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Autore: Eliada    25/07/2006    1 recensioni
“-Che cos’è Hogwarts e chi accidenti è Albume Sipente?- -Già e chi sarebbe anche quella… com’è che si chiama?! Minerva McGranito? Che bei nomi!- -Albus Silente!!- tuonò Piton -E Minerva McGranitt…-completò con minor enfasi. -Okay, okay signor Spiton!- cercò di giustificarsi Elisabetta, ma con scarso successo. -Ci rinuncio…- borbottò Piton.” Come vi sembra "l'inizio" di questa ff? Vi ispira?Beh...se è così cosa aspettate!Leggetela...e se vi capita...lasciate una piccola recensionuccina!!!
Genere: Generale, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter, I Malandrini, James Potter, Lucius Malfoy, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29

 

Psicologia…

 

Subito dopo l’ultima ora di lezione, Francesca si mise all’opera.

Titubante, si diresse verso l’ufficio della Chiodo. Quando fu ad un passo dal bussare le venne l’irrefrenabile desiderio di voltarsi e scappare, ma non lo fece; anzi, costrinse prima il suo polso, poi la sua mano, ad aggredire la porta.

-Chi è?- chiese una voce attutita dall’interno.

-Sono Francesca…- rispose rauca la ragazza.

-Vieni, vieni!- si sentì dire. Udì anche il rumore di una sedia che si spostava.

Fece un respiro profondo ed entrò.

La stanza, per sua fortuna, predisponeva quanti accoglieva al buon umore: era spaziosa, più di quanto la ragazza ricordasse (effetto del non dover correggere ingombranti pacchi di compiti in classe…), e luminosa; una piccola radiolina gracchiava, appoggiata su un tavolinetto, dal fondo della stanza.

-Ciao Fre, è un po’ che non vedo tu e tua sorella! Come va?- chiese cordialmente la donna. Francesca notò che aveva i capelli corvini un po’ più lunghi e, se si metteva di profilo, aveva un po’ di pancetta, nonostante i vestiti larghi.

-In realtà è proprio di lei che volevo parlarle…- ammise.

-Ah. Siediti, accomodati!- la invitò facendole cenno di sedersi sul divano accanto a lei –Allora, qual è il problema? Ha preso solo Oltre Ogni Aspettativa in Matematica?- chiese allegramente.

Francesca abbozzò un sorriso tirato.

-A proposito, come va con la nuova insegnante? È carina?- aggiunse la Chiodo.

-Una strega. Nel vero senso della parola…- rispose l’alunna, contenta di non arrivare subito al nocciolo.

-Oh! E perché? Vi dà molti compiti?-

-Mostruosamente tanti! E poi non si prende neanche la briga di correggerli, no: lascia fare tutto a Max o a Ryan! Lei non fa niente di niente in classe, si legge i suoi giornaletti, si fa la manicure, mentre noi sgobbiamo! Dovrebbe vederla durante le verifiche! Per non parlare dei voti! Nell’ultima metà classe a preso “D”!- raccontò con enfasi Francesca.

-Max? Ryan? Chi sarebbero?-

-I due poveretti che l’aiutano! In pratica, fanno tutto loro!-

-Oh, ma… ma è terribile! E Silente non fa nulla?-

-A quanto pare ha le mani legate… un giorno la McGranitt si è lasciata sfuggire che la tipa è protetta dall’alto…-

-Hai capito? Mi allontano per venti giorni e il programma va a farsi benedire! Dovrò parlare con Silente…-

Francesca sperò con tutta se stessa che ciò sortisse i suoi effetti: era stufa di quella là, non voleva neanche sentirla nominare… De Mordrey… bleah! Con un cognome così, cosa voleva fare?!

-Ma torniamo a te, cos’è che mi dicevi prima?-

Ahi. Brusco risveglio. Ormai era con le spalle al muro…

-Io e mia sorella abbiamo litigato. – sputò.

-Oh mamma mia, che peccato! Cos’è successo?-

Francesca riassunse in breve i fatti accaduti a partire da quando la Chiodo se ne era “andata” fino ad allora.

-Incredibile! Una ragazza così per bene! Come può essere? E lei cos’ ha detto? Le hai chiesto spiegazioni, vero?-

-Sì, cioè no, non io: l’ ha fatto Ramona. Lei sostiene di non aver fatto e di non ricordarsi niente…-

-Che comportamento vigliacco! Però è strano, da lei poi… Secondo me dovresti parlarle. –

Francesca impallidì; la Chiodo se ne accorse.

