata a lui, per fargli sentire quanto gli fossi vicina e quanto
avrei
voluto poter fare qualcosa per risparmiargli tutto quello strazio.
Emile
ricambiò la stretta e quando fu libero dalle chiacchiere di
circostanza mi
diede un bacio sulla fronte:
«Grazie,
so che questo ti sta costando molto, se vuoi andare a riposare sei
liberissima
di farlo.»
Gli
presi anche l’altra mano e lo guardai negli occhi:
«Non vado da nessuna parte
Emile, lo affronteremo insieme, che tu lo voglia o no.»
Mi
guardò con un’espressione dolce e triste che
ricordava moltissimo quella di
Claudine e per un attimo mi si strinse il cuore; poi mi
accarezzò il viso con
una mano senza dire una parola, prima di essere chiamato a continuare
quella
pantomima.
Quando
arrivò la sera, mi accompagnò in camera, quella
stessa camera in cui dormii
mesi fa e anche quella volta, lo fermai mentre stava per dirigersi
sulla porta,
dopo avermi dato la buonanotte:
«Resta
qui con me, non te ne andare!»
Non
volevo lasciarlo, non volevo in alcun modo separarmi da lui, temevo
l’idea che
dovesse sopportare una sofferenza immane tutto da solo. Emile rimase
qualche istante
sulla porta ma poi se la chiuse alle spalle, venendomi incontro,
adagiandosi
nel letto accanto a me e tenendomi stretta a lui.
Durante
la notte però, allarmata da una strana sensazione mi
svegliai e alzando il viso
verso quello di Emile addormentato accanto a me, mi resi conto che nel
sonno
aveva iniziato a piangere. Il suo viso sembrava rilassato, eppure le
lacrime
erano ben visibili e non accennavano a smettere di scorrere.
Povero
amore mio, si stava tenendo in piedi con tutta la forza di
volontà che aveva,
ma la notte il suo cuore reclamava il diritto di esternare la sua
sofferenza,
libero dal desiderio della mente di mostrarsi forte. Mi accoccolai
accanto a
lui e lentamente gli asciugai le lacrime, prima di stringerlo a me.
*****
Mi
risvegliai nel letto da sola e con un’impressionante
sensazione di deja-vu mi
alzai, ritrovandomi nuovamente in un corridoio vuoto e silenzioso. Come
l’altra
volta mi allungai verso la stanza di Claudine, la cui porta era aperta:
avevo
la strana sensazione di camminare nel passato, come se mi fossi
risvegliata in
un piano di esistenza al di là del tempo. Come quella volta,
nella stanza c’era
Alberto, ma quella fu l’ultima assonanza col passato:
repentinamente tornai al
presente nel vederlo seduto sulla poltrona accanto al letto vuoto di
Claudine,
mentre osservava silenziosamente la stanza. Entrai quasi in punta di
piedi,
senza dire una parola e mi accucciai a terra, accanto alla poltrona,
poggiando
la mia mano su una di Alberto. Mi guardò con un sorriso
amorevole e triste:
aveva gli occhi rossi ma se aveva pianto, quelle lacrime si erano
seccate da
tempo, poiché non ce n’era traccia sul suo viso
tranquillo.
«Questa
casa è vuota senza di lei, vero piccola?»
«Sì…
lo è… è terribilmente
vuota!»
Tornò
a guardare avanti a sé, come per rivolgersi più a
se stesso che a me: «Non
mi abituerò mai alla sua assenza…»
Non
ce la facevo a guardarlo senza dir niente, così cercai di
essere utile in
qualche modo:
«Alberto…
so che forse non sono la persona più adatta, ma se vuoi
parlare, se vuoi
sfogarti… con me… io ti sono vicina! Ti
ascolterei con piacere! Lo so che fino
a ieri non ho fatto altro che piangere e so che agli occhi tuoi e di
Emile sarò
sembrata una fragile ragazzina emotiva… ma io sono convinta
che il dolore vada
esternato e sarei davvero felice che lo faceste anche voi due! Inoltre,
essendomi già sfogata, ora posso ascoltare anche gli
altri.» E non mi sentirò
l’unica stupida che urla e
strepita!
Alberto
mi guardò con affetto e poggiò l’altra
mano sulla mia:
«Pasi,
bambina mia, tu sei una deliziosa giovane donna cristallina e di buon
cuore e
vai bene così come sei. Non posso parlare per Emile, che
è solito non esternare
ciò che sente dentro, ma io non sto trattenendo il dolore. Sento terribilmente la
mancanza di Claudine,
con lei è andato via un pezzo di me e non sarò
mai più intero; ma quando mi ha
detto addio io l’ho vista serena, ho visto in lei una luce
che non vedevo da
tempo, il suo sguardo era rilassato e privo di dolore come
vent’anni fa! La mia
Claudine ha rinunciato a vivere da allora e solo stavolta ho visto che
la
tristezza del suo animo e il senso di colpa per non essere stata una
buona
madre verso Emile, l’avevano abbandonata, perché
l’aveva visto felice… insieme
a te.»
