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Autore: Ninfea Blu    14/12/2011    18 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8 -

8 – In amore e in guerra

 

 

Si era alzata verso le undici, quella mattina.

Era una cosa che la indisponeva, perché non le piaceva oziare fino a tardi.

Era il minimo dopo la nottata trascorsa.

Oscar aveva lasciato la camera di Danielle dopo la mezzanotte; lievemente malferma sulle gambe, infreddolita, la spada in una mano, la bottiglia nell’ altra, aveva riguadagnato il suo letto caldo.

Contava di addormentarsi appena avesse posato la testa sul guanciale, ma così non era stato.

Un pensiero su tutti gli altri l’aveva disturbata come un suono molesto nella testa; una frase detta da Danielle, quella notte. Le era sembrata assurda, ma ritornava indietro come un’ eco che la inseguiva e la invadeva.

 

-         Potrei sorprenderti… Io so di Andrè, cose che tu neppure sospetti…

-         Credi che ti farà da attendente tutta la vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato…

 

In effetti, era un pensiero che non l’aveva mai sfiorata.

 

-         Dovresti provare a essere me, per un’ ora…

 

A quella frase, altre erano precipitate nella sua testa, come quando un piccolo sasso si stacca dalla montagna e trascina giù con sé, massi più grandi. Si era addormentata con un boato nella testa, un rumore fatto di parole ossessive che richiamavano strane visioni alla mente.

 

Lei, Andrè.

Danielle, Andrè.

Lei, Danielle.

Lei come Danielle. Con Fersen.

Una su tutte; Danielle con Andrè. Nel suo letto.

 

Al risveglio, l’immagine era ancora lì. E non voleva andarsene.

Non capiva perché la disturbasse tanto. Non sarebbe dovuto importarle.

Ma le importava, eccome.

Si era alzata dal letto e si era avvicinata alla finestra che dava sul cortile davanti all’ingresso e aveva visto l’arrivo della carrozza del cognato. Aveva sospirato stanca, quasi fosse l’ennesima seccatura.

Leopold Di Recamier, un piede sul predellino, era sceso dalla carrozza e lei aveva tirato la tenda di pesante broccato prima di vedere la donna che lo accompagnava, scendere a sua volta.

Non aveva nessuna voglia d’incontrare il cognato, un uomo che giudicava sgradevole, oltre che di mentalità ristretta. Si vestì e prese la spada per uscire in giardino; voleva allenarsi con André.

 

Ma quella mattina l’attendente non si trovava; nessuno sapeva dove fosse finito.

Un ora dopo, Oscar vagava sola per il parco della villa; complice la solitudine, col pensiero continuava a indugiare sulla strana proposta fatta quella notte; avrebbe dovuto essere solo un’ idea fugace, ma lentamente acquistava una consistenza reale. Era una tentazione troppo forte che sarebbe stato più saggio scacciare, ma col passare dei minuti diventava incredibilmente seducente.

Lei nei panni di Danielle.

Scuoteva la testa, tentando di scacciare da sé quell’immagine scandalosa e inopportuna.

Uno scambio di persona che nessuno avrebbe sospettato. Perché non tentare una volta, di essere qualcun altro? Sarebbe stato facile, un gioco senza rischi per lei che era abituata a rischiare. Più ci pensava, più voleva provare a essere quella donna che viveva all’ombra dell’altra.

Da qualche ora aveva scoperto nel cuore sentimenti contradditori che la confondevano: doveva tentare di comprenderne la natura, quell’essenza misteriosa che da sempre le sfuggiva.

Camminava lungo le siepi del giardino, lo sguardo basso a seguire il sentiero cosparso qua e là di foglie secche, assorta o forse persa nei suoi pensieri tra quello che era e ciò che lei credeva fosse il suo sentire, quando avvertì il rumore ovattato, uno scricchiolio di foglie calpestate. 

Solo allora, tornò vigile, alzò gli occhi celesti e la vide contro lo sfondo del parco, tra il verde scuro degli alberi e la luce che filtrava tra il fogliame.

Una donna, una sconosciuta vestita di blu, si stava avvicinando con un sorriso cordiale sul volto rotondo e due pozzi neri che la scrutavano.

“Buongiorno. Voi siete Oscar Francoise De Jarhayes, la gemella di Madame Recamier, la donna soldato che comanda le Guardie Reali di Sua Maestà… è un piacere incontrarvi. Sono impressionata; se non vi vedessi vestita da uomo non vi distinguerei da vostra sorella.”

Oscar restò a fissare l’estranea dalla voce cristallina per un attimo, senza concederle l’ombra di un sorriso.

“Con chi ho l’onore di parlare, madame? Non penso di conoscervi, ma a quanto pare, voi conoscete me.”

“Oh, scusate le mie cattive maniere, madamigella Oscar. Sono Lisette De Marchard; sono giunta stamani con vostro cognato, il Conte di Recamier; è stato lui a parlarmi di voi. Sono sua ospite qui, fino alla mia partenza.”

“Un’ amica di mio cognato, dunque…” Le venne naturale porre l’accento sulla parola ‘amica’.

Sapeva di che genere d’amicizie Leopold amasse circondarsi.

Lisette, donna pratica e piuttosto schietta, colse l’allusione; continuando a sorridere, abbassò solo un attimo lo sguardo, per sollevarlo di nuovo con coraggio e orgoglio su Oscar, che non aveva smesso di fissarla con ironica, aperta curiosità.

