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Autore: Remedios la Bella    25/11/2011    5 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate la scarsa lunghezza del capitolo, ma l'altro sarà abbastanza importante ... penso ... non lo so nemmno io! Devo ancora idearlo! *risata amara*
Comunque ... scusate il mio solito ritardo <3 Non lo farò più .. spero :)
Godetevi il capitolo!
Remedios


Capitolo 35

 
Area Ovest. Stessa scena del resto del campo, e il sangue non tardava a farsi vivido negli occhi di tutti. Io spargevo sangue, insieme al resto dei soldati, sangue innocente di cui mi pentivo, di cui non osavo chiedere la provenienza, ma necessario, ahimè, per continuare il conflitto.
Cautamente ci avvicinammo al nostro gruppo, che era raggruppato intorno ai feriti. Una donna, forse polacca, farfugliava qualcosa di incomprensibile. Era ferita alla testa e il sangue le colava dalla tempia. Reggeva in braccio un bambino, carne e ossa, di un pallore spaventosamente mortale. Continuava a dondolarsi, con in braccio quel corpicino, a farfugliare con le lacrime agli occhi, e non sembrava voler calmarsi nemmeno alle parole dei soldati.
“ Il bambino è morto?” chiesi io, spaventato dalla scena.
Uno dei soldati annuì alla mia domanda, spostando rapidamente lo sguardo sulla povera donna. Insieme a lei stavano una ragazzina di cinque anni, che sembrava solo scioccata e illesa ma non voleva staccarsi dalla camicia di uno dei miei colleghi, e un uomo, con un braccio ferito gravemente, sorretto da una donna, anch’essa ferita alla testa, che lo consolava magramente su quello che accadeva intorno a loro.
Tutto ciò mi pesava enormemente sul cuore. Tutto quel dolore, non c’ero abituato abbastanza per sopportare con indifferenza e menefreghismo. Il mio istinto mi imponeva di doverli aiutare, di dover fermare quella pazzia, ma la mia testa mi impediva di farlo. La mia testa pensava che tutto quello che avrei fatto sarebbe stato sempre inutile, che bisognava solo seguire il tutto e rimanere in disparte, ci avrebbe pensato Dio a risolvere quel casino. Ma chi conta su Dio se nemmeno quei metodi drastici servono a qualcosa?
Cercando di scacciare il disgusto dalla mia testa, aiutai a caricare sulla barella l’uomo ferito, mentre Jordan si occupò della donna con il cadavere tra le braccia. Lui era sicuramente più adatto al ruolo di me, avrebbe trovato il modo adatto per convincerla a lasciarlo lì e a mettersi in salvo finché poteva. Io non ne avrei avuto la forza.
La bimba aggrappata alla giacca di uno dei soldati mi si avvicinò all’improvviso:” Signore …” Farfugliò.
Io finii di caricare l’uomo sulla barella, e poi mi chinai su di lei. Indossava un abito rosso, tutto stracciato e sporco di terra, la faccia sporca di sangue secco e i capelli pieni di polvere, ma sembrava stare bene. L’unica pecca erano gli occhi, verdi e gonfi di lacrime.
“ Dimmi piccola, che c’è?” Cercai di parlarle dolcemente, E l’unico gesto che lei fece fu quello di saltarmi addosso, avvinghiandosi a me con le sue piccole braccia e piangendo disperatamente.
Provai un’enorme compassione per quella povera creatura, e per poco non mi misi a piangere pure io. Mi alzai in piedi, tenendola stretta a me e lasciando che piangesse,e all’ordine degli altri soldati iniziai la corsa verso la capanna ospedaliera.
“ Piccola … tieniti stretta e non alzare la testa per nessun motivo!” le urlai, mentre correvo nella direzione indicatami dall’esperienza poco a poco acquistata. Lei non rispose ma strinse la presa delle sue braccia sul mio collo, e incavò di più la testa sulla mia spalla.
Correvo come un matto insieme agli altri, mentre un nuovo attacco era stato innescato. Una bomba alla cieca aveva generato una reazione a catena esplosiva e pericolosa. Un sacco di proiettili che venivano scagliati a velocità brutali, e io che muovevo i piedi, senza sentire la pesantezza della piccola, li muovevo senza rendermi conto di niente, neanche del dolore di quella guerra.
Miracolosamente, giunsi alla tenda in tempo. La tenda ospedaliera era posta in una zona talmente protetta dalle bombe che, secondo tutti, era il luogo adatto dove poter mettere in salvo le persone.
I letti, quasi tutti occupati da feriti e agonizzanti pronto alla morte, erano messi uno vicinissimo all’altro, in file asfissianti, dove gli infermieri passavano sempre, senza sosta, a controllare che ognuno di loro stesse bene o meglio di prima.
Poggiai la bimba per terra, nel mentre aveva calmato il suo pianto ma piagnucolava ancora:” Voglio la mia mamma …”
“ verrà presto .. vedrai …” Mi faceva un male tremendo mentire a quella povera bambina, ma era l’unico modo per farla stare un po’ bene. La strinsi a me, per poi darla in custodia, a malincuore, a una delle infermiere.
Jordan, che aveva finito di mettere a letto l’uomo, mi si avvicinò:” Stai bene?”
“ Si amico … si.” Mi limitai a dire, sofferente. Chissà quanto a lungo avrei sopportato tutte quelle cose?
 
