Capitolo 27
betato
da Nes_sie
Da
quanto tempo ero rinchiusa in quel dannato bagno?
Cinque
minuti, un'ora, tre secoli? Non lo sapevo e non volevo nemmeno guardare
l'orologio per quantificarlo.
Mi
ero rinchiusa in quel bagno dopo essermi rivestita, dopo aver fatto
sesso con
Mauro e non avevo intenzione di uscire da lì e incontrare i
suoi occhi, né
tanto meno di rivedere Dario dopo quello che avevo fatto. Nemmeno io
riuscivo a
capacitarmi di come avessi potuto tradire il mio ragazzo, per giunta
con suo
fratello, con la persona che lo feriva in continuazione e che godeva
nel
vederlo soffrire. Era stato più forte di me, non ero
riuscita a controllarmi
con Mauro e per giunta mi ero donata a lui con una
semplicità spiazzante che mi
faceva sentire ancora di più in colpa, che mi faceva sentire
ancora più sporca. Non
sapevo nemmeno che cosa
provasse lui per me, se sentisse davvero qualcosa o io fossi solo un
suo
passatempo. Ma io non lo amavo, perché il mio cuore
apparteneva solo ed
esclusivamente a Dario.
Non
solo mi sentivo una merda in quel momento, ma avevo anche tanta, troppa
paura
di poter ricascare tra le sue braccia. Non sentivo nulla per lui, ma
non mi era
indifferente. Aveva un fascino magnetico, quasi diabolico, che mi
attirava a
lui, che mi costringeva a cercare il suo sguardo quando non trovavo
quello di
Dario, che mi obbligava a cercare il suo calore e il suo odore quando
erano
assenti quelli di Dario.
Tirai
su con il naso e mi asciugai il viso solcato dalle lacrime con un pezzo
di
carta igienica. Ormai avevo quasi finito il rotolo e di sicuro il mio
volto
doveva somigliare a quello di un pagliaccio con tutto il trucco
sbavato. Che
cosa avrei fatto dopo? Come mi sarei dovuta comportare con Mauro e
soprattutto
con Dario? Se avessi potuto, avrei fatto di tutto pur di tornare
indietro nel
tempo e fermarmi prima di fare sesso con il più grande dei
fratelli Vitrano. Ma
nessuno, mio malgrado, era ancora riuscito ad inventare la macchina del
tempo,
per cui avrei dovuto convivere con il rimorso di aver tradito il mio
ragazzo,
la persona che più amavo. L'unica cosa che potevo fare era
far finta di nulla,
comportarmi come se nulla fosse successo con la speranza che Dario non
lo
venisse a sapere, con la speranza che Mauro mi evitasse e non dicesse
nulla a
suo fratello.
Qualcuno
bussò alla porta, facendomi sobbalzare e alzare lo sguardo
verso la porta del
bagno. Il battito cardiaco aumentò la sua corsa ed era come
se il cuore mi
fosse salito in gola. Avevo paura che fosse Mauro o, peggio, Dario e
non sapevo
come affrontare la situazione, non avrei avuto il coraggio di guardarli
negli
occhi.
«È
occupato?» domandò una voce femminile e mi sentii
sollevata nel sapere che non
fossero quei due.
«Ho
quasi finito!» esclamai scattando in piedi dal bordo della
vasca.
Mi
asciugai velocemente gli occhi con i palmi delle mani e mi sistemai il
trucco
alla bell'e meglio, togliendo con un po' di carta bagnata il rimmel e
la matita
colante sulle guance. Mi diedi una sciacquata veloce al viso e, anche
se avevo
ancora un'espressione distrutta, uscii dal bagno senza nemmeno guardare
il
faccia la ragazza o signora che necessitava del bagno.
Mi
pentii di essere uscita dall'unico posto sicuro in quel castello quando
mi
ritrovai di fronte Mauro, appoggiato con la schiena alla parete di
fronte al bagno
come se mi stesse aspettando. Non disse nulla, mi scrutò
solo con i suoi occhi
azzurri e non ghignò nemmeno, stranamente. Abbassai subito
lo sguardo cercando
di evitare il suo, ma quello non bastò a farmi ricordare il
nostro momento di
passione. Mi incamminai per il lungo corridoio a passo svelto, quasi
correndo
per sfuggire alla presenza di Mauro. Non mi fermò, non
tentò di parlarmi,
rimase solo fermo appoggiato a quella parete.
Scesi
rapidamente le scale, con il cuore che mi martellava nel petto e stava
quasi
per esplodere. Avrei voluto scappare da lì, allontanarmi da
Roma e tornarmene a
Milano senza nemmeno dare spiegazioni perché sarebbero state
troppo dolorose
per il mio Dario. Anche l'unica persona di cui si fidava, l'unica che
lo amava
e che lo faceva sentire importante lo aveva pugnalato con
brutalità. Non
avrebbe retto ad un colpo duro come il mio tradimento, ne ero
più che sicura.
Non
appena entrai nella sala del ricevimento, nonostante la gente che stava
danzando, vidi subito il mio Dario che si guardava
intorno quasi
spaesato, facendosi spazio tra la folla che gli impediva il passaggio.
Mi stava
cercando, ne ero certa. Il mio cuore, nonostante la morsa che lo aveva
intrappolato, cominciò a battermi furioso nel petto non
appena lo vidi, non appena
sentii il bisogno di abbracciarlo e guardarlo negli occhi. Non potevo
scappare,
non dal mio Dario. Lo avevo tradito, ma non con il cuore
perché io amavo solo
lui. Non era una giustificazione per quello che avevo fatto, era solo
una frase
che avrei dovuto ripetermi ogni volta per non sentirmi in colpa.
Corsi
verso di lui, spintonando chi cercava di ostacolarmi e lo abbracciai
con tutta
la forza che potevo, lo strinsi a me come se non volessi farlo scappare
e Dario
rimase sorpreso sia dal mio arrivo sia dalla foga con cui mi ero
avvinghiata a
lui.
«Alice»
mormorò stringendomi e baciandomi tra i capelli .
Affondai
il viso nella sua camicia bianca, stringendogli la giacca dietro la
schiena.