“So che cosa state pensando. Mi dispiace di essere piombata a gettare scompiglio, non era nelle mie intenzioni. Probabilmente vi offende la mia presenza qui, ma non voglio essere motivo d’imbarazzo per nessuno, vi assicuro. Nutro un sincero affetto per vostro cognato, per dei motivi che non starò qui a dirvi. Sappiate solo che gli devo molto, e lo rispetto.”

“Ne sono sicura, madame, e non dovete giustificarvi con me: non ho motivo per sentirmi offesa.”

In fondo, non sono io la moglie tradita, pensava tra sé con un guizzo d’ ironia.

“Oh, non mi volevo giustificare ai vostri occhi, né a quelli di chiunque altro. Volevo solo che fosse chiaro che ho accettato l’ospitalità del conte con la massima fiducia e senza secondi fini. – Lisette si profuse in un inchino rispettoso, prima di allontanarsi. - E ora, col vostro permesso, mi ritiro. Buona giornata, comandante.”

Senza attendere risposta, Lisette riprese a camminare attraverso il parco, avviandosi verso casa. Oscar seguì con lo sguardo la sua figura per alcuni minuti. Fu allora che si accorse di André.

L’ attendente incrociò Lisette che camminava in direzione opposta alla sua; Oscar lo vide girarsi per osservare Madame Marchard che si allontanava con passo spedito, quasi avesse fretta di raggiungere le mura silenziose e tranquille della villa.

Intanto, André l’aveva raggiunta e si era accostato a lei.

“André è più di un’ora che ti cerco, ma dov’eri finito?”

“Stavo aiutando uno dei garzoni a sistemare la merce in cucina e intanto raccoglievo gli ultimi pettegolezzi; è così che mi tengo informato e tengo te aggiornata su tutto.” Commentò l’amico con ilarità. Oscar sorrise.

“Sei davvero impagabile. Ecco perché sei sempre così informato. Cosa sai di lei? – chiese indicando la piccola figura vestita di blu ormai lontana. - Non l’ho mai vista prima, né a corte né altrove; immagino che la famiglia non abbia libero accesso a Versailles.”

“No, infatti. I Marchard appartengono alla piccola nobiltà di campagna e sono privi di grandi sostanze che occorrono per fare vita di corte. Voci dicono che Madame Lisette sia l’amante di tuo cognato, ma questo sarebbe il meno; pare che lui abbia pagato i debiti della sua famiglia, consentendole di saldare l’ipoteca che pendeva su parte dei beni e sul piccolo palazzo che i Marchard hanno a Chassillé.”

“Cosa? Mia sorella sa qualcosa di questa faccenda?” Chiese con apparente stupore.

“Non credo, ma non sono sicuro. Penso che non le piacerebbe scoprire una cosa del genere e il marito farà di tutto per tenerla all’oscuro.”

“Già. Danielle potrebbe reagire molto male. Mi domando perché Leopold dovrebbe dare fondo a una parte delle sue sostanze per pagare i debiti della sua amante…”

Oscar rimase assorta, quasi distratta, come persa in una riflessione propria, mentre con la coda dell’occhio osservava Andrè con attenzione sospetta. Il pensiero di Madame Marchard andava e veniva nella sua mente come un venticello leggero che non la disturbava più di tanto. In realtà, gli scandali presunti o reali in cui quella donna e il cognato potevano essere coinvolti non la interessavano affatto. Che fossero veramente amanti poco le importava.

Non si aspettava un comportamento migliore da Leopold, e sapeva che la stessa Danielle si disinteressava di quello che faceva il marito; le amanti del conte erano ordinaria amministrazione nella loro vuota vita coniugale.

In realtà, la impensieriva un altro scandalo solo vagheggiato.

Di altri amanti temeva di scoprire la storia.

Altri pensieri le facevano tremare il cuore e sudare le mani, quasi avesse una specie di febbre, ma fingeva di essere banalmente interessata alle chiacchiere futili del suo attendente.

Ma altro avrebbe voluto sapere.

E altre cose stava immaginando.

Andrè parlava ignaro e tranquillo, lasciandosi distrarre dal paesaggio attorno, da un uccello che si posava su un ramo, per questo non si accorgeva della sua insolita disattenzione; lei lo vedeva insieme alla sorella, lo immaginava mentre le sorrideva, mentre accostava il viso al suo e i suoi capelli neri ondeggiavano al vento leggero, mentre Danielle si lasciava scivolare tra le sue braccia e prendeva il suo volto tra le mani per baciarlo, come lei non avrebbe mai osato fare con un uomo.

Nel suo delirio momentaneo, li vedeva baciarsi con ardore e sentiva il cuore accelerare, preso da un affanno penoso e incomprensibile.

In un moto involontario, quasi inconsapevole, Oscar stinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.

Voleva parlare d’altro. Di qualcosa che poteva riguardare anche lui.

Soprattutto lui.

Abituata in tante situazioni ad essere sempre molto diretta e franca, trovò quasi ostico pilotare una conversazione di carattere tanto delicato, proprio con André. Ma il bisogno di sapere può essere più forte di qualsiasi pudore o scrupolo.

Possibile che lui avesse segreti per lei?

Lo guardava di sottecchi e cercava tracce del suo sospetto nell’ espressione che sembrava quella di sempre, negli occhi ridenti. Lei non scorgeva ombre cupe in quelle iridi profonde e serene, specchio di sentimenti sconosciuti, ma certamente positivi, genuini.

