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Autore: _freedom_85    27/11/2011    2 recensioni
Avevo organizzato le mie giornate minuziosamente, non c'era spazio e voglia per pensare, perché spesso i pensieri portano ai ricordi ed i ricordi fanno in un modo o nell'altro male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pochi istanti trascorsero tra la mia domanda e la sua risposta. Un sorriso di circostanza apparve sulle labbra di quell'uomo che continuava a fissarmi. Inevitabilmente il mio sguardo percorse il suo corpo, le sue gambe leggermente protratte in avanti  si unirono quando accavallò una caviglia sull'altra. Il suo busto era ben eretto in una postura composta e mentre continuava a fissarmi portò le sue braccia al petto incrociandole. Indossava un completo grigio che valorizzava il suo corpo  più di quanto non facesse quella camicia di un bianco quasi abbagliante perfettamente inamidata.  Alzai le sopracciglia in un espressione indecifrabile, scossi la testa per l'attenzione assurda che in pochi attimi avevo rivolto a Mark. Era questo il suo nome, almeno quello che avevo udito quando si presentò a me mentre i miei occhi erano intenti a scrutarlo. Con una mano sbottonò la sua giacca, i miei occhi si posarono di nuovo su quella camicia che risaltava il suo petto ben definito probabilmente da ore e ore di allenamento. Con passo deciso era sempre più vicino a me mentre io restai semplicemente imbambolata vicino alla mia scrivania. Mi sorrise quasi con aria compiaciuta, come se avesse notato quel mio modo quasi morboso di scrutarlo,  "Mark Miller" ribadii  porgendomi la sua mano.

Cercai di mantenere una certa compostezza e professionalità prima di tutto; senza esitazione alcuna strinsi appena la sua mano nella mia

- << Elizabeth Parker >>  -

Mi presentai a mia volta , ma non so per quale motivo, forse la sua presenza, il suo sguardo o semplicemente il suo essere cosi sicuro mi spinse a qualificarmi senza aspettare una qualche sua domanda, senza capire la ragione per la quale si trovava nel mio ufficio. Come se quelle parole bastassero a farmi sentire più sicura , io che in ambito lavorativo ero stata sempre sicura di me, mi ritrovavo ora ad avere difficoltà nel gestire una conversazione con un perfetto sconosciuto. Sentimentalmente... la sicurezza albergava ben lontana da me. Dopo l’ultima storia mi sentivo totalmente insicura e spaventata. In ambito lavorativo ero certa di me, delle mie ambizioni di quello che volevo, di quello che avrei ottenuto.
 Presunzione?! No! Determinazione!

Ma in quel momento con quel mio atteggiamento cosi marcato e deciso era come se volessi placare la strana influenza che Mark aveva su di me, eppure da quanto lo conoscevo? Dieci scarsi minuti.

- << Gestisco la ripartizione Finanza e Contabilità o meglio affianco il Capo Ripartizione. Da poco sono stata assunta a tempo pieno come stagista >> -

Mi giustificai. Non mi ero resa conto di quanto avessi parlato senza che lui mi avesse posto domanda alcuna e quando terminai di parlare scosse leggermente la testa sogghignando. Mi sentii cosi stupida maledicendomi per quell'aspetto di me che  tanto odiavo, quel mio imbarazzarmi per cose anche futili, il mio arrossire anche per un solo sguardo.

Il silenzio calò per qualche minuto mentre continuai a restare in piedi vicino alla mia scrivania, martorizzando le mie dita che incessantemente intrecciavo tra loro. Poi iniziò a parlare la sua voce era cosi profonda e calda che mantenere l'attenzione sulle sue parole risultava quasi difficile. “Sono stato assunto come stagista per un anno” questo furono le sue parole, non facendo altro che ripetere le mie stesse parole. Era il nuovo stagista, di cui non sapevo nulla e con il quale avrei condiviso l’ufficio, ufficio che per un anno era stato solo mio. Ritornò al suo posto, sedendosi alla sua scrivania iniziando poco dopo a sistemare le sue cose. Il silenzio che riempiva quella stanza fu irrotto pochi minuti dopo quando iniziò a dettar legge sul suo modo di lavorare, sul suo modo di rapportarsi agli utenti verso i  quali prestavamo servizio, sulla mia “inefficienza” nell’organizzazione del lavoro. Senza ombra di dubbio aveva quel non so che di presuntuoso, che a me non andava giù, non perché dovessi essere io a gestire il tutto o perché avevo qualche strana mania di controllo, ma semplicemente perché giorno dopo giorno, ora dopo ora avevo guadagnato quel posto da stagista che ora condividevo.