-Quello è l’unico modo, Francesca. –

-Lo so. Ma non sono sicura di essere pronta. Abbiamo passato una vita assieme, e adesso… è un mese che ci parliamo a fatica! Sembriamo due sconosciute…-

-Ci tieni a lei? Vuoi…-

-Sì, però dovrebbe essere lei a chiedermi scusa, non il contrario!- sbottò Francesca.

-A volte siamo noi a dover prendere l’iniziativa, nonostante spetti agli altri. Non lasciare che il vostro legame così profondo si sciolga per colpa dell’orgoglio…-

-Sì, forse ha ragione…-

-Se può farti sentire meglio, questa sera stessa venite tutte e due e ne parliamo assieme, ti va l’idea?-

-Oh, grazie prof., grazie! Glielo vado a dire subito!- esclamò Francesca scattando in piedi.

Afferrò la maniglia e l’abbassò. Stava ancora guardando la Chiodo. Aprì la porta. Si stava voltando. Un grido alle sue spalle accese un campanello nella sua mente. Istintivamente si ritrasse. Una sfera di energia rossa, attraversata da lampi bianchi, passò a pochi centimetri dalla testa della ragazza, per infrangere come una palla da baseball il vetro dell’ufficio e scaricarsi al suolo, sollevando ciuffi d’erba e zolle di terra.

La Chiodo scattò in piedi come una molla. Incurante del pericolo che avrebbe potuto correre, si precipitò da Francesca, inginocchiata di fronte alla porta, ancora incredula per ciò che le era appena capitato. La strinse forte tra le sue braccia, cullandola.

-Shhtt! È tutto finito, è tutto finito…- sussurrò dolcemente alle orecchie della ragazza, la quale si stava lentamente riscotendo dal torpore.

-Ma perché tutte a me? Non è giusto…- balbettò Francesca. Sentì un groppo alla gola salirle e bloccarle la lingua; gli occhi le si gonfiarono, minacciando tempesta. Ormai era paralizzata, non era più padrona del proprio corpo, non riusciva a muoversi.

 

 

La professoressa la sollevò dolcemente, portandola fino al divano, poi la fece sedere. Francesca si accucciò da un lato, nascondendosi il volto con le mani. La Chiodo intanto chiuse la porta, gettando prima un’occhiata nei dintorni, per essere sicura che non vi fosse nessuno, poi tornò dalla sua alunna. La strinse con un braccio, con l’altro le carezzò la nuca frizzante.

-Perché, perché ce l’ ha con me? Che gli ho fatto?- singhiozzò Francesca.

-Francesca…- disse grave la Chiodo, costringendo la ragazza a guardarla dritta negli occhi

–Francesca, tu sai chi è stato?- chiese.

-Non lo so, non ne ho idea, ma santo cielo, io non gli ho fatto niente!- rispose la ragazza.

In un primo momento la donna non volle insistere. Lasciò Francesca e preparò del the caldo; aveva un buon profumo di erbe e un sapore carico. La ragazza bevve un paio di sorsi dalla tazza di porcellana bianca che le veniva tesa. Il vapore che proveniva da essa si condensò sul suo viso; il profumo dolce e il calore che si diffondeva nel suo corpo parve calmarla. Bevve un altro sorso.

La Chiodo prese una sedia e la trascinò fino a raggiungere la posizione desiderata, esattamente di fronte a Francesca; bevve silenziosamente il suo the, poi poggiò la tazza vuota sul tavolo distante un braccio da lei. Quando anche Francesca ebbe finito, fece altrettanto con la sua tazza.

-Va un po’ meglio?- chiese.

Francesca annuì, sospirando.

-Sei consapevole di ciò che ti è appena successo?-

Francesca fissò la donna. Certo che ne era consapevole. Il suo sguardo era eloquente.

-Ora, io penso che tu sappia chi è stato…-

-Sì… quel sorvegliante… mio zio!-

-Esatto…-

-Ma perché ce l’ ha tanto con me? Io non gli ho fatto niente! Manco sapevo esistesse!-

-Ah, Francesca, mi fai una bella domanda. Io credo che il perché siano i vostri poteri…-

Ovviamente questo Francesca lo sapeva già, ma non voleva arrendersi all’idea, dacché insensata.

-Io questi poteri non li ho chiesti. – affermò.

-Lo so, lo so. Sono un dono pericoloso anche per chi ha molta più esperienza di te. Ma dovrai imparare a conviverci…-

-Io ci convivo benissimo! È lui che ha dei problemi!-

La Chiodo sospirò –Francesca, cerca di essere obiettiva. Lui vi vuole uccidere, questo è il punto. So che è difficile da accettare, ma le cose stanno così. –

Francesca tacque un attimo, alla ricerca di qualcosa da dire.

-E io che ci posso fare?- chiese.

