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Autore: Dira_    18/12/2011    14 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLVII
 




When the future's architectured by a carnival of idiots on show
If you love me, won't you let me know?
(Violet Hill, Coldplay)

 
 
 
6 Gennaio 2023
Norvegia, in dirittura di arrivo per Durmstrang.
 
“Non posso crederci.”
“Beh, devi. Lily è qui.”
Rose fissava con gli occhi fuori dalle orbite Al, e Tom pensò che quell’espressione le si addiceva. Poi pensò anche che se l’avesse espresso ad alta voce sarebbe stato ucciso e buttato a mare.
Albus era tornato nel vagone con i lineamenti tesi, e c’era voluto più di qualche insistenza per fargli infine dire tutto.
Lily era lì; si era imboscata nel vagone merci per tutta la durata del viaggio con l’aiuto di un Mantello dell’Invisibilità recuperato quasi sicuramente dai Tiri Vispi. Adesso Ted l’aveva in custodia.
Tom non si sarebbe aspettato tanta capacità organizzativa da una ragazzina che sembrava l’emblema stesso dell’accidia. Invece Lily aveva organizzato un piano, un vero piano, funzionante al cento per cento.
Se non fosse che aveva appena complicato i delicati equilibri di quella spedizione, l’avrebbe quasi stimata. 
“Quella cretina…” Sussurrò Rose. “Oh, questo la metterà in punizione per sempre!”
Come se fosse questo il problema…
Albus non ribatté, limitandosi a stringere con ancora più forza le cinghie della propria borsa da viaggio, cosa che faceva ininterrottamente da cinque minuti con il rischio di romperle; Tom intuì che il perseverare di quella discussione gli avrebbe fatto saltare definitivamente i nervi.
E non è facile farlo calmare quando succede. Questa faccenda rischia di essere il suo punto di non ritorno.
“Non ha importanza.” Intervenne, ignorando l’occhiataccia di default da parte di Rose. “Non resterà. La imbarcheranno quanto prima per Hogwarts. Non capisco come abbia potuto pensare di riuscire ad entrare a Durmstrang senza farsi scoprire e rispedire indietro.”
Doveva essere per Luzhin; era per Luzhin, dato certo.
Abbiamo sottovalutato la sua ossessione per lui. Come altro può esser chiamata del resto? Lo conosce a malapena, si prende una cotta e perde la ragione.
“Ehm, veramente…”
La voce di Scorpius fece capolino nella loro conversazione strettamente a tre; il resto della delegazione infatti commentava in modo più o meno ammirato la bravata. Forse era anche quello ad esacerbare Al.
Senza il forse.
“Veramente cosa?” Mormorò Al, e persino la grifondoro assunse l’aria di chi si era appena accorta di essere in bilico su una lastra di fragile cristallo.
Meglio tardi che mai.
Malfoy, che aveva invece il senso di autoconservazione di un salmone, scrollò le spalle. “Veramente non credo sia così semplice riportarla in Scozia. C’è una legge sulla Traccia magica che viene applicata ai minori che mettono piede sul suolo norvegese. Perché siamo tipo in Norvegia, no?”
“Sì, e quindi?” Tom vide con la coda dell’occhio Rose far cenno al proprio di ragazzo di tacere. Questi non la vide o la ignorò.
Un salmone che risale la corrente per andare a morire. 
“La legge in questione dice che i minori che vengono messi sotto Traccia magica in Norvegia non possono essere rispediti al mittente e basta. Deve essere avviata una procedura amministrativa o roba del genere. Adesso Lily è parte della popolazione magica norvegese, in parole povere.” Si grattò la nuca. “Non sono sicurissimo di come funzioni, ma so che c’è. L’ho studiata quando ero bambino, e non potevo dimenticarmi niente che riguardasse i trattati magici internazionali. È il lavoro di mio padre e doveva essere anche il mio. Solo che farò l’auror.” Sottolineò a casaccio.
“Ah.” Al fece un lungo respiro. Rilasciò aria, e poi sorrise. “Bene. Penso che non mi resterà torcerle il collo.” Comunicò loro con serenità.
Tom sentì che era il momento di intervenire. “Non mi piacerebbe vederti rinchiuso a Nurmengard.” Non era una frase che significava molto in realtà, ma serviva a mettere un punto.
Albus si stava chiaramente trattenendo dall’urlare e prendere a calci qualcosa; glielo leggeva nello sguardo e nel modo in cui era teso, contratto. Il fatto di dover mantenere la calma di fronte a tutti lo stava facendo impazzire più che la situazione in sé.
Suppongo non possa dar di matto, dato la figura che ricopre.
Tom era ben conscio del fatto che, al momento attuale, non potesse fare molto. Si limitò quindi a sostenere il suo sguardo e respirare il più piano possibile.
L’ho visto infuriato. E ha la deprecabile tendenza a picchiarmi.
