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Autore: AngelSword    05/12/2011    4 recensioni
Una specie di Calendario Dell'Avvento in stile One Piece =3
1 - 12 - 11 ♥ Il silenzio - dire “di tomba” sembrerebbe quasi ironico - calò nella stanza. “Eh?” se ne uscì dopo un po lo Shichibukai.
La rosetta tornò a guardarlo a bocca aperta per lo stupore. “Lei non conosce il Natale...!!” disse facendola suonare come un’accusa, cosa che infastidì non poco il superiore.

2 - 12 - 11 ♥ Ok, stavolta lo avrebbe fatto. Avrebbe dimostrato a tutti che anche lui era cambiato in quei due anni.
3 - 12 - 11 ♥ Si ricordava ancora quando da bambina vagava senza meta per l’ingresso del palazzo, circondata da pacchetti di ogni forma e colore.
4 - 12 - 11 ♥ E poi le recite di Natale, dove puntualmente tu eri costretta a fare Maria e il tuo Giuseppe era il ragazzo che più odiavi della classe.
5 - 12 - 11 ♥ Eppure lui l'aveva sempre odiato, il Natale.
6 - 12 - 11 ♥ "Spiacente, ma Babbo Natale si è suicidato."
7 - 12 - 11 ♥ Il castello era così isolato che nessuno veniva mai a giocare e le emicranie del padre avevano obbligato tutti gli abitanti della reggia a vivere nel più assoluto silenzio. Oh, ma la città era tutt’un’altra cosa.
9 - 12 - 11 ♥ No, per carità, siamo sotto Natale, facciamoci travolgere dallo spirito natalizio e travestiamoci da renna, certo.
||[Partecipante alla "Challenge di Natale" indetta da Writers Arena Rewind]||[Partecipante alla Challenge "Vitii et Virtutis: i Vizi e le Virtù" indetta da Starhunter]||
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo:
Walking Alone, On A Sunset Road
Autore: AngelSword
Fandom: One Piece
Personaggi: Dracule Mihawk

Genere: Introspettivo, Triste
Tipologia: One-Shot
Prompt Challenge di Natale: #5 - Immagine
Prompt Vitii Et Virtutis: Invidia > Cinismo

Note dell'Autrice: Qua vedremo comparire una certa maestra di cui parlo in una mia storia precedente (Ancient Saga: Volume I - Quando la Luna diventa il Tuo Sole). Tranquilli, non c'è bisogno che andiate a leggere l'altra storia: questa fic si capisce lo stesso =3
Disclaimer e Crediti: I personaggi di One Piece non sono miei ma di Eichiiro Oda; L'immagine non è mia

Enjoy ♥
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Walking Alone, On A Sunset Road


Lui l’aveva sempre odiato, il Natale.

Trovava inutili tutte quelle lucine colorate, gli alberi natalizi, le ghirlande rosse e verdi. Trovava estremamente disturbanti gli schiamazzi della gente attorno a lui, eccitata per cosa? Solo un paio d’ore passate sotto un rametto di vischio e a cantare canzoni dalla melodia noiosa e ripetitiva mentre i ragazzini correvano in giro per tutta casa con i giocattoli appena scartati.

Irritato da tutta quella confusione, lo Shichibukai si limitò ad affondare con rabbia le mani nelle tasche del cappotto nero corrugando la fronte, stando bene attento a tenere gli occhi fissi a terra. Ci mancava solo che qualcuno si spaventasse creando ancora più caos.

Si meravigliò di fronte a tutto il tempo che la gente sprecava davanti alle vetrine esageratamente illuminata. E pensare che lui era sempre pieno di cose da fare, troppo occupato anche solo per rispondere al lumacofono. Aveva da allenarsi, viaggiare, dormire, mangiare, assistere agli incontri della Marina e poi di nuovo allenarsi. Perché in fondo la sua vita era sempre stata così, un continuo allenamento, magari anche senza senso. Era convinto che, forse, una volta trovata quella persona un maledettissimo senso a tutto questo glielo avrebbe dato.

