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C a p i t o l o 26
Viva gli sposi!
betato da nes_sie
Quella mattina c'era fermento in casa
Vitrano. Era il 15 luglio e tra poco meno di due ore, esattamente
alle quattro del pomeriggio, la cugina di Dario si sarebbe sposata.
In corridoio c'era uno snervante via vai, un picchiettare di tacchi
sul parquet e lo sbraitare continuo di Salvatore che non trovava la
sua Favolosa cravatta color cremisi. Sembrava che
tutti si
stessero preparando per il matrimonio reale di William e Kate,
talmente era alta la tensione in quella casa. L'unica che non aveva
la minima voglia di partecipare alla cerimonia ero io – e
forse
Dario che era davanti allo specchio a borbottare. E non
perché non
mi piacessero i matrimoni, anzi li adoravo. Immaginarmi all'altare
con l'abito bianco, mano nella mano del mio futuro marito davanti al
parroco per coronare il nostro sogno d'amore era una delle mie
fantasie più ricorrenti. Per di più, ai matrimoni
si poteva
mangiare come maiali affamati mandando a quel paese la dieta per
qualche ora, anche se il giorno dopo ci si sarebbe svegliati con i
sensi di colpa. Ma cosa c'era di meglio di un'abbuffata in grande
stile? Cosa c'era di meglio di un pranzo nuziale con tre primi, tre
secondi, dolci, dolcetti e stuzzichini di ogni genere?
Solo che le nozze di questa cugina, di
cui ancora non sapevo il nome, mi rendevano ansiosa e non sapevo se
fosse perché lì non conoscevo nessuno, e mi sarei
sentita un
perfetta idiota in mezzo a degli estranei, o se fosse solo il sesto
senso che mi diceva chiaramente che fosse meglio starsene a casa
invece di andare a quel maledetto matrimonio.
Sospirai rumorosamente, scuotendo la
testa e cominciando a contorcermi per entrare nel vestito azzurro
che, gentilmente, la signora Nicoletta mi aveva
fatto
comprare. Mi aveva imposto di prenderlo solo perché era un
Dolce&Gabbana, così non sarei
apparsa una pezzente in
mezzo ai suoi parenti. Per carità, era bellissimo e non
avevo mai
indossato nulla di così elegante. Era un tubino color del
cielo,
senza spalline, che mi arrivava a metà coscia –
fortunatamente
coprendo la mia orribile cellulite – ornata con quelli che
sembravano dei veri cristalli sulla parte centrale che si portavano
fino quasi a metà vestito e si concludeva con un drappeggio
di
stoffa. Stupendo, ma troppo appariscente per una come me.
Comunque, tralasciando la signora Vitrano
e i suoi odiosi vestiti griffati, non dovevo preoccuparmi e pensare
già al peggio, quando ancora non era successo nulla. Dovevo
smetterla di essere così pessimista e di vedere pericoli
ovunque,
credere che ogni singolo gesto ed ogni singola persona potesse
distruggere quello che c'era tra me e Dario. Non era semplice,
però.
Non lo era affatto. Senza di lui sarei morta; portarmelo via
equivaleva a strapparmi il cuore dal petto e distruggerlo in piccoli
brandelli, vivere senza Dario non sarebbe stato vivere.
Come
potevo esistere senza un cuore? Come potevo esistere senza un'anima?
Senza ossigeno, senza sangue nelle arterie, senza acqua che mi
dissetasse? Perché, per me, Dario era tutto quello se non di
più.
Era lui a dare senso ad ogni cosa, era lui che colorava la vita con
ogni suo sorriso e ogni suo sguardo, era lui il senso della
mia
vita. Io esistevo semplicemente perché esisteva
Dario. Se lui
non ci fosse stato Alice sarebbe stata il nulla più totale,
una
ragazza vuota senza nessun significato in quell'insignificante mondo
grigio.
«Mi aiuti ad allacciare la zip?»
domandai al mio ragazzo, scacciando quei brutti pensieri dalla mia
mente.
Dario si avvicinò lentamente a me,
ancora con la camicia sbottonata e il suo fisico bene in vista. Se
non ci fosse stato l'inconveniente matrimonio, non avrei esitato a
disfarmi di lei e anche dei pantaloni per fare l'amore con lui anche
ore ed ore. Forse non proprio in continuazione dato che
biologicamente Dario aveva bisogno di riprendersi. Avevo
una
voglia infinita di lui che cresceva giorno per giorno e che le nostre
effusioni, le nostre serate passate nella sua Mito appartati nel
garage, i nostri gemiti sommessi o quasi urlati alimentavano volta
per volta, rendendomi insaziabile del sapore inconfondibile della
pelle di Dario e del suo corpo.
Mi scansò delicatamente i capelli,
raccolti in una semplice coda alta da un elastico ornato di perline e
le sue mani percorsero la mia schiena per tutta la sua lunghezza,
regalandomi dei magnifici brividi di piacere.
«Perché tirarla su questa zip?»
domandò roco avvicinandosi al mio orecchio. «Non
sarebbe meglio
toglierlo questo vestito?» continuò retorico, e le
sue mani
abbandonarono la mia schiena per dedicarsi al mio seno. Tutti e due,
in quel momento, volevamo la stessa cosa, volevamo fare l'amore e
mandare a quel paese il matrimonio.
«Non cominciare Dario!» dissi stizzita,
stringendogli i polsi e allontanandolo dal mio corpo. Ancora un
secondo in più e mi sarei sbarazzata dei miei e dei suoi
vestiti.
Dovevo darmi un contegno, però: non potevo mica stare sempre
a
desiderare di far sesso con lui. Anche perché l'amore non
doveva
essere sempre e solo qualcosa di fisico e, nell'ultimo periodo, ci
eravamo lasciati andare un po' troppo. Praticamente, dopo la
litigata, ci appartavamo sempre nella sua Mito. Avevo paura che
così
il nostro sentimento si logorasse con il tempo e diventasse solo
qualcosa di carnale, che si riducesse solo a notti di sesso sfrenato
e nulla più. Io volevo tanto altro dal nostro rapporto,
soprattutto
emozioni e quei semplici gesti che mi stupivamo e che mi facevano
sentire amata. Questo lato era ancora vivo tra di noi, ma per quanto
tempo sarebbe durato? Quanto tempo sarebbe bastato perché il
nostro
amore si trasformasse solo in un atto carnale?
«Ma che ci posso fare se sei così sexy
con questo vestito?» ribatté lui strofinando
quella sua barbetta
seducente contro il mio collo.
«E allora se sono sexy con questo
vestito perché non lo lasciamo dove sta?» dissi, e
voltai il viso
verso di lui, sorridente.
«Ti preferisco senza,» borbottò,
mettendo il broncio.
«Per oggi accontentati di guardarmi con
il vestito sexy,» ribattei. E sollevai la coda invitandolo
tacitamente ad alzare quella maledetta zip.
Sbuffò scocciato, e il suo respiro mi
solleticò la schiena, facendomi chiudere gli occhi per quel
secondo
di piacere. Ogni cosa di lui provocava in me brividi più o
meno
intensi di godimento, dal suo semplice fiato contro la mia pelle al
suo tocco. Avevo una vera e propria dipendenza. Quel mio sentimento
così forte per lui, ne ero certa, si sarebbe ritorto contro
di me e
mi sarebbe piombato addosso come il più pesante dei macigni.
«Et voilà,»
borbottò
allacciandomi la zip e sbattendo le mani contro i fianchi.
«Grazie,» dissi girandomi verso di lui
e lasciandogli un bacio all'angolo della bocca. Avrei voluto
approfondire quel bacio, ma sarebbe stato controproducente
perché
con la voglia che avevo di lui saremmo cascati sul letto e addio
matrimonio. Per di più eravamo anche in ritardo, e Consuelo
bussava
alla porta della stanza da circa dieci minuti, imprecando in spagnolo
quando nessuno le rispondeva.
Indossai i sandali argentati – con un
odiosissimo tacco 12 che mi avrebbe distrutto i piedi – e
tutti i
vari accessori che Nicoletta mi aveva comprato per quella occasione
speciale, mentre Dario indugiava nell'abbottonarsi la camicia bianca.
«Muoviti!» Esclamai, e lui mi guardò
con il tipico sguardo da cane bastonato.
«Ma fa caldo!» si lagnò. «E lo
smoking mi fa sentire un deficiente.»
Sbuffai sonoramente e mi avvicinai
traballante a lui, con la paura di capitombolare dai quei trampoli.
Cominciai ad abbottonargli la camicia, sfiorando quel corpo che
desideravo così ardentemente.
«Come i bambini,» commentai scocciata,
più che altro per allontanare la mia mente dai pensieri
impuri che
stavo continuando a fare.
«I bambini non hanno un fisico così,»
gongolò con un sorriso sornione.
«I bambini non sono stupidi quanto te,»
risposi sarcastica e lo vidi incupirsi e fingersi offeso. Gli
allacciai l'ultimo bottone ed avvolsi le mie braccia dietro il suo
collo per unire le nostre labbra e concederci quel bacio che prima
non avevo voluto approfondire. Tutti i miei sforzi di resistergli
quel pomeriggio erano andati a farsi benedire proprio in quel
momento, quando la sua lingua cominciò a danzare con la mia
sinuosamente ed sensualmente. Non riuscivo a frenarmi quando avevo
davanti Dario. Diventavo una cretina di fronte a lui, una stupida che
non capiva più nulla e che non vedeva nient'altro se non lui.