-A questo punto, non lo so neppure io… forse dovremmo allontanare tu e tua sorella dalla scuola fino a che le acque non si siano calmate…-

-No!- Francesca strabuzzò gli occhi.

-Allontanare lui non si può. È protetto dall’alto. –

-Il padre di Lucifero…-

-Sì. Purtroppo non ci sono prove per accusarlo di qualsiasi cosa. Se qualcuno si azzarderà a muovergli delle accuse, lui probabilmente spargerà la voce della presenza di Wizardtime e… sarà una vera caccia alle streghe. In effetti, mi chiedo perché non l’abbia già fatto… probabilmente perché voleva essere sicuro di…-

-…di ucciderci sul serio. Ma Silente non gli aveva dato quella pozione per scordarsi di noi?–

-Sì, è vero. Adesso allora è ancora più inattaccabile; presumo allora che la direzione delle operazioni dei sorveglianti l’abbia presa vostro zio. Proverò a sentire il parere di Silente e degli altri insegnanti coinvolti, ma molto probabilmente giungeranno alle mie stesse conclusioni… -

Francesca tacque. Era completamente svuotata, priva di emozioni… il suo unico pensiero era quello di dover lasciare la scuola. Cosa avrebbe fatto dopo? Con chi avrebbe vissuto, e soprattutto dove? Ora che finalmente era riuscita a crearsi il suo complicato e fragile castello di carte, arrivava una folata di vento a distruggerglielo? Non le era già stato negato troppo?

Si mise le mani nei capelli, cercando di riflettere e concentrarsi maggiormente sul problema: lo zio.

Cosa si poteva fare? L’unico modo per chiudergli la bocca era… appunto quella di chiudergliela, possibilmente una volta per tutte. Ormai lui sapeva chi era che cercava…

-Ormai ci conosce…-

…e le avrebbe perseguitate per il resto della vita…

-… ci inseguirà anche in capo al mondo!-

Che avrebbe potuto fare?

-Cosa si può fare?-

La Chiodo sospirò sconfortata. La verità era che non lo sapeva.

-Non lo so. –

La storia stava per ripetersi…

-La storia sta per ripetersi… prima i miei genitori, poi io e mia sorella…-

-Giusto, tua sorella! Dobbiamo correre ad avvertirla!-

-Non credo che le capiterà niente di male: è in giro con un gruppo di Tassorosso, lui non attacca quando c’è qualcuno nei paraggi… -

-Meglio essere sicuri. Scrivile una lettera, puoi usare il mio gufo; lo vado a prendere. –

La Chiodo passò carta, calamaio e penna all’alunna prima di andare nella stanza affianco, dove in una gabbia di ottone dorato era rinchiuso il suo gufo. Aprì la minuscola porta della gabbia e infilò dentro un braccio, invitando il gufo a salirci sopra; l’animale, ubbidiente, fece quanto gli veniva richiesto. La sua padrona gli accarezzò le piume candide; il gufo le becchettò affettuosamente l’indice. Francesca intanto aveva scritto.

Resta in gruppo, non andare in giro da sola. Nostro zio è nei paraggi, e in vena di fare dei casini.

Questa sera vai nell’ufficio della Chiodo, ci sarò anch’io.

Arrotolò il pezzetto di pergamena e lo fermò con un laccio elastico per capelli azzurro, poi lo legò alla zampa del gufo.

-Vai da Elisabetta, su!- gli ordinò la padrona, aprendo la finestra.

Il gufo aprì le grandi ali bianche e spiccò il volo, facendo cadere il pezzo di pergamena residuo della lettera che Francesca aveva incautamente abbandonato sul tavolo.

La Chiodo si chinò per raccoglierlo. Si vedeva chiaramente che faceva fatica a compiere un movimento di quel genere; con uno sbuffò si rialzò.

-Che stupida. Con tutti i problemi che ho io, mi sono dimenticata di chiedere come sta lei!- ammise Francesca.

-Oh, non preoccuparti. Sto bene, tutto sommato. Mi sa che quando questo bricconcello nascerà, sarà un vitellino!- disse sfregandosi con una mano la pancia.

Francesca era rimasta nuovamente a corto di idee da esporre. Frugò in ogni angolino della sua mente alla ricerca di un appiglio, ma trovò tutto liscio o scivoloso come l’olio, così fu la Chiodo a proporre un nuovo argomento.

-Come procedono i tuoi studi di Matematica?- chiese.

-A singhiozzo. Non sono mai in pari con gli studi. Quella là spiega dieci pagine alla volta, poi ti fa fare tre esercizi striminziti e infine ti schiaffa una verifica; mi dica lei cosa ci posso capire!- rispose indignata Francesca.

