Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _Shantel    05/04/2012    12 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

video-trailer


Capitolo 27

Amore perduto

betato da Nes_sie

 

 

Da quanto tempo ero rinchiusa in quel dannato bagno?
Cinque minuti, un'ora, tre secoli? Non lo sapevo e non volevo nemmeno guardare l'orologio per quantificarlo.
Mi ero rinchiusa in quel bagno dopo essermi rivestita, dopo aver fatto sesso con Mauro e non avevo intenzione di uscire da lì e incontrare i suoi occhi, né tanto meno di rivedere Dario dopo quello che avevo fatto. Nemmeno io riuscivo a capacitarmi di come avessi potuto tradire il mio ragazzo, per giunta con suo fratello, con la persona che lo feriva in continuazione e che godeva nel vederlo soffrire. Era stato più forte di me, non ero riuscita a controllarmi con Mauro e per giunta mi ero donata a lui con una semplicità spiazzante che mi faceva sentire ancora di più in colpa, che mi faceva sentire ancora più sporca. Non sapevo nemmeno che cosa provasse lui per me, se sentisse davvero qualcosa o io fossi solo un suo passatempo. Ma io non lo amavo, perché il mio cuore apparteneva solo ed esclusivamente a Dario.
Non solo mi sentivo una merda in quel momento, ma avevo anche tanta, troppa paura di poter ricascare tra le sue braccia. Non sentivo nulla per lui, ma non mi era indifferente. Aveva un fascino magnetico, quasi diabolico, che mi attirava a lui, che mi costringeva a cercare il suo sguardo quando non trovavo quello di Dario, che mi obbligava a cercare il suo calore e il suo odore quando erano assenti quelli di Dario.
Tirai su con il naso e mi asciugai il viso solcato dalle lacrime con un pezzo di carta igienica. Ormai avevo quasi finito il rotolo e di sicuro il mio volto doveva somigliare a quello di un pagliaccio con tutto il trucco sbavato. Che cosa avrei fatto dopo? Come mi sarei dovuta comportare con Mauro e soprattutto con Dario? Se avessi potuto, avrei fatto di tutto pur di tornare indietro nel tempo e fermarmi prima di fare sesso con il più grande dei fratelli Vitrano. Ma nessuno, mio malgrado, era ancora riuscito ad inventare la macchina del tempo, per cui avrei dovuto convivere con il rimorso di aver tradito il mio ragazzo, la persona che più amavo. L'unica cosa che potevo fare era far finta di nulla, comportarmi come se nulla fosse successo con la speranza che Dario non lo venisse a sapere, con la speranza che Mauro mi evitasse e non dicesse nulla a suo fratello.
Qualcuno bussò alla porta, facendomi sobbalzare e alzare lo sguardo verso la porta del bagno. Il battito cardiaco aumentò la sua corsa ed era come se il cuore mi fosse salito in gola. Avevo paura che fosse Mauro o, peggio, Dario e non sapevo come affrontare la situazione, non avrei avuto il coraggio di guardarli negli occhi.
«È occupato?» domandò una voce femminile e mi sentii sollevata nel sapere che non fossero quei due.
«Ho quasi finito!» esclamai scattando in piedi dal bordo della vasca.
Mi asciugai velocemente gli occhi con i palmi delle mani e mi sistemai il trucco alla bell'e meglio, togliendo con un po' di carta bagnata il rimmel e la matita colante sulle guance. Mi diedi una sciacquata veloce al viso e, anche se avevo ancora un'espressione distrutta, uscii dal bagno senza nemmeno guardare il faccia la ragazza o signora che necessitava del bagno.
Mi pentii di essere uscita dall'unico posto sicuro in quel castello quando mi ritrovai di fronte Mauro, appoggiato con la schiena alla parete di fronte al bagno come se mi stesse aspettando. Non disse nulla, mi scrutò solo con i suoi occhi azzurri e non ghignò nemmeno, stranamente. Abbassai subito lo sguardo cercando di evitare il suo, ma quello non bastò a farmi ricordare il nostro momento di passione. Mi incamminai per il lungo corridoio a passo svelto, quasi correndo per sfuggire alla presenza di Mauro. Non mi fermò, non tentò di parlarmi, rimase solo fermo appoggiato a quella parete.
Scesi rapidamente le scale, con il cuore che mi martellava nel petto e stava quasi per esplodere. Avrei voluto scappare da lì, allontanarmi da Roma e tornarmene a Milano senza nemmeno dare spiegazioni perché sarebbero state troppo dolorose per il mio Dario. Anche l'unica persona di cui si fidava, l'unica che lo amava e che lo faceva sentire importante lo aveva pugnalato con brutalità. Non avrebbe retto ad un colpo duro come il mio tradimento, ne ero più che sicura.
Non appena entrai nella sala del ricevimento, nonostante la gente che stava danzando, vidi subito il mio Dario che si guardava intorno quasi spaesato, facendosi spazio tra la folla che gli impediva il passaggio. Mi stava cercando, ne ero certa. Il mio cuore, nonostante la morsa che lo aveva intrappolato, cominciò a battermi furioso nel petto non appena lo vidi, non appena sentii il bisogno di abbracciarlo e guardarlo negli occhi. Non potevo scappare, non dal mio Dario. Lo avevo tradito, ma non con il cuore perché io amavo solo lui. Non era una giustificazione per quello che avevo fatto, era solo una frase che avrei dovuto ripetermi ogni volta per non sentirmi in colpa.
Corsi verso di lui, spintonando chi cercava di ostacolarmi e lo abbracciai con tutta la forza che potevo, lo strinsi a me come se non volessi farlo scappare e Dario rimase sorpreso sia dal mio arrivo sia dalla foga con cui mi ero avvinghiata a lui.
«Alice» mormorò stringendomi e baciandomi tra i capelli .
Affondai il viso nella sua camicia bianca, stringendogli la giacca dietro la schiena. Lui era ignaro di tutto, non si era nemmeno reso conto che io lo avevo pugnalato alle spalle, non sapeva che la sua ragazza, in realtà, era solo una sgualdrina qualunque. Così mi sentivo in quel momento, una puttana, una stronza puttana che rischiava di mandare tutto all'aria, di perdere l'unico ragazzo di cui si fosse innamorata veramente in diciotto anni di vita.
«Ti amo, Dario» gli dissi con un filo di voce e con un velo di lacrime che mi copriva gli occhi «Ti amo da morire».
«Anche io ti amo» rispose lui con la stessa tonalità.
Mi staccai dal suo torace e appoggiai le mani sul suo petto, stringendo la stoffa leggera e sgualcita della sua camicia.
«Scusami Dario» mormorai.
Non sapevo nemmeno io perché gli avevo detto quelle parole. La mia bocca si era mossa da sola e la voce mi era uscita spontaneamente, senza che il mio cervello le guidasse. Dario, che sembrava abbattuto, quasi intuisse quello che gli avevo fatto, abbassò un sopracciglio e mi guardò dubbioso.
«Per cosa?»
Come avrei potuto rispondere alla sua domanda? Scusami perché ti ho messo le corna con tuo fratello? Scusami perché tu ti fidavi di me ed io ho scopato con Mauro? Deglutii a fatica, sentendo anche le orecchio schioccare come se mi trovassi in aereo. Socchiusi gli occhi e non sapevo per frenare le lacrime che volevano uscire ancora o perché non riuscivo ad affrontare lo sguardo afflitto di Dario.
«Se sono sparita così» mentii con tono poco deciso.
«Scusami tu» disse mordendosi il labbro inferiore «Che ti ho lasciata da sola».
Possibile che avesse intuito qualcosa? Possibile che i suoi occhi riuscissero a scavare nel mio animo così profondamente da capire che c'era qualcosa che non andava in me? Che molto probabilmente lo avevo ferito?
Appoggiai una mano sulla sua guancia per poterlo accarezzare e lui mi accennò un sorriso, senza però quella sua tipica luce negli occhi che li faceva risplendere. Eravamo entrambi tristi, io perché lo avevo tradito e Dario perché aveva intuito che in me c'era qualcosa che non andava, che avevo combinato qualcosa di grave. Mi avvicinai a lui per baciarlo, stringendo con forza alcune ciocche dei suoi capelli. Avevo ancora in bocca il sapore dolciastro, che mi ricordava vagamente la cannella, di Mauro che non mi permetteva di gustarmi appieno le labbra di Dario. Inorridii nel sentire quel sapore sconvolgere le mie papille gustative, nel comprendere che Mauro era entrato a far parte di me, in un modo o nell'altro, guadagnandosi un posto nei miei pensieri. Se prima c'era solo Dario nella mia mente, in quel momento non riuscivo a togliermi dal cervello l'immagine perfetta di Mauro, del suo corpo caldo su di me, delle sue labbra che lambivano la mia pelle e ancora mi rimbombava nelle orecchie la sua voce. Non capivo il motivo per il quale Mauro mi stesse sconvolgendo in quella maniera e nemmeno perché si fosse insinuato nella mia mente, si era infiltrato come acqua sorgiva nei mie pensieri.
La lingua di Dario cercò la mia, ma non con la stessa passione come era solito fare. E nemmeno io ero così presa da quelle effusioni come le volte precedenti. Ero assente, stavo pensando a quello che era successo, a Mauro e mi stavo maledicendo di aver fatto sesso con lui, di avergli permesso di rovinare quello che stavamo piano piano recuperando io e Dario.
Quel bacio era anonimo, non sapeva di noi, non aveva sapore, se non quello di cannella di Mauro. Era come se io e Dario fossimo due estranei che si stavano baciando perché obbligati da uno stupido gioco e da una stupida bottiglia. Non eravamo Dario e Alice, non eravamo due innamorati. Eravamo il nulla, il vuoto e tutto quello era per colpa mia. Sicuramente anche Dario aveva percepito la mia assenza, l'inconsistenza di quel bacio ma non lo diede a vedere.
«Che ne dici di andare a casa?» proposi, perché non sarei riuscita a rimanere in quel castello ancora per molto.
«Non hanno ancora servito la torta» obiettò senza convinzione.
Lanciò uno sguardo alle sue spalle, come se stesse cercando qualcuno, forse gli sposi, poi tornò a guardare nei miei occhi. I suoi erano spenti, quasi come se nuvole nere e minacciose avessero coperto quel cielo notturno, le stelle che lo illuminavano.
«Sì, forse è meglio andare» concordò in un soffio «Salutiamo Teresa e lo sniffatore e andiamo».
Intrecciò le sue dita con le mie e camminammo tra la gente alla ricerca degli sposi. Passammo anche accanto a nostro tavolo e Dario lanciò un'occhiata che non seppi decifrare verso Sole, salutandola poi con un gesto della mano. Se non fossi stata così abbattuta, probabilmente, l'avrei guardata in tralice e le avrei mandato ogni sorta di maledizione. Ma non riuscivo nemmeno ad essere gelosa per quanto mi sentivo uno schifo.
Teresa e Tommaso erano seduti al loro tavolo, intenti a parlare tra loro  a ridacchiare. L'immagine di me e Dario in vesti da sposi sbiadì piano piano. Se lui avesse scoperto il mio tradimento, potevo benissimo scordarmi l'abito bianco e la cerimonia.
«Io e la mia ragazza andiamo a casa» disse Dario, grattandosi la nuca.
«Di già?» chiese dispiaciuta Teresa.
«Non volete rimanere per il taglio della torta?» intervenne anche Tommaso.
«Siamo molto stanchi» rispose il mio ragazzo «Ci piacerebbe davvero rimanere, ma non mi reggo nemmeno in piedi».
«Ah» disse solamente Teresa. «D'accordo» e ci sorrise.
«Ci ha fatto piacere avervi qui, comunque» le fece eco Tommaso, alzandosi per salutarci con un stretta di mano e dei baci sulle guance «La bomboniera la daremo a tua madre» lo informò poi e Dario annuì senza entusiasmo.
Le sensazioni di entrambi riguardo a quel matrimonio erano vere. Quella era stata una giornata davvero orribile, soprattutto la sera. Mano nella mano, camminammo verso l'uscita del castello e, mentre la raggiungevamo, incontrammo Mauro che camminava nella direzione opposta alla nostra. I miei occhi si incollarono ai suoi nei quali, ancora, scorrevano le immagini della nostra passione. Il mio cuore smise di battere quando Mauro posò lo sguardo su Dario, ritrovando il suo ghigno bastardo. Ebbi paura che rivelasse tutto a Dario, che gli spiattellasse in faccia che la sua ragazza fosse una poco di buono. Invece ci superò ed io lo seguii con lo sguardo. Si voltò verso di me, sorridendomi malizioso e lanciandomi un bacio con la punta delle dita. Mi strinsi maggiormente a Dario, nascondendo il viso in fiamme e rosso più di un peperone nella camicia del mio ragazzo che mi accarezzò la nuca, ignaro di tutto il tumulto che si era creato in me, ignaro del fatto che Mauro si fosse insinuato nella mia mente e che rischiava di scorrere nelle vene e raggiungere le crepe del mio cuore.
Il viaggio in macchina durò relativamente poco. Nessuno dei due aveva aperto bocca durante il tragitto, solo la musica ci ricordava di essere ancora vivi, ancora sulla Terra. Io ero troppo presa a pensare a Mauro e alla maledizione che mi aveva lanciato con i suoi occhi. Più cercavo di allontanarlo dai miei pensieri, più lui ritornava. Perché, se non provavo nulla per lui, non riuscivo a togliermelo dalla testa? Era strano quello che sentivo per  lui, qualcosa di indecifrabile. Non era amore, non era odio. Era una sorta di attrazione fisica, una pericolosa attrazione fisica condita con un irrefrenabile voglia di lui.
Arrivammo a casa che era l'una di notte passata. Ci spogliammo rapidamente, preparandoci per la notte e ci stendemmo del letto. Mi adagiai con il viso sul suo petto nudo, sentendo il battito del suo cuore, e cominciai a disegnare alcuni cerchi sul suo torace con la punta delle dita. Stavo bene tra le sue braccia, il suo calore riuscì per qualche attimo a lenire quel senso di colpa che provavo. Era tutto sbagliato, lo sapevo, dal sesso con Mauro al mio fare finta di niente e stare abbracciata al mio ragazzo. Ma se gli avessi detto che lo avevo tradito, lo avrei perduto e non potevo permettere che questo accadesse. Mauro era solo uno sfizio, mentre Dario era la mia vita. Se invece avessi continuato a far finta di nulla, il rimorso mi avrebbe divorata dall'interno. Come potevo vivere sapendo di aver tradito la persona che amavo? Come potevo vivere sapendo di aver tradito la sua fiducia?
«Alice» mormorò lui, giocando con alcune ciocche dei miei capelli.
«Mmmm» mugugnai con gli occhi chiusi, strusciando la guancia sul suo petto e accarezzandogli un fianco.
«Lo sai che giorno è oggi?»
«Il sedici luglio» mormorai lasciandogli un bacio all'altezza del cuore.
«E...» incalzò lui.
«E si è sposata tua cugina» sospirai e mi sistemai meglio sul suo petto, mentre lui ridacchiava.
«Oggi è un mese che siamo fidanzati» mi ricordò e io alzai il viso verso di lui. Stava sorridendo e sembrava aver ritrovato un po' di quella serenità che distingueva i suoi occhi.
«Oddio... è... è vero» mormorai sorpresa più che altro perché non mi ero ricordata una cosa tanto importante. Ma quel giorno era stata talmente presa da Mauro che mi ero dimenticata il nostro primo mesiversario.
«Un mese di noi, piccola mia» disse, con poco entusiasmo «Ti amo» aggiunse ancora con lo stesso tono preoccupante.
«Anche io» risposi ed abbozzai un sorriso falso, solo per rassicurarlo. «Ogni giorno di più».
Ebbi come la sensazione che qualcosa si fosse spezzato tra di noi, l'armonia che eravamo riusciti a trovare ora mi pareva solo un'accozzaglia di suoni insopportabile per i miei timpani. Mentre ci guardavamo negli occhi non ritrovai la stessa passione che c'era qualche giorno prima, anzi c'era un immenso abisso che stava cercando di risucchiarci. Molto probabilmente la colpa era solamente mia. Dario aveva intuito il mio malessere e il mio disagio, forse sospettava che mi fosse capitato qualcosa ma non aveva il coraggio di chiedermelo. E il mio stato d'animo aveva influenzato anche lui, l'aveva risucchiato  in quel vortice di tristezza.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai, cercando in quel contatto un po' dell'amore che sembrava perduto. Ma come poco prima, non sentii nulla se non uno sgradevole senso di colpa che risaliva lungo le mie membra e mi impediva di poter lasciarmi andare completamente al mio ragazzo. Quando mi allontanai dalle sue labbra ci guardammo negli occhi. Ogni volta che quelle iridi nere mi scrutavano con la loro profondità avevo come la sensazione che riuscissero a leggermi dentro. Abbassai istintivamente ed insensatamente lo sguardo, intimorita dal suo che poteva scavarmi l'anima. Era diventato quasi insostenibile riuscire a guardarlo troppo a lungo negli occhi dopo che lo avevo pugnalato alle spalle con suo fratello. E temevo che quella situazione potesse essere permanente, che non potessi più guardare nei suoi occhi senza sentirmi una schifezza. Mi accoccolai sul suo petto, sul suo cuore che batteva all'impazzata come se fosse teso e ansioso. Non ci diedi molto peso perché la sua mano cominciò a scompigliarmi i capelli mentre l'altra mi accarezzava un fianco.
«Domani partiamo, che ne dici? Diciamo addio a Roma e non ci torniamo più» mi propose.
Mi sollevai un tantino, appoggiandomi con il gomito al letto, ed annuii. Volevo andarmene da quella città e dimenticare tutto, chiudere definitamente quel capitolo, bruciarlo e farlo sparire per sempre dal libro della mia vita e cominciarne a scriverne uno nuovo senza Mauro, senza complicazioni. Solo io e Dario saremmo stati i protagonisti di questa nuova storia. Lo baciai a fior di labbra e lui sorrise quasi si fosse liberato di un peso. E speravo davvero che l'aria fredda di Milano, il suo cielo grigio, potesse aiutarmi in questa impresa, nel ritrovare tutti i pezzi in cui avevo frantumato la nostra storia e rimetterli assieme per ricostruirla.
«È la mia città, ma ogni volta che ci torno, ho una nuova ferita. È una sorta di maledizione, come se Roma mi odiasse e mi stesse cacciando facendomi soffrire» disse mestamente. Mi si strinse il cuore sentirlo parlare in quel modo, così lo strinsi ancora di più a me e sentii per un attimo la stessa complicità che ci aveva sempre legato.
«L’altra sera ho parlato con mio padre» mi confidò con un filo di voce, appena udibile.
«Di cosa avete parlato?» gli domandai, accarezzandogli il petto.
«Ho finalmente trovato il coraggio di chiedergli del perché Nicoletta e Mauro mi odiano» rispose flebilmente. Deglutì rumorosamente e fece una lunga pausa, seguito da una risata amara «Forse sarebbe stato meglio non saperlo» tacque ancora e mi accarezzò una spalla, per poi riprendere dopo poco. «Nicoletta aveva ricevuto un’offerta di lavoro da uno dei più grandi ricercatori del mondo e avrebbero dovuto trasferirsi tutti a Seattle. Quando però ha scoperto di essere incinta del sottoscritto, il medico americano le ha detto che poteva benissimo starsene a Roma perché non aveva bisogno di una donna gravida nel suo team» respirò profondamente e giocò con una ciocca dei miei capelli. «Era il suo sogno e l’ha visto infrangersi. Così è caduta in depressione e da allora ha dovuto aspettare molti anni perché riprendesse a lavorare. Per questo non mi ha mai accettato. Poi ho fatto i miei casini durante l’adolescenza che non ha aiutato a sistemare la situazione».
«E Mauro?»
«Lui vedeva Nicoletta piangere e la colpa era mia. Per cui ha cominciato ad odiarmi perché facevo soffrire la mamma».
«Tutto questo è ridicolo!» sbottai scioccata.
«È la stessa cosa che dice mio padre. Ha sempre cercato di farglielo a capire sia a mia madre che a Mauro, ma nessuno dei due gli ha mai dato retta».
«Se avessero ragionato per un attimo, capendo che non era affatto colpa tua, avrebbero conosciuto la persona splendida che sei».
Sollevai lo sguardo verso il suo e mi stupii di come riuscii a mantenerlo fisso per più di un minuto. In quel momento non dovevo avere timore dei suoi occhi, dovevo solo fargli capire che io ero accanto a lui, dovevo fargli sentire la mia presenza. Dario scosse la testa e socchiuse gli occhi. Le palpebre gli tremarono e mi baciò in fronte, stringendomi ancora più forte a lui con entrambe le braccia.
«Non sono affatto una persona splendida».
Quella frase mi lasciò interdetta ma non ebbi il tempo di dire nulla che Dario mi baciò con passione e trasporto, con lo stesso fuoco che credevo di aver perduto in quelle ore. Mi insospettì il suo comportamento, ma non ci diedi molto peso. Mi concentrai solo su noi due, su quel bacio che sapeva finalmente di noi e che mi rasserenò. Poi ci addormentammo, stretti l’uno all’altro.

 

 

Quando mi svegliai, Dario era già andato alla redazione di Radio Deejay. Tutta la mattina rimasi da sola: i tre medici avevano il turno in ospedale, Consuelo era fuori per negozi e mercati per rifornire al dispensa. Per cui mi rilassai, per quanto potesse essere possibile in una situazione del genere. Feci colazione con tranquillità con una brioche della Mulino Bianco e un po' di caffelatte, poi una doccia fresca. Rimasi sotto il getto d'acqua per più di mezz'ora, lasciandomi accarezzare dall'acqua e sgomberando la mente da qualsiasi pensiero. Mancavano poche ore e potevo finalmente lasciarmi alle spalle tutto, tornare nella mia città e vivere serenamente con Dario, senza più il terrore di Mauro che incombeva su di me.
Guardai un po' di televisione in attesa che Dario finisse il suo turno in radio e tornasse a casa. Avevo bisogno di passare un po' di tempo con lui e cominciare fin da subito a incollare i pezzi della nostra storia. Ma Dario non arrivò nemmeno per pranzo e mi ritrovai a mangiare da sola il merluzzo al limone che aveva preparato Consuelo. Mi preoccupava il fatto che Dario non fosse tornato a casa. Solitamente dopo circa un'ora dalla fine del suo programma in radio era da me. Invece quel giorno non arrivò, nemmeno nel primo pomeriggio. Pensai che potesse essere andato a mangiare un boccone con Adriano visto che tra meno di ventiquattro ore saremmo partiti e magari voleva salutarlo, ma non mi aveva nemmeno avvisato. In compenso, verso le due, arrivò Mauro. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, salì subito al piano superiore con la sua valigetta nera stretta in mano. Meglio così, pensai. Più lui mi stava lontano, meglio era.
Con un po' d'apprensione, dopo aver visto i cartoni animati in televisione, andai in camera. Dario non si era fatto sentire tutto il giorno e cominciai a pensare che il suo allontanamento fosse dovuto al comportamento strano e ambiguo che avevo tenuto la sera prima. Con un po' di ottimismo sperai che avesse solo bisogno di un po' di tempo da solo per riflettere, per capire cosa mi fosse preso. O, meglio ancora, che stesse girando per Roma solo per dirle addio. Scrollai la testa e presi dall'armadio il mio trolley rosa per cominciarlo a riempire dei miei vestiti.
Avevo sempre odiato preparare i bagagli e il più delle volte era mia madre che si prendeva questa responsabilità. Ma in quell’occasione non vedevo l’ora di ficcare tutta la mia roba nelle valigie e scappare lontano, insieme a Dario e  dimenticare per sempre quello che era accaduto a Roma. Mi sarei lasciata tutto alle spalle e sarei tornata la stessa Alice di sempre, felice di avere accanto un ragazzo straordinario come Dario.
Svuotai l’armadio dei miei vestiti e li gettai alla rinfusa sul letto, piegandoli in maniera pietosa e riempiendo la valigia alla bell’e meglio come se completarla velocemente avrebbe anticipato il momento del ritorno a casa. Ma purtroppo avrei dovuto attendere fino al mattino successivo e nelle ore che mi separavano dal viaggio sarebbe potuto accadere di tutto. Ogni secondo era buono per sperare che Mauro rimanesse al suo posto e non rivelasse nulla a Dario, che si facesse gli affari suoi e ci facesse recuperare quello che io e Dario stavamo piano piano perdendo.
«E così domani ve ne andate».
La voce di Mauro mi sorprese alla spalle, così mi voltai di scatto con il cuore che martellava sulle costole e con una maglietta stretta in mano. Intercettai il suo sguardo sornione e il suo ghigno soddisfatto, per poi tornare a soffermarmi sui miei bagagli imponendo a me stessa di ignorarlo.
«Te ne ritorni a Milano e ti lasci alle spalle tutto quello che è successo a Roma, vero?» domandò ironico.
Aveva ragione, era in grado di leggermi nel pensiero e questo mi terrorizzava. Si avvicinò a me con una mano ficcata nei pantaloni scuri e sollevò una mia camicetta azzurra a mezze maniche, esaminandola da cima a fondo prima di piegarla ordinatamente e adagiarla nella valigia. Anche quella volta evitai di rispondergli e di guardarlo negli occhi. 
«Lo sai che non si lasciano in sospeso le situazioni? Bisogna sempre risolvere» continuò imperterrito, continuando a prendere i miei vestiti e ad aiutarmi a riempire il trolley.
Gli strappai dalle mani un paio di pinocchietti di jeans e li gettai alla rinfusa nella valigia, trovando un briciolo di coraggio per guardarlo negli occhi. Appena incontrai i suoi occhi, però, un magone mi strinse la gola impedendomi di respirare. Anche deglutire fu inutile perché quel groppo, più lo inghiottivo, più si intensificava.
«Si può sapere che cosa vuoi da me?» domandai nervosamente.
«Parlare» rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Incrociò le braccia e sorrise divertito davanti alla mia incapacità di piegare i panni e di fronte alla mia espressione falsamente orgogliosa. In realtà, ero intimorita e intimidita dalle sue intenzioni. Avevo la sgradevole sensazione che stava tramando qualcosa, qualcosa che avrebbe sconvolto tutto.
«Io non ne ho voglia» risposi e la voce traballante che uscì dalle mie labbra era ben lontana da quella perentoria che mi ero immaginata.
«Come vuoi» scrollò le spalle «Riguardava Dario, ma se non hai voglia di parlare con me…» affondò le mani nelle tasche e si diresse lentamente verso la porta.
Le mie mani diventarono molli e il paio di pantaloni che stavo piegando cadde sul letto. Sentire il nome di Dario pronunciato da lui mi fece tremare e per poco anche le gambe non cedettero.
«Che cosa c’entra Dario?» domandai. Ero talmente agitata che riuscivo a sentire il battito accelerato del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Mauro si voltò con un ghigno soddisfatto, quasi non aspettasse altro che parlare con me di suo fratello. Camminò su e giù per la stanza ed il ticchettio delle sue scarpe sul parquet aumentarono la mia ansia. Non parlò per un paio di minuti forse perché si divertiva a torturarmi in quel modo. Ogni secondo che passava mi prosciugava un briciolo di forza, ogni secondo che trascorreva risucchiava un po’ del mio ossigeno, ogni secondo che passava sentivo i muscoli sempre più affaticati.
«Che cosa c’entra Dario?» riformulai la domanda a denti stretti.
«Gli ho raccontato di ieri sera» disse con ovvietà.
Il mio cervello immagazzinò quella frase, la ripeté un paio di volte come se volesse verificare che le parole pronunciate da Mauro fossero proprio quelle. Dapprima mi rifiutai di credere che lui avesse rivelato la verità a Dario, non volevo arrendermi all’idea che ormai lo avessi perduto. Ma furono necessari solo pochi secondi perché prendessi coscienza della realtà e realizzassi quello che aveva appena detto Mauro. Avrei voluto urlargli contro tutta la mia rabbia, prenderlo a sberle e a calci, ma le forze mi aveva completamente abbandonata nel momento in cui l’immagine di Dario che apprendeva la notizia del mio tradimento si figurò nella mia mente. Deluso, frustrato e ferito. Così lo immaginavo, mentre prendeva a calci una parete in mattoni da qualche parte nella città con un tappeto di mozziconi di sigarette attorno ai piedi.
Mi accasciai sul letto con lo sguardo catatonico perso nel vuoto e con quel fastidioso magone in gola pronto ad esplodere e coinvolgere nel suo disastro anche il mio cuore.
«Mi è sembrato giusto che sapesse la verità» la voce di Mauro mi arrivò alle spalle, ovattata, come se le mie orecchie tentassero di estraniarlo dal mio mondo ormai distrutto.
Avevo davvero sperato e creduto che Mauro si sarebbe fatto da parte e che ci avrebbe permesso di vivere la nostra storia serenamente. Ma rivelare al suo odiato fratello quanto fosse puttana la sua ragazza era un’occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata. Ero stata io una sciocca a pensare di poter riprendere in mano la relazione con Dario e condurla verso il tanto agognato lieto fine che andavo cercando disperatamente.
«Per una volta mi sono comportato da bravo fratellone. Non volevo che si sentisse totalmente in colpa se la vostra storia fosse finita» continuò imperterrito.
Seppur il mio cervello stesse cercando di isolarmi da quella stanza, non riuscii a rimanere indifferente riguardo all’ultima affermazione di Mauro. Mi voltai verso di lui e lo guardai sconvolta, distrutta, con gli occhi annebbiati dalle lacrime ed ora anche dubbiosa. Non fu necessario porgli domande, la mia espressione era già abbastanza eloquente. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare, smanettò con i tasti e me lo passò con il suo solito ghigno trionfale. Guardai il telefonino ed ebbi voglia di sbatterlo a terra e distruggerlo, convinta com’ero che lui si stesse solo prendendo gioco di me.
«Fai partire il video» mi disse.
Anche se con qualche remora, obbedii alla sua richiesta. Il cuore mi stava letteralmente scoppiando nel petto per la tensione, così come gli occhi pronti a scoppiare in un pianto. Non mi aspettavo nulla in particolare dal video che stavo per guardare, ma non avrei mai immaginato di vedere certe scene scorrere sotto i miei occhi. Niente sarebbe stato in grado di prepararmi a quella tremenda bastonata. Il video durava all’incirca cinque minuti e l’immagine non era delle migliori, ma abbastanza decente da poter riconoscere Dario e Sole in atteggiamenti intimi. Ci eravamo traditi a vicenda, quasi nello stesso momento, sintomo che qualcosa tra di noi non funzionava come avrebbe dovuto. Ci amavamo, eppure non avevamo esitato nemmeno un secondo a fare sesso con altre persone. Lui perché probabilmente sentiva ancora qualcosa per Sole, io solo per un capriccio, uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di vendetta nei confronti di Dario che mi aveva abbandonata durante il ricevimento.
«Era giusto che tu sapessi quello che era successo. Così come era giusto che lo sapesse Dario. Almeno potrete capire cosa c’è che non va» disse Mauro, questa volta con tono molto più dolce.
Mi sfilò il cellullare dalle dita lentamente. Non feci niente per trattenerlo, ero paralizzata ed incredula, ancora con quei cinque minuti di filmato che rimbalzavano nella mia mente. Mauro uscì dalla stanza, lasciandomi da sola con la mia disperazione. Non sapevo se avercela con lui per aver rivelato ad entrambi il tradimento dell’altro pregiudicando la nostra relazione o ringraziarlo per avermi posto nella condizione di riflettere su ciò che avevamo sbagliato, sul perché ci eravamo spinti così tanto oltre.
Gli occhi cominciarono a pungere, s’inumidirono e il groppo che avevo in gola era pronto ad esplodere. Ma la consapevolezza di aver definitivamente perso Dario mi aveva prosciugata. Non avevo più forze, non sentivo la rabbia crescere in me e non riuscivo nemmeno a piangere talmente ero sconvolta. Rimasi perciò seduta sul letto per un tempo indefinibile, che non seppi quantificare. A me parve quasi un’eternità, magari però erano passati solo una ventina di minuti oppure un paio d’ore. E mentre rimanevo immobile, rannicchiata su me stessa, la mia mente si perse nei meandri dei ricordi, di tutti gli attimi  condivisi e vissuti con Dario, dei nostri sguardi che si rincorrevano bramosi e dei nostri baci che si susseguivano con crescente e delirante passione. Con lui avevo vissuto i giorni più intensi della mia monotona vita, l’aveva riempita con la sua presenza e le aveva dato finalmente un senso. Dario era stata la scossa di terremoto che aveva sconvolto il mio piccolo mondo di ragazzina immatura e ancora un po’ bambina, mi aveva spinta a vivere davvero la vita, a provare emozioni forti e reali. Forse troppo in fretta, forse quando quella ragazzina di nome Alice non era ancora pronta a farsi travolgere da un’ondata così violenta di sentimenti e dolore. La mia vita si era trasformata in troppo poco tempo, passando da monotona a vuota a piena e troppo intensa. Non ero preparata per essere investita da un’ondata di emozioni simili ed ero stata travolta senza che me ne rendessi conto. Nemmeno in quel momento sapevo come avrei dovuto comportarmi, se infuriarmi con Dario e urlargli contro perché mi aveva tradito con Sole oppure tacere, finire di preparare la valigia e andarmene. Litigare con lui non avrebbe avuto alcun senso. Lo avrei accusato di un errore che avevo commesso anche io, mi sarei sfogata su di lui per una colpa che avevamo entrambi. Sarei stata solo un’ipocrita se mi fossi comportata così. Ma se fossi scappata senza nemmeno cercare di chiarire con lui sarei stata una codarda e sarei fuggita dai suoi occhi giudicatori, dalle mie responsabilità, dal mio amore.
Trovai un briciolo di forza in me e mi sollevai dal letto per avvicinarmi al muro sul quale Dario aveva appeso le nostre foto insieme. Ne afferrai una, la prima che mi era capitata sotto lo sguardo. Ci stavamo baciando, avevamo entrambi gli occhi chiusi e anche se era solo un istante inanimato impresso su una carta lucida, da quella fotografia traspariva quanto ci amavamo. E mi faceva male, mi frantumava il cuore, pensare che avessimo ceduto ad altre due persone nonostante quello che provassimo l’uno per l’altra. La mia paura più grande era che, se anche avessimo chiarito la faccenda, avremmo potuto commettere entrambi di nuovo lo stesso errore. Perché nessuno dei due, in fondo, era ancora pronto ad amare davvero e farsi amare da un’altra persona, nessuno dei due era pronto a lasciarsi andare totalmente ad un sentimento così forte. Anche mentre pensavo tutte quelle cose, mentre il mio cuore si polverizzava per la consapevolezza che entrambi avevamo contribuito a distruggere la nostra storia, mentre una piccola parte di me urlava, in un angolino della mia mente, contro l’immagine di Dario, sentivo che l’amavo. Ma l’aver fatto sesso con Mauro mi aveva fatto capire che non ero ancora pronta e che avrei potuto commettere lo stesso errore ancora, ancora e ancora una volta, nel momento in cui il calore di Dario mi sarebbe venuto a mancare. Avevo bisogno di crescere e maturare, capire come dovermi comportare in situazioni simili.
Attaccai di nuovo la foto al muro e, seppur la parte arrabbiata di me volesse distruggerle ad una ad una per sfogare il mio dolore, mi allontanai dalla parete e finii di riempire la valigia. Alla fine avevo preso la mia decisione, forse non proprio quella giusta. Sarei scappata, così come aveva fatto lui tempo prima. Non sapevo come affrontare la situazione e tornarmene a Milano senza dire nulla mi sembrava la cosa giusta da fare. Per me e per lui. Una sfuriata non avrebbe portato a nulla, se non accrescere il risentimento che provavamo reciprocamente. Non saremmo riusciti ad arrivare ad un chiarimento perché io non ne avevo bisogno, perché avevo preso la mia decisione e, anche se era doloroso, dovevo lasciarlo, mettere fine alla nostra relazione e riprendere in mano la mia vita.
Chiusi il trolley e lo appoggiai a terra. Mi sistemai velocemente, asciugando qualche lacrima che era sfuggita al mio controllo e infilai le ultime cose nella borsa. Prima di uscire diedi un’ultima occhiata alla stanza avvolta nella penombra e ripensai all’ultima notte passata con lui, stretta tra le sue braccia con il suo respiro che mi scompigliava i capelli. Se avessi saputo che quelli fossero stati gli ultimi attimi passati con lui, sarei rimasta sveglia tutta la notte pur di godere appieno di lui, del suo odore e delle sue carezze.
Respirai a fondo, ricacciando indietro sempre lo stesso magone che continuava  a ripresentarsi e mi chiusi la porta della stanza alle spalle. Scesi le scale, trascinandomi dietro il trolley senza nessuna forza nelle braccia. Avrei preso un taxi e avrei raggiunto la stazione Termini dove avrei comprato il primo biglietto per Milano con i soldi rimasti che mi aveva dato mia madre.
«Hola, Alice!» mi salutò Consuelo mentre si asciugava le mani nel grembiule sul quale erano stampate rosse e grosse ciliegie.
«Ciao Consuelo» risposi senza guardarla negli occhi e cercando di controllare il mio tono di voce tremolante.
«No tiene de partire domani, mañana?» domandò dubbiosa.
«Già. Ma, sai, un imprevisto…» rimasi sul vago e scrollai le spalle.
Consuelo assottigliò lo sguardo e mi scansionò con i suoi occhi scuri e stanchi. Dopo un po’ scosse la testa e appoggiò i pugni ai fianchi generosi.
«Tu el señorito avete litigato?» mi domandò sospettosa.
Scossi la testa e mi sistemai la borsa sulla spalla.
«Cos’è successo?» mi domandò, ma non ebbi il coraggio di risponderle. Scrollai solo le spalle, abbassando il viso per non mostrare la mia espressione di dolore prendere il sopravvento. Consuelo si avvicinò a me e mi abbracciò forte, forse aveva intuito il perché della mia tristezza. Mi abbandonai alla morbidezza di quella donna e mi sentii un minimo confortata da quella stretta.
Mi lasciò dopo pochi secondi e mi guardò con gli occhi lucidi. Mi accarezzò una spalla e mi baciò tra i capelli augurandomi buon viaggio e buona fortuna per tutto. La ringraziai con voce flebile e la guardai tornare dinoccolata e mesta in cucina. In quell’istante ebbi un piccolo istante di esitazione in cui pensai di parlare con Dario e magari cercare di sistemare le cose. Ma tornai immediatamente sui miei passi, strinsi il trolley con una mano e la tracolla della borsa con l’altra. Un rumore di passi che riecheggiò nell’immenso silenzio della villa mi fece voltare indietro ed incrociai lo sguardo di Mauro, immobile sulla rampa di scale. Non stava ghignando, era impassibile e mi risultò difficile interpretare la sua espressione in quel momento.
«Addio, Alice» disse solamente.
Non mi diede il tempo di rispondere che fece gli ultimi scalini e scomparve di nuovo al secondo piano. In quel momento non provavo nessun sentimento nei suoi confronti. Né rabbia, né odio, né gratitudine. nulla perché il mio pensiero era rivolto a Dario. Non gli avrei mai detto addio a voce, non avrei nemmeno potuto vederlo un ultima volta negli occhi e perdermici per provare almeno un istante tutte le emozioni che quelle iridi nere mi trasmettevano.
Scossi la testa e sbattei più volte le palpebre per far asciugare le lacrime che volevano uscire copiose dai miei occhi. Imboccai la porta di ingresso e quando fui sul viale di ghiaia il vuoto più totale mi colse. Poco lontano notai dei fiori sparsi per terra e calpestati. Subito pensai che sarebbero dovuti essere miei per il nostro mesiversario, ma Dario aveva ricevuto la notizia del mio tradimento ben prima di potermeli consegnare. Mi avvicinai a quel mazzo malmesso e mi accovacciai davanti ad essi. Erano candide rose bianche ormai rovinate dalle suole delle scarpe di Dario. In quei petali era racchiusa la nostra storia d'amore: sbocciati come un meraviglioso fiore e calpestati senza ritegno prima di goderne appieno la bellezza. Ne accarezzai i petali vellutati e alcune lacrime sfuggirono al mio controllo. Le asciugai velocemente con il dorso della mano e tirai su con il naso. Mi risollevai sistemandomi velocemente e alzai gli occhi al cielo perché la brezza estiva asciugasse le lacrime. Quando tornai a guardare davanti a me incontrai gli occhi neri e spenti di Dario. L'odore intenso di tabacco solleticò le mie narici e il mio sguardo fu un fazzoletto sporco di sangue attorcigliato attorno alla mano sinistra. Non aveva preso a calci la parete, ma a pugni. Lui, invece, abbassò lo sguardo verso la mia valigia per poi puntare di nuovo le sue iridi nelle mie. Tacque e io feci lo stesso, rimanendo a fissarci per un tempo indefinito e difficile, quasi impossibile, da quantificare. Nessuno dei sue ebbe il coraggio di parlare perché eravamo entrambi consci che era tutto finito e che discutere, accusandoci l'un l'altro, sarebbe stato del tutto inutile. Nello sguardo di Dario lessi rancore, delusione, senso di colpa. E una buona dose di rassegnazione. Dopo anni l'amore l'aveva ritrovato ancora, ma aveva sprecato due frecce inutilmente per colpirci. Io e Dario non eravamo pronti per l'amore.
Quando il silenzio tra di noi diventò insopportabile ripresi a camminare con lo sguardo basso per non incrociare il suo, mentre gli dicevo addio tacitamente. Dario rimase fermo, anch'egli con lo sguardo basso e i pugni stretti lungo i fianchi. Gli passai accanto, il mio braccio sfiorò il suo e il suo calore mi invase per l'ultima volta che tutta la sua potenza. Non mi voltai, non avevo il coraggio di guardare indietro e rischiare di vederlo ancora. Per cui uscii speditamente dal cancello e, quando fui abbastanza lontana dalla villa dei Vitrano, scoppiai a piangere.
Milano non sarebbe stato il cicatrizzante per la nostra ferita. Milano non mi avrebbe aiutata a rimettere insieme i pezzi della nostra relazione frantumato. Milano sarebbe stata solo e semplicemente la triste e nebbiosa Milano. Ed io ci sarei ritornata da sola.









____________________________________________________________

Se qualcuno se lo stesse chiedendo, no, non sono morta xD
Dopo mesi di silenzio sono ritornata! Mi dispiace per questo ritardo immenso, ma Dicembre, Gennaio e Febbraio li ho passati a disperarmi, a studiare tipo cinque libri per l'esame di anatomia e mi era praticamente impossibile perfino respirare! So che non ve ne fregherà un tubo, ma stare sui libri ore ed ore è servito a qualcosa. L'esame l'ho superato e, quindi, sono al terzo anno di medicina, olè! Per quanto riguarda Marzo...beh...diciamo che me la sono presa comoda per scriverlo questo capitolo. Avevo bisogno di un po' di riposo e di riordinare un po' le idee :D
Dopo questo breve riepilogo della mia intensa vita, parliamo del capitolo. Ebbene sì: è l'ultimo! Ci sarà un epilogo, ma la storia oramai è finita. Ed era così che doveva andare fin dall'inizio. Molte di voi credevano che ci sarebbe stato il lieto fine, invece la storia di Alice e Dario si è conclusa e nemmeno nel modo migliore. Mi sembrava inutile allungare ancora di più il brodo e scrivere capitoli interi in cui Alice si piangeva addosso per quello che aveva fatto, sarebbe stato alquanto noioso. E mi è sembrato anche inutile farli litigare. Urlarsi contro tutto il rancore e il disprezzo che provavano l'uno per l'altra in quel momento non avrebbe portato a nulla, se non ad un sacco di schiamazzi. Perciò, entrambi, hanno preferito dirsi addio così, tacitamente ed implicitamente, con solo uno sguardo che racchiudeva i sentimenti e tutte le parole che avrebbero voluto dirsi in quel momento.
Alcune di voi (o forse no?), sanno che io non amo molto i lieto fine. È già tanto che abbia scritto una commedia così "leggera". Diciamo che non è proprio il genere che piace a me. Preferisco di gran lunga le storie drammatiche. Da come si era svolta tutta la storia, probabilmente un lieto fine ci sarebbe stato bene con Dario ed Alice che soprassedevano al reciproco tradimento perché il loro amore è troppo grande per essere scalfito, con loro due che convolavano a giuste nozze e facevano un sacco di bambini. Però era alquanto inverosimile. Sono poche le persone che trovano nel loro primo amore l'uomo/la donna della loro vita e Alice non è una di queste. Per quanto io adori Dario ed Alice insieme e volessi vederli felici insieme per sempre, la rottura era necessaria. Come dice Alice, non sono pronti ad amare: lei ha appena cominciato a vivere, lui è ancora troppo intimorito dai sentimenti per lasciarsi andare.
Ci sarebbero ancora moltissime cose da dire e troppe persone da ringraziere, per cui mi terrò il discorso di addio per l'epilogo, che cercherò di postare il prima possibile.
Ancora una volta grazie a tutte di cuore! 

E, anche questa volta, non manca la pubblicità:

Come in un Sogno - con IoNarrante
»Melancholia
- dovrebbe essere una pagina autore, ma per ora è ancora inattiva. Aspettavo che ci fosse un po' di vita per spoiler, fotografie ed anticipazioni sulle nuove storie che mi ronzano in testa :D
Crudelie si nasce - gruppo Facebook, per fare quattro chiacchiere e ridere tra di noi.

Alla prossima con l'epilogo e i vari ringraziamenti :D
Un bacione, Manu ♥

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _Shantel