Lui era ignaro di tutto, non si era nemmeno reso conto che io lo avevo
pugnalato alle spalle, non sapeva che la sua ragazza, in
realtà, era solo una
sgualdrina qualunque. Così mi sentivo in quel momento, una
puttana, una stronza
puttana che rischiava di mandare tutto all'aria, di perdere l'unico
ragazzo di
cui si fosse innamorata veramente in diciotto anni di vita.
«Ti
amo, Dario» gli dissi con un filo di voce e con un velo di
lacrime che mi
copriva gli occhi «Ti amo da morire».
«Anche
io ti amo» rispose lui con la stessa tonalità.
Mi
staccai dal suo torace e appoggiai le mani sul suo petto, stringendo la
stoffa
leggera e sgualcita della sua camicia.
«Scusami
Dario» mormorai.
Non
sapevo nemmeno io perché gli avevo detto quelle parole. La
mia bocca si era
mossa da sola e la voce mi era uscita spontaneamente, senza che il mio
cervello
le guidasse. Dario, che sembrava abbattuto, quasi intuisse quello che
gli avevo
fatto, abbassò un sopracciglio e mi guardò
dubbioso.
«Per
cosa?»
Come
avrei potuto rispondere alla sua domanda? Scusami perché ti
ho messo le corna
con tuo fratello? Scusami perché tu ti fidavi di me ed io ho
scopato con Mauro?
Deglutii a fatica, sentendo anche le orecchio schioccare come se mi
trovassi in
aereo. Socchiusi gli occhi e non sapevo per frenare le lacrime che
volevano
uscire ancora o perché non riuscivo ad affrontare lo sguardo
afflitto di Dario.
«Se
sono sparita così» mentii con tono poco deciso.
«Scusami
tu» disse mordendosi il labbro inferiore «Che ti ho
lasciata da sola».
Possibile
che avesse intuito qualcosa? Possibile che i suoi occhi riuscissero a
scavare
nel mio animo così profondamente da capire che c'era
qualcosa che non andava in
me? Che molto probabilmente lo avevo ferito?
Appoggiai
una mano sulla sua guancia per poterlo accarezzare e lui mi
accennò un sorriso,
senza però quella sua tipica luce negli occhi che li faceva
risplendere.
Eravamo entrambi tristi, io perché lo avevo tradito e Dario
perché aveva
intuito che in me c'era qualcosa che non andava, che avevo combinato
qualcosa
di grave. Mi avvicinai a lui per baciarlo, stringendo con forza alcune
ciocche
dei suoi capelli. Avevo ancora in bocca il sapore dolciastro, che mi
ricordava
vagamente la cannella, di Mauro che non mi permetteva di gustarmi
appieno le
labbra di Dario. Inorridii nel sentire quel sapore sconvolgere le mie
papille
gustative, nel comprendere che Mauro era entrato a far parte di me, in
un modo
o nell'altro, guadagnandosi un posto nei miei pensieri. Se prima c'era
solo
Dario nella mia mente, in quel momento non riuscivo a togliermi dal
cervello
l'immagine perfetta di Mauro, del suo corpo caldo su di me, delle sue
labbra
che lambivano la mia pelle e ancora mi rimbombava nelle orecchie la sua
voce.
Non capivo il motivo per il quale Mauro mi stesse sconvolgendo in
quella
maniera e nemmeno perché si fosse insinuato nella mia mente,
si era infiltrato
come acqua sorgiva nei mie pensieri.
La
lingua di Dario cercò la mia, ma non con la stessa passione
come era solito
fare. E nemmeno io ero così presa da quelle effusioni come
le volte precedenti.
Ero assente, stavo pensando a quello che era successo, a Mauro e mi
stavo
maledicendo di aver fatto sesso con lui, di avergli permesso di
rovinare quello
che stavamo piano piano recuperando io e Dario.
Quel
bacio era anonimo, non sapeva di noi, non aveva sapore, se non quello
di
cannella di Mauro. Era come se io e Dario fossimo due estranei che si
stavano
baciando perché obbligati da uno stupido gioco e da una
stupida bottiglia. Non
eravamo Dario e Alice, non eravamo due innamorati. Eravamo il nulla, il
vuoto e
tutto quello era per colpa mia. Sicuramente anche Dario aveva percepito
la mia
assenza, l'inconsistenza di quel bacio ma non lo diede a vedere.
«Che
ne dici di andare a casa?» proposi, perché non
sarei riuscita a rimanere in
quel castello ancora per molto.
«Non
hanno ancora servito la torta» obiettò senza
convinzione.
Lanciò
uno sguardo alle sue spalle, come se stesse cercando qualcuno, forse
gli sposi,
poi tornò a guardare nei miei occhi. I suoi erano spenti,
quasi come se nuvole
nere e minacciose avessero coperto quel cielo notturno, le stelle che
lo
illuminavano.
«Sì,
forse è meglio andare» concordò in un
soffio «Salutiamo Teresa e lo sniffatore
e andiamo».
Intrecciò
le sue dita con le mie e camminammo tra la gente alla ricerca degli
sposi.
Passammo anche accanto a nostro tavolo e Dario lanciò
un'occhiata che non seppi
decifrare verso Sole, salutandola poi con un gesto della mano. Se non
fossi
stata così abbattuta, probabilmente, l'avrei guardata in
tralice e le avrei
mandato ogni sorta di maledizione. Ma non riuscivo nemmeno ad essere
gelosa per
quanto mi sentivo uno schifo.
Teresa
e Tommaso erano seduti al loro tavolo, intenti a parlare tra loro a ridacchiare. L'immagine
di me e Dario in
vesti da sposi sbiadì piano piano. Se lui avesse scoperto il
mio tradimento,
potevo benissimo scordarmi l'abito bianco e la cerimonia.
«Io
e la mia ragazza andiamo a casa» disse Dario, grattandosi la
nuca.
«Di
già?» chiese dispiaciuta Teresa.
«Non
volete rimanere per il taglio della torta?» intervenne anche
Tommaso.
«Siamo
molto stanchi» rispose il mio ragazzo «Ci
piacerebbe davvero rimanere, ma non
mi reggo nemmeno in piedi».
«Ah»
disse solamente Teresa. «D'accordo» e ci sorrise.