Strinsi
più forte la mano di Alberto e iniziai a sentire il magone
nella gola. «Ma
chère sarebbe morta prima o poi, ci sarebbe stata una
disattenzione da parte
nostra che sarebbe stata fatale e lei ne avrebbe approfittato per
andarsene; ma
sapere che l’ha fatto col
sorriso sulle labbra e il cuore più leggero è
stato il modo più bello di dirle
addio. Mi mancherà sempre, ma so che ora è serena
e questo basta a placare il
mio dolore. E dopotutto, è solo questione di pazienza e
attesa: quando giungerà
la mia ora, la rincontrerò e potrò stare con lei
come prima, come quando ci
siamo conosciuti e quella volta sarà per
l’eternità.»
Il
viso di Alberto era
così sereno a
quell’idea, era così convinto della sua visione
romantica dell’amore che lo
legava a Claudine che mi commosse: appoggiai il viso sulla sua mano e
iniziai a
piangere.
«Su,
su, bambina, Claudine è serena, tutte queste lacrime non ti
fanno bene. Devi
essere felice piccola, devi vivere la tua vita con serenità,
senza rattristarti
così per chi è sceso prima dal treno.»
«Sì,
lo so.»
«Coraggio,
vieni qui e abbracciami.» mi allungai ad abbracciare Alberto
e rimanemmo per
qualche minuto a darci affetto e calore reciproco. Ancora una volta, il
mio
desiderio di dare conforto e sostegno si era ribaltato ed ero finita ad
essere
io quella da consolare!
*****
Emile
tornò presto ai suoi doveri verso il gruppo. Si era
allontanato all’improvviso
dalla riunione col produttore per correre da sua madre e da allora non
aveva
più sentito qualcuno, né saputo cosa si erano
detti. Così chiamò a raccolta i
GAUS per parlare con loro e tornò a riprendere anche i suoi
impegni lavorativi
presso la bottega di restauro, decidendo di recarvisi direttamente
dalla
mattina, dato che non c’era più bisogno di essere
tra le pareti domestiche. Era
una decisone più che ovvia, ed era anche scontata
considerando che negli ultimi
tempi, preso dal gruppo, aveva chiesto una dose eccessiva di giorni
liberi, per
cui era più che giusto rimediare alle
“vacanze” arbitrarie che si era concesso.
Tuttavia,
sospettai che quella decisione fu presa anche per un terzo e non meno
importante motivo: trascorrere il minor tempo possibile in
quell’abitazione.
Così tra i restauri e i GAUS, le sue giornate scorrevano
tenendolo impegnato,
senza dargli modo di cedere al dolore.
Tranne
la notte.
Puntualmente
quando chiudeva gli occhi, il suo cuore liberava la sofferenza che
veniva
imbrigliata durante il giorno ed io ogni volta lo stringevo a me col
cuore a
pezzi, asciugandogli le lacrime… finché non
sopportai più quella situazione e
decisi di affrontare direttamente con lui il discorso.
Una
domenica mattina lo trovai nel laboratorio di Alberto intento a
rifinire la
cornice di uno specchio antico: non si concedeva il riposo nemmeno quel
giorno.
«Ti
sei alzato presto anche oggi!? Ma è domenica!»
Avevo
ancora gli occhi assonnati ed ero scesa
da lui in pigiama, appena resami conto della sua assenza. Emile si
volse verso
di me e mi sorrise flebilmente:
«Mi
sono svegliato e non riuscivo ad addormentarmi, così sono
sceso qui. Torna a
letto Pasi, stai dormendo in piedi!»
«No,
sto bene…» e sbadigliai alla grande…
Emile mi guardò con espressione
improvvisamente seria:
«Pasi,
non è necessario che tu rimanga ancora qui la notte: io e
papà stiamo bene,
possiamo cavarcela da soli.»
D’improvviso
il sonno mi passò, non avevo pensato di essermi trattenuta
troppo in quella
casa: era così naturale per me essere lì, che non
mi ero ancora posta il
problema sulla durata della mia permanenza in quel luogo…
Inoltre ero ancora
troppo preoccupata per Emile, per potermene andare via lasciandolo a se
stesso!
«Non
è vero che stai bene, tuo padre forse ha raggiunto una certa
tranquillità
interiore, ma tu no, Emile! Tu ti sobbarchi di lavoro per non pensare,
stai
fuori casa il più possibile, per non sentire il vuoto che
c’è in quest’abitazione
ora e non trovi la forza di sfogare ciò che hai dentro di
te. E forse non
riesci a dormire proprio perché la tua coscienza sta
cercando di dirti qualcosa!»