Ma contro ogni apparenza, i pensieri cattivi facevano troppo male.

Era impossibile ignorarli.

“Tra il Conte di Recamier e Madame Lisette forse c’è molto di più di una comune relazione clandestina…”

“Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, non credi? Segreti in fondo al cuore… Aspirazioni e desideri legittimi, ma qualche volta pericolosi…Non sei d’accordo?” disse osservandolo fisso, provocandolo, aspettando una sua reazione.

 

Forse fu il tono.

Forse lui era troppo sensibile ai suoi impercettibili mutamenti d’umore.

La conversazione aveva preso una piega imprevista e diversa. Non sapeva come né perché, ma André si era accorto che Oscar aveva deviato i suoi pensieri in tutt’altra direzione in maniera quasi repentina. E si rese conto che nulla di quello che riguardava il cognato, in quel momento la interessava.

Si chiese se avesse sentito una sola parola di quello che aveva detto e come lo avesse interpretato.

Per un momento pensò all’amore di lei per Fersen, ma quegli occhi celesti lo fissavano come se volessero metterlo a nudo, scoprirlo nei recessi più nascosti e lui avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale, come un segnale d’allarme; emerse la paura di non saperle nascondere la verità e restò perplesso di fronte alla forza enigmatica di quello sguardo.

Era come se Oscar non vedesse altro, come se improvvisamente non fosse più lui, ma un altro uomo.

Lui si concentrò su quello sguardo, dimenticando l’ambiente attorno, gli alberi, le foglie; avvertiva solo l’aria fresca e leggera che faceva ondeggiare lievemente i capelli biondi davanti al suo viso, come fossero fragili fili di ragnatele.

Erano fermi in una piccola radura del giardino e Oscar si era appoggiata con la schiena al piedistallo di marmo di una statua che segnava l’ingresso ad un’altra ala del parco.

Cercò di tornare padrone di sé.

Distolse lo sguardo verso terra e parlò a voce bassa e profonda.

“Chissà perché, ma ho l’impressione che stiamo parlando d’altro, Oscar…”

“Noi ci diciamo tutto, vero André?”

Lui aveva appoggiato una mano al marmo, vicino alla spalla di lei. Una ciocca di capelli biondi gli sfiorava la pelle delle dita.

“Tu mi dici tutto, Oscar?”

“Non è di questo che voglio parlare. Se tu fossi coinvolto in una situazione sbagliata, me lo diresti, vero?”

“A cosa ti riferisci? Parla chiaro.”

Si era piazzato di fronte a lei, con le braccia incrociate sul petto, ma Oscar non ebbe il coraggio di sostenere quel confronto e non lasciò che lui le leggesse nel profondo degli occhi il turbamento che stava provando.

“Una volta mi hai detto che Danielle ti piace... Cosa provi davvero per lei? È lo stesso legame che hai con me?”

Andrè restò in silenzio per un lungo momento, confuso di fronte alla domanda inattesa.

“No, Oscar. Non è la stessa cosa. Non ho diviso la mia vita con tua sorella. Che senso hanno tutte queste strane domande? Credi che abbia una vita segreta che non conosci? Suvvia Oscar, sono sempre con te. C’è qualcosa di me che non sai?”

Qualcosa c’era in effetti, ma non ne faceva una colpa a lei.

“Ma a me non confidi tutto… Forse c’è qualcosa che vorresti e che lei può darti… che forse ti ha già dato…”

Un solo pensiero attraversò la mente dell’uomo. Parole incise su una pietra.

 

Io voglio te  nient’ altro che te.

 

Ma André finì per dire altro.

“L’hai detto tu, che abbiamo tutti i nostri segreti…”

Tornò a guardarlo dritto in faccia. Oscar avrebbe voluto una risposta diversa, meno evasiva. Sentì tutto il peso del velo che André non voleva sollevare e che lei avrebbe voluto strappare. Sapere divenne un bisogno impellente e pose la domanda che avrebbe potuto dividerli per sempre.

“Potresti innamorarti di lei? L’altra sera, quando hai ballato con mia sorella… ho visto come la guardavi. Capisco che sarebbe facile cedere, Danielle è indubbiamente molto bella, ma…” Oscar si staccò dal marmo e fece qualche passo, prima di arrestarsi e voltarsi di colpo verso l’amico che era rimasto fermo, forse più impietrito della statua di satiro sul piedistallo.

“Tu ti rendi conto che non sarebbe possibile? Immagini i rischi che correresti, vero?” e mentre gli diceva quelle parole, le tornavano alla memoria le accuse della sorella.

 

-         Sei mortalmente gelosa di André… una cosa che dovrebbe farti riflettere.

 

E in quell’istante assoluto capì che Danielle aveva ragione.

Era gelosa di Andrè nel profondo, fin dentro le viscere che si contorcevano come serpi velenose all’idea dolorosa di loro due insieme, ma si credeva innamorata di Fersen, l’unico per cui avesse versato vere lacrime.

Fu una rivelazione che le discese nel cuore, un raggio di luce tracotante che profanava il silenzio dei suoi pensieri incerti.

Ma cosa c’era di vero in lei, adesso? Gelosia, amore, oppure entrambi?

Si trovò incapace di distinguerli.

André le si avvicinò improvvisamente per afferrala per un braccio e costringerla a guardarlo.

“Tu continui a pensare che io potrei… potrei diventare l’amante di tua sorella? Addirittura innamorarmi di lei?”