«Ci
ha fatto piacere avervi qui, comunque» le fece eco Tommaso,
alzandosi per
salutarci con un stretta di mano e dei baci sulle guance «La
bomboniera la
daremo a tua madre» lo informò poi e Dario
annuì senza entusiasmo.
Le
sensazioni di entrambi riguardo a quel matrimonio erano vere. Quella
era stata
una giornata davvero orribile, soprattutto la sera. Mano nella mano,
camminammo
verso l'uscita del castello e, mentre la raggiungevamo, incontrammo
Mauro che
camminava nella direzione opposta alla nostra. I miei occhi si
incollarono ai
suoi nei quali, ancora, scorrevano le immagini della nostra passione.
Il mio
cuore smise di battere quando Mauro posò lo sguardo su
Dario, ritrovando il suo
ghigno bastardo. Ebbi paura che rivelasse tutto a Dario, che gli
spiattellasse
in faccia che la sua ragazza fosse una poco di buono. Invece ci
superò ed io lo
seguii con lo sguardo. Si voltò verso di me, sorridendomi
malizioso e
lanciandomi un bacio con la punta delle dita. Mi strinsi maggiormente a
Dario,
nascondendo il viso in fiamme e rosso più di un peperone
nella camicia del mio
ragazzo che mi accarezzò la nuca, ignaro di tutto il tumulto
che si era creato
in me, ignaro del fatto che Mauro si fosse insinuato nella mia mente e
che
rischiava di scorrere nelle vene e raggiungere le crepe del mio cuore.
Il
viaggio in macchina durò relativamente poco. Nessuno dei due
aveva aperto bocca
durante il tragitto, solo la musica ci ricordava di essere ancora vivi,
ancora
sulla Terra. Io ero troppo presa a pensare a Mauro e alla maledizione
che mi
aveva lanciato con i suoi occhi. Più cercavo di allontanarlo
dai miei pensieri,
più lui ritornava. Perché, se non provavo nulla
per lui, non riuscivo a
togliermelo dalla testa? Era strano quello che sentivo per lui, qualcosa di
indecifrabile. Non era
amore, non era odio. Era una sorta di attrazione fisica, una pericolosa
attrazione fisica condita con un irrefrenabile voglia di lui.
Arrivammo
a casa che era l'una di notte passata. Ci spogliammo rapidamente,
preparandoci
per la notte e ci stendemmo del letto. Mi adagiai con il viso sul suo
petto
nudo, sentendo il battito del suo cuore, e cominciai a disegnare alcuni
cerchi
sul suo torace con la punta delle dita. Stavo bene tra le sue braccia,
il suo
calore riuscì per qualche attimo a lenire quel senso di
colpa che provavo. Era
tutto sbagliato, lo sapevo, dal sesso con Mauro al mio fare finta di
niente e
stare abbracciata al mio ragazzo. Ma se gli avessi detto che lo avevo
tradito,
lo avrei perduto e non potevo permettere che questo accadesse. Mauro
era solo
uno sfizio, mentre Dario era la mia vita. Se invece avessi continuato a
far
finta di nulla, il rimorso mi avrebbe divorata dall'interno. Come
potevo vivere
sapendo di aver tradito la persona che amavo? Come potevo vivere
sapendo di
aver tradito la sua fiducia?
«Alice»
mormorò lui, giocando con alcune ciocche dei miei capelli.
«Mmmm»
mugugnai con gli occhi chiusi, strusciando la guancia sul suo petto e
accarezzandogli un fianco.
«Lo
sai che giorno è oggi?»
«Il
sedici luglio» mormorai lasciandogli un bacio all'altezza del
cuore.
«E...»
incalzò lui.
«E
si è sposata tua cugina» sospirai e mi sistemai
meglio sul suo petto, mentre lui
ridacchiava.
«Oggi
è un mese che siamo fidanzati» mi
ricordò e io alzai il viso verso di lui.
Stava sorridendo e sembrava aver ritrovato un po' di quella
serenità che
distingueva i suoi occhi.
«Oddio...
è... è vero» mormorai sorpresa
più che altro perché non mi ero ricordata una
cosa tanto importante. Ma quel giorno era stata talmente presa da Mauro
che mi
ero dimenticata il nostro primo mesiversario.
«Un
mese di noi, piccola mia» disse, con poco entusiasmo
«Ti amo» aggiunse ancora
con lo stesso tono preoccupante.
«Anche
io» risposi ed abbozzai un sorriso falso, solo per
rassicurarlo. «Ogni giorno
di più».
Ebbi
come la sensazione che qualcosa si fosse spezzato tra di noi, l'armonia
che
eravamo riusciti a trovare ora mi pareva solo un'accozzaglia di suoni
insopportabile per i miei timpani. Mentre ci guardavamo negli occhi non
ritrovai la stessa passione che c'era qualche giorno prima, anzi c'era
un
immenso abisso che stava cercando di risucchiarci. Molto probabilmente
la colpa
era solamente mia. Dario aveva intuito il mio malessere e il mio
disagio, forse
sospettava che mi fosse capitato qualcosa ma non aveva il coraggio di
chiedermelo. E il mio stato d'animo aveva influenzato anche lui,
l'aveva
risucchiato in quel
vortice di
tristezza.
Mi
sporsi verso di lui e lo baciai, cercando in quel contatto un po'
dell'amore
che sembrava perduto. Ma come poco prima, non sentii nulla se non uno
sgradevole senso di colpa che risaliva lungo le mie membra e mi
impediva di
poter lasciarmi andare completamente al mio ragazzo. Quando mi
allontanai dalle
sue labbra ci guardammo negli occhi. Ogni volta che quelle iridi nere
mi
scrutavano con la loro profondità avevo come la sensazione
che riuscissero a
leggermi dentro. Abbassai istintivamente ed insensatamente lo sguardo,
intimorita
dal suo che poteva scavarmi l'anima. Era diventato quasi insostenibile
riuscire
a guardarlo troppo a lungo negli occhi dopo che lo avevo pugnalato alle
spalle
con suo fratello. E temevo che quella situazione potesse essere
permanente, che
non potessi più guardare nei suoi occhi senza sentirmi una
schifezza. Mi
accoccolai sul suo petto, sul suo cuore che batteva all'impazzata come
se fosse
teso e ansioso. Non ci diedi molto peso perché la sua mano
cominciò a
scompigliarmi i capelli mentre l'altra mi accarezzava un fianco.