 
Ora capivo da chi Deborah aveva tratto così tanto coraggio nell’affrontare le avversità, da chi aveva appreso le sue doti di medicina, da chi aveva capito che il mondo non è rose e fiori. E dire che quegli occhi mi erano sembrati familiari sin dall’inizio, quei due pozzi di saggezza tanto neri quanto infiniti, che solo Deborah, da quel che rammentavo, possedeva.
Menuchin, quell’uomo misterioso conosciuto nella cella dove mi avevano rinchiusa, non era altro .. che l’uomo per cui la bambina del ricordo di mio fratello urlava come una pazza.
L’uomo che dieci anni fa era stato catturato, l’uomo da cui Deborah aveva tratto tanto coraggio e voglia di non arrendersi. Era … suo padre.
E lo scoprii soltanto dopo che l’uomo mi accennò alla sua cattura. Certo, il povero uomo non poteva immaginarsi che una come me potesse sapere che sua figlia era ancora viva ( da quel che speravo io) e che era diventata mia amica intima. La sua sorpresa non fu minore al mio stupore.
“ Non stai ingannando un pover’uomo, vero?” mi fece lui, sorpreso quanto me dopo avergli detto che la suddetta bambina la conoscevo benissimo.
“ Non potrei mai ingannarla, signore … se da quel che dice lei, quella bambina è sua figlia, so per certo  che mio fratello non è un bugiardo, e che quindi colei che si chiama Deborah e con cui poche ore fa fuggivo è davvero sua figlia …”
“ So benissimo che mia figlia di nome fa Deborah … ma non riesco a credere che sia ancora viva dopo tutto questo tempo … come sta?”
“ Non direi benissimo, ma se la sta cavando … e deve aver preso molto da lei, signore …!” Lo guardai amorevolmente, e lui ricambiò con un dolce sorriso.
Quello che più mi stupiva era la gran capacità di quell’uomo nel rimanere calmo anche durante la prigionia in quella cella tanto buia e malsana, la sua buona volontà a dover sopportare i continui sotterfugi dei soldati, che sicuramente lo avevano schernito ogni giorno a causa della sua povera condizione.
“ Mi lusinga saperlo, cara … sai, per un uomo della mia età l’unica magra consolazione è poter sperare che gli altri stiano bene … Dimmi, sai qualcosa di mia moglie?”
Mi raggelai a quella domanda. Sapevo la triste risposta, e esitavo a dire a quella brava persona che la sua anima gemella era volata in paradiso. Tacqui, abbassando lo sguardo, pensando che tanto avrebbe capito da solo. E infatti fu così.
L’uomo, guardandomi, capì la risposta da solo, e trasse un lungo sospiro: “ Capisco … eh, almeno sta in un bel posto adesso …”
“ Mi dispiace tanto …”
“ Non hai colpa di ciò che è successo. È questo schema, questa società a ucciderci tutti. Bisogna farsi coraggio e continuare a guardare avanti, come ho fatto io in questi ultimi dieci anni.”
Sorrisi a quell’osservazione, ancora rammaricata per il brutto momento creatosi prima:” Perlomeno, sa che sua figlia sta bene …”
“ Infatti … quello è il lato migliore della speranza: sapere che esse non sono del tutto vane!” esclamò, quasi felicemente.
Purtroppo, tutte le cose felici devono pur finire no?
Un bussare violento alla porta della cella, e dopo un po’ un soldato che entrava, con la sua aria altezzosa e sprezzante.
“ Detenuto 65 … all’interrogatorio.”
Il detenuto 65 ero io. Mi alzai, dopo aver guardato di sottecchi Menuchin, e ingoiai saliva spasmodicamente.
Il soldato mi afferrò il braccio e mi portò con sé, verso una delle celle da interrogatorio. 

   
 
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