L’incredulità si leggeva nell’espressione; era palese e sarebbe dovuta bastare ad annientare qualsiasi dubbio, ma Oscar voleva una conferma inoppugnabile.

“Potresti André? Rispondi solo a questa domanda. Devi dire solo sì o no.”

Oscar sentiva le sue dita forti che stringevano la carne, ma non tentò di liberarsi dalla presa. Andrè continuava a tenerla saldamente per il braccio e la trovava stranamente arrendevole; gli pareva assurdo che proprio lei insistesse a tornare su quell’argomento spinoso che lui aveva già tentato di chiudere una volta.

“Cambierebbe qualcosa per te? Cambierebbe qualcosa fra noi, Oscar?” le chiese impaziente. Non aveva più voglia di minimizzare.

“Forse…”

Il silenzio che seguì, a Oscar non piacque; troppe aspettative e la paura di ricevere la risposta indesiderata.

L’esitazione dell’ amico nascondeva ciò che l’avrebbe spaventata, e Oscar si chiese che intensità e che colori potessero avere i pensieri che passavano in quel lungo minuto dietro i suoi occhi. Forse, si disse, erano i colori di Danielle.

Tremò e fu certa che lui potesse sentirlo.

 

Per André quel  “forse”  era più di quanto avesse mai avuto.

Forse era tutto.

Tutte le parole che avrebbe voluto dire.

Tutto l’amore nascosto nel cuore.

Forse lei avrebbe dimenticato Fersen.

Forse si sarebbe accorta di lui.

Forse avrebbe visto l’uomo capace di amare una donna e di renderla felice.

Un uomo diverso da Fersen e ancor più vero nel cuore.

Forse era la speranza celata sotto il dolore.

 

Così lui decise di rischiare, perché se doveva perderla per colpa di un altro, almeno doveva tentare di lottare per averla e non ci sarebbe stato un altro modo.

Se l’amore era un gioco di alchimie sottili, (1) un negarsi e concedersi agli sguardi, una lotta fra cuori simili, doveva raccogliere la sfida e gettarsi in quella partita a tre.

Un sospiro quasi impercettibile per raccogliere le forze.

Le lasciò il braccio, poi rispose.

 

“Sì…”

 

Oscar fu certa che il cuore le si fosse fermato un istante prima di sentire il morso più doloroso e vero della gelosia, che la stringeva più di quanto non avesse fatto lui poco prima.

Seppe con precisione che non ci sarebbe mai stato nulla di più reale.

Le lacrime per Fersen, confuse come vapore in un sogno, dubitò fossero mai esistite.

 

 

*********

 

 

Osservavo dal balcone il giardino del mio palazzo. Amavo i colori autunnali che la natura regalava con profusione.

La temperatura era ancora mite anche se l’autunno stava per soccombere all’inverno che bussava alle porte, ma mi piaceva sentire il timido calore del sole sulla pelle del viso.

Fersen era a pochi passi dietro le mie spalle e contemplava con me il paesaggio offerto dalle foglie rossastre degli olmi. Sorseggiavo con calma il mio tè che Ninette ci aveva servito poco prima. Alle orecchie mi arrivava lo zampillo dell’acqua della fontana che dominava la scena sotto di noi. Ancora qualche settimana, e i suoi giochi d’acqua sarebbero stati un ricordo dell’estate passata, e la vasca sarebbe stata sporcata dalle foglie morte che un giardiniere avrebbe provveduto a togliere. Era un’ immagine che mi metteva sempre tristezza.

La voce di Fersen venne a distrarmi dalla mia malinconia.

“Allora contessa, siamo d’accordo per il ballo? Io ci sarò se ci sarete anche voi, altrimenti non presenzierò… Mi avete promesso che ballerete soltanto con me. Spero solo che non intervenga anche vostro marito…”

Mi voltai verso di lui. Sorrisi per compiacerlo.

“Avete timore di un rivale? Di mio marito non dovete preoccuparvi; probabilmente non sarà neanche più qui. Piuttosto, voi saprete dire di no alla regina? Sappiate che mi offenderò se mi lascerete per danzare con lei. E ricordate: lo fate anche per il suo bene.”

“Sì, lo capisco. Siete molto esigente.” Sospirò fingendo un cruccio che non c’era.

“Questi sono i patti e pretendo che si rispettino. Ma se non potete, ditemelo subito.” Puntualizzai decisa.

“Sarà un sacrificio che farò volentieri; voi madame, lo renderete più sopportabile.”

 

In quel preciso istante Oscar e André entrarono nella stanza per raggiungerci sulla terrazza che dava sul giardino.

Oscar si accostò alla grande porta finestra, si appoggiò allo stipite con la spalla e a braccia conserte, restò lì a guardarci; Andrè era un passo dietro di lei, nascosto nella penombra dell’ambiente. Scrutai il viso dell’attendente nel tentativo di leggervi i pensieri; negli occhi verdi mi parve di scorgere il riflesso di una strana determinazione che coglievo con sorpresa, e mi sentii inquieta, ma fui distratta dalla voce del conte di Fersen che si rivolse a mia sorella in tono confidenziale.

“Madamigella Oscar, avete voglia di passeggiare con me nel parco? O preferite cavalcare? Vorrei sottoporvi una certa questione, in privato, se possibile. Avrei proprio bisogno di avere la vostra opinione su un argomento delicato che sta molto a cuore anche a voi, immagino.”