«Domani
partiamo, che ne dici? Diciamo addio a Roma e non ci torniamo
più» mi propose.
Mi
sollevai un tantino, appoggiandomi con il gomito al letto, ed annuii.
Volevo
andarmene da quella città e dimenticare tutto, chiudere
definitamente quel
capitolo, bruciarlo e farlo sparire per sempre dal libro della mia vita
e
cominciarne a scriverne uno nuovo senza Mauro, senza complicazioni.
Solo io e
Dario saremmo stati i protagonisti di questa nuova storia. Lo baciai a
fior di
labbra e lui sorrise quasi si fosse liberato di un peso. E speravo
davvero che
l'aria fredda di Milano, il suo cielo grigio, potesse aiutarmi in
questa
impresa, nel ritrovare tutti i pezzi in cui avevo frantumato la nostra
storia e
rimetterli assieme per ricostruirla.
«È
la mia città, ma ogni volta che ci torno, ho una nuova
ferita. È una sorta di
maledizione, come se Roma mi odiasse e mi stesse cacciando facendomi
soffrire»
disse mestamente. Mi si strinse il cuore sentirlo parlare in quel modo,
così lo
strinsi ancora di più a me e sentii per un attimo la stessa
complicità che ci
aveva sempre legato.
«L’altra
sera ho parlato con mio padre» mi confidò con un
filo di voce, appena udibile.
«Di
cosa avete parlato?» gli domandai, accarezzandogli il petto.
«Ho
finalmente trovato il coraggio di chiedergli del perché
Nicoletta e Mauro mi
odiano» rispose flebilmente. Deglutì rumorosamente
e fece una lunga pausa,
seguito da una risata amara «Forse sarebbe stato meglio non
saperlo» tacque
ancora e mi accarezzò una spalla, per poi riprendere dopo
poco. «Nicoletta
aveva ricevuto un’offerta di lavoro da uno dei più
grandi ricercatori del mondo
e avrebbero dovuto trasferirsi tutti a Seattle. Quando però
ha scoperto di
essere incinta del sottoscritto, il medico americano le ha detto che
poteva
benissimo starsene a Roma perché non aveva bisogno di una
donna gravida nel suo
team» respirò profondamente e giocò con
una ciocca dei miei capelli. «Era il
suo sogno e l’ha visto infrangersi. Così
è caduta in depressione e da allora ha
dovuto aspettare molti anni perché riprendesse a lavorare.
Per questo non mi ha
mai accettato. Poi ho fatto i miei casini durante
l’adolescenza che non ha
aiutato a sistemare la situazione».
«E
Mauro?»
«Lui
vedeva Nicoletta piangere e la colpa era mia. Per cui ha cominciato ad
odiarmi
perché facevo soffrire la mamma».
«Tutto
questo è ridicolo!» sbottai scioccata.
«È
la stessa cosa che dice mio padre. Ha sempre cercato di farglielo a
capire sia
a mia madre che a Mauro, ma nessuno dei due gli ha mai dato
retta».
«Se
avessero ragionato per un attimo, capendo che non era affatto colpa
tua,
avrebbero conosciuto la persona splendida che sei».
Sollevai
lo sguardo verso il suo e mi stupii di come riuscii a mantenerlo fisso
per più
di un minuto. In quel momento non dovevo avere timore dei suoi occhi,
dovevo
solo fargli capire che io ero accanto a lui, dovevo fargli sentire la
mia
presenza. Dario scosse la testa e socchiuse gli occhi. Le palpebre gli
tremarono e mi baciò in fronte, stringendomi ancora
più forte a lui con
entrambe le braccia.
«Non
sono affatto una persona splendida».
Quella
frase mi lasciò interdetta ma non ebbi il tempo di dire
nulla che Dario mi
baciò con passione e trasporto, con lo stesso fuoco che
credevo di aver perduto
in quelle ore. Mi insospettì il suo comportamento, ma non ci
diedi molto peso.
Mi concentrai solo su noi due, su quel bacio che sapeva finalmente di
noi e che
mi rasserenò. Poi ci addormentammo, stretti l’uno
all’altro.
Quando
mi svegliai, Dario era già andato alla redazione di Radio
Deejay. Tutta la
mattina rimasi da sola: i tre medici avevano il turno in ospedale,
Consuelo era
fuori per negozi e mercati per rifornire al dispensa. Per cui mi
rilassai, per
quanto potesse essere possibile in una situazione del genere. Feci
colazione
con tranquillità con una brioche della Mulino Bianco e un
po' di caffelatte,
poi una doccia fresca. Rimasi sotto il getto d'acqua per più
di mezz'ora,
lasciandomi accarezzare dall'acqua e sgomberando la mente da qualsiasi
pensiero. Mancavano poche ore e potevo finalmente lasciarmi alle spalle
tutto,
tornare nella mia città e vivere serenamente con Dario,
senza più il terrore di
Mauro che incombeva su di me.
Guardai
un po' di televisione in attesa che Dario finisse il suo turno in radio
e
tornasse a casa. Avevo bisogno di passare un po' di tempo con lui e
cominciare
fin da subito a incollare i pezzi della nostra storia. Ma Dario non
arrivò
nemmeno per pranzo e mi ritrovai a mangiare da sola il merluzzo al
limone che
aveva preparato Consuelo. Mi preoccupava il fatto che Dario non fosse
tornato a
casa. Solitamente dopo circa un'ora dalla fine del suo programma in
radio era
da me. Invece quel giorno non arrivò, nemmeno nel primo
pomeriggio. Pensai che
potesse essere andato a mangiare un boccone con Adriano visto che tra
meno di ventiquattro
ore saremmo partiti e magari voleva salutarlo, ma non mi aveva nemmeno
avvisato. In compenso, verso le due, arrivò Mauro. Non mi
degnò nemmeno di uno
sguardo, salì subito al piano superiore con la sua valigetta
nera stretta in
mano. Meglio così, pensai. Più lui mi stava
lontano, meglio era.