-Dove siete arrivati?- chiese nuovamente la donna, individuando tra una pila di libri ben ordinati su una mensola quello di Matematica con cui normalmente teneva lezione. Neanche a dirlo, rispiegò gli argomenti non capiti dalla ragazza per filo e per segno, cercando di essere il più esauriente possibile. A metà del ripasso giunsero due righe di risposta da parte di Elisabetta.

Stasera non posso. Punizione con Piton.

Cercherò di stare attenta. Grazie, ciao.

-Ah, è vero! La punizione…- si ricordò Francesca.

-Che punizione?-

-Mah, il solito. Mia sorella ha fatto la furba durante un’ora di Piton e quello l’ ha punita. –

-Sì, ma cos’ ha fatto?-

-Ma niente, Piton stava interrogando Rosa, che non sapeva niente di niente, e lei aveva la mano alzata da due ore, poi ha alzato la mano uno di Serpeverde e Piton ha dato la precedenza a lui. L’aveva già fatto un sacco di volte, così Elisabetta si è scocciata e gli ha detto il fatto suo. Ed è stata punita. –

-Ah, andiamo bene! Io che un volontario l’avrei pagato oro! Ma guarda tu come gira il mondo…-

*

Alle sette e mezza Francesca si congedò dalla Chiodo ringraziandola di tutto e promettendole di stare molto attenta. Sarebbe stata la professoressa a informare Silente dell’accaduto, così Francesca si diresse verso la Sala Grande, guidata dalle capriole del suo stomaco. Si sottopose all’arduo interrogatorio di Ramona poi, sfinita, si rimpinzò ben bene di manzo con patate. Al termine della cena era sazia e leggermente sonnolenta.

Salì insieme all’amica in Dormitorio e si accucciò su una poltrona rossa, mentre l’altra accendeva il computer e inseriva il suo CD preferito.

Le capitò di buttare un occhio sul calendario… 26 aprile. Non mancava molto al suo compleanno, al fatidico 10 maggio. La partita si sarebbe dovuta disputare il 24, dopo una modifica apportata all’inizio del mese. Alla luce dei nuovi eventi, invece, si sarebbe disputata il 15 maggio.

Speriamo di migliorare, nel frattempo! pensò E soprattutto di restare vivi!

*

Intanto, Elisabetta si stava dirigendo verso i sotterranei. Stava correndo, memore delle parole della sorella. Si fermò solo quando ebbe di fronte la porta dell’aula di Pozioni.

TOC TOC

-Avanti!- ordinò secco Piton dall’interno.

La ragazza fece forza sulla porta ed entrò; -‘sera. – salutò asciutta.

-Ho giusto una cosetta per te, per calmare i tuoi bollenti spiriti: è la pozione Frozen. Lo sai un po’ di inglese, spero?- chiese con una punta di derisione nella voce.

-Più di quanto lei non pensi…- borbottò l’alunna; Piton fece finta di non aver sentito.

-Dicevo che questa pozione, letteralmente la pozione gelata, ghiaccia qualsiasi cosa con cui viene a contatto praticamente all’istante, se eseguita in modo corretto. Io devo correggere le vostre schifezze, perciò non interrompermi. Le istruzioni sono sul tavolo di lavoro; puoi trovare gli ingredienti su quello scaffale in fondo all’aula. Buon lavoro. –

Sbuffando sonoramente, Elisabetta si avviò al banco di lavoro (il primo esattamente davanti alla cattedra) che normalmente era di Rosa.

Pure ‘sto banco sfi*ato mi doveva capitare! pensò.

Sul esso c’era semplicemente un foglietto scritto in aramaico.

-Ma prof., è roba…- stava lamentandosi, quando fu interrotta.

-Roba del secondo anno, sì. Se non credi di poterci riuscire, puoi andartene da qui con un “Troll”. – la minacciò l’uomo, chino sui rotoli di pergamena.

Ricattatore…

Ben determinata a non dare la soddisfazione al suo insegnante di darle una “T”, si rimboccò le maniche e iniziò a radunare un po’ di ingredienti e di strumenti…

Subito si scorò, dovendo tritare degli insetti, poi però iniziò a migliorare; si divertiva quasi.

In fondo è quasi uguale a prepararsi un piatto di spaghetti al pomodoro, no?

Dopo non molto accese un allegro fuocherello sotto un normale calderone di peltro, poi, accorgendosi che il peltro non era adatto al tipo di pozione, lo sostituì con uno di cristallo che si fece indicare da Piton.

E io che mi ero già pregustato la bellezza di metterle un “T”! Purtroppo è più attenta di quello che non sembra!  pensò tra sé l’insegnante.