La sua mano cominciò a risalire
pericolosamente lungo la mia coscia, sistemandosi a coppa sulla mia
natica. Fortunatamente, però, qualcuno bussò alla
porta e fermò
quel momento magico e maledettamente eccitante. L'uscio si
aprì e il
viso bellissimo di Mauro fece capolino con uno sguardo che sarebbe
stato in grado di sciogliere il polo sud e il polo nord in meno di
tre secondi.
«Invece di perdere tempo a fare le
porcate, datevi una mossa. Stiamo aspettando tutti voi,»
disse
perentorio e quando i suoi occhi si posarono su di me il mio cuore
perse un battito. Perché dovevo sentirmi sempre in
soggezione quando
lui mi fissava? In fondo era un bastardo fatto e finito, e poco
contava che avesse cercato di consolarmi quando avevo litigato con
Dario, che mi avesse abbracciata e mi avesse fatto sorridere in un
momento in cui avrei dovuto versare tutte le lacrime possibili. Lui
era solo bello, e di ragazzi attraenti ne avevo visti a bizzeffe.
Bastava anche vedere quanto fosse bello il mio ragazzo. Ma gli occhi
di Mauro erano come una calamita per me e lui era così
enigmatico da
attirarmi quasi fossi stata vittima di uno strano sortilegio. E mi
sentivo terribilmente affascinata da lui. Non potevo, però,
commettere errori. Sarebbe equivalso a perdere Dario e non volevo che
questo accadesse per una mia stupida svista.
«Arriviamo,» borbottò il mio
ragazzo.
La porta si richiuse, nascondendo
fortunatamente la figura di Mauro. Più il tempo passava e
più il
fascino che aveva su di me cresceva a dismisura. Deglutii a fatica e
acchiappai la giacca dal letto, porgendola a Dario che si stava
allacciando la cravatta.
«'Sto cazzo di pezzo di stoffa me
strangola!» si lamentò cercando di allentarsi il
colletto.
«Cerca di resistere un pochino, santo
cielo! È solo una cravatta!» sbottai nervosa.
«Mamma mia, oh! Che te s'è infilato
qualcosa nel di dietro?» borbottò Dario mettendosi
la giacca dello
smoking blu scuro ed io gli regalai uno sguardo truce. Afferrai la
pochette intonata alle scarpe ed uscii dalla stanza, seguita dal mio
ragazzo che sbuffava scocciato.
«Chissà perché, ma ho come la
sensazione che questo sarà un pomeriggio di
merda,» commentò
contrariato mentre scendevamo al piano di sotto dove tutti ci
attendevano.
E, chissà perché, il mio sesto mi
suggeriva che Dario aveva ragione.
La celebrazione del matrimonio
era stata
davvero stupenda, nonostante fossimo arrivati in ritardo, proprio
quando la sposa stava per entrare. La chiesa di San Marco era stata
decorata con dei meravigliosi e candidi fiori bianchi e rosa pallido;
le panchine erano state ornate con dei drappeggi di seta bianchi e mi
era sembrato quasi di entrare in un sogno. Più di una volta
mi ero
immaginata di essere al posto di Teresa, la cugina di Dario, fasciata
in un meraviglioso abito da sposa a sirena tempestato di Swarosky.
Ovviamente nella mia fantasia il bel ragazzo dagli occhi azzurri con
cui era convolata Teresa era stato sostituito dal mio Dario. Era
tutto così terribilmente romantico. Quasi perfetto se non
fosse
stato per il mio ragazzo che continuava a borbottare contro il povero
Renzaglia. Avevo intuito che conoscesse anche il bel ragazzo
tenebroso e che non gli andasse particolarmente a genio. «Si
può
sapere che cosa ti ha fatto questo Renzaglia?» domandai
mentre
eravamo in macchina per raggiungere il castello di Bracciano dove si
sarebbe svolto il banchetto.
«È un coglione, fuma canne e tracanna
birre di prima categoria,» rispose brusco tamburellando
l'indice sul
volante.
«Non mi ha dato l'impressione di essere
un drogato alcolizzato,» ribattei confusa. Certo, aveva lo
sguardo
un po' tenebroso, un che di misterioso in lui, ma non mi era sembrato
un pazzo squilibrato avvezzo a bevute e canne.
«Beh...ho esagerato un po',» sbuffò e
la Mito svoltò seguendo il corteo di macchine che si
dirigevano al
castello. «Ma ciò non toglie che sia un cazzone,
pezzo di merda.»
«Quanto risentimento,» borbottai
affondando nello schienale del sedile. «Ti ha per caso rubato
la
ragazza?» sghignazzai.
«Ci ha provato,» ringhiò lui.
«Stava
sempre a ronzare attorno a Sole.»
E rieccolo quel nome che odiavo
dal profondo del mio cuore uscire di nuovo dalle labbra di Dario,
uscire dal suo cuore. Era da giorni interi che
quella ragazza
non era oggetto dei nostri discorsi e mi stavo perfino dimenticando
di lei. Fino a quel momento, in cui il suo viso tondo
riaffiorò alla
mia mente. E il fatto che il suo nome fosse associato a quello di
Renzaglia mi fece contorcere lo stomaco e tutti i visceri. Erano
amici, probabilmente, e questo significava che potevo trovarmi Sole
davanti agli occhi in un qualsiasi momento, che lei poteva tornare a
minacciare quello che io e Dario stavamo costruendo a poco a poco.
«Che cazzo ci ha trovato mia cugina in
quello?» continuò a lamentarsi, ma io smisi di
ascoltarlo e iniziai
ad immaginare il momento in cui avrei incontrato Sole di persona. Che
cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata? Le avrei dispensato falsi
sorrisi oppure gli sarei saltata subito alla gola? Ero un tipo
impulsivo, che non ragionava mai prima di agire e quindi mi sarei
potuta aspettare di tutto, anche una rissa sul tavolo della cena.
Tutto dipendeva da come si sarebbe comportata lei, che sguardi
avrebbe rivolto a Dario e, soprattutto, che cosa avrebbe fatto lui.
«Ehi, piccola, che hai?» mi domandò il
mio ragazzo, scuotendomi un braccio per ridestarmi dal mio sogno ad
occhi aperti.
«Oh, no, nulla!» esclamai e gli
sorrisi. «Pensavo che, beh, insomma... potrebbe esserci
Sole,»
dissi con un filo di voce e lo vidi deglutire a fatica. Si
umettò le
labbra e cominciò a torturarsi il labbro inferiore con i
denti.
«L'ho pensato anche io,» ammise
adottando il mio stesso tono.
«Cosa credi di dirle, se la
incontrerai?» domandai curiosa.
Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Cosa dovrei dirle?» rispose in
evidente difficoltà. «Ciao...» E quella
parola rimase ad aleggiare
nella macchina per alcuni secondi. Dietro quelle quattro lettere si
nascondeva molto di più di un semplice saluto e lo avevo
capito da
come l'aveva pronunciato, con una malinconia che aveva riempito
l'abitacolo. Era ancora legato a lei, lo percepivo e non potevo
biasimarlo. Lei era stato il suo primo amore ed ero sicura che anche
io, semmai la nostra storia fosse finita, avrei continuato a pensare
a lui, a quello che c'era stato tra di noi. Ero ancora gelosa marcia
di Sole e non avrei ai superato quel sentimento di astio nei suoi
confronti, ma se prima avrei dato di matto e mi sarei fatta un sacco
di paranoie, in quel momento non ne sentivo il bisogno. Sapevo che
Dario mi amava, mi fidavo di lui ed era libero di pensare a Sole
senza che io dessi i numeri. Allungai una mano verso di lui,
appoggiandola sul suo braccio e Dario mi regalò uno degli
sguardi
più belli che avessi mai visto, che mi spiazzò
con la sua immensa
intensità e che mi inghiottì in pochi secondi. Mi
sorrise ed io
ricambiai. Dopo quella breve discussione su Sole, rimanemmo in
silenzio per tutto il viaggio. Lui aveva appoggiato la mano sulla mia
coscia e, ogni tanto, si voltava verso di me per sorridermi. Tra di
noi non c'erano bisogno di parole. Erano sufficienti degli sguardi,
dei sorrisi che racchiudevano nella loro semplicità il
nostro amore
travolgente.
Una decina di minuti dopo eravamo
arrivati al castello e la favola che stavo vivendo quel pomeriggio
sembrava prendere davvero vita. Prima il romantico scambio di
promesse, poi il banchetto in un vero ed autentico castello. Anche se
quello era il giorno di Teresa, mi sentivo come una principessa, e
Dario era il mio principe azzurro.
All'esterno, sotto alcuni portici, erano
stati allestiti numerosi tavoli con tovaglie bianche e rose bianche
imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande per rinfrescare gli
invitati che già si stavano rifocillando, ridendo tra di
loro. Mi
sarei avventata subito su quei manicaretti se non fosse stato che
sarei sembrata un lupo affamato e avrei fatto una figura barbina.
Dario mi trascinò verso alcuni dei suoi familiari, per la
precisione
verso suo nonno Giuseppe e i suoi zii, presentandomi a loro con un
sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro e quella
felicità mi spiazzò, mi stupì e non
potevo essere più contenta.
Scambiai qualche parola con loro, più che altro era nonno
Giuseppe
che parlava e che ricordava la sua amata moglie defunta. Quando
arrivarono gli sposi, però, l'attenzione di tutti fu
catalizzata su
di loro e l'interessantissimo dialogo con nonno Giuseppe si concluse.
«Ma guarda un po' chi c'è qui,»
gracchiò una voce fastidiosa alle nostre spalle. Io e Dario
ci
voltammo all'unisono trovandoci di fronte ad una ragazza biondi con
gli occhi azzurri e un'altra mora e riccia che ci guardava
corrucciata, con le braccia incrociate.