Ricordo ancora le parole di mia nonna quando qualche anno prima mi diceva che nella vita nulla è sicuro, neanche il presente , tutto era un costate scegliere e ad ogni scelta era legata una strada diversa che ci avrebbe condotto a una qualche sorta di arrivo. Ma avere le idee chiare , avere una propria dimensione entro la quale agire e conoscere le proprie abilità erano varianti che in qualche modo avrebbero giocato un ruolo determinate in quello che sarebbe stato il futuro. Ed io sapevo cosa volevo! L’idea di gestire una multinazionale era sempre stata insita in me e non c’era attimo a cui non volgevo un pensiero su quel mio progetto, e lavorare lì presso quella azienda affiliata ad una importate multinazionale di cui ne gestiva l’aspetto commerciale e logistico rappresentava per me un occasione importate, o forse l’unica.

Avevo per un anno rallentato ogni mia aspettativa futura , rallentamento che nonostante tutto era stato minimo. Ma d’altronde nell’ultimo anno avevo programmato le mie giornate nei minimi particolari evitando cosi di pensare e soffrire ed evitare cosi di portare alla deriva i miei progetti di vita.

Ma non è stato cosi facile nei i primi tempi, soprattutto nelle prime settimane.

Ricordo ancora il momento dopo esser uscita dall’appartamento di John, il mio ex ragazzo anzi l’unico che potevo definire tale. Il ragazzo con il quale avevo condiviso tutta me stessa, l’unico che seppe strappare una parte di me senza rimorso alcuno. Avete presente in quei film dove a seguito di una separazione uno dei due scappa via piangendo in preda alla rabbia e alla disperazione .

Non andò proprio cosi!

Anzi forse la disperazione c’era ma cosa avrei potuto fare?! Dare spettacolo?! A che pro?!

Iniziai a scendere le scale lentamente e a testa alta. Un leggero tremolio invase il mio corpo, sentivo le mani tremare quasi non riuscissi a mantenermi allo scorri mano vicino al quale mi sostenevo. I miei occhi si velarono di quella patina lucida, quel luccichio provocato da occhi lucidi le cui lacrime si apprestano a scendere invadendo il viso.

Era il 15 Gennaio, faceva freddo, piovigginava come ormai tutti i giorni negli ultimi due mesi. Raggiunsi l’uscita del palazzo ed un ondata gelida di vento invase con impeto il mio viso ed io beandomi di quell’aiuto inspirai con quanta forza i miei polmoni permettevano. Deglutii faticosamente non era quello il luogo in cui dar sfogo alla tristezza che lentamente si faceva spazio in me. Strinsi il giubbino al petto e incrociando le braccia iniziai a camminare senza meta alcuna.

Il tempo scorreva inesorabile e mentre le persone si apprestavano a concludere quel pomeriggio tornando da lavoro o semplicemente da qualsiasi cosa stessero facendo dirigendosi nelle loro case, io vagavo. Il mio sguardo era perso, non facevo caso a chi mi passasse vicino. Per sbaglio urtai un uomo, non capii cosa mi disse, lo sentii solo urlare parole a me senza senso che per quanto fossero forti dal tono usato il mio udito le rifiutò. Il mio cervello si rifiutava di captare tutto ciò che stava accadendo intorno a me. Mi fermai senza neanche voltarmi e mentre l’uomo continuava a parlare io ripresi a camminare . Non mi diressi a casa, non immediatamente. Mi ritrovai dinanzi a quel parco che tanto adoravo, dove spesso passavo parte del mio tempo libero. Nonostante quel piovigginare bagnava il mio viso non esitai e dopo aver attraversato la strada forse troppo incautamente solcai l’ingresso segnato da un enorme arco in stile romano. Camminavo ora a testa bassa quel groppo in gola non accennava a  sparire anzi diveniva sempre più pressante dominava il mio corpo, sempre più violento, sembra che quasi non riuscissi più a respirare con il naso. Dischiusi le labbra cercando  di prendere ossigeno, di nutrire i miei polmoni, aria, cercavo aria, “perché non riesco a respirare sussurravo con inquietudine nella mia mente”ed il respiro divenne sempre più affannato e l’affanno portò il respiro ad essere sempre più corto. Spalancai la bocca, cercavo di respirare velocemente , mentre i battiti accelerarono. Quel tremolio divenne un terremoto che scuoteva il mio corpo. Camminavo mentre le gambe quasi non riuscivano più a sostenermi , sentivo l’angoscia soffocarmi e lacerare ogni fibra del mio essere. Iniziai ad esser spaventata, il cuore sembrava che stesse per esplodere, pompava ad un ritmo cosi forte da poterlo sentire nelle mie orecchie. Le mani furono invase ad un leggero formicolio, quasi non le sentivo più. Continuavo a camminare quasi arrancando passo dopo passo, i secondi passavo come ore, mentre ormai il cielo ricoperto di nubi divenne di un grigio scuro pronto ad esplodere con impeto in tutta la furia della natura. Solo quando passai dinanzi ad un tronco mi ci avvicinai sbattendoci con la schiena contro lasciandomici cadere fino a toccare la terra umida. L’affanno, divenne violento , la violenza si trasformò in dolore, il dolore in ricordo fino ad implodere dentro di me , scoppiando poi in un pianto liberatorio mentre mi apprestavo a coprire con le mani sporche di fango il viso, nascondendo quello che la mia voce straziante non riusciva a celare