Intanto Elisabetta aveva messo a bollire cinque litri d’acqua e stava aspettando che raggiungessero i fatidici 100° c. Durante quei dieci-quindici minuti, chiese il permesso a Piton di andare un attimo su in Dormitorio per cambiarsi maglietta (e prendere il lettore CD); quando tornò il prof. la guardò male.

-Che hai lì in mano?- le chiese.

-Uh? Ah, intende il lettore CD!-

-Non voglio niente del genere nel mio laboratorio!-

-Ma io mica l’ ho preso per lei! La musica la voglio ascoltare io!-

-Fa come vuoi, ma fossi in te starei attento a quel “T”…-

-Potrei quasi dire che lei si stia preoccupando per me, per una Grifondoro, ma no: dev’essere solo un’impressione…- rispose sibillina la ragazza, zittendo il suo professore.

Si sparò un gran Tiziano Ferro mentre faceva bollire man mano i suoi ingredienti; ogni tanto però la voglia di cantare superava l’imbarazzo, perciò all’iniziò tenne il ritmo con i piedi, poi fischiettando e alla fine cantando.

In capo a tre quarti d’ora ebbe finito.

-Finito prof.!- annunciò.

Piton mollò la presa sul compito di Valeria per squadrare bene l’alunna; era l’immagine dell’innocenza.

-Di già, signorina? E come avremmo fatto?- chiese sospettoso.

-Merito della musica!- rispose candidamente lei.

-Preferirei controllare prima…- stava dicendo maligno, quando si presentò alla porta la McGranitt.

-Ti dispiacerebbe venire su un momento? Silente ha chiesto di te…-

Da dietro la figura nera Elisabetta, in punta di piedi per farsi vedere, mimò l’azione di mandare un bacio alla professoressa.

-Tu non muovere un solo muscolo, mi raccomando!- le ringhiò Piton, per poi scomparire assieme alla McGranitt.

-Sì, sì, certo: contaci! Dunque, ha detto che correggeva le nostre schifezze, eh? Diamogli un’occhiata, va!- disse avvicinandosi alla cattedra cosparsa di pergamene.

Erano sparse alla rinfusa, perciò iniziò a cercare la sua, o almeno quella della sorella o di Ramona… alla peggio quella di Rosa.

Aveva ancora le auricolari nelle orecchie, perciò non si accorse di un impercettibile scricchiolio…

-… ma l’amavo e l’amo ancora… è questa! Ostrica: non l’ ha ancora corretta! Beh, perde il suo tempo: ho studiato come una pazza e sono sicura, almeno teoricamente, di aver fatto tutto bene!- si disse.

Un’ ombra impercettibile era scivolata all’interno della stanza… sembrava molto interessata alla pozione ancora fumante.

-… ma non regge più la scusa, no… no! Eh!- la ragazza, che per caso aveva alzato lo sguardo per controllare la porta, notò la figura e sobbalzò dalla sorpresa –Accidenti! Mi ha spaventata, professore!- disse, certa che si trattasse di Piton.

-Oh, ma io non sono il tuo caro insegnante di Pozioni…- rispose dolcemente l’uomo.

-Beh, caro non si direbbe, comunque: chi sei allora?- ritentò Elisabetta.

-Un tuo amico… intimo, direi…- sussurrò lui chinandosi sulla pozione.

-Kanata? Enrique? Manuel? Uno scherzo veramente spassoso, ma se  Piton ti becca qui come minimo ci da’ un Troll a entrambi!- esclamò un po’ irritata avvicinandosi al suo calderone, come per essere più convincente.

-Qual è stato il tuo ultimo voto in Pozioni? Beh, spero per te che fosse alto, perché sarà l’ultimo di cui potrai esserti vantata. Addio!- ringhiò l’uomo scaraventando il calderone e il suo contenuto addosso a Elisabetta, come se l’avesse  preso un improvviso impeto di rabbia.

La ragazza, colta di sorpresa, cercò di farsi scudo con le braccia mentre il liquido azzurro le schizzava addosso. Cadde all’indietro; il prezioso calderone di cristallo si infranse non appena toccò terra. Buona parte delle schegge colpirono la ragazza, e molte di esse le lacerarono la pelle.

Sentì il liquido denso scivolarle addosso come una lingua appiccicosa; era appena tiepido.

Ben presto si ritrovò coperta da esso; quando avvenne il contatto con le labbra non poté evitare che una parte le finisse in gola; cercò di liberarsene sputacchiandolo. Aveva un gusto… non aveva affatto gusto.

Si dimenò, cercando di rialzarsi, ma più cercava di piantare saldamente i piedi per terra, più essi scivolavano. Dopo attimi che sembrarono interminabili si accorse con disgusto che la brodaglia aveva formato una pellicola gelatinosa, simile a placenta, che l’avvolgeva tutta.