«Ho come l'impressione di conoscervi,»
fece il vago Dario e sentii nella sua voce una nota di disagio.
«Fai anche il finto tonto, Vitrano?»
ribatté acida la moretta tutto pepe.
«Si chiama ironia, Renn,» rispose per
le rime il mio ragazzo.
«Le merde, a quanto pare, non muoiono
mai,» disse sprezzante la riccia.
«Vacci piano con le parole, Betta,»
sibilò il mio ragazzo puntandogli un dito contro.
«Si chiama ironia, Vitrano,»
replicò acida, sorridendo soddisfatta.
Dario contrasse la mascella e prese un
respiro profondo forse per non rischiare di prendere a pugni la
moretta. Non avevo idea di chi fossero quelle due, ma di sicuro con
c'era un buon rapporto tra quei tre.
«Ti diverti ancora a illudere le
ragazzine, vedo,» continuò stizzita, e se gli
occhi scuri di quella
ragazza avessero potuto sputare fuoco, Dario sarebbe morto
carbonizzato.
«Per la cronaca, è la mia fidanzata,»
replicò brusco lui, intrecciando le sue dita con le mie.
«A-Alice,» dissi intimidita, sentendomi
chiamata in casa.
«Serena, piacere,» disse la bionda
sorridendomi.
«Elisabetta,» le fece eco quell'altra
guardandomi con sufficienza e rivolgendo subito la sua attenzione a
Dario. «Lo sai vero? Lo sai che hai rovinato la vita della
mia
migliore amica?»
«Smettila, Betta,» la riprese la
bionda, dandole una gomitata nel fianco.
La mora guardò la sua amica indispettita
e puntò un dito contro il mio ragazzo con fare minaccioso.
«Spero solo che tu soffra la metà di
quanto abbia sofferto lei,» ringhiò e, dopo aver
incenerito con lo
sguardo Dario, si allontanò a passo spedito.
Serena rimase lì a scrutarci con i suoi
occhi azzurri e ci rivolse un sorriso.
«Scusala. È da un po' di tempo che è
leggermente nervosa,» cercò di sdrammatizzare con
la sua spiazzante
dolcezza.
«No, ha ragione,» disse Dario,
abbassando lo sguardo. «Ma sono passati anni e sono diventato
tutt'altra persona,» aggiunse, guardandomi negli occhi e
sorridendomi.
«Si vede,» disse Serena sorridendo a
sua volta, fissandoci con occhi languidi. «E sono felice che
hai
deciso di lasciarti alle spalle la maschera del bello e
dannato.»
Dario la guardò perplesso, corrugando la
fronte e la bionda ridacchiò nervosamente, sistemandosi una
ciocca
di capelli che era sfuggita alla sua acconciatura elaborata.
«Ho sempre creduto che tu, sotto
quell'aria strafottente, nascondessi un cuore tenero,»
spiegò
stringendosi nelle spalle, e Dario sorrise nel sentire quelle parole.
Se Betta l'avrei volentieri strozzata, Serena era di una rara
tenerezza. Erano l'uno l'opposto dell'altra, si compensavano.
«Se vuoi...» cominciò a dire la
bionda, indicando i tavoli dietro di lei. Poi sorrise timidamente e
scosse la testa. «No, nulla,» rimangiò
quello che stava per dire e
ci rivolse l'ennesimo sorriso. «Io raggiungo Betta. Mi ha
fatto
piacere conoscerti,» mi disse.
«Anche a me,» risposi scettica. Da
quando quelle due erano arrivate non avevo aperto bocca, frastornata
dal botta e risposta di Dario e la moretta, da ciò che la
riccia
diceva. Serena alzò una mano e la sventolò,
salutandoci timidamente
e raggiungendo la sua amica al banchetto. Ancora non avevo capito chi
fossero, ma non volevo intromettermi ancora una volta nella vita
passata del mio ragazzo. Quello che doveva interessarmi era il suo
presente, quello che stava vivendo con me e non quello che era
già
avvenuto, quello che lo aveva reso la persona speciale che era.
«Vado a prendere qualcosa da bere,» mi
disse, unendo le nostre labbra in un rapido bacio. «Mi
è venuta
sete. Tu aspettami qui. Magari ti porto anche qualcosa da
mangiare,»
aggiunse facendomi un occhiolino. Annuii e lo baciai ancora una
volta, poi di nuovo impedendogli di allontanarsi da me, anche se per
pochi minuti. Lo vidi allontanarsi e andare sotto il portico,
perdendosi tra la folla. Rimasi impalata per alcuni secondi, poi
decisi di sedermi ad un tavolo insieme ad alcune persone che nemmeno
conoscevo. Mi guardarono come se fossi un alieno appena uscito da un
navicella spaziale, ed io mi limitai a sorridere loro come una povera
imbecille. Mi sentivo a disagio con i loro sguardi puntati addosso e
non avevo la minima idea di cosa poter fare, cosa poter dire. Non
potevo di certo alzarmi di scatto e scappare con una scema! Avrei
fatto una figura barbina e apparivo già abbastanza
deficiente nel
sorridere in modo così falso. Dovevo solo aspettare qualche
minuto
che Dario tornasse con qualcosa da bere e da mangiare, così
mi sarei
tolta da quell'insopportabile impiccio. Solo che i secondi passavano,
la lancetta scorreva sull'orologio e del mio ragazzo nessuna traccia.
All'inizio avevo creduto che fosse stato trattenuto da qualche suo
parente o vecchio amico, ma dopo che erano passati ben venticinque
minuti ero più che sicura che lui si fosse dimenticato di
me. Mi
alzai di scatto dalla sedia e mi allontanai dagli sguardi dubbiosi e
dal chiacchiericcio di quegli estranei, raggiungendo il portico e
immettendomi anche io in quella folla di gente chiacchierona e
rumorosa. Mi guardai intorno, vedendo tutto il ben di Dio su quei
tavoli e riconoscendo al volo Nicoletta e consorte che ridacchiavano
allegramente con gli sposi, Mauro poco più in là
che scambiava
qualche parola con alcuni ragazzi e nonno Giuseppe che si stava
strafogando di gamberetti in salsa rosa.
Camminai dinoccolata su quei trampoli
lungo quasi tutto il portico in cerca di Dario e lo trovai poco dopo
con un bicchiere di aperitivo in mano che stava parlando con due
ragazzi. Mi avvicinai ancora di più a loro, stizzita
perché il mio
ragazzo mi aveva abbandonato come una deficiente.
«Dario!» urlai e il suo sguardo
incontrò il mio.
I due ragazzi si voltarono e il sangue mi
si gelò nelle vene. Mi immobilizzai a qualche passo da loro
e rimasi
a fissarli per quelli che mi parvero secoli. Era impossibile, un
sogno, un incubo. Il mio cuore si era fermato non appena aveva
incontrato due occhi color perla e quella velata gelosia che avevo
sempre nutrito nei suoi confronti cominciò a divorarmi da
dentro, a
consumarmi non appena mi sorrise. Sole era lì, davanti a me
in tutta
la sua bellezza. In foto non rendeva come di persona. Era sì
abbondante, ma il suo corpo morbido era
tremendamente sensuale
e il suo viso era uno dei più belli che avessi mai visto.
Indossava
un vestito color lavanda che le arrivava poco sopra il ginocchio
perfettamente intonato con la sua carnagione chiara. Aveva delle
spalline fini e della stoffa si intrecciava a livello del seno fino a
stringersi in vita dalla quale iniziava una gonna ampia e vaporosa.
Era bella, santo cielo! Ed io ero solo una deficiente con un orrido
vestito di Dolce&Gabbana che sembrava un evidenziatore. L'unica
cosa che volevo fare in quel momento era scappare, anche se non ne
sapevo il motivo. Non riuscivo a reggere il suo sguardo e nemmeno il
suo sorriso troppo dolce per i miei gusti.
«Stavamo proprio parlando di te,» disse
Dario, stringendomi un polso e trascinandomi vicino a lui. Mi strinse
e mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso contro il suo petto.
Stava tremando, il suo cuore batteva all'impazzata e tutto quello
perché si trovava davanti a Sole.
«La mia ragazza, Alice.» Mi presentò
con un sorriso abbozzato, e la ragazza mi allungò una mano
timidamente.
«Sole.»
Le strinsi la mano e un brivido mi
percorse la spina dorsale. Un brivido di timore, di paura
dell'ignoto, di quello che sarebbe potuto accadere che mi sconvolse
negativamente e che mi incupì.
«E lui è Francesco, il mio ragazzo,»
disse con voce fioca indicando il ragazzo biondo che le stava
accanto. Era bello, molto. Sembrava quasi un angelo con quei capelli
dorati e quegli enormi occhi azzurri. Lui mi salutò con un
cenno del
mento e tornò a fissare Dario come se lo volesse scuoiare
vivo, come
se lo volesse divorare quasi fosse Hannibal Lecter.
Era
fidanzata, per cui non avrei dovuto preoccuparmi. Eppure non potevo
non notare gli sguardi di intesa che quei due si stavano scambiando.
Magari ero io che mi stavo facendo le solite paranoie, magari erano
occhiate normalissime che io avevo scambiato per qualcosa di
più
profondo. Ma come potevo stare tranquilla ora che Sole non era
più
un ricordo, non era più un fotografia, ma una minaccia vera
e
propria?
«Spero che tu abbia parlato bene di me
in mia assenza,» ridacchiai rivolta a Dario, anche se non
c'era
nulla di divertente in tutta quella situazione.