Con
un po' d'apprensione, dopo aver visto i cartoni animati in televisione,
andai
in camera. Dario non si era fatto sentire tutto il giorno e cominciai a
pensare
che il suo allontanamento fosse dovuto al comportamento strano e
ambiguo che
avevo tenuto la sera prima. Con un po' di ottimismo sperai che avesse
solo
bisogno di un po' di tempo da solo per riflettere, per capire cosa mi
fosse
preso. O, meglio ancora, che stesse girando per Roma solo per dirle
addio.
Scrollai la testa e presi dall'armadio il mio trolley rosa per
cominciarlo a
riempire dei miei vestiti.
Avevo
sempre odiato preparare i bagagli e il più delle volte era
mia madre che si
prendeva questa responsabilità. Ma in
quell’occasione non vedevo l’ora di
ficcare tutta la mia roba nelle valigie e scappare lontano, insieme a
Dario
e dimenticare per
sempre quello che era
accaduto a Roma. Mi sarei lasciata tutto alle spalle e sarei tornata la
stessa
Alice di sempre, felice di avere accanto un ragazzo straordinario come
Dario.
Svuotai
l’armadio dei miei vestiti e li gettai alla rinfusa sul
letto, piegandoli in
maniera pietosa e riempiendo la valigia alla bell’e meglio
come se completarla
velocemente avrebbe anticipato il momento del ritorno a casa. Ma
purtroppo
avrei dovuto attendere fino al mattino successivo e nelle ore che mi
separavano
dal viaggio sarebbe potuto accadere di tutto. Ogni secondo era buono
per
sperare che Mauro rimanesse al suo posto e non rivelasse nulla a Dario,
che si
facesse gli affari suoi e ci facesse recuperare quello che io e Dario
stavamo
piano piano perdendo.
«E
così domani ve ne andate».
La
voce di Mauro mi sorprese alla spalle, così mi voltai di
scatto con il cuore
che martellava sulle costole e con una maglietta stretta in mano.
Intercettai
il suo sguardo sornione e il suo ghigno soddisfatto, per poi tornare a
soffermarmi sui miei bagagli imponendo a me stessa di ignorarlo.
«Te
ne ritorni a Milano e ti lasci alle spalle tutto quello che
è successo a Roma,
vero?» domandò ironico.
Aveva
ragione, era in grado di leggermi nel pensiero e questo mi
terrorizzava. Si
avvicinò a me con una mano ficcata nei pantaloni scuri e
sollevò una mia
camicetta azzurra a mezze maniche, esaminandola da cima a fondo prima
di
piegarla ordinatamente e adagiarla nella valigia. Anche quella volta
evitai di
rispondergli e di guardarlo negli occhi.
«Lo
sai che non si lasciano in sospeso le situazioni? Bisogna sempre
risolvere»
continuò imperterrito, continuando a prendere i miei vestiti
e ad aiutarmi a riempire
il trolley.
Gli
strappai dalle mani un paio di pinocchietti di jeans e li gettai alla
rinfusa
nella valigia, trovando un briciolo di coraggio per guardarlo negli
occhi.
Appena incontrai i suoi occhi, però, un magone mi strinse la
gola impedendomi
di respirare. Anche deglutire fu inutile perché quel groppo,
più lo
inghiottivo, più si intensificava.
«Si
può sapere che cosa vuoi da me?» domandai
nervosamente.
«Parlare»
rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Incrociò
le braccia e sorrise divertito davanti alla mia incapacità
di piegare i panni e
di fronte alla mia espressione falsamente orgogliosa. In
realtà, ero intimorita
e intimidita dalle sue intenzioni. Avevo la sgradevole sensazione che
stava
tramando qualcosa, qualcosa che avrebbe sconvolto tutto.
«Io
non ne ho voglia» risposi e la voce traballante che
uscì dalle mie labbra era
ben lontana da quella perentoria che mi ero immaginata.
«Come
vuoi» scrollò le spalle «Riguardava
Dario, ma se non hai voglia di parlare con
me…» affondò le mani nelle tasche e si
diresse lentamente verso la porta.
Le
mie mani diventarono molli e il paio di pantaloni che stavo piegando
cadde sul
letto. Sentire il nome di Dario pronunciato da lui mi fece tremare e
per poco
anche le gambe non cedettero.
«Che
cosa c’entra Dario?» domandai. Ero talmente agitata
che riuscivo a sentire il
battito accelerato del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Mauro
si voltò con un ghigno soddisfatto, quasi non aspettasse
altro che parlare con
me di suo fratello. Camminò su e giù per la
stanza ed il ticchettio delle sue
scarpe sul parquet aumentarono la mia ansia. Non parlò per
un paio di minuti
forse perché si divertiva a torturarmi in quel modo. Ogni
secondo che passava
mi prosciugava un briciolo di forza, ogni secondo che trascorreva
risucchiava
un po’ del mio ossigeno, ogni secondo che passava sentivo i
muscoli sempre più
affaticati.
«Che
cosa c’entra Dario?» riformulai la domanda a denti
stretti.
«Gli
ho raccontato di ieri sera» disse con ovvietà.
Il
mio cervello immagazzinò quella frase, la ripeté
un paio di volte come se
volesse verificare che le parole pronunciate da Mauro fossero proprio
quelle.
Dapprima mi rifiutai di credere che lui avesse rivelato la
verità a Dario, non
volevo arrendermi all’idea che ormai lo avessi perduto. Ma
furono necessari
solo pochi secondi perché prendessi coscienza della
realtà e realizzassi quello
che aveva appena detto Mauro. Avrei voluto urlargli contro tutta la mia
rabbia,
prenderlo a sberle e a calci, ma le forze mi aveva completamente
abbandonata
nel momento in cui l’immagine di Dario che apprendeva la
notizia del mio
tradimento si figurò nella mia mente. Deluso, frustrato e
ferito. Così lo
immaginavo, mentre prendeva a calci una parete in mattoni da qualche
parte
nella città con un tappeto di mozziconi di sigarette attorno
ai piedi.
Mi
accasciai sul letto con lo sguardo catatonico perso nel vuoto e con
quel
fastidioso magone in gola pronto ad esplodere e coinvolgere nel suo
disastro
anche il mio cuore.