Poi, improvviso, giunse il freddo. Istintivamente cercò di cingersi il corpo con le braccia, nel tentativo di diffondere in se stessa un po’ di calore. Così facendo perse attimi preziosi.

Tentò di urlare, ma la voce rimbalzava contro la parete gelatinosa azzurro pallido.

Aveva gli occhi dilatati dal terrore.

La placenta stava scolorendo, per arrivare al trasparente, e più essa scoloriva, più il freddo aumentava; contemporaneamente, quello che prima aveva la parvenza di sacchetto gonfio, si stava trasformando in mortale trappola aderente. E quando aderiva, scoprì la malcapitata, sentiva prima un bruciore lancinante, poi freddo, che man mano la portava all’insensibilità; dove poi era già appiccicata alla sua pelle, bruciava molto di più.

Urlò ancora, ed ancora tentò di dibattersi; ma gli arti non rispondevano più ai suoi comandi, e così pure gran parte dei suoi muscoli.

*

Piton, ignaro di tutto, stava tornando con passo cadenzato al suo laboratorio. Trovava molto seccante essere disturbato mentre correggeva i compiti, specialmente se si trattava di sciocchezze…

Aprì, meglio dire sbatté, la porta e… rimase paralizzato dall’agghiacciante scena: Elisabetta giaceva inerte sul pavimento. Aveva la pelle azzurrina, come se fosse fatta di una sottile pellicola di brina ghiacciata, e alcuni cristalli di ghiaccio le imperlavano i capelli e i vestiti. Sembrava una scultura di ghiaccio.

-Dannazione! È la Frozen! Lumus Solem!- disse sguainando la bacchetta e poggiandola sul petto dell’allieva (è poco risaputo che nell’incanto Lumus Solem, oltre alla produzione di luce, avviene anche quella di calore).

Ad un suo cenno nel camino presente nel laboratorio divamparono le fiamme. Trascinò Elisabetta sin quasi al suo interno.

-Questo mi farà guadagnare tempo…- mormorò fra sé.

Iniziò freneticamente a cercare negli scaffali privati la pozione che l’avrebbe aiutato. C’era, era sicuro che ci fosse; doveva esserci.

Scorse il più rapidamente e sistematicamente possibile i nomi scritti sulle varie etichette delle boccette colorate. Alla fine la trovò. Era rosso fuoco, e molto liquida; aveva un tappo di sughero molto fine, ma del resto era assolutamente anonima. Tranne il fatto che poteva salvare la vita a una persona.

La ghermì con un rapido gesto della mano ed estrasse il tappo; annusò il contenuto per essere sicuro che fosse valida. Perfetta.

Svelto si portò al capezzale della sua allieva.

-Metà all’interno e metà all’esterno… la prima metà all’esterno…- mormorò fra sé.

Cosparse metà del liquido circa (la misura l’aveva fatta a occhio, non potendo permettersi di misurarla correttamente) sul corpo di Elisabetta, stando attento a metterne di più sul viso.

Attese alcuni minuti, che gli parvero un’eternità. Non finiva di tormentarsi le lunghe dita a causa dell’agitazione.

-Maledizione! Dovrebbe aver già iniziato a far effetto!- ringhiò. Poi, osservando attentamente, notò che il colore della pelle iniziava a tendere al rosa.

-Grazie Merlino!- sospirò.

Quando il viso fu pallido, ma normale, accostò senza esitazione e garbo la fialetta alla bocca di Elisabetta e le fece ingollare il contenuto.

Inconsciamente, lei lo ingoiò. Dopo cinque minuti buoni si alzò di scatto, tossendo convulsamente; quando finì l’attacco, si accasciò a terra. Spalancò gli occhi, come se volesse avere una veduta completa della stanza. Respirò talmente profondamente che pareva volesse consumare tutto l’ossigeno presente.

-Lo sapevo: sono all’inferno! Però potevano scegliere qualcosa di meglio dell’aula di Pozioni…- bofonchiò.

-L’inferno sarà il luogo dove ti spedirò per esserti rovesciata addosso la pozione, razza di un’incosciente!- le ringhiò Piton, ma si capiva che lo faceva solo per non far trasparire la sua preoccupazione e il suo affanno.

-Ecco: uno cerca di farmi la pelle e questo da la colpa a me! Ma roba da pazzi! E poi guarda tu se invece del principe azzurro doveva esserci il cavaliere nero… Si vede che laggiù negli inferi proprio non mi vogliono!- sospirò esasperata Elisabetta rialzandosi.