Io sapevo che l’argomento riguardava la regina Maria Antonietta e anche Oscar doveva averne il sospetto, a giudicare dall’occhiata d’intesa che scambiò con il conte.

“Ma certo, facciamo pure una passeggiata; però mi spiacerebbe privare mia sorella della vostra compagnia.”

Rispose diplomatica. Fersen la rassicurò subito.

“Vostra sorella sa che ho necessità di parlare con voi, anzi ha insistito perché vi esprimessi liberamente il mio problema, vero contessa?” incrociò il mio sguardo per avere una conferma.

“Ma certo conte. Io aspetterò qui con André.”

 

Oscar e il conte si allontanarono; nel rettangolo della porta che si richiudeva, colsi l’occhiata grave e apprensiva che Oscar scambiò col suo attendente come se temesse di lasciarlo solo con me. Sembrava stranamente reticente ad allontanarsi.

Mi chiesi se Oscar non avvertisse il pericolo della nostra vicinanza.

Fu la reazione di André a lasciarmi interdetta; intercettai lo sguardo sicuro, la piega morbida eppure decisa delle sue labbra in un lieve sorriso che non voleva essere rassicurante, ma che risultava piuttosto enigmatico.

Alla fine, lui interruppe il contatto tra i loro occhi, per alzare su di me quello sguardo profondo e avvolgente che mi catturava come una calamita e mi aveva fatto innamorare così tanto; mi concessi il piacere segreto di guardarlo e indugiai sulla bella figura alta che si stagliava netta nell’ambiente, sull’atteggiamento composto ma non servile, sulla semplice camicia bianca che disegnava la curva delle spalle ampie e forti.

Il mio cuore palpitava un po’ convulso in preda ad un’ inaspettata speranza. Respirai a fondo, sollevando il petto.

André voleva restare lì con me e non pareva avere alcuna fretta o desiderio di seguire la sua padrona, non sembrava preoccuparsi neppure di Fersen. A che gioco giocava? Era un inganno? Fingeva di disinteressarsi di Oscar?

Voleva punirla o soltanto cedere per capriccio maschile alle lusinghe che gli avevo dimostrato la sera prima? Andrè non sembrava voler nascondere neppure di fronte a lei, la strana potente attrazione fisica che sono sicura, esisteva tra noi. Eppure, lui più di chiunque altro, doveva conoscere le paure segrete della mia gemella.

Vidi il suo corpo muoversi per accostarsi un po’ a me, che ero rimasta immobile sulla terrazza. Parlai liberamente.

In fondo, con lui non avevo bisogno di fingere. Non del tutto, almeno.

“Forse mi sto ingannando, ma non pare disturbarti troppo la vicinanza tra Oscar e il nobile svedese. Direi che è la prima volta che ti dimostri così disinteressato; ho sempre pensato che ti desse fastidio.”

“In realtà, non credo di aver mai palesato il mio disagio; è facile notare le sfumature quando si conosce la verità.”

“Non vuoi darmi qualche merito, André? Sono una buona osservatrice, sai?”

“Oh, ti do tutti i meriti che vuoi. Anzi, sono quasi sicuro che certe idee recenti che passano per la testa di Oscar, siano opera tua, Danielle.” Rispose in tono un po’ sarcastico, appoggiando una mano alla balaustra di marmo.

“Ad esempio, quali?” Lo guardai negli occhi senza alcuna titubanza, pensando che avrei continuato a dominare il gioco.

“Ad esempio, l’idea intrigante che tra me e te possa esserci qualcosa oltre l’amicizia… intimo affetto, magari; era quello che mi suggeriva il tuo sguardo l’altra sera… mi sono sbagliato?”

Parole che furono come tempesta dolce nel mio animo.

Non gli risposi e mi girai a guardare il parco, nel tentativo inutile di celare l’improvviso turbamento che mi assalì facendo accelerare il respiro. Dunque, Oscar era stata tanto diretta? E io dovevo forse esserlo altrettanto e dichiarare finalmente ciò che volevo? Dovevo confessargli che volevo lui con tutte le mie forze, con ogni pensiero, in ogni goccia del mio sangue che affluiva sulle mie gote, e che ero disposta a tutto per quell’amore che mi pareva immenso, intenso come l’ultimo alito di vita? Dovevo dirgli che non sapevo né volevo oppormi all’emozione travolgente che mi trasmetteva la sua semplice vicinanza? La mia anima vibrava come se mani sapienti toccassero le corde di un’ arpa, e la musica che ne usciva era una melodia che mi sollevava da terra; mi sentivo felice, quasi leggera e innocente ed ero certa che fosse una condizione totalmente nuova. Perché l’amore non è mai sporcato dalla colpa, neanche quando assume i contorni del tradimento.

Volevo convincermi di questo.

Volevo vivere la mia dolce illusione.

“Non ti chiederei altro che intimo affetto, André. Vorrei piacerti almeno un po’… in fondo, sono uguale a lei. Solo indosso panni femminili, ho un ventaglio al posto di una spada, e non comando un esercito. Mi trovi meno affascinante per questo?”

“Sono lusingato Danielle, davvero. Sei meravigliosa. – Andrè si mosse per prendere la mia mano appoggiata poco lontano dalla sua sul marmo. – Come potresti non piacermi? Sei una donna di una bellezza tale da stordire un uomo… e io ero stordito l’altra sera. Mi hai tentato Danielle, non posso negarlo.”

La sua voce era carezzevole e le sue labbra sorridevano.