Lei gli aveva sempre insegnato a pensare a se stessi in battaglia, e più di una volta gli aveva dato prova che la vita stessa era una guerra senza fine contro il prossimo, un feroce scambio di colpi da cui solo il più forte sarebbe sopravissuto. Ecco perchè odiava il Natale: detestava l’ipocrisia di quella gente. Si scambiavano regali con sorrisi smaglianti stampati sul volto, solo per affilare gli artigli il giorno seguente. O magari, chissà, il sorriso stesso era un modo poco esplicito per mostrare le zanne.

Lei, la sua maestra, gli aveva involontariamente dimostrato quanto gli esseri umani fossero feroci ogni qualvolta tornasse coperta di sangue, ferite e lividi dopo una semplice uscita. Mentre la aiutava a disinfettare i tagli, spesso si chiedeva il perché le facessero questo. Sapeva che lei era una ricercata, sapeva che aveva anche de problemi a trattenere la sua.... sete di sangue, ma, sotto sotto, era davvero una persona magnifica. Lo aveva preso sotto la sua ala quando non sapeva dove andare, gli aveva insegnato a combattere, a leggere e a scrivere come un adulto, lo aveva fatto crescere. Però poi, quell’unica volta in cui lui avesse provato a fare qualcosa per lei, finì tutto a rotoli. Lei sparì giurando di odiarlo per sempre. Ed anche in quel momento lei fece qualcosa per lui: non lo uccise.

Si pentiva di aver provato a trattare con la Marina per convincerli a lasciare la sua maestra in pace. Si pentiva perché aveva dimostrato sia alla sua maestra che a se stesso che fare qualcosa per qualcun altro era senza valore. Diciotto anni passati a proteggerlo, solo per essere ricompensata con un Buster Call. Davvero fantastico.

Da quel momento, sette anni fa, l’aveva sempre odiato, il Natale. Stupida, ipocrita festa del cazzo. Inutile, inutile, inutile, fare qualcosa per qualcun altro. Dannazione, gli faceva rabbia il solo pensarci.

Bloccò di colpo la sua avanzata per alzare il capo e fissarlo sul sole che lentamente affondava nel mare. Pensò che anche quel giorno l’acqua era rossa e arancione - sia per il sangue che per il tramonto - che anche allora era più o meno sotto Natale.

Prima che venisse aggredito dal peso dei ricordi, calò le barriere di ghiaccio della sua mente e riprese a camminare a passo spedito, ignorando la confusione attorno a lui.

“Mi scusi... Signore?”

Una voce femminile, chiara e squillante, lo fece fermare un’altra volta e voltare. Lì per lì non vide nessuno, ma una volta abbassato lo sguardo, vide una bambina dai corti capelli color argento vestita con un grazioso vestito nero che reggeva con entrambe le mani un pacco regalo.

Alzò un sopracciglio, perplesso. “Mi dispiace, ma devo andare,” replicò freddamente, cominciando a ritornare sui propri passi, quando la bambina lo trattenne afferrando un lembo del suo mantello nero.

“Per favore, mi aiuti!” lo implorò. Lui la scrutò a lungo con gli occhi topazio, valutando la situazione.

Beh, a dir la verità non aveva niente da fare... “Seguimi,” disse riprendendo a camminare. La piccola si affrettò, facendo del suo meglio per tenere il passo con l’uomo.

“Dove devi andare?” le chiese con tono piatto.

La bambina si spaventò un po dalla freddezza dell’uomo, ma si riprese dopo poco “A-Alla foresta, signore.”

Lui non rispose e svoltò a destra, visualizzando già la strada da seguire.

“Lei come si chiama?” esordì ad un certo punto la ragazzina.

“Mihawk.”

“Io sono Maria.” Non ricevette nessun risposta, ma non si lasciò scoraggiare. “È qui per lavoro, Mihawk-san?”

“Più o meno.”

“Lei è triste, Mihawk-san?”

Stranamente la domanda lo colpì come un pugno allo stomaco. Si bloccò di nuovo ed osservò di sottecchi la bambina da sotto il cappello. “Perché me lo chiedi?”

Lei lo guardò con curiosità. “Perché stava guardando il tramonto con gli occhi lucidi.”