«Oh, sì! Ha subito iniziato a parlare
di te e ha smesso solo quando sei arrivata tu,» prese la
parola
Sole. Qualcuno le aveva chiesto qualcosa? L'avevo per caso
interpellata? Stavo parlando con Dario, non con lei.
«Praticamente
noi non abbiamo aperto bocca,» sogghignò regalando
uno sguardo
languido al suo ragazzo che abbozzò un sorriso stiracchiato,
poi
puntò di nuovo quei suoi occhi color perla sa Dario. L'avrei
accecata, santo cielo! Solo io potevo permettermi di mangiarmi con
gli occhi Dario, solo io potevo guardarlo con quel desiderio
dirompente che era evidente nelle iridi di quel capodoglio.
«E cosa hai detto?» domandai curiosa,
alzando lo sguardo verso il mio ragazzo che però sembrava
avere
occhi solo per Sole.
«Che sei molto dolce. E anche molto
carina,» riprese lei, rivolgendomi un sorriso.
«Secondo me è stato
troppo avido di complimenti. Sei davvero bellissima Alice. E sono
anche sicura che sei una ragazza adorabile, sennò Dario non
si
sarebbe mai innamorato di te.»
Falsa. Era più falsa di Giuda,
quella lì. Mi infarciva di apprezzamenti, ma in
realtà non pensava
nulla di quello che stava dicendo, ne ero certa. Stava di sicuro
architettando un modo per togliermi di mezzo e per potersi riprendere
Dario. Faceva tutta la dolce davanti a lui solo per scioglierlo e
farlo cadere di nuovo nella sua rete. Con chi credeva di avere a che
fare? Con una poppante? Si sbagliava di grosso! Alice Livraghi era un
segugio e percepiva sempre le minacce, quando qualche baldracca
puntava il suo uomo e glielo voleva sottrarre. Mi strinsi ancora di
più a Dario, intensificando la presa attorno alla sua vita e
stritolandolo quasi. Avevo paura che scappasse, che la cara
Sole non avesse capito che Dario era solo ed esclusivamente mio.
Proprietà privata. Off limits!
«Grazie,» dissi a denti stretti
abbozzando un sorriso. In realtà le avrei voluto strappare i
capelli
ad uno ad uno.
«Siete stati entrambi fortunati,»
continuò lei, stringendosi nelle spalle. «Tu sei
davvero magnifica
e Dario è una persona splendida.»
Ipocrita. Se solo avessi potuto le
avrei spaccato i denti con un cazzotto in faccia.
«Umpf. Splendida,» borbottò Francesco.
«A Natale ti regalerò un dizionario, Sole. Ancora
non hai capito la
differenza tra splendido e bastardo.»
«Frà!» lo richiamò Sole con
un tono
per nulla autoritario.
«No, tranquilla,» sospirò Dario,
scrollando le spalle. «Ci sono abituato a sentirmelo
dire,»
ridacchiò.
«Allora non solo io ho avuto questa
impressione,» bofonchiò Francesco... anche quello
lì cominciava a
darmi sui nervi. Dario non era uno stinco di santo, anzi ne aveva
combinate parecchie anche con me, si era comportato da verso stronzo,
ma non digerivo il fatto che quel damerino biondo offendesse il mio
ragazzo senza sapere nulla di lui. Stavo già per saltargli
alla gola
e sfoderare le unghie, come accadeva ogni volta che qualcuno osava
parlare male di Dario, ma Sole, come se avesse visto nel mio sguardo
qualcosa di omicida, strinse il braccio del suo ragazzo e ci sorrise
timidamente.
«Sere e Betta ci staranno aspettando,»
disse rivolta a Francesco. «È meglio se le
raggiungiamo. Ci ha
fatto piacere conoscerti Alice. E Dario, beh...»
abbassò lo sguardo
imbarazzata e le sue gote paffute si imporporano di rosso.
«È stato bello rivederti,»
completò
la frase Dario e i due si sorrisero. Il sangue mi ribollì
nelle
vene, bruciando le mie membra e annebbiando i miei pensieri con un
fumo denso e nero. «Ci si becca in giro Sole,»
aggiunse il mio
ragazzo e sperai con tutto il cuore che quella lì stesse il
più
lontano possibile da lui, che lo evitasse per tutta la durata del
matrimonio e che rimanesse aggrappata al biondino antipatico che si
portava appresso. Se solo avesse rivolto un altro di quegli sguardi
languidi che gli aveva riservato per tutta la durata di quel dialogo
l'avrei uccisa con le mie stesse mani.
«Ciao Dario,» mormorò lei e si
allontanò abbracciata a Francesco.
E ovviamente non mi aveva nemmeno cagata.
Aveva occhi solo per Dario e la stessa cosa valeva per il mio
ragazzo, per il quale ero completamente svanita da quando si era
intromessa quella falsa tra di noi. Ero gelosa
marcia e avevo
tanta, troppa paura che dietro i loro sguardi e i loro sorrisi si
celasse molto più di un semplice imbarazzo. Dario mi aveva
più
volte detto che per Sole non sentiva più nulla, che amava
me, solo
me e nessun'altra. Ma pensare ad una persona era molto diverso dal
vederla, guardare gli occhi intrappolati in una fotografia non era
affatto come vedere due iridi risplendere alla luce del crepuscolo,
due iridi delle quali si era già innamorato e per le quali
poteva
provare ancora lo stesso sentimento.
Bruscamente mi allontanai dal petto del
mio ragazzo e mi avvicinai al tavolo del buffet. Dovevo ingurgitare
qualcosa e combattere la rabbia che stava crescendo in me. La odiavo,
santo cielo e odiavo il fatto che quei due fossero ancora legati da
un filo invisibile, ma indissolubile. Perché, quando le cose
erano
tornate tranquille tra noi due, quando potevamo finalmente goderci la
nostra storia appieno rispuntava Sole? La sorte ci era avversa e
cominciavo a capirlo. Forse era gelosa di noi o forse stava solo
cercando di avvisarmi che Dario non fosse quello giusto per me.
«Non me la ricordavo così bella,»
disse il mio ragazzo affiancandosi a me che stavo mangiando tartine
di ogni sorta e affettati stra-grassi.
«Sì, bellissima,» sibilai a denti
stretti.
«Ed è dolcissima,» aggiunse raggiante.
«Come allora.»
Abbozzai un sorriso ed annuii.
«Cavoli! Sono passati cinque anni da
quando non la vedo! E per fortuna che non è cambiata di una
virgola.
È speciale, vero?»
Mi ero persa qualcosa, forse? Ero io o
era Sole la sua ragazza? Non lo capivo più. Mi morsi la
lingua per
impedirmi di mandarlo a quel paese e convenni con lui con un cenno
del capo.
«Sinceramente credevo che Francesco
fosse più simpatico,» borbottò
riempiendosi un piatto. «Al
telefono sembrava così pacato...»
Bene... aveva avuto l'onore di
parlare al telefono con il nuovo ragazzo di Sole ed io non ne sapevo
nulla. Magari aveva anche chiacchierato con lei a mia insaputa.
«Magari non ha poi tutti i torti a
considerarti un bastardo,» sputai acida
guardandolo dritto
negli occhi. «Non è l'unica persona che ha avuto
questa impressione
di te.»
Ero stata cattiva, e lo capii solo quando
gli occhi di Dario si dilatarono e si incupirono, così come
il suo
viso. Ero talmente arrabbiata in quel momento che non ragionavo
più,
che parlavo a sproposito senza cognizione di causa. Ma era da
più di
cinque minuti che mi stava riempiendo le orecchie con questa Sole ed
era da troppo tempo che io non esistevo più nei suoi
pensieri.
«Si può sapere che cazzo ti prende
oggi?» domandò brusco stringendo tra le mani il
piatto.
«Che cazzo mi prende? Che cazzo mi
prende?» ripetei infuriata facendo qualche passo verso di lui
per
poterlo guardare negli occhi. E la luce dentro di esse sembrava aver
dato vita al nome Sole scritto a lettere cubitali.
«Già! Hai il ciclo, per caso? O sei
solo nervosa perché è da troppi giorni che non mi
urli contro?»
sbottò infastidito.
«Fai poco lo spiritoso, Vitrano,»
sottolineai il suo cognome quasi con disprezzo. «Da quanto ti
sentivi con Sole?»
Dario mi guardò in un misto tra
l'adirato e il confuso, aggrottando le sopracciglia e chiedendo
spiegazioni con i suoi occhi neri.
«Hai telefonato a Sole e anche a
quell'altro. E me lo hai tenuto nascosto!»
«È stato Francesco a chiamarmi. E se lo
vuoi sapere questa è la prima volta che parlo con Sole dopo
cinque
anni,» rispose. Ma potevo esserne sicura? «Ti avevo
chiesto di non
dubitare di me. Ti prego, non farlo. Sai bene che non ti mentirei
mai, non dopo che ho rischiato di perderti,» mi
ricordò mordendosi
il labbro inferiore.
Ancora una volta le sue parole mi
travolsero come un mare in piena, come una cascata che calda mi
ricadeva addosso avvolgendomi e scaldandomi il cuore. Ero stata
crudele a dire quelle cose e dubitare di lui ancora una volta. Ma
avevo troppa paura di perderlo, che quella baldracca me lo portasse
via con i suoi modi di fare goffi ed impacciati. Non avrei vissuto
senza di lui, sapendolo tra le braccia di quella falsona
che
si nascondeva dietro sorrisi finti quanto un anello di bigiotteria.
«Scusami,» dissi dispiaciuta.
«È che
tu mi nascondi così tante cose...» lasciai la
frase in sospeso ed
abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
«Che intendi?» domandò dubbioso.