- << Aiuto >> -

Mormorai tra me in un sussurro forse troppo flebile per poter essere udito mentre il fruscio del vento che scuotevano gli alberi irrompeva quel silenzio accompagnato dalla mia voce che risuonava come un lamento che aleggiava tra le ombre di quella scarna vegetazione. Non riesco ancora a ricordare quella frazione di minuti durante i quali arrivai a casa, ma ricordo perfettamente il mattino seguente la mia stanza avvolta da un silenzio assordante, nell’angolo della stanza un letto avvolto nella penombra, un piccolo e fragile corpo rannicchiato inerte tra le lenzuola rifletteva quella che ero in quel momento, i miei occhi aperti fissavano il vuoto , il viso segnato dalle occhiaie e dalla stanchezza dopo una notte durante la quale  non riuscii a riposare neanche per un solo attimo, mentre somatizzavo i ricordi .

Il giorno seguente giurai a me stessa che mai avrei sofferto ancora cosi , dovevo agire, smuovermi in qualche modo, non c’era tempo e spazio per i ricordi. I giorni trascorsero. Poi iniziai a non pensare, ed i ricordi divennero sempre meno presenti e più questo accadeva più la vita mi premiava.

Avevo lavorato duramente nell’ultimo anno, sapevo di poter ambire a quel posto da stagista che l’azienda metteva a disposizione una volta all’anno e per soli pochi eletti o meglio solo un  eletto, ragion per cui mi chiesi cosa diavolo ci facesse un altro stagista all’interno del mio studio. Il ricordo svanì quando qualcosa cadde a terra riportandomi al presente. Lui continuava a farfugliare sulla sua vita e su quanto fosse fenomenale, in qualsiasi cosa si accingesse a fare. Disse che si era laureato alla Stanford con il massimo dei voti, era stato capitano della squadra di canottaggio nei primi anni ma poi aveva tergiversato su altri sport in cui aveva sempre eccelso per bravura e tante altre cose che accrescevano il suo ego grande quanto il Canyon. Parlava, parlava e parlava e cosi andò avanti per almeno due o forse tre ore. Dio quanto era egocentrico, di quelle ore colme delle sue chiacchiere ne appresi forse il trenta percento. Nel frattempo avevo scaricato la posta telematica che ogni giorno mi accingevo a controllare, avevo dato un occhiata veloce al bilancio dell’azienda e sistemato le varie voci inerenti alla spesa. Guardai l’orologio le cui lancette segnavano le undici, per fortuna  riuscii a concludere buona parte del mio lavoro.

Feci un breve pausa caffè durante la quale sentii quel rumore fastidioso alle orecchie che di solito si è soggetti a quando si  ascolta musica ad un volume alto o in un luogo in cui si parla tanto e le voci si sovrastano. Tirai un respiro di sollievo mentre gustavo quel caffe caldo e l’aroma invadeva la mia bocca.  Solo dopo una quindicina di minuti rientrai in ufficio pronta per un secondo round con  il signor Ego, ma per mia sorpresa non parlò. Forse aveva captato quel mio snobbarlo mentre lui parla. Mi sentii in colpa, non ero una che snobbava le persone, ne che si dava arie, ma di certo quel suo modo di rapportarsi a me senza cognizione di causa, senza che io gli avessi chiesto nulla mi aveva infastidito e non poco.

Le due ore successive trascorsero nel silenzio più assoluto se non accompagnato dai soliti rumori d’ufficio, fino a quando il mio Capo , Margaret, entrò in quello che non era più il mio ufficio ma il nostro. Entrambi fummo richiamati dalla sua voce, fu di poche parole. “Dopo pranzo riunione, portate tutto, non è ammesso ritardo , se serve saltate il pranzo” Margaret non ammetteva margine di errore ed era alquanto arrabbiata per il mio ritardo di quella mattina. Ci limitammo ad annuire e dopo aver richiuso in alcuni cassetti documenti importati ed essermi assicurata che tutto fosse chiuso  mi alzai dalla scrivania raccogliendo le mie cose. Volsi uno sguardo a Mark che se ne stava li per fatti suoi in silenzio mentre compilava chissà quale documento. Mi sentivo sempre più in colpa, essere l’ultimo arrivato  regalava sempre una sensazione poco piacevole. Ti senti fuori da tutto, inadatto ed ecco che si spiega quel suo fare da egocentrico. Era nervoso, ma come poteva un ragazzo dalla presenza impeccabile essere nervoso e fu cosi che mentre una parte di me mi consigliava vivamente di star zitta, ascoltai il mio lato umano

- << Pausa pranzo, ti va? >> -

Chiesi indicando la porta dell’ufficio.
  
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