Ma stiamo scherzando? “Sì, come no...” sbuffò divertito. Lui, il pezzo di ghiaccio per eccellenza, sull’orlo delle lacrime?

“E poi..... non si sente mai solo?”

Cazzo, eccome se si sentiva solo. Solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo.

“Non ha mai compagnia, Mihawk-san?”

“Non è sempre stato così,” ringhiò riprendendo a camminare.

Il silenzio regnò per tutta la durata della camminata finchè non arrivarono in periferia. Aveva cominciato a nevicare, i fiocchi di neve si coloravano di rosso ed arancione mentre cadevano silenziosamente a terra. Lo spadaccino si fermò di fronte all’entrata della foresta. Maria lo superò saltellando, parandosi di fronte a lui con un enorme sorriso stampato sul volto. “Ecco a lei,” gli disse porgendogli il pacchetto.

“Ecco, tieni.... è Natale, ma non pensare che ti ho fatto quel regalo perché m’importi!!”
 

Mihawk, sorpreso, lì per lì non seppe come reagire. “Che ci devo fare?” replicò forse più acidamente di quanto avesse voluto.
 

La bambina si alzò sulle punte, mettendogli il regalo proprio sotto al naso. “È per lei Mihawk-san,” ripetè tentando di non perdere l’equilibrio. “Lo deve prendere ed aprire a Natale.”
 

“Avanti, ora che te l’ho dato non puoi lasciarlo lì!! Mi fai sembrare una stupida poi!!”

 

Lui, controvoglia, lo prese per il nastro con due dita come se fosse qualcosa di disgustoso. Poi guardò la bambina che gli stava ancora sorridendo, ignara della frustrazione che mano a mano stava montando nello spadaccino.

Prima che potesse dire niente, lei si voltò e prese a saltellare vero la foresta lasciando una serie di piccole impronte nella neve. “Chissà, magari potrà aiutarla a trovare la persona che cerca,” disse infine congedandosi con un piccolo cenno della mano. Un battito di ciglia e scomparve.
 

Strizzò gli occhi un paio di volte, incredulo. Si guardò intorno, ma della bambina non vi era traccia. Solo una scia di solchi nella coltre bianca che s’interrompeva d’improvviso poco più avanti. Sospirò creando una nuvoletta di vapore davanti alla propria bocca. Posò gli occhi sul pacchetto e stette immobile, ponderando sul da farsi, mentre la neve, piano piano, si accumulava sulle sue spalle e sul suo cappello. Infine poggiò il regalo su una mano e prese a scartarlo. Sì, la ragazzina aveva detto di aprirlo a Natale, ma a lui non era mai piaciuto aspettare.
 

Una volta scoperto il contenuto, spalancò gli occhi, stupefatto, lasciando cadere a terra la carta lucente. Era un ciondolo, una piccola croce bianca, semplice, come il legaccio di caucciù. Inconfondibile nella sua unicità. La rigirò in fretta, ansioso di vedere quelle tre lettere incise da qualche parte. Quando le trovò il respiro gli si bloccò.

J.A.L.

Le tre iniziali della sua maestra. No, non della sua maestra.... di sua madre. Poco più sotto vi era inciso D.M. nella stessa calligrafia. Le sue iniziali. Prese il braccio della croce collegato al legaccio e lo tirò, scoprendo la lama di un piccolo coltellino. Sì, ne aveva la certezza: quello era il ciondolo che la sua maestra portava sempre al collo. E dopo anni passati ad aspettare quel momento, una singola lacrima strisciò giù per la sua guancia mentre i ricordi tornavano a galla.

 

***
 

Ripercorrendo il lungomare alzò gli occhi al cielo, sentendo la croce di legno battere contro il suo petto ad ogni passo. Forse perchè non era proprio solo, forse perché “Natale” significa qualcosa di più.
 

Pensò a quanto bizzarro fosse sembrato vedere un uomo minaccioso come lui - incapace di ammettere la propria solitudine - camminare di fianco ad una ragazzina con un pacco regalo in mano, immersi nell’arancione del tramonto.
 

Eppure lui l’aveva sempre odiato, il Natale. 
 

  
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