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Autore: _Shantel    12/12/2011    30 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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alice
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C a p i t o l o 26

V
iva gli sposi!
betato da nes_sie

Quella mattina c'era fermento in casa Vitrano. Era il 15 luglio e tra poco meno di due ore, esattamente alle quattro del pomeriggio, la cugina di Dario si sarebbe sposata. In corridoio c'era uno snervante via vai, un picchiettare di tacchi sul parquet e lo sbraitare continuo di Salvatore che non trovava la sua Favolosa cravatta color cremisi. Sembrava che tutti si stessero preparando per il matrimonio reale di William e Kate, talmente era alta la tensione in quella casa. L'unica che non aveva la minima voglia di partecipare alla cerimonia ero io – e forse Dario che era davanti allo specchio a borbottare. E non perché non mi piacessero i matrimoni, anzi li adoravo. Immaginarmi all'altare con l'abito bianco, mano nella mano del mio futuro marito davanti al parroco per coronare il nostro sogno d'amore era una delle mie fantasie più ricorrenti. Per di più, ai matrimoni si poteva mangiare come maiali affamati mandando a quel paese la dieta per qualche ora, anche se il giorno dopo ci si sarebbe svegliati con i sensi di colpa. Ma cosa c'era di meglio di un'abbuffata in grande stile? Cosa c'era di meglio di un pranzo nuziale con tre primi, tre secondi, dolci, dolcetti e stuzzichini di ogni genere?
Solo che le nozze di questa cugina, di cui ancora non sapevo il nome, mi rendevano ansiosa e non sapevo se fosse perché lì non conoscevo nessuno, e mi sarei sentita un perfetta idiota in mezzo a degli estranei, o se fosse solo il sesto senso che mi diceva chiaramente che fosse meglio starsene a casa invece di andare a quel maledetto matrimonio.
Sospirai rumorosamente, scuotendo la testa e cominciando a contorcermi per entrare nel vestito azzurro che, gentilmente, la signora Nicoletta mi aveva fatto comprare. Mi aveva imposto di prenderlo solo perché era un Dolce&Gabbana, così non sarei apparsa una pezzente in mezzo ai suoi parenti. Per carità, era bellissimo e non avevo mai indossato nulla di così elegante. Era un tubino color del cielo, senza spalline, che mi arrivava a metà coscia – fortunatamente coprendo la mia orribile cellulite – ornata con quelli che sembravano dei veri cristalli sulla parte centrale che si portavano fino quasi a metà vestito e si concludeva con un drappeggio di stoffa. Stupendo, ma troppo appariscente per una come me.
Comunque, tralasciando la signora Vitrano e i suoi odiosi vestiti griffati, non dovevo preoccuparmi e pensare già al peggio, quando ancora non era successo nulla. Dovevo smetterla di essere così pessimista e di vedere pericoli ovunque, credere che ogni singolo gesto ed ogni singola persona potesse distruggere quello che c'era tra me e Dario. Non era semplice, però. Non lo era affatto. Senza di lui sarei morta; portarmelo via equivaleva a strapparmi il cuore dal petto e distruggerlo in piccoli brandelli, vivere senza Dario non sarebbe stato vivere. Come potevo esistere senza un cuore? Come potevo esistere senza un'anima? Senza ossigeno, senza sangue nelle arterie, senza acqua che mi dissetasse? Perché, per me, Dario era tutto quello se non di più. Era lui a dare senso ad ogni cosa, era lui che colorava la vita con ogni suo sorriso e ogni suo sguardo, era lui il senso della mia vita. Io esistevo semplicemente perché esisteva Dario. Se lui non ci fosse stato Alice sarebbe stata il nulla più totale, una ragazza vuota senza nessun significato in quell'insignificante mondo grigio.
«Mi aiuti ad allacciare la zip?» domandai al mio ragazzo, scacciando quei brutti pensieri dalla mia mente.
Dario si avvicinò lentamente a me, ancora con la camicia sbottonata e il suo fisico bene in vista. Se non ci fosse stato l'inconveniente matrimonio, non avrei esitato a disfarmi di lei e anche dei pantaloni per fare l'amore con lui anche ore ed ore. Forse non proprio in continuazione dato che biologicamente Dario aveva bisogno di riprendersi. Avevo una voglia infinita di lui che cresceva giorno per giorno e che le nostre effusioni, le nostre serate passate nella sua Mito appartati nel garage, i nostri gemiti sommessi o quasi urlati alimentavano volta per volta, rendendomi insaziabile del sapore inconfondibile della pelle di Dario e del suo corpo.
Mi scansò delicatamente i capelli, raccolti in una semplice coda alta da un elastico ornato di perline e le sue mani percorsero la mia schiena per tutta la sua lunghezza, regalandomi dei magnifici brividi di piacere.
«Perché tirarla su questa zip?» domandò roco avvicinandosi al mio orecchio. «Non sarebbe meglio toglierlo questo vestito?» continuò retorico, e le sue mani abbandonarono la mia schiena per dedicarsi al mio seno. Tutti e due, in quel momento, volevamo la stessa cosa, volevamo fare l'amore e mandare a quel paese il matrimonio.
«Non cominciare Dario!» dissi stizzita, stringendogli i polsi e allontanandolo dal mio corpo. Ancora un secondo in più e mi sarei sbarazzata dei miei e dei suoi vestiti. Dovevo darmi un contegno, però: non potevo mica stare sempre a desiderare di far sesso con lui. Anche perché l'amore non doveva essere sempre e solo qualcosa di fisico e, nell'ultimo periodo, ci eravamo lasciati andare un po' troppo. Praticamente, dopo la litigata, ci appartavamo sempre nella sua Mito. Avevo paura che così il nostro sentimento si logorasse con il tempo e diventasse solo qualcosa di carnale, che si riducesse solo a notti di sesso sfrenato e nulla più. Io volevo tanto altro dal nostro rapporto, soprattutto emozioni e quei semplici gesti che mi stupivamo e che mi facevano sentire amata. Questo lato era ancora vivo tra di noi, ma per quanto tempo sarebbe durato? Quanto tempo sarebbe bastato perché il nostro amore si trasformasse solo in un atto carnale?
«Ma che ci posso fare se sei così sexy con questo vestito?» ribatté lui strofinando quella sua barbetta seducente contro il mio collo.
«E allora se sono sexy con questo vestito perché non lo lasciamo dove sta?» dissi, e voltai il viso verso di lui, sorridente.
«Ti preferisco senza,» borbottò, mettendo il broncio.
«Per oggi accontentati di guardarmi con il vestito sexy,» ribattei. E sollevai la coda invitandolo tacitamente ad alzare quella maledetta zip.
Sbuffò scocciato, e il suo respiro mi solleticò la schiena, facendomi chiudere gli occhi per quel secondo di piacere. Ogni cosa di lui provocava in me brividi più o meno intensi di godimento, dal suo semplice fiato contro la mia pelle al suo tocco. Avevo una vera e propria dipendenza. Quel mio sentimento così forte per lui, ne ero certa, si sarebbe ritorto contro di me e mi sarebbe piombato addosso come il più pesante dei macigni.
«Et voilà,» borbottò allacciandomi la zip e sbattendo le mani contro i fianchi.
«Grazie,» dissi girandomi verso di lui e lasciandogli un bacio all'angolo della bocca. Avrei voluto approfondire quel bacio, ma sarebbe stato controproducente perché con la voglia che avevo di lui saremmo cascati sul letto e addio matrimonio. Per di più eravamo anche in ritardo, e Consuelo bussava alla porta della stanza da circa dieci minuti, imprecando in spagnolo quando nessuno le rispondeva.
Indossai i sandali argentati – con un odiosissimo tacco 12 che mi avrebbe distrutto i piedi – e tutti i vari accessori che Nicoletta mi aveva comprato per quella occasione speciale, mentre Dario indugiava nell'abbottonarsi la camicia bianca.
«Muoviti!» Esclamai, e lui mi guardò con il tipico sguardo da cane bastonato.
«Ma fa caldo!» si lagnò. «E lo smoking mi fa sentire un deficiente.»
Sbuffai sonoramente e mi avvicinai traballante a lui, con la paura di capitombolare dai quei trampoli. Cominciai ad abbottonargli la camicia, sfiorando quel corpo che desideravo così ardentemente.
«Come i bambini,» commentai scocciata, più che altro per allontanare la mia mente dai pensieri impuri che stavo continuando a fare.
«I bambini non hanno un fisico così,» gongolò con un sorriso sornione.
«I bambini non sono stupidi quanto te,» risposi sarcastica e lo vidi incupirsi e fingersi offeso. Gli allacciai l'ultimo bottone ed avvolsi le mie braccia dietro il suo collo per unire le nostre labbra e concederci quel bacio che prima non avevo voluto approfondire. Tutti i miei sforzi di resistergli quel pomeriggio erano andati a farsi benedire proprio in quel momento, quando la sua lingua cominciò a danzare con la mia sinuosamente ed sensualmente. Non riuscivo a frenarmi quando avevo davanti Dario. Diventavo una cretina di fronte a lui, una stupida che non capiva più nulla e che non vedeva nient'altro se non lui.