«Mi
è sembrato giusto che sapesse la
verità» la voce di Mauro mi arrivò alle
spalle, ovattata, come se le mie orecchie tentassero di estraniarlo dal
mio
mondo ormai distrutto.
Avevo
davvero sperato e creduto che Mauro si sarebbe fatto da parte e che ci
avrebbe
permesso di vivere la nostra storia serenamente. Ma rivelare al suo
odiato
fratello quanto fosse puttana la sua ragazza era un’occasione
troppo ghiotta
per non essere sfruttata. Ero stata io una sciocca a pensare di poter
riprendere in mano la relazione con Dario e condurla verso il tanto
agognato
lieto fine che andavo cercando disperatamente.
«Per
una volta mi sono comportato da bravo fratellone. Non volevo che si
sentisse
totalmente in colpa se la vostra storia fosse finita»
continuò imperterrito.
Seppur
il mio cervello stesse cercando di isolarmi da quella stanza, non
riuscii a
rimanere indifferente riguardo all’ultima affermazione di
Mauro. Mi voltai
verso di lui e lo guardai sconvolta, distrutta, con gli occhi
annebbiati dalle
lacrime ed ora anche dubbiosa. Non fu necessario porgli domande, la mia
espressione era già abbastanza eloquente. Tirò
fuori dalla tasca il suo
cellulare, smanettò con i tasti e me lo passò con
il suo solito ghigno
trionfale. Guardai il telefonino ed ebbi voglia di sbatterlo a terra e
distruggerlo, convinta com’ero che lui si stesse solo
prendendo gioco di me.
«Fai
partire il video» mi disse.
Anche
se con qualche remora, obbedii alla sua richiesta. Il cuore mi stava
letteralmente scoppiando nel petto per la tensione, così
come gli occhi pronti
a scoppiare in un pianto. Non mi aspettavo nulla in particolare dal
video che
stavo per guardare, ma non avrei mai immaginato di vedere certe scene
scorrere
sotto i miei occhi. Niente sarebbe stato in grado di prepararmi a
quella
tremenda bastonata. Il video durava all’incirca cinque minuti
e l’immagine non
era delle migliori, ma abbastanza decente da poter riconoscere Dario e
Sole in
atteggiamenti intimi. Ci eravamo traditi a vicenda, quasi nello stesso
momento,
sintomo che qualcosa tra di noi non funzionava come avrebbe dovuto. Ci
amavamo,
eppure non avevamo esitato nemmeno un secondo a fare sesso con altre
persone.
Lui perché probabilmente sentiva ancora qualcosa per Sole,
io solo per un
capriccio, uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di vendetta nei
confronti
di Dario che mi aveva abbandonata durante il ricevimento.
«Era
giusto che tu sapessi quello che era successo. Così come era
giusto che lo
sapesse Dario. Almeno potrete capire cosa c’è che
non va» disse Mauro, questa
volta con tono molto più dolce.
Mi
sfilò il cellullare dalle dita lentamente. Non feci niente
per trattenerlo, ero
paralizzata ed incredula, ancora con quei cinque minuti di filmato che
rimbalzavano nella mia mente. Mauro uscì dalla stanza,
lasciandomi da sola con
la mia disperazione. Non sapevo se avercela con lui per aver rivelato
ad
entrambi il tradimento dell’altro pregiudicando la nostra
relazione o
ringraziarlo per avermi posto nella condizione di riflettere su
ciò che avevamo
sbagliato, sul perché ci eravamo spinti così
tanto oltre.
Gli
occhi cominciarono a pungere, s’inumidirono e il groppo che
avevo in gola era
pronto ad esplodere. Ma la consapevolezza di aver definitivamente perso
Dario
mi aveva prosciugata. Non avevo più forze, non sentivo la
rabbia crescere in me
e non riuscivo nemmeno a piangere talmente ero sconvolta. Rimasi
perciò seduta
sul letto per un tempo indefinibile, che non seppi quantificare. A me
parve
quasi un’eternità, magari però erano
passati solo una ventina di minuti oppure
un paio d’ore. E mentre rimanevo immobile, rannicchiata su me
stessa, la mia
mente si perse nei meandri dei ricordi, di tutti gli attimi condivisi e vissuti con
Dario, dei nostri
sguardi che si rincorrevano bramosi e dei nostri baci che si
susseguivano con
crescente e delirante passione. Con lui avevo vissuto i giorni
più intensi
della mia monotona vita, l’aveva riempita con la sua presenza
e le aveva dato
finalmente un senso. Dario era stata la scossa di terremoto che aveva
sconvolto
il mio piccolo mondo di ragazzina immatura e ancora un po’
bambina, mi aveva spinta
a vivere davvero la vita, a provare emozioni forti e reali. Forse
troppo in
fretta, forse quando quella ragazzina di nome Alice non era ancora
pronta a
farsi travolgere da un’ondata così violenta di
sentimenti e dolore. La mia vita
si era trasformata in troppo poco tempo, passando da monotona a vuota a
piena e
troppo intensa. Non ero preparata per essere investita da
un’ondata di emozioni
simili ed ero stata travolta senza che me ne rendessi conto. Nemmeno in
quel
momento sapevo come avrei dovuto comportarmi, se infuriarmi con Dario e
urlargli contro perché mi aveva tradito con Sole oppure
tacere, finire di
preparare la valigia e andarmene. Litigare con lui non avrebbe avuto
alcun
senso. Lo avrei accusato di un errore che avevo commesso anche io, mi
sarei
sfogata su di lui per una colpa che avevamo entrambi. Sarei stata solo
un’ipocrita se mi fossi comportata così. Ma se
fossi scappata senza nemmeno
cercare di chiarire con lui sarei stata una codarda e sarei fuggita dai
suoi
occhi giudicatori, dalle mie responsabilità, dal mio amore.
Trovai
un briciolo di forza in me e mi sollevai dal letto per avvicinarmi al
muro sul
quale Dario aveva appeso le nostre foto insieme. Ne afferrai una, la
prima che
mi era capitata sotto lo sguardo. Ci stavamo baciando, avevamo entrambi
gli
occhi chiusi e anche se era solo un istante inanimato impresso su una
carta
lucida, da quella fotografia traspariva quanto ci amavamo. E mi faceva
male, mi
frantumava il cuore, pensare che avessimo ceduto ad altre due persone
nonostante quello che provassimo l’uno per l’altra.