“Cederesti alla tentazione? O vuoi continuare a inseguire chi non puoi avere?” Sospirai coi suoi occhi nei miei.

“Mi rimproveri un errore che potresti fare anche tu?”

Si oppose con dolcezza accarezzandomi una guancia con due dita.

“Sono disposta a correre il rischio, se esiste una speranza concreta… Guardami Andrè; io sono qui.”

“Danielle, ti prego…”

“Non sono irraggiungibile, e potrei amarti più di lei. – Presi la sua mano che indugiava sul mio volto. Poi strinsi le mani sulle sue braccia. - Se allunghi una mano, io la posso prendere. Perché non dovremmo concederci un po’ di felicità? Tu ne hai bisogno quanto me; in te io vedo la mia stessa solitudine.”

“Se cedessi al tuo gioco, te ne pentiresti tu per prima. Ti faresti male, credimi.”

“Non è un gioco, André. Per la prima volta non sto giocando. Sto rischiando tutto.”

Era vero, ormai avevo smesso di nascondermi e mi ero aggrappata a lui.

“Forse, se non amassi così tanto Oscar… sarei già crollato tra le tue braccia, anche solo per consolarmi di ciò che non posso avere. – Chiusi gli occhi e mi sentii morire, sopraffatta da quelle parole. – Ma sono un uomo come gli altri, Danielle; la mia resistenza col tempo potrebbe dimostrarsi debole e non so immaginare le conseguenze. Lo sai; in amore è in guerra tutto è lecito.”

Emise un respiro profondo mentre respingeva le mie braccia, con una fatica che pareva immensa. C’era una supplica quasi disperata nella sua voce.

Le sue difese erano abbassate, ma non del tutto e non capivo cosa intendesse dire con l’ultima frase.

C’era ancora la lotta tra il cuore e la ragione, tra il lecito e l’illecito, ma dove fossero una e l’altra era difficile da dire.

Volsi lo sguardo verso il giardino, tra le siepi che disegnavano complicati disegni geometrici e li vidi: mio marito e Madame Lisette, Oscar e il Conte di Fersen, erano fermi in un angolo, vicini agli alberi di magnolie. Sembravano coinvolti tutti in una vivace discussione, ma Oscar volse lo sguardo in direzione della terrazza da cui io e André li stavamo osservando. Mia sorella continuò a scrutarci da lontano, come un custode silenzioso e severo, senza prestare attenzione al gruppetto di persone attorno a lei.

E allora avvertii la catena; era lì, ingombrante e definitiva, quel legame invisibile e potente che saldava le loro vite, che le aveva fuse insieme.

Lei era sempre presente, anche quando era assente.

Lei era sempre fra me e lui.

“Guarda laggiù, André. C’è tutta la mia vita e anche la tua. Ci sono i nostri dolori.”

André puntò lo sguardo nella mia stessa direzione. Io ripresi a parlare con convinzione.

“Leopold, quell’uomo che devo chiamare marito, mi offende portando in casa mia la sua amante; perché mi si chiede di tollerare una cosa simile? Perché dovrei salvare le apparenze di qualcosa che non esiste? Non l’ho mai amato e non lo amerò mai, ma sono stata costretta a sposarlo. Quando finalmente mi innamoro davvero, non posso esprimere i miei sentimenti, non posso viverli perché quella stessa catena me lo proibisce. Tu dovresti capire cosa significa. Ti sembra giusto, André?”

Restò fermo a guardare verso il punto del parco dove Oscar e il conte di Fersen erano immobili. Sembrava stessero parlando.

“No, non è giusto. Ci sono catene che non si spezzano… ma da altre ci si può liberare.”

Aveva pronunciato la frase con  gravità e immaginai a cosa si riferisse.

“Non ingannare te stessa, Danielle. Hai accettato un compromesso, ma non puoi usare l’amore per ribellarti al tuo destino. Se il tuo matrimonio è una prigione, perché non ti liberi? Non esiste il divorzio?” mi chiese inaspettatamente.

Divorziare: non l’avevo mai neppure preso in considerazione.(2)

“Credi che Leopold me lo concederebbe? Oh, André! Si vede che non conosci del tutto il nostro mondo. Passare per fedifrago, lasciare la moglie rispettabile per un’altra donna di posizione sociale discutibile rovinerebbe la reputazione e il prestigio del casato e sarebbe molto peggio se io venissi bollata nello stesso modo; sarei quella che ha da perdere di più e ne soffrirebbero anche i miei figli che potrebbero passare per illegittimi, perdere la loro eredità. Come vedi ho le mani legate.”

“Certe azioni richiedono molto coraggio; non sei la sorella del colonnello Oscar, una delle figlie del generale Jarhayes? Non dovrebbe essere un pezzo di carta a fermarti, né le convenzioni sociali, se lo volessi veramente. Ma forse, preferisci accontentarti e vivere la tua vita come altri l’hanno imposta.”

Sgranai gli occhi di fronte a tanta sfrontatezza.

“Quando vuoi, sai essere spietato André. Ma non sai quanto siano pesanti le convenzioni sociali, quanta poca libertà ci sia in esse.”

“Non è vero; lo so molto bene, invece. Scusami, ho espresso solo un mio pensiero. Non badarci.”

 

Si stava alzando un filo di vento e decidemmo di rientrare nella stanza, ma non restammo soli ancora a lungo; Oscar e il Conte di Fersen, di ritorno dalla passeggiata, si unirono a noi.