La sua mano cominciò a risalire pericolosamente lungo la mia coscia, sistemandosi a coppa sulla mia natica. Fortunatamente, però, qualcuno bussò alla porta e fermò quel momento magico e maledettamente eccitante. L'uscio si aprì e il viso bellissimo di Mauro fece capolino con uno sguardo che sarebbe stato in grado di sciogliere il polo sud e il polo nord in meno di tre secondi.
«Invece di perdere tempo a fare le porcate, datevi una mossa. Stiamo aspettando tutti voi,» disse perentorio e quando i suoi occhi si posarono su di me il mio cuore perse un battito. Perché dovevo sentirmi sempre in soggezione quando lui mi fissava? In fondo era un bastardo fatto e finito, e poco contava che avesse cercato di consolarmi quando avevo litigato con Dario, che mi avesse abbracciata e mi avesse fatto sorridere in un momento in cui avrei dovuto versare tutte le lacrime possibili. Lui era solo bello, e di ragazzi attraenti ne avevo visti a bizzeffe. Bastava anche vedere quanto fosse bello il mio ragazzo. Ma gli occhi di Mauro erano come una calamita per me e lui era così enigmatico da attirarmi quasi fossi stata vittima di uno strano sortilegio. E mi sentivo terribilmente affascinata da lui. Non potevo, però, commettere errori. Sarebbe equivalso a perdere Dario e non volevo che questo accadesse per una mia stupida svista.
«Arriviamo,» borbottò il mio ragazzo.
La porta si richiuse, nascondendo fortunatamente la figura di Mauro. Più il tempo passava e più il fascino che aveva su di me cresceva a dismisura. Deglutii a fatica e acchiappai la giacca dal letto, porgendola a Dario che si stava allacciando la cravatta.
«'Sto cazzo di pezzo di stoffa me strangola!» si lamentò cercando di allentarsi il colletto.
«Cerca di resistere un pochino, santo cielo! È solo una cravatta!» sbottai nervosa.
«Mamma mia, oh! Che te s'è infilato qualcosa nel di dietro?» borbottò Dario mettendosi la giacca dello smoking blu scuro ed io gli regalai uno sguardo truce. Afferrai la pochette intonata alle scarpe ed uscii dalla stanza, seguita dal mio ragazzo che sbuffava scocciato.
«Chissà perché, ma ho come la sensazione che questo sarà un pomeriggio di merda,» commentò contrariato mentre scendevamo al piano di sotto dove tutti ci attendevano.
E, chissà perché, il mio sesto mi suggeriva che Dario aveva ragione.


La celebrazione del matrimonio era stata davvero stupenda, nonostante fossimo arrivati in ritardo, proprio quando la sposa stava per entrare. La chiesa di San Marco era stata decorata con dei meravigliosi e candidi fiori bianchi e rosa pallido; le panchine erano state ornate con dei drappeggi di seta bianchi e mi era sembrato quasi di entrare in un sogno. Più di una volta mi ero immaginata di essere al posto di Teresa, la cugina di Dario, fasciata in un meraviglioso abito da sposa a sirena tempestato di Swarosky. Ovviamente nella mia fantasia il bel ragazzo dagli occhi azzurri con cui era convolata Teresa era stato sostituito dal mio Dario. Era tutto così terribilmente romantico. Quasi perfetto se non fosse stato per il mio ragazzo che continuava a borbottare contro il povero Renzaglia. Avevo intuito che conoscesse anche il bel ragazzo tenebroso e che non gli andasse particolarmente a genio. «Si può sapere che cosa ti ha fatto questo Renzaglia?» domandai mentre eravamo in macchina per raggiungere il castello di Bracciano dove si sarebbe svolto il banchetto.
«È un coglione, fuma canne e tracanna birre di prima categoria,» rispose brusco tamburellando l'indice sul volante.
«Non mi ha dato l'impressione di essere un drogato alcolizzato,» ribattei confusa. Certo, aveva lo sguardo un po' tenebroso, un che di misterioso in lui, ma non mi era sembrato un pazzo squilibrato avvezzo a bevute e canne.
«Beh...ho esagerato un po',» sbuffò e la Mito svoltò seguendo il corteo di macchine che si dirigevano al castello. «Ma ciò non toglie che sia un cazzone, pezzo di merda.»
«Quanto risentimento,» borbottai affondando nello schienale del sedile. «Ti ha per caso rubato la ragazza?» sghignazzai.
«Ci ha provato,» ringhiò lui. «Stava sempre a ronzare attorno a Sole.»
E rieccolo quel nome che odiavo dal profondo del mio cuore uscire di nuovo dalle labbra di Dario, uscire dal suo cuore. Era da giorni interi che quella ragazza non era oggetto dei nostri discorsi e mi stavo perfino dimenticando di lei. Fino a quel momento, in cui il suo viso tondo riaffiorò alla mia mente. E il fatto che il suo nome fosse associato a quello di Renzaglia mi fece contorcere lo stomaco e tutti i visceri. Erano amici, probabilmente, e questo significava che potevo trovarmi Sole davanti agli occhi in un qualsiasi momento, che lei poteva tornare a minacciare quello che io e Dario stavamo costruendo a poco a poco.
«Che cazzo ci ha trovato mia cugina in quello?» continuò a lamentarsi, ma io smisi di ascoltarlo e iniziai ad immaginare il momento in cui avrei incontrato Sole di persona. Che cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata? Le avrei dispensato falsi sorrisi oppure gli sarei saltata subito alla gola? Ero un tipo impulsivo, che non ragionava mai prima di agire e quindi mi sarei potuta aspettare di tutto, anche una rissa sul tavolo della cena. Tutto dipendeva da come si sarebbe comportata lei, che sguardi avrebbe rivolto a Dario e, soprattutto, che cosa avrebbe fatto lui.
«Ehi, piccola, che hai?» mi domandò il mio ragazzo, scuotendomi un braccio per ridestarmi dal mio sogno ad occhi aperti.
«Oh, no, nulla!» esclamai e gli sorrisi. «Pensavo che, beh, insomma... potrebbe esserci Sole,» dissi con un filo di voce e lo vidi deglutire a fatica. Si umettò le labbra e cominciò a torturarsi il labbro inferiore con i denti.
«L'ho pensato anche io,» ammise adottando il mio stesso tono.
«Cosa credi di dirle, se la incontrerai?» domandai curiosa.
Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Cosa dovrei dirle?» rispose in evidente difficoltà. «Ciao...» E quella parola rimase ad aleggiare nella macchina per alcuni secondi. Dietro quelle quattro lettere si nascondeva molto di più di un semplice saluto e lo avevo capito da come l'aveva pronunciato, con una malinconia che aveva riempito l'abitacolo. Era ancora legato a lei, lo percepivo e non potevo biasimarlo. Lei era stato il suo primo amore ed ero sicura che anche io, semmai la nostra storia fosse finita, avrei continuato a pensare a lui, a quello che c'era stato tra di noi. Ero ancora gelosa marcia di Sole e non avrei ai superato quel sentimento di astio nei suoi confronti, ma se prima avrei dato di matto e mi sarei fatta un sacco di paranoie, in quel momento non ne sentivo il bisogno. Sapevo che Dario mi amava, mi fidavo di lui ed era libero di pensare a Sole senza che io dessi i numeri. Allungai una mano verso di lui, appoggiandola sul suo braccio e Dario mi regalò uno degli sguardi più belli che avessi mai visto, che mi spiazzò con la sua immensa intensità e che mi inghiottì in pochi secondi. Mi sorrise ed io ricambiai. Dopo quella breve discussione su Sole, rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio. Lui aveva appoggiato la mano sulla mia coscia e, ogni tanto, si voltava verso di me per sorridermi. Tra di noi non c'erano bisogno di parole. Erano sufficienti degli sguardi, dei sorrisi che racchiudevano nella loro semplicità il nostro amore travolgente.
Una decina di minuti dopo eravamo arrivati al castello e la favola che stavo vivendo quel pomeriggio sembrava prendere davvero vita. Prima il romantico scambio di promesse, poi il banchetto in un vero ed autentico castello. Anche se quello era il giorno di Teresa, mi sentivo come una principessa, e Dario era il mio principe azzurro.
All'esterno, sotto alcuni portici, erano stati allestiti numerosi tavoli con tovaglie bianche e rose bianche imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande per rinfrescare gli invitati che già si stavano rifocillando, ridendo tra di loro. Mi sarei avventata subito su quei manicaretti se non fosse stato che sarei sembrata un lupo affamato e avrei fatto una figura barbina. Dario mi trascinò verso alcuni dei suoi familiari, per la precisione verso suo nonno Giuseppe e i suoi zii, presentandomi a loro con un sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro e quella felicità mi spiazzò, mi stupì e non potevo essere più contenta. Scambiai qualche parola con loro, più che altro era nonno Giuseppe che parlava e che ricordava la sua amata moglie defunta. Quando arrivarono gli sposi, però, l'attenzione di tutti fu catalizzata su di loro e l'interessantissimo dialogo con nonno Giuseppe si concluse.
«Ma guarda un po' chi c'è qui,» gracchiò una voce fastidiosa alle nostre spalle. Io e Dario ci voltammo all'unisono trovandoci di fronte ad una ragazza biondi con gli occhi azzurri e un'altra mora e riccia che ci guardava corrucciata, con le braccia incrociate.