La mia paura più grande era
che, se anche avessimo chiarito la faccenda, avremmo potuto commettere
entrambi
di nuovo lo stesso errore. Perché nessuno dei due, in fondo,
era ancora pronto
ad amare davvero e farsi amare da un’altra persona, nessuno
dei due era pronto
a lasciarsi andare totalmente ad un sentimento così forte.
Anche mentre pensavo
tutte quelle cose, mentre il mio cuore si polverizzava per la
consapevolezza
che entrambi avevamo contribuito a distruggere la nostra storia, mentre
una
piccola parte di me urlava, in un angolino della mia mente, contro
l’immagine
di Dario, sentivo che l’amavo. Ma l’aver fatto
sesso con Mauro mi aveva fatto
capire che non ero ancora pronta e che avrei potuto commettere lo
stesso errore
ancora, ancora e ancora una volta, nel momento in cui il calore di
Dario mi
sarebbe venuto a mancare. Avevo bisogno di crescere e maturare, capire
come
dovermi comportare in situazioni simili.
Attaccai
di nuovo la foto al muro e, seppur la parte arrabbiata di me volesse
distruggerle ad una ad una per sfogare il mio dolore, mi allontanai
dalla
parete e finii di riempire la valigia. Alla fine avevo preso la mia
decisione,
forse non proprio quella giusta. Sarei scappata, così come
aveva fatto lui
tempo prima. Non sapevo come affrontare la situazione e tornarmene a
Milano
senza dire nulla mi sembrava la cosa giusta da fare. Per me e per lui.
Una
sfuriata non avrebbe portato a nulla, se non accrescere il risentimento
che
provavamo reciprocamente. Non saremmo riusciti ad arrivare ad un
chiarimento
perché io non ne avevo bisogno, perché avevo
preso la mia decisione e, anche se
era doloroso, dovevo lasciarlo, mettere fine alla nostra relazione e
riprendere
in mano la mia vita.
Chiusi
il trolley e lo appoggiai a terra. Mi sistemai velocemente, asciugando
qualche
lacrima che era sfuggita al mio controllo e infilai le ultime cose
nella borsa.
Prima di uscire diedi un’ultima occhiata alla stanza avvolta
nella penombra e
ripensai all’ultima notte passata con lui, stretta tra le sue
braccia con il
suo respiro che mi scompigliava i capelli. Se avessi saputo che quelli
fossero
stati gli ultimi attimi passati con lui, sarei rimasta sveglia tutta la
notte
pur di godere appieno di lui, del suo odore e delle sue carezze.
Respirai
a fondo, ricacciando indietro sempre lo stesso magone che continuava a ripresentarsi e mi
chiusi la porta della
stanza alle spalle. Scesi le scale, trascinandomi dietro il trolley
senza
nessuna forza nelle braccia. Avrei preso un taxi e avrei raggiunto la
stazione
Termini dove avrei comprato il primo biglietto per Milano con i soldi
rimasti
che mi aveva dato mia madre.
«Hola,
Alice!» mi salutò Consuelo mentre si asciugava le
mani nel grembiule sul quale
erano stampate rosse e grosse ciliegie.
«Ciao
Consuelo» risposi senza guardarla negli occhi e cercando di
controllare il mio
tono di voce tremolante.
«No
tiene de partire domani, mañana?»
domandò dubbiosa.
«Già.
Ma, sai, un imprevisto…» rimasi sul vago e
scrollai le spalle.
Consuelo
assottigliò lo sguardo e mi scansionò con i suoi
occhi scuri e stanchi. Dopo un
po’ scosse la testa e appoggiò i pugni ai fianchi
generosi.
«Tu
el señorito avete litigato?» mi domandò
sospettosa.
Scossi
la testa e mi sistemai la borsa sulla spalla.
«Cos’è
successo?» mi domandò, ma non ebbi il coraggio di
risponderle. Scrollai solo le
spalle, abbassando il viso per non mostrare la mia espressione di
dolore
prendere il sopravvento. Consuelo si avvicinò a me e mi
abbracciò forte, forse
aveva intuito il perché della mia tristezza. Mi abbandonai
alla morbidezza di
quella donna e mi sentii un minimo confortata da quella stretta.
Mi
lasciò dopo pochi secondi e mi guardò con gli
occhi lucidi. Mi accarezzò una
spalla e mi baciò tra i capelli augurandomi buon viaggio e
buona fortuna per
tutto. La ringraziai con voce flebile e la guardai tornare dinoccolata
e mesta
in cucina. In quell’istante ebbi un piccolo istante di
esitazione in cui pensai
di parlare con Dario e magari cercare di sistemare le cose. Ma tornai
immediatamente sui miei passi, strinsi il trolley con una mano e la
tracolla
della borsa con l’altra. Un rumore di passi che
riecheggiò nell’immenso
silenzio della villa mi fece voltare indietro ed incrociai lo sguardo
di Mauro,
immobile sulla rampa di scale. Non stava ghignando, era impassibile e
mi
risultò difficile interpretare la sua espressione in quel
momento.
«Addio,
Alice» disse solamente.
Non
mi diede il tempo di rispondere che fece gli ultimi scalini e scomparve
di
nuovo al secondo piano. In quel momento non provavo nessun sentimento
nei suoi
confronti. Né rabbia, né odio, né
gratitudine. nulla perché il mio pensiero era
rivolto a Dario. Non gli avrei mai detto addio a voce, non avrei
nemmeno potuto
vederlo un ultima volta negli occhi e perdermici per provare almeno un
istante
tutte le emozioni che quelle iridi nere mi trasmettevano.