«Ho tanti, tanti dubbi. Sole, Martina,
questo Moro... in realtà non sto capendo
più nulla,» gli
confidai mettendomi le mani tra i capelli e scuotendo il capo.
«Con Sole è stato un rapporto
burrascoso, lo ammetto. L'ho trattata male quando non se lo meritava
solo perché ci tenevo alla mia popolarità. Tutto
qui,» mi spiegò
ed appoggiò il piatto per potermi abbracciare, stringermi a
sé e
proteggermi con il suo corpo da tutti quei dubbi che mi tormentavano.
«Allora ero uno stronzo. Forse lo sono ancora adesso un
pochino. Ma
quello era il passato, tutto quello che è successo anni fa
non è
importante e il Dario che ti sta stringendo in questo momento
è
tutt'altra persona, anche grazie a te.»
«E Alice è solo una bimba immatura che
si ingelosisce troppo facilmente,» dissi aumentando la
stretta,
infossando il viso nel suo petto ampio che risuonava al ritmo del suo
battito cardiaco.
«Non lo avevo notato,» ridacchiò
divertito, baciandomi tra i capelli. «No, comunque... tu mi
consideri davvero un bastardo?» domandò con tono
basso.
Avvolsi le braccia attorno al suo collo
ed alzai lo sguardo per incontrare il suo.
«Ogni tanto lo sei,» scherzai
baciandolo a fior di labbra. «No, amore mio, non lo
sei.» Lo
rassicurai con un sorriso e lui mi sfiorò la guancia con
delicatezza. Si abbassò verso di me e le nostre labbra si
congiunsero ancora una volta, le nostre lingue si cercarono e si
trovarono in pochi secondi bisognose di sentire il sapore dell'altro.
Non avevo motivo di essere così gelosa. Dario amava me, e la
passione con cui mi stava baciando me ne dava la conferma. Sole non
era una minaccia, Sole non sarebbe riuscita a distruggere quell'amore
che ci legava, Sole non si sarebbe ripresa Dario. Me lo stavo
ripetendo mentre le nostre lingue si attorcigliavano sinuose eppure
non riuscivo a convincermene totalmente. Continuavo ad avere una
morsa che mi chiudeva la bocca dello stomaco e che non permetteva al
mio cuore di battere a dovere, di palpitare per la vicinanza di
Dario. Era quel maledetto brutto presentimento che mi perseguitava da
quando era iniziata quella giornata. Speravo con tutto il mio cuore
che rimanesse solo un mio incubo, una mia paura e che quel giorno si
concludesse nel migliore dei modi, con noi due che ci stringevamo a
letto e ci sussurravamo Ti amo.
Saremmo rimasti stretti, abbracciati a
baciarci fino allo sfinimento, fino a rimanere senza aria nei
polmoni, senza ossigeno che ci tenesse in vita, a cibarci del sapore
dell'altro se non fosse stato per il cameriere del catering che
richiamò l'attenzione su di sé e che
invitò tutti i presenti ad
entrare nel castello. Sospirammo all'unisono, scocciati di dover
interrompere il nostro momento di passione e, mano nella mano,
entrammo in quell'enorme edificio addobbato per il matrimonio.
«Voi siete?» domandò un uomo distinto
sulla quarantina che reggeva in mano una cartellina.
«Dario Vitrano e Alice Livraghi,»
rispose per me il mio ragazzo.
Il cameriere guardò sulla sua lista,
scorrendola tutta poi ci rivolse un sorriso e ci invitò a
seguirlo
nella sala in cui si sarebbe tenuta la cena. C'erano numerosi tavoli
rotondi tutti rivestiti da sofisticate tovaglie color avorio e
apparecchiate con posate d'argento, fiori candidi e candelabri. Una
canzone di Baglioni, Amore bello per la
precisione, cantata da
un giovane ragazzo di talento faceva da sottofondo. Percorremmo la
sala e il cameriere si fermò quasi a metà, ad un
tavolo al quale
erano già seduti Mauro, che avevo evitato involontariamente
per
tutto il giorno, Serena ed anche quell'acida di Elisabetta. E anche
Sole, purtroppo. Il destino sembrava essermi avverso. Quando credevo
di essermi liberata di lei, che non l'avremmo più vista
perché
troppo presi da noi e dal resto degli invitati, eccola che rispuntava
seduta al nostro stesso tavolo.
«Chi si rivede,» borbottò Francesco,
scocciato.
Ovviamente, Dario prese posto
accanto a Sole ed io mi accomodai alla sua sinistra, vicino a Mauro.
Solo la sua presenza, sapere che era lì a pochi centimetri
da me, mi
metteva in soggezione.
«Passato e presente qui riuniti,»
commentò il più grande dei Vitrano, guardando in
alternanza me e
Sole. «Speriamo solo che il presente non sia così
doloroso, vero
D'Amato?»
Ci eravamo appena seduti e Mauro cominciò
subito con le sue provocazioni, a regalare a tutti quel ghigno
malefico dal quale però ero terribilmente attratta. Mi
voltai a
guardarlo, a fissare il suo viso praticamente perfetto che sembrava
quasi una delle opere più belle dell'arte.
Le sue labbra erano così invitanti...
Contegno! Non dovevo sbavare sul fratello
del mio ragazzo, anche se era terribilmente bello. Dovevo resistere a
quella tentazione che il destino mi aveva presentato per mettermi
alla prova, per mettere alla prova l'amore che provavo per Dario. La
sorte, però, non sapeva quanto fosse forte ciò
che provavo per lui
e non avrei commesso un errore così grave, così
imperdonabile
rischiando di perderlo.
«Beh... beh...» tentò di dire Sole,
stringendosi nelle spalle ed abbassando lo sguardo a guardare la
tovaglia, ma nulla uscì dalla sua bocca. Le tremavano le
labbra e
sbatteva le palpebre velocemente come se le stesse per venire da
piangere. Dario allungò una mano verso di lei e le
accarezzò una
spalla nuda, fulminando poi con lo sguardo suo fratello.
«Non cominciare, Ma'!» ringhiò.
«Siamo
qui per divertirci non per stare a rivangare gli errori
passati.»
«Sei tu che ti infervori senza motivo,»
disse pacato Mauro, sorseggiando il vino rosso che il cameriere gli
aveva appena versato.
«Sei tu che mi provochi in
continuazione,» ribatté brusco il mio ragazzo.
«Ho solo augurato ad Alice di non
passare ciò che hai fatto subire alla povera ed ingenua
Sole,»
continuò rivolgendo un sorriso alla ragazza che
allontanò subito il
suo sguardo da quello di Mauro.
«Non commetterò lo stesso errore, puoi
starne certo,» replicò indispettito Dario.
«Fratellino, il lupo perde il pelo ma
non il vizio,» gli ricordò beffardo e in
quel momento il
cameriere ci servì il primo piatto, un risotto con i funghi
dall'aspetto invitante che però non stimolò il
mio appetito. Ero
troppo presa da quel botta e risposta tra i due Vitrano,
così come
il resto dei commensali. Mauro iniziò a mangiare, lasciando
il suo
discorso in sospeso e creando qualche attimo di suspance. Pendevamo
tutti dalle sue labbra, attendevamo qualcosa che magari non avrebbe
mai detto, un segreto che avrebbe sconvolto i nostri equilibri.
«Tu sei nato bastardo e morirai
bastardo,» disse semplicemente, dopo alcuni minuti.
«E daje,» bofonchiò
contrariato. «Ero ancora immaturo all'epoca e non capivo un
cazzo.
Con Sole sono stato bastardo, è vero ma con Alice
farò di tutto per
non farla soffrire.»
«Anche tenere per mano la tua ex
ragazza?» domandò retorico Mauro indicando con la
forchetta le mani
dei due strette sul tavolo. Non si erano accorti di quel contatto,
così come nessun altro seduto al tavolo. Le ritrassero
entrambi
velocemente nascondendole sotto la tovaglia ed abbassando il viso
colpevoli. Era una sciocchezza, in realtà, eppure il mio
cuore si
scheggiò comunque nel vedere quella scena.
«Dovresti stringere così quella di
Alice, non di Sole.»
E dopo quella frase il silenzio piombò
sul nostro tavolo. Attorno a noi tutti gli altri chiacchieravano tra
loro e si divertivano, si stavano godendo la festa, mentre su di noi
incombeva una nube nera di tensione pronta ad esplodere in una
furiosa tempesta. Gli occhi di tutti vagavano da un commensale
all'altro e nessuno sapeva più cosa dire. Ci limitavamo solo
a
mangiare senza proferire parola, senza dire qualcosa che potesse
scatenare fulmini e saette. Perfino Francesco, che mi sembrava una
testa calda, aveva preferito il silenzio e i suoi occhi azzurri si
limitavano a fulminare Dario e Sole con gli occhi. Anche lui stava
rodendo di gelosia esattamente come me e non sopportava quegli
sguardi furtivi tra i due ex fidanzati. Ancora una volta io ero
passata in secondo piano e in dieci minuti buoni non avevo nemmeno
avuto l'onore di potermi specchiare nei suoi occhi.
«Ti dispiace se vado a ballare con Sole?
Vorrei stare un po' da solo con lei,» mi chiese Dario, subito
dopo
aver finito di mangiare, ricordandosi della mia esistenza e
rivolgendomi un sorriso.