«Ho come l'impressione di conoscervi,» fece il vago Dario e sentii nella sua voce una nota di disagio.
«Fai anche il finto tonto, Vitrano?» ribatté acida la moretta tutto pepe.
«Si chiama ironia, Renn,» rispose per le rime il mio ragazzo.
«Le merde, a quanto pare, non muoiono mai,» disse sprezzante la riccia.
«Vacci piano con le parole, Betta,» sibilò il mio ragazzo puntandogli un dito contro.
«Si chiama ironia, Vitrano,» replicò acida, sorridendo soddisfatta.
Dario contrasse la mascella e prese un respiro profondo forse per non rischiare di prendere a pugni la moretta. Non avevo idea di chi fossero quelle due, ma di sicuro con c'era un buon rapporto tra quei tre.
«Ti diverti ancora a illudere le ragazzine, vedo,» continuò stizzita, e se gli occhi scuri di quella ragazza avessero potuto sputare fuoco, Dario sarebbe morto carbonizzato.
«Per la cronaca, è la mia fidanzata,» replicò brusco lui, intrecciando le sue dita con le mie.
«A-Alice,» dissi intimidita, sentendomi chiamata in casa.
«Serena, piacere,» disse la bionda sorridendomi.
«Elisabetta,» le fece eco quell'altra guardandomi con sufficienza e rivolgendo subito la sua attenzione a Dario. «Lo sai vero? Lo sai che hai rovinato la vita della mia migliore amica?»
«Smettila, Betta,» la riprese la bionda, dandole una gomitata nel fianco.
La mora guardò la sua amica indispettita e puntò un dito contro il mio ragazzo con fare minaccioso.
«Spero solo che tu soffra la metà di quanto abbia sofferto lei,» ringhiò e, dopo aver incenerito con lo sguardo Dario, si allontanò a passo spedito.
Serena rimase lì a scrutarci con i suoi occhi azzurri e ci rivolse un sorriso.
«Scusala. È da un po' di tempo che è leggermente nervosa,» cercò di sdrammatizzare con la sua spiazzante dolcezza.
«No, ha ragione,» disse Dario, abbassando lo sguardo. «Ma sono passati anni e sono diventato tutt'altra persona,» aggiunse, guardandomi negli occhi e sorridendomi.
«Si vede,» disse Serena sorridendo a sua volta, fissandoci con occhi languidi. «E sono felice che hai deciso di lasciarti alle spalle la maschera del bello e dannato.»
Dario la guardò perplesso, corrugando la fronte e la bionda ridacchiò nervosamente, sistemandosi una ciocca di capelli che era sfuggita alla sua acconciatura elaborata.
«Ho sempre creduto che tu, sotto quell'aria strafottente, nascondessi un cuore tenero,» spiegò stringendosi nelle spalle, e Dario sorrise nel sentire quelle parole. Se Betta l'avrei volentieri strozzata, Serena era di una rara tenerezza. Erano l'uno l'opposto dell'altra, si compensavano.
«Se vuoi...» cominciò a dire la bionda, indicando i tavoli dietro di lei. Poi sorrise timidamente e scosse la testa. «No, nulla,» rimangiò quello che stava per dire e ci rivolse l'ennesimo sorriso. «Io raggiungo Betta. Mi ha fatto piacere conoscerti,» mi disse.
«Anche a me,» risposi scettica. Da quando quelle due erano arrivate non avevo aperto bocca, frastornata dal botta e risposta di Dario e la moretta, da ciò che la riccia diceva. Serena alzò una mano e la sventolò, salutandoci timidamente e raggiungendo la sua amica al banchetto. Ancora non avevo capito chi fossero, ma non volevo intromettermi ancora una volta nella vita passata del mio ragazzo. Quello che doveva interessarmi era il suo presente, quello che stava vivendo con me e non quello che era già avvenuto, quello che lo aveva reso la persona speciale che era.
«Vado a prendere qualcosa da bere,» mi disse, unendo le nostre labbra in un rapido bacio. «Mi è venuta sete. Tu aspettami qui. Magari ti porto anche qualcosa da mangiare,» aggiunse facendomi un occhiolino. Annuii e lo baciai ancora una volta, poi di nuovo impedendogli di allontanarsi da me, anche se per pochi minuti. Lo vidi allontanarsi e andare sotto il portico, perdendosi tra la folla. Rimasi impalata per alcuni secondi, poi decisi di sedermi ad un tavolo insieme ad alcune persone che nemmeno conoscevo. Mi guardarono come se fossi un alieno appena uscito da un navicella spaziale, ed io mi limitai a sorridere loro come una povera imbecille. Mi sentivo a disagio con i loro sguardi puntati addosso e non avevo la minima idea di cosa poter fare, cosa poter dire. Non potevo di certo alzarmi di scatto e scappare con una scema! Avrei fatto una figura barbina e apparivo già abbastanza deficiente nel sorridere in modo così falso. Dovevo solo aspettare qualche minuto che Dario tornasse con qualcosa da bere e da mangiare, così mi sarei tolta da quell'insopportabile impiccio. Solo che i secondi passavano, la lancetta scorreva sull'orologio e del mio ragazzo nessuna traccia. All'inizio avevo creduto che fosse stato trattenuto da qualche suo parente o vecchio amico, ma dopo che erano passati ben venticinque minuti ero più che sicura che lui si fosse dimenticato di me. Mi alzai di scatto dalla sedia e mi allontanai dagli sguardi dubbiosi e dal chiacchiericcio di quegli estranei, raggiungendo il portico e immettendomi anche io in quella folla di gente chiacchierona e rumorosa. Mi guardai intorno, vedendo tutto il ben di Dio su quei tavoli e riconoscendo al volo Nicoletta e consorte che ridacchiavano allegramente con gli sposi, Mauro poco più in là che scambiava qualche parola con alcuni ragazzi e nonno Giuseppe che si stava strafogando di gamberetti in salsa rosa.
Camminai dinoccolata su quei trampoli lungo quasi tutto il portico in cerca di Dario e lo trovai poco dopo con un bicchiere di aperitivo in mano che stava parlando con due ragazzi. Mi avvicinai ancora di più a loro, stizzita perché il mio ragazzo mi aveva abbandonato come una deficiente.
«Dario!» urlai e il suo sguardo incontrò il mio.
I due ragazzi si voltarono e il sangue mi si gelò nelle vene. Mi immobilizzai a qualche passo da loro e rimasi a fissarli per quelli che mi parvero secoli. Era impossibile, un sogno, un incubo. Il mio cuore si era fermato non appena aveva incontrato due occhi color perla e quella velata gelosia che avevo sempre nutrito nei suoi confronti cominciò a divorarmi da dentro, a consumarmi non appena mi sorrise. Sole era lì, davanti a me in tutta la sua bellezza. In foto non rendeva come di persona. Era sì abbondante, ma il suo corpo morbido era tremendamente sensuale e il suo viso era uno dei più belli che avessi mai visto. Indossava un vestito color lavanda che le arrivava poco sopra il ginocchio perfettamente intonato con la sua carnagione chiara. Aveva delle spalline fini e della stoffa si intrecciava a livello del seno fino a stringersi in vita dalla quale iniziava una gonna ampia e vaporosa. Era bella, santo cielo! Ed io ero solo una deficiente con un orrido vestito di Dolce&Gabbana che sembrava un evidenziatore. L'unica cosa che volevo fare in quel momento era scappare, anche se non ne sapevo il motivo. Non riuscivo a reggere il suo sguardo e nemmeno il suo sorriso troppo dolce per i miei gusti.
«Stavamo proprio parlando di te,» disse Dario, stringendomi un polso e trascinandomi vicino a lui. Mi strinse e mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso contro il suo petto. Stava tremando, il suo cuore batteva all'impazzata e tutto quello perché si trovava davanti a Sole.
«La mia ragazza, Alice.» Mi presentò con un sorriso abbozzato, e la ragazza mi allungò una mano timidamente.
«Sole.»
Le strinsi la mano e un brivido mi percorse la spina dorsale. Un brivido di timore, di paura dell'ignoto, di quello che sarebbe potuto accadere che mi sconvolse negativamente e che mi incupì.
«E lui è Francesco, il mio ragazzo,» disse con voce fioca indicando il ragazzo biondo che le stava accanto. Era bello, molto. Sembrava quasi un angelo con quei capelli dorati e quegli enormi occhi azzurri. Lui mi salutò con un cenno del mento e tornò a fissare Dario come se lo volesse scuoiare vivo, come se lo volesse divorare quasi fosse Hannibal Lecter. Era fidanzata, per cui non avrei dovuto preoccuparmi. Eppure non potevo non notare gli sguardi di intesa che quei due si stavano scambiando. Magari ero io che mi stavo facendo le solite paranoie, magari erano occhiate normalissime che io avevo scambiato per qualcosa di più profondo. Ma come potevo stare tranquilla ora che Sole non era più un ricordo, non era più un fotografia, ma una minaccia vera e propria?
«Spero che tu abbia parlato bene di me in mia assenza,» ridacchiai rivolta a Dario, anche se non c'era nulla di divertente in tutta quella situazione.