André rientrò nel suo ruolo di servo che lo relegava ai margini dell’ambiente, figura discreta che non si faceva notare.

Il conte di Fersen appariva tranquillo e rilassato, come se parlare con Oscar gli avesse tolto un peso dal cuore. Anche lei non rivelava alcun stato d’animo particolare, ma osservandola attraverso il fumo del tè che saliva dalla sua tazza di porcellana, mi parve pensierosa, ma non preoccupata. Stava rimuginando qualcosa.

Mai avrei indovinato cosa stesse pensando, se lei più tardi non me ne avesse parlato.

Solo per brevi attimi i suoi occhi si alzavano su André, in piedi sul lato opposto della stanza e poi tornavano bassi sulla tazza tenuta a mezz’aria, oppure li volgeva verso la finestra, da cui si vedeva il cielo bianco solcato dal volo di uccelli neri.

Madame Lisette e mio marito si unirono a tutti noi solo per l’ora di cena.

Feci servire una cena leggera; un consommè, della selvaggina e verdure, abbondante frutta di stagione e del buon vino della cantina di famiglia. Il conte di Fersen conversava tranquillamente con Leopold di facezie, banalità e storie di scandali più o meno reali, ma evitò accuratamente ogni allusione a fatti che lo riguardassero.

Oscar, seduta al mio fianco al tavolo della sala, si accostò per bisbigliare qualcosa al mio orecchio.

“Danielle, ho bisogno di parlarti, in privato. Ti aspetto nella mia stanza, più tardi.”

“Mi devo preoccupare?” le chiesi, asciugandomi le labbra col tovagliolo, ricordando la nostra recente conversazione notturna. Lei emise un risolino divertito.

“Dipende.”

“Ti diverte proprio mettermi in ansia, Oscar?”

“Sta tranquilla, ho solo una richiesta un po’ particolare da farti. In realtà, è qualcosa che hai proposto tu…”

 

Il sospetto mi venne quasi subito. Non feci che pensare a quello che le avevo detto io, tra lo scherzo e la provocazione, senza riflettere sul fatto che Oscar avrebbe potuto prendermi in parola.

 

-         Dovresti provare a essere me…

 

Lo avevo detto per puro caso?

O era stato un colpo lanciato con la sicurezza di colpire il bersaglio?

Ci avevo sperato, sì. Forse era quello che volevo.

Ma sembrava un’ eventualità troppo irreale perché potesse concretizzarsi.

Allora, l’avevo accantonata in un angolo della mente, come una follia senza senso. Mia sorella non si sarebbe mai prestata a niente del genere. Non avevo calcolato la sua intraprendenza, solo ancora non sapevo che i suoi scopi non avevano nulla in comune con i miei.

Oscar era mossa da altro.

Da un bisogno più intimo che le apparteneva: la necessità di trovare sé stessa.

 

Mezzora dopo il termine della cena, con discrezione abbandonai i miei ospiti e raggiunsi Oscar, come lei mi aveva chiesto. Mi attendeva seduta in poltrona davanti al caminetto dove morivano le ultime braci, intenta a leggere un libro, con un bicchiere di cognac posato sul tavolino accanto. Mi sedetti di fianco a lei.

L’atmosfera era serena; non c’era traccia della donna furente e un po’ spaventosa che era piombata la notte prima nella mia stanza. Era tornato il soldato padrone delle sue azioni, la donna decisa e ferma nelle sue posizioni e nelle libere scelte. Qualunque cosa stesse per propormi, anche la più impensabile per lei, non vi era alcuna esitazione che tradisse il più piccolo nervosismo. Oscar mi guardò, chiuse il libro e iniziò a parlare con assoluta disinvoltura.

“So che vuoi andare al ballo di corte della settimana prossima, accompagnata dal conte di Fersen; Hans mi ha spiegato che ballerà solo con te tutta la sera, questo per attirare l’attenzione su di voi e far tacere le voci di palazzo che lo coinvolgono in una relazione con Sua Maestà la Regina.”

Precisa, sintetica; il modo migliore per arrivare al nocciolo della questione.

“Sì, Oscar. Questa sarebbe la sua intenzione. Fersen ha davvero a cuore l’onore di Maria Antonietta… o così sembrerebbe. Ha insistito così tanto che gli ho detto di sì, anche se cederei volentieri il mio carnet a qualcun altro...” e fui volutamente insinuante.

“No, tu non cederai il tuo carnet a nessun altro…” disse, facendo ondeggiare il liquido ambrato nel largo bicchiere di vetro.

Per un momento pensai clamorosamente di aver frainteso; Oscar voleva spingermi tra le braccia di Fersen?

Pensava così di proteggere la Regina? I miei progetti per il ballo prevedevano uno sviluppo diverso da quello che Oscar immaginava.

“A dire il vero, io non brucio dalla voglia di passare la mia serata danzante con il tuo caro Fersen… Oscar, non avevi una proposta da farmi? Io pensavo…”

Provai a oppormi, ma lei brusca mi interruppe, alzando una mano per zittirmi.

“Invece lo farai. La contessa Recamier ballerà con il conte di Fersen… beh, diciamo che il conte crederà di ballare con Danielle, ma in realtà ballerà con Oscar... Io indosserò i tuoi panni…”

 

Eccolo, l’obbiettivo.

Il mio o il suo?