Ricambiai ed annuii flebilmente. Avrei
dovuto mandarlo a quel paese ma non ebbi la forza, non avevo voglia
di litigare con lui e dovevo fidarmi delle sue intenzioni. Insomma
andavano solo in pista in mezzo a tutti gli altri, cosa avrebbero
potuto fare di male? Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano
alla folla danzante e li vidi stringersi, avvicinarsi pericolosamente
e danzare lentamente sulle note di L'emozione non ha voce. Avevo
le lacrime agli occhi e avrei voluto scoppiare a piangere. Ma delle
dita che conoscevo bene mi sfiorarono il dorso della mano,
distogliendo la mia attenzione dai due piccioncini che si stavano
sussurrando chissà cosa.
«Dammi retta Alice. Non vale la pena
soffrire per lui,» mi disse Mauro con tono apprensivo. Stavo
per
chiedergli spiegazioni su tutto il passato oscuro di Dario, ma
Francesco mi afferrò un braccio con decisione e mi
obbligò ad
alzarmi, trascinandomi sulla pista da ballo a pochi metri da Sole e
Dario.
«Non mi fido di 'sti due,» borbottò,
cominciando a muoversi e ad osservarli incessantemente. Insomma il
fatto che mi avesse invitata a ballare era solo una scusa per tenerli
sott'occhio.
«Sei geloso?» gli domandai, ondeggiando
da una parte all'altra.
«Perché, tu no?» ribaltò la
domanda
ed io, mordendomi il labbro, annuii.
«Che poi... cazzo ci trovate in quello?
Non è nemmeno così bello,»
bofonchiò fissando il mio ragazzo ed
ero sicura che avrebbe voluto sgozzarlo.
«È impossibile da spiegartelo in poche
parole,» gli risposi, voltandomi per guardare il mio Dario
sorridere
a qualche battuta di Sole. Era bellissimo e il suo sorriso illuminava
il mondo, il mio mondo anche se era rivolto ad un'altra ragazza e
non a me.
«La mia era una domanda retorica,»
bofonchiò, assottigliando lo sguardo. «Sai che me
frega di lui. Mi
basta sapere che cosa ha fatto a Sole.»
«Ti assicuro che è cambiato davvero,»
dissi abbozzando un sorriso, fissandoli mentre Sole appoggiava la
testa al suo petto e Dario la cullava tra le sue braccia.
Perché
c'era lei e noi io stretta a lui?
«Mah... sarà... ma secondo me ha
ragione il tipo con gli occhi azzurri,» disse scocciato.
«Non mi
fido di lui.»
«Ed io non mi fido di lei,» risposi per
le rime, guardandolo soddisfatta. «Ha cercato di addolcirmi
con i
suoi modi di fare.»
«No, Alice. Sole è davvero così. Sole
è davvero così dolce. E anche troppo
ingenua.»
Sospirò rumorosamente e contrasse la
mascella quandoli vide così stretti, quando vide la sua
donna tra le
braccia di un altro.
«Scusami,» disse allontanandosi da me.
«Ma non ci riesco, non ci riesco a vederli così
avvinghiati.»
E mi lasciò in pista da sola come una
cretina. Rimasi immobile mentre tutti attorno a me –
coppiette,
perlopiù – si strusciavano, si baciavano, si
divertivano. E,
mentre Dario abbracciava Sole, io me ne stavo impalata a struggermi,
a sentire quel timore di perderlo sempre più vicino.
«Mi concede l'onore di questo ballo,
signorina?» disse una voce alle mie spalle. Così
mi voltai
ritrovandomi di fronte Mauro che, con un inchino, mi porgeva una
mano. Fissai a lungo la sua riverenza, i suoi occhi azzurri che mi
intrappolarono nella loro trappola di cristallo. Abbozzai un sorriso
e accettati il suo invito, stringendomi a lui e ritrovando quel
calore di cui Dario mi aveva privato.
«Sei davvero bellissima, stasera, con
questo vestito,» mormorò nel mio orecchio ed
arrossii
violentemente. E in quel momento il suo odore mi solleticò
le narici
e notai quanto il suo profumo fosse simile a quello di Dario.
Dolciastro, ma molto molto più intenso di quello del mio
ragazzo.
«Non capisco come Dario non si accorga di quale meraviglia ha
accanto.»
Deglutii a vuoto ed avvampai, mentre le
sue mani mi stringevano sempre di più a lui. Molto
probabilmente il
vino che aveva bevuto gli aveva fatto male, lo aveva fatto ubriacare
e in quel momento era l'alcol a parlare. Ero paralizzata tra le sue
braccia ed era lui a condurmi in una danza lenta su una musica che
non riuscivo nemmeno a riconoscere talmente ero stordita dalla sua
vicinanza e dal suo corpo spalmato sul mio.
«Ti sta ignorando, Alice.» E non ci
voleva un genio in ingegneria informatica per capirlo «Ha
preferito
Sole a te.»
«Le vuole, le vuole solo parlare...»
balbettai, cercandoli con lo sguardo, ma erano spariti dalla sala.
«Dario fa tutto, fuorché parlare,»
disse beffardo e il mio cuore mancò, inspiegabilmente, di un
battito. «Vuoi sapere la verità su
Sole?» mi chiese.
Alzai lo sguardo per incontrare il suo
puro. Era serio, troppo per i miei gusti e la sua espressione cupa mi
incuteva un certo timore. Annuii poco convinta, ma dovevo
assolutamente sapere che cosa era successo con lei, capire cosa si
nascondeva nel suo passato.
«Ebbene. Sole D'Amato non era altro che
il giochetto sessuale di Dario,» mi rivelò e
rimasi scioccata da
quella confessione. Lo guardai incredula, con la bocca semi dischiusa
e non ci fu bisogno che facessi domande. «La usava per
impratichirsi
con il sesso, sfruttava la sua ingenuità e il suo amore solo
per
scopare.»
«Ma lui amava Sole,» ribattei subito.
«Sì, è vero l'amava,»
convenne con me
ed io entrai nella confusione più totale. «Ma non
era abbastanza
per uno come lui. Per cui la trattava come la sua bambola, teneva
nascosto al mondo il suo sentimento per puro egoismo. E mentre si
scopava Sole, stava anche con la Campanella, la sua fidanzata
ufficiale.»
Ero letteralmente sconvolta da quelle
rivelazioni sul passato del mio ragazzo. Sapevo che non era stato
proprio il ragazzo più bravo del mondo, ma non avrei mai
creduto che
fosse stato così stronzo dall'usare Sole e, intanto, stare
con
Martina.
«Beh... quello era il passato,» dissi
convinta. Già, era stato un bastardo, ma il Dario che avevo
conosciuto io non era affatto l'egoista, approfittatore che aveva
descritto Mauro.
«Credi che sia cambiato sul serio? Che
non possa fare lo stesso con te? Che non possa stare con due ragazze
contemporaneamente come ha già fatto?» Erano tutte
domande
retoriche, e dubbi che mi assalirono in quel momento. Rimasi
spiazzata e senza parole e per la seconda volta il mio cavaliere mi
abbandonò sulla pista come una scema. Mauro si
allontanò da me,
senza dirmi nulla e uscì dal castello per andare
chissà dove.
No, Dario non avrebbe mai potuto tradirmi
o mentirmi così spudoratamente. Mi amava e me ne aveva dato
conferma
più volte, anche se quel giorno aveva avuto occhi solo per
Sole. Ma
potevo capirlo, in fondo. Erano cinque anni che non la vedeva ed era
stato il suo primo amore, nonostante quello che mi aveva detto Mauro.
Non si era comportato affatto bene con lei, ma l'amore che provava
per quella ragazza era stato sincero, così come quello che
provava
per me. Avrei dovuto essere tranquilla, ma invece ero irrequieta; la
pista, la folla, la musica cominciarono a darmi fastidio. Avevo
bisogno di rimanere un po' da sola e fare chiarezza, tranquillizzarmi
e godermi quella serata fino a che non sarebbe finita, fino a quando
io e Dario non saremmo tornati a casa stretti l'uno all'altra.
Mi allontanai velocemente dalla sala e
salii le scale che mi si presentarono subito di fronte. Non sapevo
dove portassero ma non mi importava affatto. Mi ritrovai ad
attraversare un lungo corridoio, illuminato solo da una luce fioca,
sul quali si affacciavano numerose porte. Lo percorsi tutto e mi
infilai in una stanza enorme arredata con alcuni divani antichi rosa
pallido e una piccola poltrona. Mi accomodai e mi presi la testa tra
le mani. Mi stava scoppiando per i troppi dubbi che sgomitavano nella
mia mente, rimbalzando da una parte all'altra del mio cervello. Mi
fidavo di Dario ed ero consapevole di quanto fosse intenso il suo
amore per me. Eppure Sole, quella dannata Sole, mi tormentava
così
come l'incubo di rivederli di nuovo insieme, soprattutto dopo quello
che mi aveva detto Mauro. Non si era fatto scrupoli a stare con due
ragazze contemporaneamente, ad illuderne una e perché non
avrebbe
potuto farlo anche con me? Semplice, perché teneva troppo a
me e non
voleva perdermi. Lo aveva detto lui ne sapeva bene che, se mi avesse
tradito, lo avrei lasciato seduta stante.
Molto probabilmente, di sotto, stavano
già servendo i secondi, ma mi era passato l'appetito e con
quello
anche la voglia di festeggiare. Volevo solo che quella giornata
finisse e che Sole uscisse dalla nostra vita, una volta per tutte.
Aveva portato troppo scompiglio quella ragazza, solo, però,
nei miei
pensieri. Ero io che mi facevo ribollire il sangue nelle vene, ero io
a farmi un sacco di paranoie senza, magari, averne fondamento. Ero io
che vedevo romanticismo anche dove non c'era, ero io che credevo che
Sole fosse tornata per portarmi via Dario. Dovevo stare tranquilla e
non essere sempre così pessimista ma di pensare, ogni tanto,
in
positivo.