Sganciata la bomba, mi preparai al contraccolpo che ero sicura sarebbe
arrivato
all’istante.
«Sono
sciocchezze Pasi! Lavoro di più perché
è giusto che sia così e di conseguenza
sto fuori casa per più tempo. Non ho nulla da sfogare, sto
bene. E se mi
sveglio presto, è perché ormai sono abituato a
farlo!»
«Non
è vero, Emile! Non è assolutamente vero che stai
bene e che tu non abbia nulla
da sfogare!»
«Ti
dico che sto bene!»
Non
ne potevo più di quella farsa; perché ora tornava
a mascherarsi davanti a me?
Era mai possibile che lo facesse a causa mia? Voleva essere forte per
me,
perché mi aveva visto a pezzi?
«Emile,
se lo fai per me, se lo fai perché ti senti in dovere di
essere forte, dato che
io non mostro di esserlo, allora smettila immediatamente
perché io non voglio
che tu finga!»
«Fingere
di che, Pasi? Se ti dico che sto bene, perché non mi
credi?»
Iniziò
ad alterarsi, ma io continuai imperterrita:
«Perché io lo so che non è vero,
stupido!»
Emile
perse le staffe e iniziò ad alzare la voce:
«Che
cosa vuoi che ti dica, eh? Che mi manca? Mi è sempre
mancata, è tutta la vita
che mi manca una madre! Perché dovrei piangere ora, per
qualcosa che mi porto
dentro da sempre? Dovrei piangere perché non era presente
agli incontri con gli
insegnanti? Perché non mi ha visto mentre cantavo la prima
volta su un palco?
Perché quando c’era da fare il tema sulla mamma,
non sapevo cosa scrivere?
Perché non so cosa sia mangiare un piatto cucinato da lei o
ricevere un suo
abbraccio? È per questo che devo piangere?!»
«Sì
stupido, se è questo che ti fa star male piangi per questo,
perché io lo so che
soffri, so che ora stai fingendo di star bene; perché io
asciugo le lacrime tutte
le notti da quel tuo viso!»
Emile
restò esterefatto, la rabbia fece posto alla sorpresa sul
suo volto, che venne
raggiunto da una mano, come se la pelle del viso a contatto con le
dita,
emanasse i ricordi delle sue notti di pianto. Aveva
un’espressione sorpresa
mentre realizzava ciò che gli avevo detto: non si era mai
reso conto di
piangere la notte!
Mi
avvicinai a lui prendendogli la mano: «Non ti rendi conto che
il tuo cuore
soffre? Buttalo fuori quel dolore, esternalo! Non lasciare che ti
corroda!»
La
sua espressione sorpresa si rilassò, lasciando spazio
all’amarezza: «A cosa
servirebbe, Pasi? Se piango, se mi metto ad urlare, cosa cambia? Mia
madre
tornerà? Tua sorella è mai tornata da te, quando
piangevi per lei?»
«Loro
non torneranno, ma tu non sei morto; tu sei vivo Emile, sei vivo! E i
vivi
piangono, urlano, rompono qualcosa per la rabbia, l’esternano
la loro vita, la
loro esistenza! Non ti chiudere in te, ti prego! Non fare come
lei!»
Quell’ultima
esclamazione sorprese anche me: non mi ero resa conto fino a quel
momento, di
temere che Emile prendesse la stessa strada pericolosa che aveva
decretato la
fine di sua madre: rimasi stupita da quello che avevo appena compreso e
portai
una mano alla bocca sgranando gli occhi, preoccupata di aver detto una
parola
di troppo.
Invece
Emile mi abbracciò; ancora una volta, quella era una paura
che comprendeva
benissimo perché prima d’incontrarmi, era stato il
suo motivo principale per
vivere, la causa che l’aveva spinto a volere il successo.
Emile temeva anche
più di me l’idea di seguire lo stesso destino di
sua madre.
«Stai
tranquilla amore mio, io non me ne andrò in quel modo, non
me lo perdonerei
mai!»
«Allora sfogati, ti prego!»
Lo strinsi a me, sentii tutti i battiti
del suo cuore e fui presa nuovamente dal desiderio di essere parte
della sua
anima, per condividere e alleggerirgli il dolore.
«Lo farò, te lo
prometto; appena ci
riuscirò, lo farò.»
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* “Piccolo
mio... tu sei felice piccolo mio! Tu sei
felice!”
“Si
mamma, sono felice.”
“Ti voglio bene anch'io, mamma.”
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NDA
Insomma l'ispirazione come sempre va e viene, spero solo di continuare a mantenere il vostro interesse ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi <3