8 – In amore e in guerra
Si era alzata verso le
undici, quella mattina.
Era una cosa che la
indisponeva, perché non le piaceva oziare fino a tardi.
Era il minimo dopo la
nottata trascorsa.
Oscar aveva lasciato la
camera di Danielle dopo la mezzanotte; lievemente malferma sulle gambe,
infreddolita, la spada in una mano, la bottiglia nell’ altra, aveva
riguadagnato il suo letto caldo.
Contava di addormentarsi
appena avesse posato la testa sul guanciale, ma così non era stato.
Un pensiero su tutti gli
altri l’aveva disturbata come un suono molesto nella testa; una frase detta da
Danielle, quella notte. Le era sembrata assurda, ma ritornava indietro come un’
eco che la inseguiva e la invadeva.
-
Potrei sorprenderti… Io so di Andrè, cose
che tu neppure sospetti…
-
Credi che ti farà da attendente tutta la
vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato…
In effetti, era un
pensiero che non l’aveva mai sfiorata.
-
Dovresti provare a essere me, per un’ ora…
A quella frase, altre erano precipitate nella sua
testa, come quando un piccolo sasso si stacca dalla montagna e trascina giù con
sé, massi più grandi. Si era addormentata con un boato nella testa, un rumore
fatto di parole ossessive che richiamavano strane visioni alla mente.
Lei, Andrè.
Danielle, Andrè.
Lei, Danielle.
Lei come Danielle. Con
Fersen.
Una su tutte; Danielle
con Andrè. Nel suo letto.
Al risveglio, l’immagine
era ancora lì. E non voleva andarsene.
Non capiva perché la
disturbasse tanto. Non sarebbe dovuto importarle.
Ma le importava, eccome.
Si era alzata dal letto
e si era avvicinata alla finestra che dava sul cortile davanti all’ingresso e
aveva visto l’arrivo della carrozza del cognato. Aveva sospirato stanca, quasi
fosse l’ennesima seccatura.
Leopold Di Recamier, un piede sul predellino, era sceso
dalla carrozza e lei aveva tirato la tenda di pesante broccato prima di vedere
la donna che lo accompagnava, scendere a sua volta.
Non aveva nessuna voglia
d’incontrare il cognato, un uomo che giudicava sgradevole, oltre che di
mentalità ristretta. Si vestì e prese la spada per uscire in giardino; voleva
allenarsi con André.
Ma quella mattina
l’attendente non si trovava; nessuno sapeva dove fosse finito.
Un ora dopo, Oscar
vagava sola per il parco della villa; complice la solitudine, col pensiero
continuava a indugiare sulla strana proposta fatta quella notte; avrebbe dovuto
essere solo un’ idea fugace, ma lentamente acquistava una consistenza reale.
Era una tentazione troppo forte che sarebbe stato più saggio scacciare, ma col
passare dei minuti diventava incredibilmente seducente.
Lei nei panni di
Danielle.
Scuoteva la testa,
tentando di scacciare da sé quell’immagine scandalosa e inopportuna.
Uno scambio di persona
che nessuno avrebbe sospettato. Perché non tentare una volta, di essere qualcun
altro? Sarebbe stato facile, un gioco senza rischi per lei che era abituata a
rischiare. Più ci pensava, più voleva provare a essere quella donna che viveva
all’ombra dell’altra.
Da qualche ora aveva
scoperto nel cuore sentimenti contradditori che la confondevano: doveva tentare
di comprenderne la natura, quell’essenza misteriosa che da sempre le sfuggiva.
Camminava lungo le siepi
del giardino, lo sguardo basso a seguire il sentiero cosparso qua e là di
foglie secche, assorta o forse persa nei suoi pensieri tra quello che era e ciò
che lei credeva fosse il suo sentire, quando avvertì il rumore ovattato, uno
scricchiolio di foglie calpestate.
Solo allora, tornò vigile, alzò gli occhi celesti
e la vide contro lo sfondo del parco, tra il verde scuro degli alberi e la luce
che filtrava tra il fogliame.
Una donna, una sconosciuta vestita di blu, si
stava avvicinando con un sorriso cordiale sul volto rotondo e due pozzi neri
che la scrutavano.
“Buongiorno. Voi siete Oscar Francoise De
Jarhayes, la gemella di Madame Recamier, la donna soldato che comanda le
Guardie Reali di Sua Maestà… è un piacere incontrarvi. Sono impressionata; se
non vi vedessi vestita da uomo non vi distinguerei da vostra sorella.”
Oscar restò a fissare l’estranea dalla voce
cristallina per un attimo, senza concederle l’ombra di un sorriso.
“Con chi ho l’onore di parlare, madame? Non penso
di conoscervi, ma a quanto pare, voi conoscete me.”
“Oh, scusate le mie cattive maniere, madamigella
Oscar. Sono Lisette De Marchard; sono giunta stamani con vostro cognato, il
Conte di Recamier; è stato lui a parlarmi di voi. Sono sua ospite qui, fino
alla mia partenza.”
“Un’ amica di mio cognato, dunque…” Le
venne naturale porre l’accento sulla parola ‘amica’.
Sapeva di che genere d’amicizie Leopold amasse
circondarsi.
Lisette, donna pratica e piuttosto schietta, colse
l’allusione; continuando a sorridere, abbassò solo un attimo lo sguardo, per
sollevarlo di nuovo con coraggio e orgoglio su Oscar, che non aveva smesso di
fissarla con ironica, aperta curiosità.
“So che cosa state pensando. Mi dispiace di essere
piombata a gettare scompiglio, non era nelle mie intenzioni. Probabilmente vi
offende la mia presenza qui, ma non voglio essere motivo d’imbarazzo per
nessuno, vi assicuro. Nutro un sincero affetto per vostro cognato, per dei
motivi che non starò qui a dirvi. Sappiate solo che gli devo molto, e lo
rispetto.”
“Ne sono sicura, madame, e non dovete
giustificarvi con me: non ho motivo per sentirmi offesa.”
In fondo, non sono io la moglie tradita,
pensava tra sé con un guizzo d’ ironia.
“Oh, non mi volevo giustificare ai vostri occhi,
né a quelli di chiunque altro. Volevo solo che fosse chiaro che ho accettato
l’ospitalità del conte con la massima fiducia e senza secondi fini. – Lisette
si profuse in un inchino rispettoso, prima di allontanarsi. - E ora, col vostro
permesso, mi ritiro. Buona giornata, comandante.”
Senza attendere risposta, Lisette riprese a
camminare attraverso il parco, avviandosi verso casa. Oscar seguì con lo
sguardo la sua figura per alcuni minuti. Fu allora che si accorse di André.
L’ attendente incrociò Lisette che camminava in
direzione opposta alla sua; Oscar lo vide girarsi per osservare Madame Marchard
che si allontanava con passo spedito, quasi avesse fretta di raggiungere le
mura silenziose e tranquille della villa.
Intanto, André l’aveva raggiunta e si era
accostato a lei.
“André è più di un’ora che ti cerco, ma dov’eri
finito?”
“Stavo aiutando uno dei garzoni a sistemare la
merce in cucina e intanto raccoglievo gli ultimi pettegolezzi; è così che mi
tengo informato e tengo te aggiornata su tutto.” Commentò l’amico con ilarità.
Oscar sorrise.
“Sei davvero impagabile. Ecco perché sei sempre
così informato. Cosa sai di lei? – chiese indicando la piccola figura vestita
di blu ormai lontana. - Non l’ho mai vista prima, né a corte né altrove;
immagino che la famiglia non abbia libero accesso a Versailles.”
“No, infatti. I Marchard appartengono alla piccola
nobiltà di campagna e sono privi di grandi sostanze che occorrono per fare vita
di corte. Voci dicono che Madame Lisette sia l’amante di tuo cognato, ma questo
sarebbe il meno; pare che lui abbia pagato i debiti della sua famiglia,
consentendole di saldare l’ipoteca che pendeva su parte dei beni e sul piccolo
palazzo che i Marchard hanno a Chassillé.”
“Cosa? Mia sorella sa qualcosa di questa
faccenda?” Chiese con apparente stupore.
“Non credo, ma non sono sicuro. Penso che non le
piacerebbe scoprire una cosa del genere e il marito farà di tutto per tenerla
all’oscuro.”
“Già. Danielle potrebbe reagire molto male. Mi
domando perché Leopold dovrebbe dare fondo a una parte delle sue sostanze per
pagare i debiti della sua amante…”
Oscar rimase assorta, quasi distratta, come persa
in una riflessione propria, mentre con la coda dell’occhio osservava Andrè con
attenzione sospetta. Il pensiero di Madame Marchard andava e veniva nella sua
mente come un venticello leggero che non la disturbava più di tanto. In realtà,
gli scandali presunti o reali in cui quella donna e il cognato potevano essere
coinvolti non la interessavano affatto. Che fossero veramente amanti poco le
importava.
Non si aspettava un comportamento migliore da
Leopold, e sapeva che la stessa Danielle si disinteressava di quello che faceva
il marito; le amanti del conte erano ordinaria amministrazione nella loro vuota
vita coniugale.
In realtà, la impensieriva un altro scandalo solo
vagheggiato.
Di altri amanti temeva di scoprire la storia.
Altri pensieri le facevano tremare il cuore e
sudare le mani, quasi avesse una specie di febbre, ma fingeva di essere
banalmente interessata alle chiacchiere futili del suo attendente.
Ma altro avrebbe voluto sapere.
E altre cose stava immaginando.
Andrè parlava ignaro e tranquillo, lasciandosi
distrarre dal paesaggio attorno, da un uccello che si posava su un ramo, per
questo non si accorgeva della sua insolita disattenzione; lei lo vedeva insieme
alla sorella, lo immaginava mentre le sorrideva, mentre accostava il viso al
suo e i suoi capelli neri ondeggiavano al vento leggero, mentre Danielle si lasciava
scivolare tra le sue braccia e prendeva il suo volto tra le mani per baciarlo,
come lei non avrebbe mai osato fare con un uomo.
Nel suo delirio momentaneo, li vedeva baciarsi con
ardore e sentiva il cuore accelerare, preso da un affanno penoso e incomprensibile.
In un moto involontario, quasi inconsapevole,
Oscar stinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
Voleva parlare d’altro. Di qualcosa che poteva
riguardare anche lui.
Soprattutto lui.
Abituata in tante situazioni ad essere sempre
molto diretta e franca, trovò quasi ostico pilotare una conversazione di
carattere tanto delicato, proprio con André. Ma il bisogno di sapere può essere
più forte di qualsiasi pudore o scrupolo.
Possibile che lui avesse segreti per lei?
Lo guardava di sottecchi e cercava tracce del suo
sospetto nell’ espressione che sembrava quella di sempre, negli occhi ridenti.
Lei non scorgeva ombre cupe in quelle iridi profonde e serene, specchio di
sentimenti sconosciuti, ma certamente positivi, genuini.
Ma contro ogni apparenza, i pensieri cattivi
facevano troppo male.
Era impossibile ignorarli.
“Tra il Conte di Recamier e Madame Lisette forse
c’è molto di più di una comune relazione clandestina…”
“Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, non credi?
Segreti in fondo al cuore… Aspirazioni e desideri legittimi, ma qualche volta
pericolosi…Non sei d’accordo?” disse osservandolo fisso, provocandolo,
aspettando una sua reazione.
Forse fu il tono.
Forse lui era troppo sensibile ai suoi
impercettibili mutamenti d’umore.
La conversazione aveva preso una piega imprevista
e diversa. Non sapeva come né perché, ma André si era accorto che Oscar aveva
deviato i suoi pensieri in tutt’altra direzione in maniera quasi repentina. E
si rese conto che nulla di quello che riguardava il cognato, in quel momento la
interessava.
Si chiese se avesse sentito una sola parola di
quello che aveva detto e come lo avesse interpretato.
Per un momento pensò all’amore di lei per Fersen,
ma quegli occhi celesti lo fissavano come se volessero metterlo a nudo,
scoprirlo nei recessi più nascosti e lui avvertì un brivido attraversargli la
spina dorsale, come un segnale d’allarme; emerse la paura di non saperle
nascondere la verità e restò perplesso di fronte alla forza enigmatica di
quello sguardo.
Era come se Oscar non vedesse altro, come se
improvvisamente non fosse più lui, ma un altro uomo.
Lui si concentrò su quello sguardo, dimenticando
l’ambiente attorno, gli alberi, le foglie; avvertiva solo l’aria fresca e
leggera che faceva ondeggiare lievemente i capelli biondi davanti al suo viso,
come fossero fragili fili di ragnatele.
Erano fermi in una piccola radura del giardino e
Oscar si era appoggiata con la schiena al piedistallo di marmo di una statua
che segnava l’ingresso ad un’altra ala del parco.
Cercò di tornare padrone di sé.
Distolse lo sguardo verso terra e parlò a voce
bassa e profonda.
“Chissà perché, ma ho l’impressione che stiamo
parlando d’altro, Oscar…”
“Noi ci diciamo tutto, vero André?”
Lui aveva appoggiato una mano al marmo, vicino alla
spalla di lei. Una ciocca di capelli biondi gli sfiorava la pelle delle dita.
“Tu mi dici tutto, Oscar?”
“Non è di questo che voglio parlare. Se tu fossi
coinvolto in una situazione sbagliata, me lo diresti, vero?”
“A cosa ti riferisci? Parla chiaro.”
Si era piazzato di fronte a lei, con le braccia
incrociate sul petto, ma Oscar non ebbe il coraggio di sostenere quel confronto
e non lasciò che lui le leggesse nel profondo degli occhi il turbamento che
stava provando.
“Una volta mi hai detto che Danielle ti piace...
Cosa provi davvero per lei? È lo stesso legame che hai con me?”
Andrè restò in silenzio per un lungo momento,
confuso di fronte alla domanda inattesa.
“No, Oscar. Non è la stessa cosa. Non ho diviso la
mia vita con tua sorella. Che senso hanno tutte queste strane domande? Credi
che abbia una vita segreta che non conosci? Suvvia Oscar, sono sempre con te.
C’è qualcosa di me che non sai?”
Qualcosa c’era in effetti, ma non ne faceva una
colpa a lei.
“Ma a me non confidi tutto… Forse c’è qualcosa che
vorresti e che lei può darti… che forse ti ha già dato…”
Un solo pensiero attraversò la mente dell’uomo.
Parole incise su una pietra.
Io voglio te… nient’ altro che te.
Ma André finì per dire altro.
“L’hai detto tu, che abbiamo tutti i nostri segreti…”
Tornò a guardarlo dritto in faccia. Oscar avrebbe
voluto una risposta diversa, meno evasiva. Sentì tutto il peso del velo che
André non voleva sollevare e che lei avrebbe voluto strappare. Sapere divenne
un bisogno impellente e pose la domanda che avrebbe potuto dividerli per
sempre.
“Potresti innamorarti di lei? L’altra sera, quando
hai ballato con mia sorella… ho visto come la guardavi. Capisco che sarebbe
facile cedere, Danielle è indubbiamente molto bella, ma…” Oscar si staccò dal
marmo e fece qualche passo, prima di arrestarsi e voltarsi di colpo verso
l’amico che era rimasto fermo, forse più impietrito della statua di satiro sul
piedistallo.
“Tu ti rendi conto che non sarebbe possibile?
Immagini i rischi che correresti, vero?” e mentre gli diceva quelle parole, le
tornavano alla memoria le accuse della sorella.
-
Sei mortalmente gelosa di André… una cosa
che dovrebbe farti riflettere.
E in quell’istante assoluto capì che Danielle
aveva ragione.
Era gelosa di Andrè nel profondo, fin dentro le
viscere che si contorcevano come serpi velenose all’idea dolorosa di loro due
insieme, ma si credeva innamorata di Fersen, l’unico per cui avesse versato
vere lacrime.
Fu una rivelazione che le discese nel cuore, un
raggio di luce tracotante che profanava il silenzio dei suoi pensieri incerti.
Ma cosa c’era di vero in lei, adesso? Gelosia,
amore, oppure entrambi?
Si trovò incapace di distinguerli.
André le si avvicinò improvvisamente per afferrala
per un braccio e costringerla a guardarlo.
“Tu continui a pensare che io potrei… potrei
diventare l’amante di tua sorella? Addirittura innamorarmi di lei?”
L’incredulità si leggeva nell’espressione; era
palese e sarebbe dovuta bastare ad annientare qualsiasi dubbio, ma Oscar voleva
una conferma inoppugnabile.
“Potresti André? Rispondi solo a questa domanda.
Devi dire solo sì o no.”
Oscar sentiva le sue dita forti che stringevano la
carne, ma non tentò di liberarsi dalla presa. Andrè continuava a tenerla
saldamente per il braccio e la trovava stranamente arrendevole; gli pareva
assurdo che proprio lei insistesse a tornare su quell’argomento spinoso che lui
aveva già tentato di chiudere una volta.
“Cambierebbe qualcosa per te? Cambierebbe qualcosa
fra noi, Oscar?” le chiese impaziente. Non aveva più voglia di minimizzare.
“Forse…”
Il silenzio che seguì, a Oscar non piacque; troppe
aspettative e la paura di ricevere la risposta indesiderata.
L’esitazione dell’ amico nascondeva ciò che
l’avrebbe spaventata, e Oscar si chiese che intensità e che colori potessero
avere i pensieri che passavano in quel lungo minuto dietro i suoi occhi. Forse,
si disse, erano i colori di Danielle.
Tremò e fu certa che lui potesse sentirlo.
Per André quel
“forse” era più di quanto
avesse mai avuto.
Forse era tutto.
Tutte le parole che avrebbe voluto dire.
Tutto l’amore nascosto nel cuore.
Forse lei avrebbe dimenticato Fersen.
Forse si sarebbe accorta di lui.
Forse avrebbe visto l’uomo capace di amare una
donna e di renderla felice.
Un uomo diverso da Fersen e ancor più vero nel
cuore.
Forse era la speranza celata sotto il dolore.
Così lui decise di rischiare, perché se doveva
perderla per colpa di un altro, almeno doveva tentare di lottare per averla e
non ci sarebbe stato un altro modo.
Se l’amore era un gioco di alchimie sottili,
(1) un negarsi e concedersi agli
sguardi, una lotta fra cuori simili, doveva raccogliere la sfida e gettarsi in
quella partita a tre.
Un sospiro quasi impercettibile per raccogliere le
forze.
Le lasciò il braccio, poi rispose.
“Sì…”
Oscar fu certa che il cuore le si fosse fermato un
istante prima di sentire il morso più doloroso e vero della gelosia, che la
stringeva più di quanto non avesse fatto lui poco prima.
Seppe con precisione che non ci sarebbe mai stato
nulla di più reale.
Le lacrime per Fersen, confuse come vapore in un
sogno, dubitò fossero mai esistite.
*********
Osservavo dal balcone il giardino del mio palazzo.
Amavo i colori autunnali che la natura regalava con profusione.
La temperatura era ancora mite anche se l’autunno
stava per soccombere all’inverno che bussava alle porte, ma mi piaceva sentire
il timido calore del sole sulla pelle del viso.
Fersen era a pochi passi dietro le mie spalle e
contemplava con me il paesaggio offerto dalle foglie rossastre degli olmi.
Sorseggiavo con calma il mio tè che Ninette ci aveva servito poco prima. Alle
orecchie mi arrivava lo zampillo dell’acqua della fontana che dominava la scena
sotto di noi. Ancora qualche settimana, e i suoi giochi d’acqua sarebbero stati
un ricordo dell’estate passata, e la vasca sarebbe stata sporcata dalle foglie
morte che un giardiniere avrebbe provveduto a togliere. Era un’ immagine che mi
metteva sempre tristezza.
La voce di Fersen venne a distrarmi dalla mia
malinconia.
“Allora contessa, siamo d’accordo per il ballo? Io
ci sarò se ci sarete anche voi, altrimenti non presenzierò… Mi avete promesso
che ballerete soltanto con me. Spero solo che non intervenga anche vostro
marito…”
Mi voltai verso di lui. Sorrisi per compiacerlo.
“Avete timore di un rivale? Di mio marito non
dovete preoccuparvi; probabilmente non sarà neanche più qui. Piuttosto, voi
saprete dire di no alla regina? Sappiate che mi offenderò se mi lascerete per
danzare con lei. E ricordate: lo fate anche per il suo bene.”
“Sì, lo capisco. Siete molto esigente.” Sospirò fingendo
un cruccio che non c’era.
“Questi sono i patti e pretendo che si rispettino.
Ma se non potete, ditemelo subito.” Puntualizzai decisa.
“Sarà un sacrificio che farò volentieri; voi
madame, lo renderete più sopportabile.”
In quel preciso istante Oscar e André entrarono
nella stanza per raggiungerci sulla terrazza che dava sul giardino.
Oscar si accostò alla grande porta finestra, si
appoggiò allo stipite con la spalla e a braccia conserte, restò lì a guardarci;
Andrè era un passo dietro di lei, nascosto nella penombra dell’ambiente.
Scrutai il viso dell’attendente nel tentativo di leggervi i pensieri; negli
occhi verdi mi parve di scorgere il riflesso di una strana determinazione che
coglievo con sorpresa, e mi sentii inquieta, ma fui distratta dalla voce del
conte di Fersen che si rivolse a mia sorella in tono confidenziale.
“Madamigella Oscar, avete voglia di passeggiare
con me nel parco? O preferite cavalcare? Vorrei sottoporvi una certa questione,
in privato, se possibile. Avrei proprio bisogno di avere la vostra opinione su
un argomento delicato che sta molto a cuore anche a voi, immagino.”
Io sapevo che l’argomento riguardava la regina
Maria Antonietta e anche Oscar doveva averne il sospetto, a giudicare
dall’occhiata d’intesa che scambiò con il conte.
“Ma certo, facciamo pure una passeggiata; però mi
spiacerebbe privare mia sorella della vostra compagnia.”
Rispose diplomatica. Fersen la rassicurò subito.
“Vostra sorella sa che ho necessità di parlare con
voi, anzi ha insistito perché vi esprimessi liberamente il mio problema, vero
contessa?” incrociò il mio sguardo per avere una conferma.
“Ma certo conte. Io aspetterò qui con André.”
Oscar e il conte si allontanarono; nel rettangolo
della porta che si richiudeva, colsi l’occhiata grave e apprensiva che Oscar
scambiò col suo attendente come se temesse di lasciarlo solo con me. Sembrava
stranamente reticente ad allontanarsi.
Mi chiesi se Oscar non avvertisse il pericolo
della nostra vicinanza.
Fu la reazione di André a lasciarmi interdetta;
intercettai lo sguardo sicuro, la piega morbida eppure decisa delle sue labbra
in un lieve sorriso che non voleva essere rassicurante, ma che risultava
piuttosto enigmatico.
Alla fine, lui interruppe il contatto tra i loro
occhi, per alzare su di me quello sguardo profondo e avvolgente che mi
catturava come una calamita e mi aveva fatto innamorare così tanto; mi concessi
il piacere segreto di guardarlo e indugiai sulla bella figura alta che si
stagliava netta nell’ambiente, sull’atteggiamento composto ma non servile,
sulla semplice camicia bianca che disegnava la curva delle spalle ampie e
forti.
Il mio cuore palpitava un po’ convulso in preda ad
un’ inaspettata speranza. Respirai a fondo, sollevando il petto.
André voleva restare lì con me e non pareva avere
alcuna fretta o desiderio di seguire la sua padrona, non sembrava preoccuparsi
neppure di Fersen. A che gioco giocava? Era un inganno? Fingeva di
disinteressarsi di Oscar?
Voleva punirla o soltanto cedere per capriccio
maschile alle lusinghe che gli avevo dimostrato la sera prima? Andrè non
sembrava voler nascondere neppure di fronte a lei, la strana potente attrazione
fisica che sono sicura, esisteva tra noi. Eppure, lui più di chiunque altro,
doveva conoscere le paure segrete della mia gemella.
Vidi il suo corpo muoversi per accostarsi un po’ a
me, che ero rimasta immobile sulla terrazza. Parlai liberamente.
In fondo, con lui non avevo bisogno di fingere.
Non del tutto, almeno.
“Forse mi sto ingannando, ma non pare disturbarti
troppo la vicinanza tra Oscar e il nobile svedese. Direi che è la prima volta
che ti dimostri così disinteressato; ho sempre pensato che ti desse fastidio.”
“In realtà, non credo di aver mai palesato il mio
disagio; è facile notare le sfumature quando si conosce la verità.”
“Non vuoi darmi qualche merito, André? Sono una
buona osservatrice, sai?”
“Oh, ti do tutti i meriti che vuoi. Anzi, sono
quasi sicuro che certe idee recenti che passano per la testa di Oscar, siano
opera tua, Danielle.” Rispose in tono un po’ sarcastico, appoggiando una mano
alla balaustra di marmo.
“Ad esempio, quali?” Lo guardai negli occhi senza
alcuna titubanza, pensando che avrei continuato a dominare il gioco.
“Ad esempio, l’idea intrigante che tra me e te
possa esserci qualcosa oltre l’amicizia… intimo affetto, magari; era quello che
mi suggeriva il tuo sguardo l’altra sera… mi sono sbagliato?”
Parole che furono come tempesta dolce nel mio
animo.
Non gli risposi e mi girai a guardare il parco,
nel tentativo inutile di celare l’improvviso turbamento che mi assalì facendo
accelerare il respiro. Dunque, Oscar era stata tanto diretta? E io dovevo forse
esserlo altrettanto e dichiarare finalmente ciò che volevo? Dovevo confessargli
che volevo lui con tutte le mie forze, con ogni pensiero, in ogni goccia del
mio sangue che affluiva sulle mie gote, e che ero disposta a tutto per
quell’amore che mi pareva immenso, intenso come l’ultimo alito di vita? Dovevo
dirgli che non sapevo né volevo oppormi all’emozione travolgente che mi
trasmetteva la sua semplice vicinanza? La mia anima vibrava come se mani
sapienti toccassero le corde di un’ arpa, e la musica che ne usciva era una
melodia che mi sollevava da terra; mi sentivo felice, quasi leggera e innocente
ed ero certa che fosse una condizione totalmente nuova. Perché l’amore non è
mai sporcato dalla colpa, neanche quando assume i contorni del tradimento.
Volevo convincermi di questo.
Volevo vivere la mia dolce illusione.
“Non ti chiederei altro che intimo affetto, André.
Vorrei piacerti almeno un po’… in fondo, sono uguale a lei. Solo indosso panni
femminili, ho un ventaglio al posto di una spada, e non comando un esercito. Mi
trovi meno affascinante per questo?”
“Sono lusingato Danielle, davvero. Sei
meravigliosa. – Andrè si mosse per prendere la mia mano appoggiata poco lontano
dalla sua sul marmo. – Come potresti non piacermi? Sei una donna di una
bellezza tale da stordire un uomo… e io ero stordito l’altra sera. Mi hai
tentato Danielle, non posso negarlo.”
La sua voce era carezzevole e le sue labbra
sorridevano.
“Cederesti alla tentazione? O vuoi continuare a
inseguire chi non puoi avere?” Sospirai coi suoi occhi nei miei.
“Mi rimproveri un errore che potresti fare anche
tu?”
Si oppose con dolcezza accarezzandomi una guancia
con due dita.
“Sono disposta a correre il rischio, se esiste una
speranza concreta… Guardami Andrè; io sono qui.”
“Danielle, ti prego…”
“Non sono irraggiungibile, e potrei amarti più di
lei. – Presi la sua mano che indugiava sul mio volto. Poi strinsi le mani sulle
sue braccia. - Se allunghi una mano, io la posso prendere. Perché non dovremmo
concederci un po’ di felicità? Tu ne hai bisogno quanto me; in te io vedo la
mia stessa solitudine.”
“Se cedessi al tuo gioco, te ne pentiresti tu per
prima. Ti faresti male, credimi.”
“Non è un gioco, André. Per la prima volta non sto
giocando. Sto rischiando tutto.”
Era vero, ormai avevo smesso di nascondermi e mi
ero aggrappata a lui.
“Forse, se non amassi così tanto Oscar… sarei già
crollato tra le tue braccia, anche solo per consolarmi di ciò che non posso
avere. – Chiusi gli occhi e mi sentii morire, sopraffatta da quelle parole. –
Ma sono un uomo come gli altri, Danielle; la mia resistenza col tempo potrebbe
dimostrarsi debole e non so immaginare le conseguenze. Lo sai; in amore è in
guerra tutto è lecito.”
Emise un respiro profondo mentre respingeva le mie
braccia, con una fatica che pareva immensa. C’era una supplica quasi disperata
nella sua voce.
Le sue difese erano abbassate, ma non del tutto e
non capivo cosa intendesse dire con l’ultima frase.
C’era ancora la lotta tra il cuore e la ragione,
tra il lecito e l’illecito, ma dove fossero una e l’altra era difficile da
dire.
Volsi lo sguardo verso il giardino, tra le siepi
che disegnavano complicati disegni geometrici e li vidi: mio marito e Madame
Lisette, Oscar e il Conte di Fersen, erano fermi in un angolo, vicini agli
alberi di magnolie. Sembravano coinvolti tutti in una vivace discussione, ma
Oscar volse lo sguardo in direzione della terrazza da cui io e André li stavamo
osservando. Mia sorella continuò a scrutarci da lontano, come un custode
silenzioso e severo, senza prestare attenzione al gruppetto di persone attorno
a lei.
E allora avvertii la catena; era lì, ingombrante e
definitiva, quel legame invisibile e potente che saldava le loro vite, che le
aveva fuse insieme.
Lei era sempre presente, anche quando era assente.
Lei era sempre fra me e lui.
“Guarda laggiù, André. C’è tutta la mia vita e
anche la tua. Ci sono i nostri dolori.”
André puntò lo sguardo nella mia stessa direzione.
Io ripresi a parlare con convinzione.
“Leopold, quell’uomo che devo chiamare marito, mi
offende portando in casa mia la sua amante; perché mi si chiede di tollerare
una cosa simile? Perché dovrei salvare le apparenze di qualcosa che non esiste?
Non l’ho mai amato e non lo amerò mai, ma sono stata costretta a sposarlo.
Quando finalmente mi innamoro davvero, non posso esprimere i miei sentimenti,
non posso viverli perché quella stessa catena me lo proibisce. Tu dovresti
capire cosa significa. Ti sembra giusto, André?”
Restò fermo a guardare verso il punto del parco
dove Oscar e il conte di Fersen erano immobili. Sembrava stessero parlando.
“No, non è giusto. Ci sono catene che non si
spezzano… ma da altre ci si può liberare.”
Aveva pronunciato la frase con gravità e immaginai a cosa si riferisse.
“Non ingannare te stessa, Danielle. Hai accettato
un compromesso, ma non puoi usare l’amore per ribellarti al tuo destino. Se il
tuo matrimonio è una prigione, perché non ti liberi? Non esiste il divorzio?”
mi chiese inaspettatamente.
Divorziare: non l’avevo mai neppure preso in
considerazione.(2)
“Credi che Leopold me lo concederebbe? Oh, André!
Si vede che non conosci del tutto il nostro mondo. Passare per fedifrago,
lasciare la moglie rispettabile per un’altra donna di posizione sociale
discutibile rovinerebbe la reputazione e il prestigio del casato e sarebbe
molto peggio se io venissi bollata nello stesso modo; sarei quella che ha da
perdere di più e ne soffrirebbero anche i miei figli che potrebbero passare per
illegittimi, perdere la loro eredità. Come vedi ho le mani legate.”
“Certe azioni richiedono molto coraggio; non sei
la sorella del colonnello Oscar, una delle figlie del generale Jarhayes? Non
dovrebbe essere un pezzo di carta a fermarti, né le convenzioni sociali, se lo
volessi veramente. Ma forse, preferisci accontentarti e vivere la tua vita come
altri l’hanno imposta.”
Sgranai gli occhi di fronte a tanta sfrontatezza.
“Quando vuoi, sai essere spietato André. Ma non
sai quanto siano pesanti le convenzioni sociali, quanta poca libertà ci sia in
esse.”
“Non è vero; lo so molto bene, invece. Scusami, ho
espresso solo un mio pensiero. Non badarci.”
Si stava alzando un filo di vento e decidemmo di
rientrare nella stanza, ma non restammo soli ancora a lungo; Oscar e il Conte
di Fersen, di ritorno dalla passeggiata, si unirono a noi.
André rientrò nel suo ruolo di servo che lo
relegava ai margini dell’ambiente, figura discreta che non si faceva notare.
Il conte di Fersen appariva tranquillo e
rilassato, come se parlare con Oscar gli avesse tolto un peso dal cuore. Anche
lei non rivelava alcun stato d’animo particolare, ma osservandola attraverso il
fumo del tè che saliva dalla sua tazza di porcellana, mi parve pensierosa, ma
non preoccupata. Stava rimuginando qualcosa.
Mai avrei indovinato cosa stesse pensando, se lei
più tardi non me ne avesse parlato.
Solo per brevi attimi i suoi occhi si alzavano su
André, in piedi sul lato opposto della stanza e poi tornavano bassi sulla tazza
tenuta a mezz’aria, oppure li volgeva verso la finestra, da cui si vedeva il
cielo bianco solcato dal volo di uccelli neri.
Madame Lisette e mio marito si unirono a tutti noi
solo per l’ora di cena.
Feci servire una cena leggera; un consommè, della
selvaggina e verdure, abbondante frutta di stagione e del buon vino della
cantina di famiglia. Il conte di Fersen conversava tranquillamente con Leopold
di facezie, banalità e storie di scandali più o meno reali, ma evitò
accuratamente ogni allusione a fatti che lo riguardassero.
Oscar, seduta al mio fianco al tavolo della sala,
si accostò per bisbigliare qualcosa al mio orecchio.
“Danielle, ho bisogno di parlarti, in privato. Ti
aspetto nella mia stanza, più tardi.”
“Mi devo preoccupare?” le chiesi, asciugandomi le
labbra col tovagliolo, ricordando la nostra recente conversazione notturna. Lei
emise un risolino divertito.
“Dipende.”
“Ti diverte proprio mettermi in ansia, Oscar?”
“Sta tranquilla, ho solo una richiesta un po’
particolare da farti. In realtà, è qualcosa che hai proposto tu…”
Il sospetto mi venne quasi subito. Non feci che
pensare a quello che le avevo detto io, tra lo scherzo e la provocazione, senza
riflettere sul fatto che Oscar avrebbe potuto prendermi in parola.
-
Dovresti provare a essere me…
Lo avevo detto per puro
caso?
O era stato un colpo lanciato con la sicurezza di
colpire il bersaglio?
Ci avevo sperato, sì. Forse era quello che volevo.
Ma sembrava un’ eventualità troppo irreale perché
potesse concretizzarsi.
Allora, l’avevo accantonata in un angolo della
mente, come una follia senza senso. Mia sorella non si sarebbe mai prestata a
niente del genere. Non avevo calcolato la sua intraprendenza, solo ancora non
sapevo che i suoi scopi non avevano nulla in comune con i miei.
Oscar era mossa da altro.
Da un bisogno più intimo che le apparteneva: la
necessità di trovare sé stessa.
Mezzora dopo il termine della cena, con
discrezione abbandonai i miei ospiti e raggiunsi Oscar, come lei mi aveva
chiesto. Mi attendeva seduta in poltrona davanti al caminetto dove morivano le
ultime braci, intenta a leggere un libro, con un bicchiere di cognac posato sul
tavolino accanto. Mi sedetti di fianco a lei.
L’atmosfera era serena; non c’era traccia della
donna furente e un po’ spaventosa che era piombata la notte prima nella mia
stanza. Era tornato il soldato padrone delle sue azioni, la donna decisa e
ferma nelle sue posizioni e nelle libere scelte. Qualunque cosa stesse per
propormi, anche la più impensabile per lei, non vi era alcuna esitazione che
tradisse il più piccolo nervosismo. Oscar mi guardò, chiuse il libro e iniziò a
parlare con assoluta disinvoltura.
“So che vuoi andare al ballo di corte della
settimana prossima, accompagnata dal conte di Fersen; Hans mi ha spiegato che
ballerà solo con te tutta la sera, questo per attirare l’attenzione su di voi e
far tacere le voci di palazzo che lo coinvolgono in una relazione con Sua
Maestà la Regina.”
Precisa, sintetica; il modo migliore per arrivare
al nocciolo della questione.
“Sì, Oscar. Questa sarebbe la sua intenzione.
Fersen ha davvero a cuore l’onore di Maria Antonietta… o così sembrerebbe. Ha
insistito così tanto che gli ho detto di sì, anche se cederei volentieri il mio
carnet a qualcun altro...” e fui volutamente insinuante.
“No, tu non cederai il tuo carnet a nessun altro…”
disse, facendo ondeggiare il liquido ambrato nel largo bicchiere di vetro.
Per un momento pensai clamorosamente di aver
frainteso; Oscar voleva spingermi tra le braccia di Fersen?
Pensava così di proteggere la Regina? I miei
progetti per il ballo prevedevano uno sviluppo diverso da quello che Oscar
immaginava.
“A dire il vero, io non brucio dalla voglia di
passare la mia serata danzante con il tuo caro Fersen… Oscar, non avevi una
proposta da farmi? Io pensavo…”
Provai a oppormi, ma lei brusca mi interruppe,
alzando una mano per zittirmi.
“Invece lo farai. La contessa Recamier ballerà con
il conte di Fersen… beh, diciamo che il conte crederà di ballare con Danielle,
ma in realtà ballerà con Oscar... Io indosserò i tuoi panni…”
Eccolo, l’obbiettivo.
Il mio o il suo?
Le nostre volontà coincidevano quasi per magia, ma
la cosa che più trovavo strana era che Oscar aveva parlato con l’aria di una
cospiratrice, quasi fossimo io e lei, alla stregua di pedine inconsapevoli su
una scacchiera.
L’ascoltavo, eppure non riuscivo a credere che lo
stesse dicendo davvero e l’incredulità doveva essere ben visibile attraverso
l’espressione del mio viso.
“Non mi sembri convinta, Danielle; ti sto
chiedendo di fare uno scambio di persona per una sera.”
“Sì, sì, ho capito Oscar. – Mi affrettai a
rispondere. - Solo che…”
“Non dirmi che sei scandalizzata… Sei stata tu a
proporlo quasi per sfida, ricordi?” Mi incalzò imperterrita, ma non mi lasciai
impressionare da qualcosa che avevo provocato io.
“Cara, sono poche le cose che mi scandalizzano,
solo non riesco a credere alle mie orecchie: tu mi proponi una cosa simile? Per
amore di Fersen, sei disposta a tanto?”
“In realtà, è un po’ più complicato di così… Lo
sai anche tu, in amore è in guerra tutto è permesso. Ho bisogno di
capire, di vedere Fersen con i tuoi occhi. Mi hai sempre detto che non è l’uomo
che io credo sia; voglio scoprire se hai ragione e quanto mi sono ingannata.
Non posso farlo in abiti maschili.”
La stessa frase che mi aveva detto André, in un
altro contesto, ma forse con le medesime intenzioni.
Perché tutto finiva per ricollegarsi a lui?
Mi sembrava un ragionamento troppo lucido, troppo
razionale. Non era un comportamento da donna innamorata, accecata dal
sentimento impossibile per un uomo irraggiungibile.
Oscar non voleva vestirsi da donna per sedurre
l’oggetto del suo desiderio. Aveva tutto l’aspetto di una sottile strategia, un
piano calcolato per uno scopo preciso che non riuscivo a decifrare.
Ma da lei potevo aspettarmi anche questo.
“Va bene, ma André? Gli dirai quello che vuoi
fare?”
“Assolutamente no. – Rispose secca, posando il
bicchiere vuoto sul tavolino. - Questo patto è solo nostro Danielle. Nessuno
deve saperne niente. Soprattutto André.”
“Ma si accorgerà della tua assenza.”
“No, se all’occorrenza fingerai per qualche ora di
essere me. E si presume che a quell’ora io stia dormendo.”
Ero impressionata dalla sua apparente sicurezza;
Oscar non aveva mai indossato niente che fosse lontanamente femminile, neppure
un paio di guanti, eppure credeva di poter andare a corte stretta in un bustino,
avvolta di seta ricamata, e danzare con Fersen senza farsi riconoscere, lei che
era abituata a duellare e cavalcare.
L’aspetto certamente avrebbe ingannato chiunque,
non avevo dubbi su questo, ma l’istinto maschile sarebbe stato difficile da
nascondere. Oltretutto pensava di poter ingannare André; se ci fosse riuscita
con lui, avrebbe ingannato l’intera corte. Mi chiesi se non avesse iniziato a
interrogarsi sulla natura della sua gelosia verso il fedele amico; che quella
messa in scena riguardasse anche lui?
“Sei così sicura di saper sostenere la mia parte?
O che io possa sostenere la tua?” Indagai con lieve scetticismo.
“Siamo gemelle, no? Però hai ragione; potrei avere
qualche difficoltà… - Ammise un po’ riluttante, congiungendo le mani. – Per fortuna,
abbiamo qualche giorno per prepararci e tu mi aiuterai. E non ti preoccupare:
non dovrai misurarti con la spada.” Rispose un po’ sardonica.
Aveva già pensato a tutto.
Io mi trovai ad acconsentire, senza opporre alcuna
obiezione.
Oscar da sempre era in equilibrio precario con la
sua vita. Finalmente avrebbe incontrato la sua parte femminile, quel lato
oscuro e opposto della sua personalità, l’altra donna soffocata e nascosta
sotto il peso dell’educazione maschile.
Avrebbe avuto quel confronto con gli uomini che le
era mancato per rapportarsi ad essi rispetto al suo sesso, di conseguenza,
capire appieno sé stessa e i suoi bisogni.
Io non volevo altro che trovasse il modo giusto di
convivere con la sua natura complessa e affascinante.
Oscar era parte di me, e volevo il meglio per lei.
E il meglio non era Fersen.
Non poteva esserlo. Forse lo stava comprendendo
anche lei.
Al termine del nostro strano colloquio, Oscar si
alzò per accompagnarmi alla porta; incrociammo i nostri sguardi al riverbero di
una candela e allora, una strana inquietudine simile a paura mi serpeggiò
nell’anima, strisciando tra desideri contrastanti più o meno inconsapevoli.
Non sapevamo dove ci avrebbe portate quello strano
gioco che stavamo imbastendo, ma un presentimento mi angustiava; una tra noi
avrebbe finito col dover rinunciare a un bene prezioso e una sensazione amara
mi diceva che sarebbe toccato a me perdere ciò che amavo.
Continua…
(1)
Parole prese dalla canzone di Dolcenera, “L’amore è un gioco”.
(2) Sul divorzio nel ‘700 non ne so molto, ma
credo che anche lì, le donne non avessero molta voce in capitolo, anche se nei
salotti femminili se ne parlava. Una moglie poteva essere ripudiata, se non
generava figli, ma non credo potesse liberamente ottenere il divorzio se non
era il marito a concederlo. Almeno credo. Sto andando per ipotesi. Quindi
prendete il resto come una libera interpretazione. Se conoscete la materia
illuminatemi.