Le nostre volontà coincidevano quasi per magia, ma la cosa che più trovavo strana era che Oscar aveva parlato con l’aria di una cospiratrice, quasi fossimo io e lei, alla stregua di pedine inconsapevoli su una scacchiera.

L’ascoltavo, eppure non riuscivo a credere che lo stesse dicendo davvero e l’incredulità doveva essere ben visibile attraverso l’espressione del mio viso.

“Non mi sembri convinta, Danielle; ti sto chiedendo di fare uno scambio di persona per una sera.”

“Sì, sì, ho capito Oscar. – Mi affrettai a rispondere. - Solo che…”

“Non dirmi che sei scandalizzata… Sei stata tu a proporlo quasi per sfida, ricordi?” Mi incalzò imperterrita, ma non mi lasciai impressionare da qualcosa che avevo provocato io.

“Cara, sono poche le cose che mi scandalizzano, solo non riesco a credere alle mie orecchie: tu mi proponi una cosa simile? Per amore di Fersen, sei disposta a tanto?”

“In realtà, è un po’ più complicato di così… Lo sai anche tu, in amore è in guerra tutto è permesso. Ho bisogno di capire, di vedere Fersen con i tuoi occhi. Mi hai sempre detto che non è l’uomo che io credo sia; voglio scoprire se hai ragione e quanto mi sono ingannata. Non posso farlo in abiti maschili.”

La stessa frase che mi aveva detto André, in un altro contesto, ma forse con le medesime intenzioni.

Perché tutto finiva per ricollegarsi a lui?

Mi sembrava un ragionamento troppo lucido, troppo razionale. Non era un comportamento da donna innamorata, accecata dal sentimento impossibile per un uomo irraggiungibile.

Oscar non voleva vestirsi da donna per sedurre l’oggetto del suo desiderio. Aveva tutto l’aspetto di una sottile strategia, un piano calcolato per uno scopo preciso che non riuscivo a decifrare.

Ma da lei potevo aspettarmi anche questo.

“Va bene, ma André? Gli dirai quello che vuoi fare?”

“Assolutamente no. – Rispose secca, posando il bicchiere vuoto sul tavolino. - Questo patto è solo nostro Danielle. Nessuno deve saperne niente. Soprattutto André.”

“Ma si accorgerà della tua assenza.”

“No, se all’occorrenza fingerai per qualche ora di essere me. E si presume che a quell’ora io stia dormendo.”

Ero impressionata dalla sua apparente sicurezza; Oscar non aveva mai indossato niente che fosse lontanamente femminile, neppure un paio di guanti, eppure credeva di poter andare a corte stretta in un bustino, avvolta di seta ricamata, e danzare con Fersen senza farsi riconoscere, lei che era abituata a duellare e cavalcare.

L’aspetto certamente avrebbe ingannato chiunque, non avevo dubbi su questo, ma l’istinto maschile sarebbe stato difficile da nascondere. Oltretutto pensava di poter ingannare André; se ci fosse riuscita con lui, avrebbe ingannato l’intera corte. Mi chiesi se non avesse iniziato a interrogarsi sulla natura della sua gelosia verso il fedele amico; che quella messa in scena riguardasse anche lui?

“Sei così sicura di saper sostenere la mia parte? O che io possa sostenere la tua?” Indagai con lieve scetticismo.

“Siamo gemelle, no? Però hai ragione; potrei avere qualche difficoltà… - Ammise un po’ riluttante, congiungendo le mani. – Per fortuna, abbiamo qualche giorno per prepararci e tu mi aiuterai. E non ti preoccupare: non dovrai misurarti con la spada.” Rispose un po’ sardonica.

Aveva già pensato a tutto.

Io mi trovai ad acconsentire, senza opporre alcuna obiezione.

Oscar da sempre era in equilibrio precario con la sua vita. Finalmente avrebbe incontrato la sua parte femminile, quel lato oscuro e opposto della sua personalità, l’altra donna soffocata e nascosta sotto il peso dell’educazione maschile.

Avrebbe avuto quel confronto con gli uomini che le era mancato per rapportarsi ad essi rispetto al suo sesso, di conseguenza, capire appieno sé stessa e i suoi bisogni.

Io non volevo altro che trovasse il modo giusto di convivere con la sua natura complessa e affascinante.

Oscar era parte di me, e volevo il meglio per lei. E il meglio non era Fersen.

Non poteva esserlo. Forse lo stava comprendendo anche lei.

Al termine del nostro strano colloquio, Oscar si alzò per accompagnarmi alla porta; incrociammo i nostri sguardi al riverbero di una candela e allora, una strana inquietudine simile a paura mi serpeggiò nell’anima, strisciando tra desideri contrastanti più o meno inconsapevoli.

Non sapevamo dove ci avrebbe portate quello strano gioco che stavamo imbastendo, ma un presentimento mi angustiava; una tra noi avrebbe finito col dover rinunciare a un bene prezioso e una sensazione amara mi diceva che sarebbe toccato a me perdere ciò che amavo.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



(1)  Parole prese dalla canzone di Dolcenera, “L’amore è un gioco”.

(2) Sul divorzio nel ‘700 non ne so molto, ma credo che anche lì, le donne non avessero molta voce in capitolo, anche se nei salotti femminili se ne parlava. Una moglie poteva essere ripudiata, se non generava figli, ma non credo potesse liberamente ottenere il divorzio se non era il marito a concederlo. Almeno credo. Sto andando per ipotesi. Quindi prendete il resto come una libera interpretazione. Se conoscete la materia illuminatemi.

   
 
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