Presi un respiro profondo e decisi di
tornare giù. Magari Dario, non vedendomi, si era preoccupato
e non
volevo farlo stare in pensiero. Non appena mi alzai, Mauro fece il
suo ingresso nella stanza e si avvicinò a me con un sorriso
raggiante.
«Ti stavo cercando dappertutto!»
esclamò. «Mi stavo preoccupando.»
«Avevo bisogno di stare un po' da sola
per pensare,» sospirai e scrollai le spalle.
«Mi dispiace per averti lasciata sola in
pista. Ma dovevo fare una cosa,» disse diminuendo le distanze
tra di
noi. Era a pochi centimetri da me, potevo sentire il suo petto
sfregare contro il mio al ritmo dei nostri respiri.
«Non importa,» lo rassicurai con un
sorriso.
«Immagino che quello che ti ho detto non
ti ha nemmeno scalfita.»
«Beh... non mi aspettavo uno cosa del
genere,» ammisi stringendomi nelle spalle. «Ma io
mi fido di Dario
e sono sicura che non rischierebbe di nuovo di perdermi.»
«E come biasimarlo,» disse
accarezzandomi una guancia con il dorso della mano e il mio cuore
smise di battere per qualche secondo, prima di riprendere la sua
corsa con frenesia. Perché cavolo doveva comportarsi
così con me?
Perché doveva essere così dolce ed apprensivo?
Così non faceva
altro che alimentare la mia già dirompente voglia di
assaggiare
quelle labbra perfette!
«Perché stai tentando di allontanarmi
da Dario?» gli chiesi, catalizzando la mia attenzione sul mio
ragazzo per non cedere a quel peccato di lussuria estremo.
«Sto solo cercando di mostrarti che
persona è realmente,» rispose semplicemente.
«Poi starà a te
decidere se stare accanto ad un ragazzo immaturo al quale non
interessa minimamente calpestare i sentimenti altrui o meno. Mi pare
che lui ti abbia già ferito una volta fingendo di non
provare nulla
per te.»
Due volte, anche quando era
scappato a San Valentino, ma questo lo avrei omesso dal discorso per
non mettere ulteriormente in cattiva luce Dario.
«Ma ho fatto bene a perdonarlo,» dissi
con un sorriso. «Ha capito il suo errore e infatti ha detto
la
verità ad Adriano.»
«Tu sei troppo buona, Alice,» sospirò
passandosi una mano sulla nuca. «O troppo innamorata,
dipende. Lui
ti ha calpestata senza ritegno, si è preso gioco di te e
nonostante
questo sei tornata da lui solo con la speranza che
lui capisse
il suo errore.»
«L'amore rende stupidi, a quanto pare,»
scrollai le spalle. «Ma l'importante è che tutto
si sia sistemato e
che lui abbia smesso di mentire agli altri e a se stesso.»
Accennai un sorriso e lo superai per
poter uscire da quella stanza e scendere al piano inferiore dove mi
stava di sicuro aspettando Dario. Ma Mauro mi fermò e i
nostri
sguardi entrarono in contatto ancora una volta. Un brivido mi
percorse la schiena, seguendo poi qualsiasi nervo del mio corpo e
facendomi fremere. Se solo i suoi occhi riuscivano a farmi questo
effetto ero davvero messa male.
«Tu non te ne rendi ancora conto, ma
Dario ti ha in pugno. Potrebbe farti qualsiasi cosa, potrebbe anche
tradirti con centinaia di donne e chiederti Scusa
che tu
crolleresti tra le sue braccia,» disse, e quelle parole
furono così
vere che mi turbarono. Amavo talmente tanto Dario che gli avrei
perdonato tutto pur di non perderlo e questa non era una cosa
positiva.
La voce
del cantante arrivava fino alla nostra stanza, anche se molto
flebile. Mauro passò una mano dietro la mia schiena e mi
attirò a
lui, cominciando a muoversi al ritmo di Careless
Whisper di
George Michael.
«Riprendiamo da dove abbiamo interrotto
prima,» bisbigliò al mio orecchio e la sua voce
fioca m'incendiò.
Quanto ancora avrei resistito a lui?
Ormai anche il mio cuore sembrava essersi arreso al fatto che
provassi un'intensa attrazione verso di lui tanto che batteva
talmente forte da sovrastare quasi la canzone. Cosa sarebbe successo
se solo avessi avvicinato le mie labbra alle sue, se le avessi
sigillate con un innocuo bacio, solo per sentire che sapore avessero?
Nulla, tanto era solo un bacio innocente che nessuno avrebbe mai
scoperto. Deglutii a fatica e mi alzai sulle punte perché,
nonostante i tacchi, Mauro mi sovrastava ancora in altezza. Annullai
le distanze tra di noi e finalmente sentii le sue labbra sotto le
mie. Erano morbide, erano piene ed erano dolci. Non sapevano di
vaniglia, in realtà non era un gusto distinguibile,
definibile. Ma
sapevo che mi piaceva quel sapore anche più del dovuto e che
era
scivolato dentro di me guadagnandosi un piccolo posto del mio cuore.
Per me quel contatto ero più che sufficiente e mi sarei
allontanata
da lui se non fosse stato che Mauro affondò una mano tra i
miei
capelli, spingendomi verso di lui. La sua lingua s'insinuò
nella mia
bocca e quel contatto mi fece tremare, mi fece desiderare Mauro, ogni
cosa del suo corpo e questo non sarebbe mai dovuto accadere. L'unico
di cui dovevo sentire la voglia era Dario e già solo pensare
di
poter fare sesso con un altro che non fosse lui mi faceva sentire
sporca, colpevole. Puntai le mani sul suo torace intenzionata a
spingerlo via, a non cadere a quella tentazione. Ma quando sentii il
suo petto vigoroso sotto le mie dita, quando sentii il suo cuore
battere, non riuscii nel mio intento, anzi strinsi il colletto della
sua camicia con forza e desiderio. Cominciai a muovere anche io la
lingua in modo da lambire la sua, da rendere quello un bacio
passionale e trascinante che non voleva essere solo un semplice
contatto di lingue e labbra, ma anche qualcosa di più.
Mauro mi cinse la vita senza interrompere
quel contatto nemmeno per riprendere aria e mi fece voltare
delicatamente, spingendomi poi contro il divano dove mi accomodai.
Lui appoggiò un ginocchio accanto alla mia gamba e l'altro
tra le
mie cosce, piegandosi su di me per continuare a baciarmi. Strinsi
alcune ciocche dei suoi capelli neri, suggendo il suo labbro
inferiore.
Avrei potuto mentire, dicendo che non
sapevo quello che stessi facendo, che era stato lui a indurmi a
baciarlo, che ero solo una ragazzina confusa che stava soffrendo a
causa del suo ragazzo, ma non era così. Avrei detto una
bugia perché
io ero consapevole che stessi baciando Mauro, che stessi per farci
sesso e tradire così Dario e che lo desideravo in quel
momento forse
più di quanto avessi voluto il mio ragazzo la prima volta. E
mi
sentivo in colpa, tremendamente in colpa perché stavo per
commettere
un errore imperdonabile e perché quello avrebbe significato
perdere
Dario, in un modo o nell'altro. In realtà, non sapevo
nemmeno io
cosa provassi per Mauro, non sapevo definire ciò che sentivo
per
lui. Una volta lo odiavo, dieci secondi dopo mi ritrovavo avvinghiata
a lui in cerca del suo calore e dopo poco ero seduta su un divano in
un castello a baciarlo, a desiderarlo, a fremere per sentirlo dentro
di me.
Mauro si staccò dalle mie labbra e ne approfittammo per riprendere fiato. Potevo scappare, ero sempre in tempo per tornare sui miei passi e lasciare che il sesso con lui rimanesse solo una mia fantasia. Ed invece rimasi lì a fissarlo mentre si toglieva la giacca e la cravatta, lanciandole dietro di lui.
Attesi con impazienza che
tornasse a
baciarmi, che lui lenisse quell'intenso e doloroso piacere che, dalla
mia intimità, si espandeva ad ogni muscolo del mio corpo.
Non appena
le sue labbra sfiorarono le mie, le sue mani andarono frenetiche a
cercare la mia zip per abbassarla lentamente e solleticarmi
involontariamente con le sue dita. Ansimai per quel breve contatto e
il fuoco che incendiava le mie membra si alimentò, crebbe in
me
divorando con la sua irruenza il senso di colpa e l'immagine costante
di Dario. Non era per nulla un buon segno, quello. Amavo Dario,
eppure stavo per fare sesso con suo fratello. Amavo Dario, eppure
sentivo il bisogno impellente di Mauro. Non sapevo come interpretare
questo mio comportamento e non sapevo nemmeno se quello che stavo per
fare, se quello che sentivo per Mauro scaturiva dal mio cuore oppure
era solo uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di ripicca al
fatto che il mio ragazzo mi avesse ignorata.
Mi abbassò il vestito e lo fece
scivolare lungo il mio corpo, lungo le mie gambe fino ad abbandonarlo
ai suoi piedi. Ero rimasta solo con gli slip bianchi, e un senso di
vergogna nel mostrarmi quasi nuda davanti a Mauro mi colse. Mi coprii
il seno con un braccio e mi allontanai dalle sue labbra, rifuggendo
dal suo sguardo.
«Non devi vergognarti,» mormorò al mio
orecchio e ne mordicchiò il lobo, strappandomi un gemito.