-Ma che eresie vai dicendo?! Chi ti vorrebbe fare la pelle?- scattò Piton.

-Non lo so, non l’ ho visto in faccia!- protestò la ragazza.

-Che aspetto aveva? Tu… devi saperlo!- ringhiò minaccioso l’insegnante, scotendo l’alunna per le spalle.

-Non lo so, non lo so! Va bene? Non ne ho idea! Per quel che mi riguarda potrebbe essere stato anche lei, anzi: sarebbe stato abbastanza verosimile! Una figura in nero…- gli urlò Elisabetta dimenandosi e liberandosi dalla presa del suo insegnante; si rannicchiò davanti al fuoco, avvicinando il più possibile le mani, che aveva gelate.

Piton rimase scosso da quell’affermazione, anche se non lo diede a vedere: davvero lo riteneva capace di un simile gesto? Beh, aveva contribuito alla morte dei suoi genitori, e per lei probabilmente era il maggior responsabile… Ma per la miseria, le aveva appena salvato la vita!

-Ci vorrebbe un’isola deserta…- soffiò ad un tratto Elisabetta.

-Come?- chiese stupito Piton.

-Sì, ha presente quelle belle isole tropicali? Mare cristallino, spiaggia di fine sabbia bianca? Nessuno che ti rompa le scatole… un paradiso, insomma. –

-Così il tuo sogno sarebbe quello di vivere in completa solitudine?-

-Già. Ho litigato con tutti, va bene? E mia sorella non la posso più soffrire! Insomma, improvvisamente il mondo mi crolla addosso, e io non ho fatto niente, niente! Sono stanca, stanca di tutto. Mi sembra di essere dentro una specie di vita irreale, ecco. Magari tra un po’ mi sveglio e scopro di essermi sognata di partecipare al Grande Fratello…-

-Il Grande che?-

-Un programma televisivo babbano, in pratica tu ti rinchiudi in una casa e poi vieni spiato 24 ore su 24 da delle telecamere… mi segue? No, eh? Proviamo con parole più semplici… se tu ti rinchiudi lì dentro tutti possono vedere quello che fai e sentire quello che dici, chiaro?- spiegò più volte vedendo la smorfia di incomprensione sul volto del suo professore.

-Non ti permetto di parlarmi così! Cinque punti in meno al Grifondoro!-

-Ah, fosse per lei saremmo continuamente sotto zero… però forte…- pensò a voce alta la ragazza.

-Cosa?- chiese indagatore e sospettoso il professore.

-Io che spiego qualcosa a lei! È troppo forte!- gongolò lei.

-Grazie infinite, ma stavo bene lo stesso…-

-Ah, è qui che la volevo: lei è chiuso, ha la mentalità poco elastica, per dirla nella maniera che a voi professori piace tanto. Oh, non metto di certo in dubbio che lei qui sia l’esperto di pozioni, su questo siamo tutti d’accordo, Grifondoro compresi, ma piuttosto ciò che voglio dire è che lei è poco aperto alle novità e al mondo circostante…-

Cos’è che aveva appena detto? Non quello, sperava la ragazza. Che le era preso? Si stava cacciando nei guai da sola, permettendosi di criticare Piton. Sicuramente le avrebbe tolto…

-…cinquanta punti dal Grifondoro se non riuscirai a dimostrarmi cosa rende così speciale il mondo babbano!- disse divertito.

Vuole giocare, eh prof.? Bene, giochiamo, ma sappia che a questo gioco sono bravina…

-Punto uno: noi non ci riteniamo superiori a voi, anzi: se potessimo avere dei poteri magici sarebbe una gran cosa!-

-Stai usando la prima persona plurale… ti ritieni forse una babbana?-

-Oh! No, ma lo sono stata. Per tredici anni. Punto secondo: l’arte in generale. Letteratura, pittura, scultura, musica… scelga lei! Mangio un rospo se non ha mai sentito parlare della Gioconda o dei Promessi Sposi!-

-In effetti no…-

-Ecco: lo vede? Sto parlando con una persona che non conosce nulla del mondo babbano!-

-Oh, e invece lo conosco. Superficiali, prepotenti, boriosi… arretrati, feccia…-

-Lei sbaglia. – affermò l’alunna scotendo la testa –Quella che sta parlando è la voce dell’ignoranza! Le confuto subito quell’arretrati: parla bene lei che per avere luce usa la magia e non consuma nulla, che per fare qualsiasi cosa usa la magia; forse i maghi hanno perso il senso della praticità, del saper muovere le mani non solo per adoperare la bacchetta, del lavoro, ben di più dei babbani moderni!-

Piton rimase colpito e interdetto. Poi tentò una nuova carta: -E che mi dici a proposito dell’aggettivo prepotenti?-

-Ah, qui poi! Si è tirato la zappa sui piedi, prof.! Sia per prepotenti, che per superficiali e boriosi: con che coraggio parla lei che per primo sta bene nella sua beata ignoranza sugli usi e costumi dei babbani? Ignoranza più che voluta, aggiungerei… Superficiali? Lo siamo un po’ tutti. Prepotenti? Quanti punti mi ha appena tolto?-

-E quanti te ne toglierò!- fu tutto ciò che il maestro seppe rispondere.

