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Autore: hane    09/12/2011    1 recensioni
«Come ti chiami?», gli domanda Luke, il pennello ancora stretto nel mano destra, sollevato in aria quasi fosse uno scettro da impugnare con orgoglio.
«Musica», gli dice quello.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OMBRE

 

Allora, ci terrei a specificare una cosina prima di lasciarvi alla lettura di questo aborto. E' lontanissimo dal mio solito stile. E' molto scarno, diretto, poco arzigogolato come piace a me... Però l'ho fatta così apposta, è solo un piccolo esperimento, che tentava di comunicare, con un linguaggio semplice e diretto, concetti piuttosto delicati. Spero che sia almeno decente... D:



Nella sua mente riecheggia ancora il ritmo lento della sonata. Nessun pubblico ad applaudire, solo il silenzio della stanza, che si adagia su ogni cosa come una patina sottile. In quel momento, proprio in quel momento, avverte la vacuità della sua essenza; vibra nell'aria il semplice stridere sordo della cartilagine nelle sue mani e rimangono solo tasti bianchi e neri e dita incredibilmente affusolate. Permane quel silenzio.
Sfiora con la punta delle dita il dorso laccato dello strumento, beandosi del lamento che l'attrito crea. E non può fare a meno di sorridere, perchè tutto è musica: il battere cadenzato del suo cuore, lo schioccare della lingua, lo scalpiccio dei passi nel corridoio. Il mondo che lo circonda è fatto di musica, ma nemmeno quella è sua.
Ogni cosa assorbe l'ombra che riempie lo spazio fra le sue mani ed i tasti del pianoforte ed inevitabilmente assume tinte spente. Lo sa, che le sue dita sono meri strumenti mossi dall'abitudine e che rimane solo un pesante silenzio in quella stanza, finita l'esibizione fatta al nulla; anche quello, nella sua mente, è musica - e solo una simile melodia può accompagnare l'aridità dei suoi pensieri -.

Luke si affaccia alla porta ed osserva la posizione statica del musicista, in piedi di fronte al pianoforte chiuso.
Non lo conosce, lo vede ora per la prima volta. Eppure la sonata lo ha richiamato in quella stanza, al quarto piano dell'edificio, ancora col pennello in mano e la pittura che si sta seccando rapidamente sulle setole.
«Eri tu a suonare?», gli chiede.
Lui si volta e la sua espressione rispecchia la profonda malinconia dei suoi pensieri.
«No», risponde. «Era Mozart.»
Luke rimane in silenzio. La sua mente è un groviglio di pensieri: con un solo sguardo, gli ha trasmesso tutto quel senso di vuoto che lo sta trascinando nell'abisso. Mozart, pensa, è morto. Lo sei anche tu?
Ma non gli chiede nulla. Osserva, al contrario, la labile ombra dell'altro che punta verso di lui, una grottesca sagoma amorfa che ha perso tutti i connotati antropomorfi del corpo di quel giavane dall'aria così fragile.
«Come ti chiami?», gli domanda Luke, il pennello ancora stretto nella mano destra, sollevato in aria quasi fosse uno scettro da impugnare con orgoglio: la sua ombra è indubbiamente quella di un artista, o di un re con in mano un piccolo scettro, che nonostante tutto può catturare l'essenza di ogni cosa.
«Musica», gli dice quello. Musica è il suo nome, sostiene, e lo afferma con un senso di amara ironia malcelata.
Luke abbassa il pennello. Non riesce a capire perché, ma quella risposta lo ha commosso, quasi fino alle lacrime. Nel silenzio che regna sovrano, gli pare di percepire ancora le note danzare nell'aria; le può addirittura vedere ed involontariamente le dipinge nella mente, con colori tanto tragici da mozzargli il fiato.
Il pianista solleva la mano per osservarsi le dita. Luke assiste alla scena in silenzio, senza perdere un solo movimento di quel corpo così elegante, così bello. Sorride: l'ombra di Musica, ora, è davvero sua: lo testimoniano le dita, che della sagoma scura disegnata sul pavimento sporgono come rami lunghi e flessuosi.
Fa qualche passo per avvicinarsi al giovane musicista e quando è abbastanza vicino da poterlo toccare, afferra quella mano diafana, baciandone il palmo.
«Vorrei farti un ritratto», sussurra, quasi spaventato dall'idea di essere sentito. Ma Musica lo sente, lo sente benissimo. Le loro ombre sembrano inseguirsi sul pavimento rischiarato dalla luce del tramonto e non vi è più nulla di cupo in quel magico gioco di luci; seguono l'aromonia del silenzio e diventano note musicali su uno spartito infinito:il mondo. Il mondo, che, partendo da quella stanza, si snoda verso orizzonti lontani e si perde oltre gli edifici grigi del quartiere, fino a raggiungere le stelle.
E' come una tela, gigantesca e di pregevolissima fattura, su cui viene suonata la musica più bella; è come un pianoforte che dipinge sentimenti arcani eppur brillanti, che incarnano le mille sfaccettature della vita.
Non ha bisogno di rispondere alla domanda di Luke, perché lui ha capito perfettamente ciò che Musica ha da dire. Ed il silenzio, inspiegabilmente, si trasforma in arte.


 

***

Ahah xD. Fa abbastanza ridere. Non so perchè l'ho pubblicata, effettivamente. Sembra scritto da un bambino delle elementari.
Premiate, se non altro, il mio coraggio!  : P

  
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