Mi strinse il braccio e, lentamente, lo
allontanò dal mio corpo. Arrossii e mi morsi il labbro
inferiore,
abbassando lo sguardo. Non ero abituata a mostrarmi nuda davanti ai
ragazzi. Dario era stato il primo e avevo sempre creduto che sarebbe
stato anche l'unico. Ed invece avevo gli occhi di Mauro puntati sul
mio fisico e avevo paura del suo giudizio, avevo paura che mi
abbandonasse lì come una scema mezza nuda perché
non ero attraente
e sensuale come credeva. Invece mi sorrise dolcemente e mi
divorò
con quei suoi occhi resi blu dalla poca luce che filtrava dal
corridoio in quella stanza quasi buia.
Si slacciò rapidamente la camicia,
stando attento a non far saltare qualche bottone per la foga del
momento. Si avventò di nuovo su di me, spingendomi verso il
divano e
mi ritrovai stesa con lui sopra di me. Una sua mano percorse il mio
torace, il mio addome, scivolando tra le mie gambe dove si
fermò. Si
appoggiò all'interno coscia e la spinse di lato per
allontanarla
dall'altra e potersi sistemare comodamente tra di esse. Subito sentii
il suo desiderio premere contro di me, contro la mia
intimità già
umida e calda che attendava solo di poterlo accogliere. Scalpitavo,
mi muovevo a scatti e i miei baci si facevano sempre più
passionali,
più violenti perché il piacere che stavo provando
era quasi
insopportabile ed avevo bisogno che lui mi appagasse, che lui non
indugiasse con le mani sui miei seni, ma che entrasse dentro di me.
Frenetiche, le mie dita scivolarono sul suo addome a andarono a
slacciare i pantaloni di Mauro e si insinuarono dentro di essi. Lo
sfiorai dapprima, poi strinsi decisa il suo desiderio nonostante la
stoffa dei boxer. Un gemito strozzato uscì dalle sue labbra
e fu
costretto ad interrompere il nostro bacio per poter riprendere fiato,
per deglutire dopo essere stato colto da quel piacere inaspettato.
Cominciai a massaggiargli la punta ed i suoi ansimi si fecero ancora
più intensi. Ringraziai che ci fosse la musica a coprire la
sua
voce, anche se avevo il costante timore che qualcuno potesse
sentirci, che qualcuno potesse sorprenderci mentre consumavamo quella
tentazione.
Sperai con tutto il cuore che capisse il
bisogno che avevo di lui, che intuisse che ero pronta ad accoglierlo
e a unirmi a lui. Infilai anche una mano nei suoi boxer,
così da
intensificare il concetto, mentre con l'altra feci una cosa che mai
mi sarei aspettata. Mi insinuai nei miei stessi slip per ricavare un
po' di sollievo, oltre che di piacere. Appena sfiorai la mia
sensibilità, un urlo fuoriuscì spontanea dalle
mie labbra e la
presa sul desiderio di Mauro si allentò. Socchiusi gli occhi
per
l'intenso godimento, ma riuscivo comunque a vederlo, a vedere il suo
sorriso sornione ed i suoi occhi guardarmi famelico. Tolse la mia
mano dai suoi boxer e si inginocchiò davanti a me, tra le
mia gambe
e mi tolse gli slip mentre io continuavo a sfiorarmi, a contorcermi,
a surriscaldarmi per quel piacere che io stessa mi stavo provocando.
«Non fermarti, Alice,» mormorò
eccitato nel vedermi percorsa da spasmi di piacere.
Si tolse i boxer, ma non badai nemmeno a
dove li lanciò. Ero troppo presa ad esplorare il mio corpo,
a godere
delle mie stesse dita per notarlo. Strizzai gli occhi quando una
fitta di piacere più intensa mi percorse e si
trasformò in un
gemito gutturale. Inarcai anche la schiena e sollevai il bacino
talmente era stata forte e in quel momento Mauro mi afferrò
i
fianchi, spingendomi verso di lui.
«Sei vergine?» domandò apprensivo ed
io, tra uno spasmo all'altro, scossi la testa.
Lui sorrise soddisfatto e si abbassò a
recuperare il portafoglio dai pantaloni estraendone un preservativo.
Lo fece scivolare lentamente sul suo desiderio e in pochi secondi mi
penetrò lentamente. E sentirlo scivolare dentro di me,
finalmente,
lenì quel dirompente desiderio e saziò la fame
che avevo di lui.
Allontanai la mano dalla mia intimità, ormai non era
più necessaria
e mi aggrappai alle sue spalle forti, gemendo contro la sua spalla
mentre i suoi ansimi mi riempivano le orecchie. Si muoveva con troppa
lentezza, trasformando quell'amplesso in una piacevole tortura, che
mi appagava ma non pienamente.
«Ma-Mauro,» ansimai, stringendo le
cosce contro il suo bacino.
E fu
strano pronunciarlo, sentire un nome che non era di Dario uscire
dalla mia bocca. Lo stavo tradendo, stavo facendo sesso con un altro
uomo nonostante amassi lui. E questo perché? Solo per un
capriccio,
perché ero rimasta ammaliata dall'enigmaticità di
Mauro e perché
ero una cretina. Mi ero lasciata condizionare dalle sue parole, da
quell'atmosfera romantica e dalla gelosia per quella dannata Sole.
Non provavo nulla per Mauro, solo una forte attrazione e in quel
momento sentii il mio cuore parlare distintamente, urlare il nome di
Dario nonostante stessi con un altro uomo. E non un ragazzo
qualunque, ma addirittura suo fratello, la persona che lui odiava di
più al mondo. Il senso di colpa tornò a divorarmi
proprio quando
Mauro aumentò il ritmo e i miei ansimi aumentarono di
intensità,
quando mi sentii godere così intensamente per un uomo che
non era il
mio ragazzo, per qualcuno che non era la persona che amavo, per
qualcuno che non sapevo nemmeno cosa sentisse per me, se qualcosa di
profonda o il nulla più totale. Mentre noi stavamo facendo
sesso,
probabilmente, Dario era seduto al tavolo e si chiedeva che fine
avessi fatto. Magari credeva che fossi andata in bagno o che mi fossi
intrattenuta a guardare il lago di Bracciano. In qualsiasi caso, lui
si fidava di me ed io stavo tradendo la sua fiducia. Come avrei fatto
a continuare a guardarlo negli occhi facendo finta di nulla? Come
potevo lasciare che lui mi amasse dopo che mi ero sporcata
così, dopo che la mia anima era stata marcata con una specie
di
lettera scarlatta? Per di più vivevo nella stessa casa di
Mauro e
ogni volta che lo avrei rivisto, avrai rivissuto questa serata,
ricordandomi quanto fossi puttana. Perché
sì, Dario era stato un bastardo con me, ma aveva rimediato,
aveva
compreso il suo errore ed era cambiato per me ancora una volta,
mostrandosi a tutti per la persona fragile che era realmente. Io
invece ero una puttana che scopava con suo fratello, che si sentiva
attratta pericolosamente da lui e che avrebbe ricercato ogni volta
che avrei sentito il bisogno di sentire il calore di un uomo. Temevo
che quella non sarebbe stata l'unica volta che avrei fatto sesso con
Mauro perché era quasi incontrollabile l'interesse che
provavo nei
suoi confronti e tremendamente piacevole il suo calore.
Mi sentivo uno schifo in quel momento.
Avevo ceduto al fascino di due occhi cristallini ed ero caduta in
tentazione, come era successo ad Eva. Ed io, come lei, avrei perduto
il mio Eden, il mio Paradiso. Avrei perso Dario.
_______________________________________________
Innanzitutto vorrei ringraziare IoNarrante
che mi ha "prestato" i fantastici personaggi di Tutto
per una scommessa. Ovviamente non sono stata in grado di
renderli al meglio ^^ e mi scuso, semmai facessero
schifo.
Btw...capitolo
intenso. È
entrata in scena la famosa Sole, finalmente e Alice ha vauto il
(dis)piacere di conoscerla. La gelosia ha avuto il sopravvento su Alice
anche perché Dario sembrava avere occhi solo per la sua ex
fidanzata. Ma questo non perché sia ancora innamorato di
Sole...ma questo lo capirete nella shot di prossima pubblicazione
sull'incontro tra Dario e Sole.
La situazione scappa un po' di mano ad Alice, insomma. Le
verità
sulla vita sentimentale travagliata di Dario non sembra scalfirla, la
infastidisce solo il momentaneo allontanamento di Dario. E questo
piccolo problema di comunicazione porta una conseguenza disastrosa per
la storia d'amore tra Alice e Dario. Alla fine, lei ha ceduto al
fascino di Mauro. Ha tradito il suo ragazzo, si è tolta uno
sfizio, diciamo, per cui ha sbagliato alla grande questa volta. Questo
"piccolo" incidente di percorso lacererà, di sicuro, il
rapporto
tra Alice e Dario. Chissà, chissà che
succederà....*suspense*
Commenti brevi e rapidi, anche perché non so che dire! Credo
che
si commenti da solo questo capitolo xD sono proprio curiosa di sapere
che ne pensate.
Ancora una volta non sono riuscita a rispondere alle recensioni *si
frusta*. Ho avuto il parziale di anatomia, per cui non ho avuto tempo.
Ed è anche per questo che il capitolo arriva così
in
ritardo. Spero che il prossimo non debba farvi attendere
così a
lungo.
Allora, ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le
seguite, le preferite, le ricordat e anche chi ha solo letto. Ringrazio
anche chi ha recensito lo scorso capitolo...vorrei solo informarvi che,
grazie a voi, Alice è tra le storie più recensite
del
sito :3 Thank you so much ♥
Come
in un Sogno - con IoNarrante.
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