-Libero di farlo, anche se a me è sembrato di essere più che esauriente…-

-…-

-Ma si può sapere che ci ha messo in quel bibitone? Queste cose non mi sarei mai azzardata a dirgliele…- chiese l’alunna, accorgendosi di aver superato il segno.

-Nella fretta devo aver calcolato male le dosi. Quella pozione, assunta in piccole dosi, serve anche per contrastare la timidezza…- riferì Piton assorto.

-Oh!-

-…-

-Posso sapere una cosa?-

-Cosa?-

-Perché lei ce l’ ha tanto con noi Grifondoro? A me sembra di non averle fatto niente…-

-Lascia perdere, è una storia lunga…-

-E dai! La prego! Sono curiosa!-

-Beh, principalmente perché…-

Severus Piton. Uno sfi**to, in gergo giovanile. Prima represso in ogni modo possibile da, guarda caso, quattro (tre in verità) Grifondoro, poi aveva intrapreso la carriera “mafiosa”, per poi riemergerne miracolosamente e pentirsi.

-Beh, è già qualcosa. – disse candidamente Elisabetta.

-Qualcosa di marcio…-

-Se lei è veramente pentito, da quello che presumo di aver capito, mi sa che ha già fatto anche troppo per rimettersi in pari. –

-Ho ucciso i tuoi genitori, diamine! Mettitelo in testa…- sbottò Piton.

-No, non lei. È stato quello str***o che questa sera voleva fare la pelle a me…- Piton la guardò perplesso -…andiamo, due più due fa quattro anche a casa mia!- aggiunse la ragazza.

-Quindi mentivi quando ti ho chiesto chi fosse stato…-

-Veramente no. Non l’ ho visto in faccia, anche se una mezza idea su chi sia ce l’ ho: mio zio!-

-Su questo siamo tutti d’accordo. –

-In effetti, mia sorella mi aveva avvisata che era nei paraggi…-

-Cosa? E perché non l’ hai riferito subito a Silente, o alla McGranitt?-

-Senta, il messaggio era ambiguo, inutile scomodare Silente, ha impegni anche nelle tasche ormai. Se non mi crede, legga. – ribatté testarda lei mostrando un foglio di pergamena brutalmente accartocciato. Piton glielo strappò di mano e lo lesse.

-E lei come faceva a saperlo?-

-Non ne ho idea. Forse l’aveva visto da una qualche parte… sono sempre in giro lei e Ramona!-

-Avresti dovuto riferire lo stesso. –

-Oh, ma ci sente?! Le ho detto che ho litigato con loro due! Di solito, quando qualcuno litiga, per un po’ non si vuole vedere e tanto meno parlare. Se ne faccia una ragione… ora, grazie di tutto, veramente gentile a salvarmi la vita, arrivederci. –

Elisabetta se ne uscì, stanca del tanto contestarla; desiderava un’unica cosa: il letto.

Piton invece stava ancora riflettendo… alla fine si decise a chiedere udienza alla Chiodo.

Sempre che non mi incenerisca sol sentendo la mia voce…

Percorse correndo le rampe di scale che lo separavano dall’ufficio di lei. Bussò e attese risposta.

-Chi è? Francesca, sei tu?-

-Veramente no…-

La Chiodo aprì la porta. La sua faccia si contrasse in una smorfia nel vedere l’uomo.

-Ti chiedo una tregua. Si tratta delle Serpini. –

La donna rifletté un attimo.

-Allora, posso entrare?- chiese impaziente lui.

La Chiodo si fece da parte per consentirgli di entrare; Piton le spiegò in breve l’accaduto.

-E tu hai permesso che succedesse?- chiese indignata la donna, alzando la voce.

-Direi che lo stesso hai fatto anche tu…- rispose pacato l’uomo.

-Tu… uhm! Lascia stare, ti dirò un’altra volta cosa penso di te… che pensiamo di fare?-

-Anticipare le sue mosse, innanzi tutto. Poi toglierlo dalla circolazione…-      

 

Lucifer_the_Darkslayer: ti ho lasciato una recensione, anche se non riguardava la storia.

 

 

 

 

  
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