«Oh, sì! Ha subito iniziato a parlare di te e ha smesso solo quando sei arrivata tu,» prese la parola Sole. Qualcuno le aveva chiesto qualcosa? L'avevo per caso interpellata? Stavo parlando con Dario, non con lei. «Praticamente noi non abbiamo aperto bocca,» sogghignò regalando uno sguardo languido al suo ragazzo che abbozzò un sorriso stiracchiato, poi puntò di nuovo quei suoi occhi color perla sa Dario. L'avrei accecata, santo cielo! Solo io potevo permettermi di mangiarmi con gli occhi Dario, solo io potevo guardarlo con quel desiderio dirompente che era evidente nelle iridi di quel capodoglio.
«E cosa hai detto?» domandai curiosa, alzando lo sguardo verso il mio ragazzo che però sembrava avere occhi solo per Sole.
«Che sei molto dolce. E anche molto carina,» riprese lei, rivolgendomi un sorriso. «Secondo me è stato troppo avido di complimenti. Sei davvero bellissima Alice. E sono anche sicura che sei una ragazza adorabile, sennò Dario non si sarebbe mai innamorato di te.»
Falsa. Era più falsa di Giuda, quella lì. Mi infarciva di apprezzamenti, ma in realtà non pensava nulla di quello che stava dicendo, ne ero certa. Stava di sicuro architettando un modo per togliermi di mezzo e per potersi riprendere Dario. Faceva tutta la dolce davanti a lui solo per scioglierlo e farlo cadere di nuovo nella sua rete. Con chi credeva di avere a che fare? Con una poppante? Si sbagliava di grosso! Alice Livraghi era un segugio e percepiva sempre le minacce, quando qualche baldracca puntava il suo uomo e glielo voleva sottrarre. Mi strinsi ancora di più a Dario, intensificando la presa attorno alla sua vita e stritolandolo quasi. Avevo paura che scappasse, che la cara Sole non avesse capito che Dario era solo ed esclusivamente mio.
Proprietà privata. Off limits!
«Grazie,» dissi a denti stretti abbozzando un sorriso. In realtà le avrei voluto strappare i capelli ad uno ad uno.
«Siete stati entrambi fortunati,» continuò lei, stringendosi nelle spalle. «Tu sei davvero magnifica e Dario è una persona splendida.»
Ipocrita.
Se solo avessi potuto le avrei spaccato i denti con un cazzotto in faccia.
«Umpf. Splendida,» borbottò Francesco. «A Natale ti regalerò un dizionario, Sole. Ancora non hai capito la differenza tra splendido e bastardo.»
«Frà!» lo richiamò Sole con un tono per nulla autoritario.
«No, tranquilla,» sospirò Dario, scrollando le spalle. «Ci sono abituato a sentirmelo dire,» ridacchiò.
«Allora non solo io ho avuto questa impressione,» bofonchiò Francesco... anche quello lì cominciava a darmi sui nervi. Dario non era uno stinco di santo, anzi ne aveva combinate parecchie anche con me, si era comportato da verso stronzo, ma non digerivo il fatto che quel damerino biondo offendesse il mio ragazzo senza sapere nulla di lui. Stavo già per saltargli alla gola e sfoderare le unghie, come accadeva ogni volta che qualcuno osava parlare male di Dario, ma Sole, come se avesse visto nel mio sguardo qualcosa di omicida, strinse il braccio del suo ragazzo e ci sorrise timidamente.
«Sere e Betta ci staranno aspettando,» disse rivolta a Francesco. «È meglio se le raggiungiamo. Ci ha fatto piacere conoscerti Alice. E Dario, beh...» abbassò lo sguardo imbarazzata e le sue gote paffute si imporporano di rosso.
«È stato bello rivederti,» completò la frase Dario e i due si sorrisero. Il sangue mi ribollì nelle vene, bruciando le mie membra e annebbiando i miei pensieri con un fumo denso e nero. «Ci si becca in giro Sole,» aggiunse il mio ragazzo e sperai con tutto il cuore che quella lì stesse il più lontano possibile da lui, che lo evitasse per tutta la durata del matrimonio e che rimanesse aggrappata al biondino antipatico che si portava appresso. Se solo avesse rivolto un altro di quegli sguardi languidi che gli aveva riservato per tutta la durata di quel dialogo l'avrei uccisa con le mie stesse mani.
«Ciao Dario,» mormorò lei e si allontanò abbracciata a Francesco.
E ovviamente non mi aveva nemmeno cagata. Aveva occhi solo per Dario e la stessa cosa valeva per il mio ragazzo, per il quale ero completamente svanita da quando si era intromessa quella falsa tra di noi. Ero gelosa marcia e avevo tanta, troppa paura che dietro i loro sguardi e i loro sorrisi si celasse molto più di un semplice imbarazzo. Dario mi aveva più volte detto che per Sole non sentiva più nulla, che amava me, solo me e nessun'altra. Ma pensare ad una persona era molto diverso dal vederla, guardare gli occhi intrappolati in una fotografia non era affatto come vedere due iridi risplendere alla luce del crepuscolo, due iridi delle quali si era già innamorato e per le quali poteva provare ancora lo stesso sentimento.
Bruscamente mi allontanai dal petto del mio ragazzo e mi avvicinai al tavolo del buffet. Dovevo ingurgitare qualcosa e combattere la rabbia che stava crescendo in me. La odiavo, santo cielo e odiavo il fatto che quei due fossero ancora legati da un filo invisibile, ma indissolubile. Perché, quando le cose erano tornate tranquille tra noi due, quando potevamo finalmente goderci la nostra storia appieno rispuntava Sole? La sorte ci era avversa e cominciavo a capirlo. Forse era gelosa di noi o forse stava solo cercando di avvisarmi che Dario non fosse quello giusto per me.
«Non me la ricordavo così bella,» disse il mio ragazzo affiancandosi a me che stavo mangiando tartine di ogni sorta e affettati stra-grassi.
«Sì, bellissima,» sibilai a denti stretti.
«Ed è dolcissima,» aggiunse raggiante. «Come allora.»
Abbozzai un sorriso ed annuii.
«Cavoli! Sono passati cinque anni da quando non la vedo! E per fortuna che non è cambiata di una virgola. È speciale, vero?»
Mi ero persa qualcosa, forse? Ero io o era Sole la sua ragazza? Non lo capivo più. Mi morsi la lingua per impedirmi di mandarlo a quel paese e convenni con lui con un cenno del capo.
«Sinceramente credevo che Francesco fosse più simpatico,» borbottò riempiendosi un piatto. «Al telefono sembrava così pacato...»
Bene... aveva avuto l'onore di parlare al telefono con il nuovo ragazzo di Sole ed io non ne sapevo nulla. Magari aveva anche chiacchierato con lei a mia insaputa.
«Magari non ha poi tutti i torti a considerarti un bastardo,» sputai acida guardandolo dritto negli occhi. «Non è l'unica persona che ha avuto questa impressione di te.»
Ero stata cattiva, e lo capii solo quando gli occhi di Dario si dilatarono e si incupirono, così come il suo viso. Ero talmente arrabbiata in quel momento che non ragionavo più, che parlavo a sproposito senza cognizione di causa. Ma era da più di cinque minuti che mi stava riempiendo le orecchie con questa Sole ed era da troppo tempo che io non esistevo più nei suoi pensieri.
«Si può sapere che cazzo ti prende oggi?» domandò brusco stringendo tra le mani il piatto.
«Che cazzo mi prende? Che cazzo mi prende?» ripetei infuriata facendo qualche passo verso di lui per poterlo guardare negli occhi. E la luce dentro di esse sembrava aver dato vita al nome Sole scritto a lettere cubitali.
«Già! Hai il ciclo, per caso? O sei solo nervosa perché è da troppi giorni che non mi urli contro?» sbottò infastidito.
«Fai poco lo spiritoso, Vitrano,» sottolineai il suo cognome quasi con disprezzo. «Da quanto ti sentivi con Sole?»
Dario mi guardò in un misto tra l'adirato e il confuso, aggrottando le sopracciglia e chiedendo spiegazioni con i suoi occhi neri.
«Hai telefonato a Sole e anche a quell'altro. E me lo hai tenuto nascosto!»
«È stato Francesco a chiamarmi. E se lo vuoi sapere questa è la prima volta che parlo con Sole dopo cinque anni,» rispose. Ma potevo esserne sicura? «Ti avevo chiesto di non dubitare di me. Ti prego, non farlo. Sai bene che non ti mentirei mai, non dopo che ho rischiato di perderti,» mi ricordò mordendosi il labbro inferiore.
Ancora una volta le sue parole mi travolsero come un mare in piena, come una cascata che calda mi ricadeva addosso avvolgendomi e scaldandomi il cuore. Ero stata crudele a dire quelle cose e dubitare di lui ancora una volta. Ma avevo troppa paura di perderlo, che quella baldracca me lo portasse via con i suoi modi di fare goffi ed impacciati. Non avrei vissuto senza di lui, sapendolo tra le braccia di quella falsona che si nascondeva dietro sorrisi finti quanto un anello di bigiotteria.
«Scusami,» dissi dispiaciuta. «È che tu mi nascondi così tante cose...» lasciai la frase in sospeso ed abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
«Che intendi?» domandò dubbioso.