Scossi
la testa e sbattei più volte le palpebre per far asciugare
le lacrime che
volevano uscire copiose dai miei occhi. Imboccai la porta di ingresso e
quando
fui sul viale di ghiaia il vuoto più totale mi colse. Poco
lontano notai dei
fiori sparsi per terra e calpestati. Subito pensai che sarebbero dovuti
essere
miei per il nostro mesiversario, ma Dario aveva ricevuto la notizia del
mio
tradimento ben prima di potermeli consegnare. Mi avvicinai a quel mazzo
malmesso e mi accovacciai davanti ad essi. Erano candide rose bianche
ormai
rovinate dalle suole delle scarpe di Dario. In quei petali era
racchiusa la
nostra storia d'amore: sbocciati come un meraviglioso fiore e
calpestati senza
ritegno prima di goderne appieno la bellezza. Ne accarezzai i petali
vellutati
e alcune lacrime sfuggirono al mio controllo. Le asciugai velocemente
con il
dorso della mano e tirai su con il naso. Mi risollevai sistemandomi
velocemente
e alzai gli occhi al cielo perché la brezza estiva
asciugasse le lacrime.
Quando tornai a guardare davanti a me incontrai gli occhi neri e spenti
di
Dario. L'odore intenso di tabacco solleticò le mie narici e
il mio sguardo fu
un fazzoletto sporco di sangue attorcigliato attorno alla mano
sinistra. Non
aveva preso a calci la parete, ma a pugni. Lui, invece,
abbassò lo sguardo
verso la mia valigia per poi puntare di nuovo le sue iridi nelle mie.
Tacque e
io feci lo stesso, rimanendo a fissarci per un tempo indefinito e
difficile,
quasi impossibile, da quantificare. Nessuno dei sue ebbe il coraggio di
parlare
perché eravamo entrambi consci che era tutto finito e che
discutere,
accusandoci l'un l'altro, sarebbe stato del tutto inutile. Nello
sguardo di
Dario lessi rancore, delusione, senso di colpa. E una buona dose di
rassegnazione. Dopo anni l'amore l'aveva ritrovato ancora, ma aveva
sprecato
due frecce inutilmente per colpirci. Io e Dario non eravamo pronti per
l'amore.
Quando
il silenzio tra di noi diventò insopportabile ripresi a
camminare con lo
sguardo basso per non incrociare il suo, mentre gli dicevo addio
tacitamente.
Dario rimase fermo, anch'egli con lo sguardo basso e i pugni stretti
lungo i
fianchi. Gli passai accanto, il mio braccio sfiorò il suo e
il suo calore mi
invase per l'ultima volta che tutta la sua potenza. Non mi voltai, non
avevo il
coraggio di guardare indietro e rischiare di vederlo ancora. Per cui
uscii
speditamente dal cancello e, quando fui abbastanza lontana dalla villa
dei
Vitrano, scoppiai a piangere.
Milano
non sarebbe stato il cicatrizzante per la nostra ferita. Milano non mi
avrebbe
aiutata a rimettere insieme i pezzi della nostra relazione frantumato.
Milano
sarebbe stata solo e semplicemente la triste e nebbiosa Milano. Ed io
ci sarei
ritornata da sola.
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Se qualcuno se lo stesse
chiedendo, no, non sono morta xD
Dopo mesi di silenzio sono ritornata! Mi dispiace per questo ritardo
immenso, ma Dicembre, Gennaio e Febbraio li ho passati a disperarmi, a
studiare tipo cinque libri per l'esame di anatomia e mi era
praticamente impossibile perfino respirare! So che non ve ne
fregherà un tubo, ma stare sui libri ore ed ore è
servito a qualcosa. L'esame l'ho superato e, quindi, sono al terzo anno
di medicina, olè! Per quanto riguarda Marzo...beh...diciamo
che me la sono presa comoda per scriverlo questo capitolo. Avevo
bisogno di un po' di riposo e di riordinare un po' le idee :D
Dopo questo breve riepilogo della mia intensa vita, parliamo del
capitolo. Ebbene sì: è l'ultimo! Ci
sarà un epilogo, ma la storia oramai è finita. Ed
era così che doveva andare fin dall'inizio. Molte di voi
credevano che ci sarebbe stato il lieto fine, invece la storia di Alice
e Dario si è conclusa e nemmeno nel modo migliore. Mi
sembrava inutile allungare ancora di più il brodo e scrivere
capitoli interi in cui Alice si piangeva addosso per quello che aveva
fatto, sarebbe stato alquanto noioso. E mi è sembrato anche
inutile farli litigare. Urlarsi contro tutto il rancore e il disprezzo
che provavano l'uno per l'altra in quel momento non avrebbe portato a
nulla, se non ad un sacco di schiamazzi. Perciò, entrambi,
hanno preferito dirsi addio così, tacitamente ed
implicitamente, con solo uno sguardo che racchiudeva i sentimenti e
tutte le parole che avrebbero voluto dirsi in quel momento.
Alcune di voi (o forse no?), sanno che io non amo molto i lieto fine.
È già tanto che abbia scritto una commedia
così "leggera". Diciamo che non è proprio il
genere che piace a me. Preferisco di gran lunga le storie drammatiche.
Da come si era svolta tutta la storia, probabilmente un lieto fine ci
sarebbe stato bene con Dario ed Alice che soprassedevano al reciproco
tradimento perché il loro amore è troppo grande
per essere scalfito, con loro due che convolavano a giuste nozze e
facevano un sacco di bambini. Però era alquanto
inverosimile. Sono poche le persone che trovano nel loro primo amore
l'uomo/la donna della loro vita e Alice non è una di queste.
Per quanto io adori Dario ed Alice insieme e volessi vederli felici
insieme per sempre, la rottura era necessaria. Come dice Alice, non
sono pronti ad amare: lei ha appena cominciato a vivere, lui
è ancora troppo intimorito dai sentimenti per lasciarsi
andare.
Ci sarebbero ancora moltissime cose da dire e troppe persone da
ringraziere, per cui mi terrò il discorso di addio per
l'epilogo, che cercherò di postare il prima possibile.
Ancora una volta grazie a tutte di cuore!
E, anche questa volta, non manca la pubblicità:
Come in un
Sogno - con IoNarrante
»Melancholia - dovrebbe essere una pagina
autore, ma per ora è ancora inattiva. Aspettavo che ci fosse
un po' di vita per spoiler, fotografie ed anticipazioni sulle nuove
storie che mi ronzano in testa :D
Crudelie
si nasce - gruppo
Facebook, per fare quattro chiacchiere e ridere tra di noi.
Alla
prossima con l'epilogo e i vari ringraziamenti :D
Un
bacione, Manu ♥