«Ho tanti, tanti dubbi. Sole, Martina, questo Moro... in realtà non sto capendo più nulla,» gli confidai mettendomi le mani tra i capelli e scuotendo il capo.
«Con Sole è stato un rapporto burrascoso, lo ammetto. L'ho trattata male quando non se lo meritava solo perché ci tenevo alla mia popolarità. Tutto qui,» mi spiegò ed appoggiò il piatto per potermi abbracciare, stringermi a sé e proteggermi con il suo corpo da tutti quei dubbi che mi tormentavano. «Allora ero uno stronzo. Forse lo sono ancora adesso un pochino. Ma quello era il passato, tutto quello che è successo anni fa non è importante e il Dario che ti sta stringendo in questo momento è tutt'altra persona, anche grazie a te.»
«E Alice è solo una bimba immatura che si ingelosisce troppo facilmente,» dissi aumentando la stretta, infossando il viso nel suo petto ampio che risuonava al ritmo del suo battito cardiaco.
«Non lo avevo notato,» ridacchiò divertito, baciandomi tra i capelli. «No, comunque... tu mi consideri davvero un bastardo?» domandò con tono basso.
Avvolsi le braccia attorno al suo collo ed alzai lo sguardo per incontrare il suo.
«Ogni tanto lo sei,» scherzai baciandolo a fior di labbra. «No, amore mio, non lo sei.» Lo rassicurai con un sorriso e lui mi sfiorò la guancia con delicatezza. Si abbassò verso di me e le nostre labbra si congiunsero ancora una volta, le nostre lingue si cercarono e si trovarono in pochi secondi bisognose di sentire il sapore dell'altro. Non avevo motivo di essere così gelosa. Dario amava me, e la passione con cui mi stava baciando me ne dava la conferma. Sole non era una minaccia, Sole non sarebbe riuscita a distruggere quell'amore che ci legava, Sole non si sarebbe ripresa Dario. Me lo stavo ripetendo mentre le nostre lingue si attorcigliavano sinuose eppure non riuscivo a convincermene totalmente. Continuavo ad avere una morsa che mi chiudeva la bocca dello stomaco e che non permetteva al mio cuore di battere a dovere, di palpitare per la vicinanza di Dario. Era quel maledetto brutto presentimento che mi perseguitava da quando era iniziata quella giornata. Speravo con tutto il mio cuore che rimanesse solo un mio incubo, una mia paura e che quel giorno si concludesse nel migliore dei modi, con noi due che ci stringevamo a letto e ci sussurravamo Ti amo.
Saremmo rimasti stretti, abbracciati a baciarci fino allo sfinimento, fino a rimanere senza aria nei polmoni, senza ossigeno che ci tenesse in vita, a cibarci del sapore dell'altro se non fosse stato per il cameriere del catering che richiamò l'attenzione su di sé e che invitò tutti i presenti ad entrare nel castello. Sospirammo all'unisono, scocciati di dover interrompere il nostro momento di passione e, mano nella mano, entrammo in quell'enorme edificio addobbato per il matrimonio.
«Voi siete?» domandò un uomo distinto sulla quarantina che reggeva in mano una cartellina.
«Dario Vitrano e Alice Livraghi,» rispose per me il mio ragazzo.
Il cameriere guardò sulla sua lista, scorrendola tutta poi ci rivolse un sorriso e ci invitò a seguirlo nella sala in cui si sarebbe tenuta la cena. C'erano numerosi tavoli rotondi tutti rivestiti da sofisticate tovaglie color avorio e apparecchiate con posate d'argento, fiori candidi e candelabri. Una canzone di Baglioni, Amore bello per la precisione, cantata da un giovane ragazzo di talento faceva da sottofondo. Percorremmo la sala e il cameriere si fermò quasi a metà, ad un tavolo al quale erano già seduti Mauro, che avevo evitato involontariamente per tutto il giorno, Serena ed anche quell'acida di Elisabetta. E anche Sole, purtroppo. Il destino sembrava essermi avverso. Quando credevo di essermi liberata di lei, che non l'avremmo più vista perché troppo presi da noi e dal resto degli invitati, eccola che rispuntava seduta al nostro stesso tavolo.
«Chi si rivede,» borbottò Francesco, scocciato.
Ovviamente, Dario prese posto accanto a Sole ed io mi accomodai alla sua sinistra, vicino a Mauro. Solo la sua presenza, sapere che era lì a pochi centimetri da me, mi metteva in soggezione.
«Passato e presente qui riuniti,» commentò il più grande dei Vitrano, guardando in alternanza me e Sole. «Speriamo solo che il presente non sia così doloroso, vero D'Amato?»
Ci eravamo appena seduti e Mauro cominciò subito con le sue provocazioni, a regalare a tutti quel ghigno malefico dal quale però ero terribilmente attratta. Mi voltai a guardarlo, a fissare il suo viso praticamente perfetto che sembrava quasi una delle opere più belle dell'arte.
Le sue labbra erano così invitanti...
Contegno! Non dovevo sbavare sul fratello del mio ragazzo, anche se era terribilmente bello. Dovevo resistere a quella tentazione che il destino mi aveva presentato per mettermi alla prova, per mettere alla prova l'amore che provavo per Dario. La sorte, però, non sapeva quanto fosse forte ciò che provavo per lui e non avrei commesso un errore così grave, così imperdonabile rischiando di perderlo.
«Beh... beh...» tentò di dire Sole, stringendosi nelle spalle ed abbassando lo sguardo a guardare la tovaglia, ma nulla uscì dalla sua bocca. Le tremavano le labbra e sbatteva le palpebre velocemente come se le stesse per venire da piangere. Dario allungò una mano verso di lei e le accarezzò una spalla nuda, fulminando poi con lo sguardo suo fratello.
«Non cominciare, Ma'!» ringhiò. «Siamo qui per divertirci non per stare a rivangare gli errori passati.»
«Sei tu che ti infervori senza motivo,» disse pacato Mauro, sorseggiando il vino rosso che il cameriere gli aveva appena versato.
«Sei tu che mi provochi in continuazione,» ribatté brusco il mio ragazzo.
«Ho solo augurato ad Alice di non passare ciò che hai fatto subire alla povera ed ingenua Sole,» continuò rivolgendo un sorriso alla ragazza che allontanò subito il suo sguardo da quello di Mauro.
«Non commetterò lo stesso errore, puoi starne certo,» replicò indispettito Dario.
«Fratellino, il lupo perde il pelo ma non il vizio,» gli ricordò beffardo e in quel momento il cameriere ci servì il primo piatto, un risotto con i funghi dall'aspetto invitante che però non stimolò il mio appetito. Ero troppo presa da quel botta e risposta tra i due Vitrano, così come il resto dei commensali. Mauro iniziò a mangiare, lasciando il suo discorso in sospeso e creando qualche attimo di suspance. Pendevamo tutti dalle sue labbra, attendevamo qualcosa che magari non avrebbe mai detto, un segreto che avrebbe sconvolto i nostri equilibri.
«Tu sei nato bastardo e morirai bastardo,» disse semplicemente, dopo alcuni minuti.
«E daje,» bofonchiò contrariato. «Ero ancora immaturo all'epoca e non capivo un cazzo. Con Sole sono stato bastardo, è vero ma con Alice farò di tutto per non farla soffrire.»
«Anche tenere per mano la tua ex ragazza?» domandò retorico Mauro indicando con la forchetta le mani dei due strette sul tavolo. Non si erano accorti di quel contatto, così come nessun altro seduto al tavolo. Le ritrassero entrambi velocemente nascondendole sotto la tovaglia ed abbassando il viso colpevoli. Era una sciocchezza, in realtà, eppure il mio cuore si scheggiò comunque nel vedere quella scena.
«Dovresti stringere così quella di Alice, non di Sole.»
E dopo quella frase il silenzio piombò sul nostro tavolo. Attorno a noi tutti gli altri chiacchieravano tra loro e si divertivano, si stavano godendo la festa, mentre su di noi incombeva una nube nera di tensione pronta ad esplodere in una furiosa tempesta. Gli occhi di tutti vagavano da un commensale all'altro e nessuno sapeva più cosa dire. Ci limitavamo solo a mangiare senza proferire parola, senza dire qualcosa che potesse scatenare fulmini e saette. Perfino Francesco, che mi sembrava una testa calda, aveva preferito il silenzio e i suoi occhi azzurri si limitavano a fulminare Dario e Sole con gli occhi. Anche lui stava rodendo di gelosia esattamente come me e non sopportava quegli sguardi furtivi tra i due ex fidanzati. Ancora una volta io ero passata in secondo piano e in dieci minuti buoni non avevo nemmeno avuto l'onore di potermi specchiare nei suoi occhi.
«Ti dispiace se vado a ballare con Sole? Vorrei stare un po' da solo con lei,» mi chiese Dario, subito dopo aver finito di mangiare, ricordandosi della mia esistenza e rivolgendomi un sorriso.
Ricambiai ed annuii flebilmente. Avrei dovuto mandarlo a quel paese ma non ebbi la forza, non avevo voglia di litigare con lui e dovevo fidarmi delle sue intenzioni. Insomma andavano solo in pista in mezzo a tutti gli altri, cosa avrebbero potuto fare di male? Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano alla folla danzante e li vidi stringersi, avvicinarsi pericolosamente e danzare lentamente sulle note di L'emozione non ha voce. Avevo le lacrime agli occhi e avrei voluto scoppiare a piangere. Ma delle dita che conoscevo bene mi sfiorarono il dorso della mano, distogliendo la mia attenzione dai due piccioncini che si stavano sussurrando chissà cosa.
«Dammi retta Alice. Non vale la pena soffrire per lui,» mi disse Mauro con tono apprensivo. Stavo per chiedergli spiegazioni su tutto il passato oscuro di Dario, ma Francesco mi afferrò un braccio con decisione e mi obbligò ad alzarmi, trascinandomi sulla pista da ballo a pochi metri da Sole e Dario.
«Non mi fido di 'sti due,» borbottò, cominciando a muoversi e ad osservarli incessantemente. Insomma il fatto che mi avesse invitata a ballare era solo una scusa per tenerli sott'occhio.
«Sei geloso?» gli domandai, ondeggiando da una parte all'altra.
«Perché, tu no?» ribaltò la domanda ed io, mordendomi il labbro, annuii.
«Che poi... cazzo ci trovate in quello? Non è nemmeno così bello,» bofonchiò fissando il mio ragazzo ed ero sicura che avrebbe voluto sgozzarlo.
«È impossibile da spiegartelo in poche parole,» gli risposi, voltandomi per guardare il mio Dario sorridere a qualche battuta di Sole. Era bellissimo e il suo sorriso illuminava il mondo, il mio mondo anche se era rivolto ad un'altra ragazza e non a me.
«La mia era una domanda retorica,» bofonchiò, assottigliando lo sguardo. «Sai che me frega di lui. Mi basta sapere che cosa ha fatto a Sole.»
«Ti assicuro che è cambiato davvero,» dissi abbozzando un sorriso, fissandoli mentre Sole appoggiava la testa al suo petto e Dario la cullava tra le sue braccia. Perché c'era lei e noi io stretta a lui?
«Mah... sarà... ma secondo me ha ragione il tipo con gli occhi azzurri,» disse scocciato. «Non mi fido di lui.»
«Ed io non mi fido di lei,» risposi per le rime, guardandolo soddisfatta. «Ha cercato di addolcirmi con i suoi modi di fare.»
«No, Alice. Sole è davvero così. Sole è davvero così dolce. E anche troppo ingenua.»
Sospirò rumorosamente e contrasse la mascella quandoli vide così stretti, quando vide la sua donna tra le braccia di un altro.
«Scusami,» disse allontanandosi da me. «Ma non ci riesco, non ci riesco a vederli così avvinghiati.»
E mi lasciò in pista da sola come una cretina. Rimasi immobile mentre tutti attorno a me – coppiette, perlopiù – si strusciavano, si baciavano, si divertivano. E, mentre Dario abbracciava Sole, io me ne stavo impalata a struggermi, a sentire quel timore di perderlo sempre più vicino.
«Mi concede l'onore di questo ballo, signorina?» disse una voce alle mie spalle. Così mi voltai ritrovandomi di fronte Mauro che, con un inchino, mi porgeva una mano. Fissai a lungo la sua riverenza, i suoi occhi azzurri che mi intrappolarono nella loro trappola di cristallo. Abbozzai un sorriso e accettati il suo invito, stringendomi a lui e ritrovando quel calore di cui Dario mi aveva privato.
«Sei davvero bellissima, stasera, con questo vestito,» mormorò nel mio orecchio ed arrossii violentemente. E in quel momento il suo odore mi solleticò le narici e notai quanto il suo profumo fosse simile a quello di Dario. Dolciastro, ma molto molto più intenso di quello del mio ragazzo. «Non capisco come Dario non si accorga di quale meraviglia ha accanto.»
Deglutii a vuoto ed avvampai, mentre le sue mani mi stringevano sempre di più a lui. Molto probabilmente il vino che aveva bevuto gli aveva fatto male, lo aveva fatto ubriacare e in quel momento era l'alcol a parlare. Ero paralizzata tra le sue braccia ed era lui a condurmi in una danza lenta su una musica che non riuscivo nemmeno a riconoscere talmente ero stordita dalla sua vicinanza e dal suo corpo spalmato sul mio.
«Ti sta ignorando, Alice.» E non ci voleva un genio in ingegneria informatica per capirlo «Ha preferito Sole a te.»
«Le vuole, le vuole solo parlare...» balbettai, cercandoli con lo sguardo, ma erano spariti dalla sala.
«Dario fa tutto, fuorché parlare,» disse beffardo e il mio cuore mancò, inspiegabilmente, di un battito. «Vuoi sapere la verità su Sole?» mi chiese.
Alzai lo sguardo per incontrare il suo puro. Era serio, troppo per i miei gusti e la sua espressione cupa mi incuteva un certo timore. Annuii poco convinta, ma dovevo assolutamente sapere che cosa era successo con lei, capire cosa si nascondeva nel suo passato.
«Ebbene. Sole D'Amato non era altro che il giochetto sessuale di Dario,» mi rivelò e rimasi scioccata da quella confessione. Lo guardai incredula, con la bocca semi dischiusa e non ci fu bisogno che facessi domande. «La usava per impratichirsi con il sesso, sfruttava la sua ingenuità e il suo amore solo per scopare.»
«Ma lui amava Sole,» ribattei subito.
«Sì, è vero l'amava,» convenne con me ed io entrai nella confusione più totale. «Ma non era abbastanza per uno come lui. Per cui la trattava come la sua bambola, teneva nascosto al mondo il suo sentimento per puro egoismo. E mentre si scopava Sole, stava anche con la Campanella, la sua fidanzata ufficiale.»
Ero letteralmente sconvolta da quelle rivelazioni sul passato del mio ragazzo. Sapevo che non era stato proprio il ragazzo più bravo del mondo, ma non avrei mai creduto che fosse stato così stronzo dall'usare Sole e, intanto, stare con Martina.
«Beh... quello era il passato,» dissi convinta. Già, era stato un bastardo, ma il Dario che avevo conosciuto io non era affatto l'egoista, approfittatore che aveva descritto Mauro.
«Credi che sia cambiato sul serio? Che non possa fare lo stesso con te? Che non possa stare con due ragazze contemporaneamente come ha già fatto?» Erano tutte domande retoriche, e dubbi che mi assalirono in quel momento. Rimasi spiazzata e senza parole e per la seconda volta il mio cavaliere mi abbandonò sulla pista come una scema. Mauro si allontanò da me, senza dirmi nulla e uscì dal castello per andare chissà dove.
No, Dario non avrebbe mai potuto tradirmi o mentirmi così spudoratamente. Mi amava e me ne aveva dato conferma più volte, anche se quel giorno aveva avuto occhi solo per Sole. Ma potevo capirlo, in fondo. Erano cinque anni che non la vedeva ed era stato il suo primo amore, nonostante quello che mi aveva detto Mauro. Non si era comportato affatto bene con lei, ma l'amore che provava per quella ragazza era stato sincero, così come quello che provava per me. Avrei dovuto essere tranquilla, ma invece ero irrequieta; la pista, la folla, la musica cominciarono a darmi fastidio. Avevo bisogno di rimanere un po' da sola e fare chiarezza, tranquillizzarmi e godermi quella serata fino a che non sarebbe finita, fino a quando io e Dario non saremmo tornati a casa stretti l'uno all'altra.
Mi allontanai velocemente dalla sala e salii le scale che mi si presentarono subito di fronte. Non sapevo dove portassero ma non mi importava affatto. Mi ritrovai ad attraversare un lungo corridoio, illuminato solo da una luce fioca, sul quali si affacciavano numerose porte. Lo percorsi tutto e mi infilai in una stanza enorme arredata con alcuni divani antichi rosa pallido e una piccola poltrona. Mi accomodai e mi presi la testa tra le mani. Mi stava scoppiando per i troppi dubbi che sgomitavano nella mia mente, rimbalzando da una parte all'altra del mio cervello. Mi fidavo di Dario ed ero consapevole di quanto fosse intenso il suo amore per me. Eppure Sole, quella dannata Sole, mi tormentava così come l'incubo di rivederli di nuovo insieme, soprattutto dopo quello che mi aveva detto Mauro. Non si era fatto scrupoli a stare con due ragazze contemporaneamente, ad illuderne una e perché non avrebbe potuto farlo anche con me? Semplice, perché teneva troppo a me e non voleva perdermi. Lo aveva detto lui ne sapeva bene che, se mi avesse tradito, lo avrei lasciato seduta stante.
Molto probabilmente, di sotto, stavano già servendo i secondi, ma mi era passato l'appetito e con quello anche la voglia di festeggiare. Volevo solo che quella giornata finisse e che Sole uscisse dalla nostra vita, una volta per tutte. Aveva portato troppo scompiglio quella ragazza, solo, però, nei miei pensieri. Ero io che mi facevo ribollire il sangue nelle vene, ero io a farmi un sacco di paranoie senza, magari, averne fondamento. Ero io che vedevo romanticismo anche dove non c'era, ero io che credevo che Sole fosse tornata per portarmi via Dario. Dovevo stare tranquilla e non essere sempre così pessimista ma di pensare, ogni tanto, in positivo.
Presi un respiro profondo e decisi di tornare giù. Magari Dario, non vedendomi, si era preoccupato e non volevo farlo stare in pensiero. Non appena mi alzai, Mauro fece il suo ingresso nella stanza e si avvicinò a me con un sorriso raggiante.
«Ti stavo cercando dappertutto!» esclamò. «Mi stavo preoccupando.»
«Avevo bisogno di stare un po' da sola per pensare,» sospirai e scrollai le spalle.
«Mi dispiace per averti lasciata sola in pista. Ma dovevo fare una cosa,» disse diminuendo le distanze tra di noi. Era a pochi centimetri da me, potevo sentire il suo petto sfregare contro il mio al ritmo dei nostri respiri.
«Non importa,» lo rassicurai con un sorriso.
«Immagino che quello che ti ho detto non ti ha nemmeno scalfita.»
«Beh... non mi aspettavo uno cosa del genere,» ammisi stringendomi nelle spalle. «Ma io mi fido di Dario e sono sicura che non rischierebbe di nuovo di perdermi.»
«E come biasimarlo,» disse accarezzandomi una guancia con il dorso della mano e il mio cuore smise di battere per qualche secondo, prima di riprendere la sua corsa con frenesia. Perché cavolo doveva comportarsi così con me? Perché doveva essere così dolce ed apprensivo? Così non faceva altro che alimentare la mia già dirompente voglia di assaggiare quelle labbra perfette!
«Perché stai tentando di allontanarmi da Dario?» gli chiesi, catalizzando la mia attenzione sul mio ragazzo per non cedere a quel peccato di lussuria estremo.
«Sto solo cercando di mostrarti che persona è realmente,» rispose semplicemente. «Poi starà a te decidere se stare accanto ad un ragazzo immaturo al quale non interessa minimamente calpestare i sentimenti altrui o meno. Mi pare che lui ti abbia già ferito una volta fingendo di non provare nulla per te.»
Due volte, anche quando era scappato a San Valentino, ma questo lo avrei omesso dal discorso per non mettere ulteriormente in cattiva luce Dario.
«Ma ho fatto bene a perdonarlo,» dissi con un sorriso. «Ha capito il suo errore e infatti ha detto la verità ad Adriano.»
«Tu sei troppo buona, Alice,» sospirò passandosi una mano sulla nuca. «O troppo innamorata, dipende. Lui ti ha calpestata senza ritegno, si è preso gioco di te e nonostante questo sei tornata da lui solo con la speranza che lui capisse il suo errore.»
«L'amore rende stupidi, a quanto pare,» scrollai le spalle. «Ma l'importante è che tutto si sia sistemato e che lui abbia smesso di mentire agli altri e a se stesso.»
Accennai un sorriso e lo superai per poter uscire da quella stanza e scendere al piano inferiore dove mi stava di sicuro aspettando Dario. Ma Mauro mi fermò e i nostri sguardi entrarono in contatto ancora una volta. Un brivido mi percorse la schiena, seguendo poi qualsiasi nervo del mio corpo e facendomi fremere. Se solo i suoi occhi riuscivano a farmi questo effetto ero davvero messa male.
«Tu non te ne rendi ancora conto, ma Dario ti ha in pugno. Potrebbe farti qualsiasi cosa, potrebbe anche tradirti con centinaia di donne e chiederti Scusa che tu crolleresti tra le sue braccia,» disse, e quelle parole furono così vere che mi turbarono. Amavo talmente tanto Dario che gli avrei perdonato tutto pur di non perderlo e questa non era una cosa positiva.
La voce del cantante arrivava fino alla nostra stanza, anche se molto flebile. Mauro passò una mano dietro la mia schiena e mi attirò a lui, cominciando a muoversi al ritmo di Careless Whisper di George Michael.
«Riprendiamo da dove abbiamo interrotto prima,» bisbigliò al mio orecchio e la sua voce fioca m'incendiò.
Quanto ancora avrei resistito a lui? Ormai anche il mio cuore sembrava essersi arreso al fatto che provassi un'intensa attrazione verso di lui tanto che batteva talmente forte da sovrastare quasi la canzone. Cosa sarebbe successo se solo avessi avvicinato le mie labbra alle sue, se le avessi sigillate con un innocuo bacio, solo per sentire che sapore avessero? Nulla, tanto era solo un bacio innocente che nessuno avrebbe mai scoperto. Deglutii a fatica e mi alzai sulle punte perché, nonostante i tacchi, Mauro mi sovrastava ancora in altezza. Annullai le distanze tra di noi e finalmente sentii le sue labbra sotto le mie. Erano morbide, erano piene ed erano dolci. Non sapevano di vaniglia, in realtà non era un gusto distinguibile, definibile. Ma sapevo che mi piaceva quel sapore anche più del dovuto e che era scivolato dentro di me guadagnandosi un piccolo posto del mio cuore. Per me quel contatto ero più che sufficiente e mi sarei allontanata da lui se non fosse stato che Mauro affondò una mano tra i miei capelli, spingendomi verso di lui. La sua lingua s'insinuò nella mia bocca e quel contatto mi fece tremare, mi fece desiderare Mauro, ogni cosa del suo corpo e questo non sarebbe mai dovuto accadere. L'unico di cui dovevo sentire la voglia era Dario e già solo pensare di poter fare sesso con un altro che non fosse lui mi faceva sentire sporca, colpevole. Puntai le mani sul suo torace intenzionata a spingerlo via, a non cadere a quella tentazione. Ma quando sentii il suo petto vigoroso sotto le mie dita, quando sentii il suo cuore battere, non riuscii nel mio intento, anzi strinsi il colletto della sua camicia con forza e desiderio. Cominciai a muovere anche io la lingua in modo da lambire la sua, da rendere quello un bacio passionale e trascinante che non voleva essere solo un semplice contatto di lingue e labbra, ma anche qualcosa di più.
Mauro mi cinse la vita senza interrompere quel contatto nemmeno per riprendere aria e mi fece voltare delicatamente, spingendomi poi contro il divano dove mi accomodai. Lui appoggiò un ginocchio accanto alla mia gamba e l'altro tra le mie cosce, piegandosi su di me per continuare a baciarmi. Strinsi alcune ciocche dei suoi capelli neri, suggendo il suo labbro inferiore.
Avrei potuto mentire, dicendo che non sapevo quello che stessi facendo, che era stato lui a indurmi a baciarlo, che ero solo una ragazzina confusa che stava soffrendo a causa del suo ragazzo, ma non era così. Avrei detto una bugia perché io ero consapevole che stessi baciando Mauro, che stessi per farci sesso e tradire così Dario e che lo desideravo in quel momento forse più di quanto avessi voluto il mio ragazzo la prima volta. E mi sentivo in colpa, tremendamente in colpa perché stavo per commettere un errore imperdonabile e perché quello avrebbe significato perdere Dario, in un modo o nell'altro. In realtà, non sapevo nemmeno io cosa provassi per Mauro, non sapevo definire ciò che sentivo per lui. Una volta lo odiavo, dieci secondi dopo mi ritrovavo avvinghiata a lui in cerca del suo calore e dopo poco ero seduta su un divano in un castello a baciarlo, a desiderarlo, a fremere per sentirlo dentro di me.

Mauro si staccò dalle mie labbra e ne approfittammo per riprendere fiato. Potevo scappare, ero sempre in tempo per tornare sui miei passi e lasciare che il sesso con lui rimanesse solo una mia fantasia. Ed invece rimasi lì a fissarlo mentre si toglieva la giacca e la cravatta, lanciandole dietro di lui.

Attesi con impazienza che tornasse a baciarmi, che lui lenisse quell'intenso e doloroso piacere che, dalla mia intimità, si espandeva ad ogni muscolo del mio corpo. Non appena le sue labbra sfiorarono le mie, le sue mani andarono frenetiche a cercare la mia zip per abbassarla lentamente e solleticarmi involontariamente con le sue dita. Ansimai per quel breve contatto e il fuoco che incendiava le mie membra si alimentò, crebbe in me divorando con la sua irruenza il senso di colpa e l'immagine costante di Dario. Non era per nulla un buon segno, quello. Amavo Dario, eppure stavo per fare sesso con suo fratello. Amavo Dario, eppure sentivo il bisogno impellente di Mauro. Non sapevo come interpretare questo mio comportamento e non sapevo nemmeno se quello che stavo per fare, se quello che sentivo per Mauro scaturiva dal mio cuore oppure era solo uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di ripicca al fatto che il mio ragazzo mi avesse ignorata.
Mi abbassò il vestito e lo fece scivolare lungo il mio corpo, lungo le mie gambe fino ad abbandonarlo ai suoi piedi. Ero rimasta solo con gli slip bianchi, e un senso di vergogna nel mostrarmi quasi nuda davanti a Mauro mi colse. Mi coprii il seno con un braccio e mi allontanai dalle sue labbra, rifuggendo dal suo sguardo.
«Non devi vergognarti,» mormorò al mio orecchio e ne mordicchiò il lobo, strappandomi un gemito.
Mi strinse il braccio e, lentamente, lo allontanò dal mio corpo. Arrossii e mi morsi il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Non ero abituata a mostrarmi nuda davanti ai ragazzi. Dario era stato il primo e avevo sempre creduto che sarebbe stato anche l'unico. Ed invece avevo gli occhi di Mauro puntati sul mio fisico e avevo paura del suo giudizio, avevo paura che mi abbandonasse lì come una scema mezza nuda perché non ero attraente e sensuale come credeva. Invece mi sorrise dolcemente e mi divorò con quei suoi occhi resi blu dalla poca luce che filtrava dal corridoio in quella stanza quasi buia.
Si slacciò rapidamente la camicia, stando attento a non far saltare qualche bottone per la foga del momento. Si avventò di nuovo su di me, spingendomi verso il divano e mi ritrovai stesa con lui sopra di me. Una sua mano percorse il mio torace, il mio addome, scivolando tra le mie gambe dove si fermò. Si appoggiò all'interno coscia e la spinse di lato per allontanarla dall'altra e potersi sistemare comodamente tra di esse. Subito sentii il suo desiderio premere contro di me, contro la mia intimità già umida e calda che attendava solo di poterlo accogliere. Scalpitavo, mi muovevo a scatti e i miei baci si facevano sempre più passionali, più violenti perché il piacere che stavo provando era quasi insopportabile ed avevo bisogno che lui mi appagasse, che lui non indugiasse con le mani sui miei seni, ma che entrasse dentro di me. Frenetiche, le mie dita scivolarono sul suo addome a andarono a slacciare i pantaloni di Mauro e si insinuarono dentro di essi. Lo sfiorai dapprima, poi strinsi decisa il suo desiderio nonostante la stoffa dei boxer. Un gemito strozzato uscì dalle sue labbra e fu costretto ad interrompere il nostro bacio per poter riprendere fiato, per deglutire dopo essere stato colto da quel piacere inaspettato. Cominciai a massaggiargli la punta ed i suoi ansimi si fecero ancora più intensi. Ringraziai che ci fosse la musica a coprire la sua voce, anche se avevo il costante timore che qualcuno potesse sentirci, che qualcuno potesse sorprenderci mentre consumavamo quella tentazione.
Sperai con tutto il cuore che capisse il bisogno che avevo di lui, che intuisse che ero pronta ad accoglierlo e a unirmi a lui. Infilai anche una mano nei suoi boxer, così da intensificare il concetto, mentre con l'altra feci una cosa che mai mi sarei aspettata. Mi insinuai nei miei stessi slip per ricavare un po' di sollievo, oltre che di piacere. Appena sfiorai la mia sensibilità, un urlo fuoriuscì spontanea dalle mie labbra e la presa sul desiderio di Mauro si allentò. Socchiusi gli occhi per l'intenso godimento, ma riuscivo comunque a vederlo, a vedere il suo sorriso sornione ed i suoi occhi guardarmi famelico. Tolse la mia mano dai suoi boxer e si inginocchiò davanti a me, tra le mia gambe e mi tolse gli slip mentre io continuavo a sfiorarmi, a contorcermi, a surriscaldarmi per quel piacere che io stessa mi stavo provocando.
«Non fermarti, Alice,» mormorò eccitato nel vedermi percorsa da spasmi di piacere.
Si tolse i boxer, ma non badai nemmeno a dove li lanciò. Ero troppo presa ad esplorare il mio corpo, a godere delle mie stesse dita per notarlo. Strizzai gli occhi quando una fitta di piacere più intensa mi percorse e si trasformò in un gemito gutturale. Inarcai anche la schiena e sollevai il bacino talmente era stata forte e in quel momento Mauro mi afferrò i fianchi, spingendomi verso di lui.
«Sei vergine?» domandò apprensivo ed io, tra uno spasmo all'altro, scossi la testa.
Lui sorrise soddisfatto e si abbassò a recuperare il portafoglio dai pantaloni estraendone un preservativo. Lo fece scivolare lentamente sul suo desiderio e in pochi secondi mi penetrò lentamente. E sentirlo scivolare dentro di me, finalmente, lenì quel dirompente desiderio e saziò la fame che avevo di lui. Allontanai la mano dalla mia intimità, ormai non era più necessaria e mi aggrappai alle sue spalle forti, gemendo contro la sua spalla mentre i suoi ansimi mi riempivano le orecchie. Si muoveva con troppa lentezza, trasformando quell'amplesso in una piacevole tortura, che mi appagava ma non pienamente.
«Ma-Mauro,» ansimai, stringendo le cosce contro il suo bacino.
E fu strano pronunciarlo, sentire un nome che non era di Dario uscire dalla mia bocca. Lo stavo tradendo, stavo facendo sesso con un altro uomo nonostante amassi lui. E questo perché? Solo per un capriccio, perché ero rimasta ammaliata dall'enigmaticità di Mauro e perché ero una cretina. Mi ero lasciata condizionare dalle sue parole, da quell'atmosfera romantica e dalla gelosia per quella dannata Sole. Non provavo nulla per Mauro, solo una forte attrazione e in quel momento sentii il mio cuore parlare distintamente, urlare il nome di Dario nonostante stessi con un altro uomo. E non un ragazzo qualunque, ma addirittura suo fratello, la persona che lui odiava di più al mondo. Il senso di colpa tornò a divorarmi proprio quando Mauro aumentò il ritmo e i miei ansimi aumentarono di intensità, quando mi sentii godere così intensamente per un uomo che non era il mio ragazzo, per qualcuno che non era la persona che amavo, per qualcuno che non sapevo nemmeno cosa sentisse per me, se qualcosa di profonda o il nulla più totale. Mentre noi stavamo facendo sesso, probabilmente, Dario era seduto al tavolo e si chiedeva che fine avessi fatto. Magari credeva che fossi andata in bagno o che mi fossi intrattenuta a guardare il lago di Bracciano. In qualsiasi caso, lui si fidava di me ed io stavo tradendo la sua fiducia. Come avrei fatto a continuare a guardarlo negli occhi facendo finta di nulla? Come potevo lasciare che lui mi amasse dopo che mi ero sporcata così, dopo che la mia anima era stata marcata con una specie di lettera scarlatta? Per di più vivevo nella stessa casa di Mauro e ogni volta che lo avrei rivisto, avrai rivissuto questa serata, ricordandomi quanto fossi puttana. Perché sì, Dario era stato un bastardo con me, ma aveva rimediato, aveva compreso il suo errore ed era cambiato per me ancora una volta, mostrandosi a tutti per la persona fragile che era realmente. Io invece ero una puttana che scopava con suo fratello, che si sentiva attratta pericolosamente da lui e che avrebbe ricercato ogni volta che avrei sentito il bisogno di sentire il calore di un uomo. Temevo che quella non sarebbe stata l'unica volta che avrei fatto sesso con Mauro perché era quasi incontrollabile l'interesse che provavo nei suoi confronti e tremendamente piacevole il suo calore.
Mi sentivo uno schifo in quel momento. Avevo ceduto al fascino di due occhi cristallini ed ero caduta in tentazione, come era successo ad Eva. Ed io, come lei, avrei perduto il mio Eden, il mio Paradiso. Avrei perso Dario.










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Innanzitutto vorrei ringraziare IoNarrante che mi ha "prestato" i fantastici personaggi di Tutto per una scommessa. Ovviamente non sono stata in grado di  renderli al meglio ^^ e mi scuso, semmai  facessero schifo.
Btw...capitolo intenso. È entrata in scena la famosa Sole, finalmente e Alice ha vauto il (dis)piacere di conoscerla. La gelosia ha avuto il sopravvento su Alice anche perché Dario sembrava avere occhi solo per la sua ex fidanzata. Ma questo non perché sia ancora innamorato di Sole...ma questo lo capirete nella shot di prossima pubblicazione sull'incontro tra Dario e Sole.
La situazione scappa un po' di mano ad Alice, insomma. Le verità sulla vita sentimentale travagliata di Dario non sembra scalfirla, la infastidisce solo il momentaneo allontanamento di Dario. E questo piccolo problema di comunicazione porta una conseguenza disastrosa per la storia d'amore tra Alice e Dario. Alla fine, lei ha ceduto al fascino di Mauro. Ha tradito il suo ragazzo, si è tolta uno sfizio, diciamo, per cui ha sbagliato alla grande questa volta. Questo "piccolo" incidente di percorso lacererà, di sicuro, il rapporto tra Alice e Dario. Chissà, chissà che succederà....*suspense*
Commenti brevi e rapidi, anche perché non so che dire! Credo che si commenti da solo questo capitolo xD sono proprio curiosa di sapere che ne pensate.
Ancora una volta non sono riuscita a rispondere alle recensioni *si frusta*. Ho avuto il parziale di anatomia, per cui non ho avuto tempo. Ed è anche per questo che il capitolo arriva così in ritardo. Spero che il prossimo non debba farvi attendere così a lungo.
Allora, ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, le preferite, le ricordat e anche chi ha solo letto. Ringrazio anche chi ha recensito lo scorso capitolo...vorrei solo informarvi che, grazie a voi, Alice è tra le storie più recensite del sito :3 Thank you so much ♥

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