“Già, è vero.” Mormorò infine l'altro ragazzo, e ci fu un collettivo, impercettibile, respiro di sollievo. “Penso che andrò in bagno.” Fulminò Rose con un’occhiata che la immobilizzò come se fosse stata fissata da un Basilisco. “Da solo.”
Detto questo marciò fuori e si chiuse la porta alle spalle.
“Però. Mini-Potter sa essere spaventoso.” Commentò Scorpius dopo un breve, impacciato, silenzio. “È andato a prendere a pugni la specchiera del bagno per caso?”
Rose sospirò. “Qualcosa di meno autolesionistico, ma sì.” Si mordicchiò un labbro, guardando fuori dal finestrino l’approssimarsi della terraferma. Il fiordo aveva una lunghezza interna ragguardevole. “Lily... che razza di demente. Non posso credere abbia fatto una cosa del genere!”
“Io ci credo eccome.” Replicò Scorpius. “Voglio dire, hai presente i suoi genitori?”
“Sì, Scorpius. Sono i miei zii.” 
Tom si estraniò dalla conversazione, ormai sterile; come aveva detto Malfoy, non c’era molto che si potesse fare per cambiare quella situazione.
Era seccato; era seccato perché la presenza di Lily avrebbe complicato ulteriormente le cose. Ma soprattutto le avrebbe complicate ad Al, che si sarebbe roso nel continuo terrore di aver lì la sorella minore e doverla proteggere da qualsiasi cosa li aspettava scesi dal treno.
Anche se Lily non interessa a Hohenheim. Era solo un mezzo per avvicinarmi.
Tom rifletté: il treno era in dirittura d’arrivo e non poteva permettere che Albus calcasse il suolo di Durmstrang fuori di sé, sebbene con una faccia appropriata all’occasione. Quindi abbandonò il vagone e bussò alla porta del bagno dei ragazzi in cui l’altro si era rifugiato.
“Non adesso Rosie.” Fu la risposta vibrante tensione. “Ho bisogno…”
“Sono Tom ed hai bisogno di calmarti, questo è chiaro.” Replicò tenendo il tono di voce volutamente basso. C’erano troppe orecchie tese in giro. “Ma non succederà se ti rinchiuderai in un bagno a prendere a calci le pareti.”
“Non sto…”
“Stai.”
Ci fu un lungo sospiro, poi la porta venne aperta. Tom se la chiuse alle spalle. Al era seduto sul vano finestra con l’aria di voler far esplodere qualcosa; probabilmente neppure gli sarebbe servita la bacchetta.
“Non doveva succedere. Cosa diavolo hanno controllato gli auror?” Sussurrò, con la mascella serrata in una linea dura. In quel momento sembrava la fotocopia appena maggiorenne di Harry. “E la scuola?! Teddy si suppone sia qui anche per controllare noi studenti!”
“Può essere entrata dopo il controllo degli auror, mentre il professor Lupin era distratto a controllare i permessi. C’era il modo. Nessun metodo di controllo è infallibile. Specie quelli magici.”
“Veramente…”
“I babbani vi sono di molto superiori in quanto a sicurezza. È un dato di fatto.” Replicò, ma non approfondì l’argomento perché non era quello il luogo né il momento. “Lily ha chiaramente pianificato tutto, per questo c’è riuscita.”
“Saperlo non mi fa stare meglio.” Si passò una mano sul viso, passandosi poi le dita trai capelli arruffati e tirando. “Non mi fa star meglio affatto.” Una pausa. “È tutta colpa mia. Avrei dovuto controllarla.”
Tom ritenne a quel punto di dover intervenire. Gli afferrò i polsi e districò le dita dal povero e bistrattato cuoio capelluto. “Smettila. Se continui, diventerai calvo a trent’anni.”
“È più probabile che succeda a te.” Fu la ritorsione. Glissò, perché Al sapeva diventare carogna in modo splendido quando era sotto pressione. 
“Non è colpa tua. Lily non è un pupazzo che hai portato dove non dovevi. Ha capacità di pensiero e d’azione. Sa mentire. È questo che l’ha portata qui. Nient’altro.” Espose pacato, e fu soddisfatto di vedere che Al seguiva avidamente il suo ragionamento.
“Detto così sembra sensato.” Borbottò strofinandosi di nuovo le mani sul viso. “Ma non riesco a togliermi dalla testa che avrei potuto evitare tutto questo casino.”
Tom si appoggiò alla porta del bagno, impedendo aperture ad opera di esterni dalla vescica debole. “Come?”
“Sapevo che Lily voleva mettersi in contatto con Luzhin, di nuovo. Insomma, dai, era chiaro!” Si massaggiò la nuca; stava incubando un’emicrania da stress niente male. “Ho sottovalutato quanto e soprattutto come lo volesse. Ed ora eccola qui.”
“L’abbiamo fatto tutti.” Replicò: anche a lui sembrava sconcertante che Lily fosse arrivata fino a quel punto. Ma supponeva di non doversi stupire più di tanto, in realtà.
È tipico dei nuovi Potter infilarsi in situazioni più grandi di loro per inseguire qualcuno.
“Papà avrà un infarto…” Mugugnò Al, reclinando la testa vinto. “E Merlino, quanto vorrei prenderla a schiaffi.”
“Potrai farlo. Ne avresti tutto il diritto.”
“Non assecondarmi.” Gli afferrò la mano e la strinse. Era cercare contatto consolante, e non glielo avrebbe mai negato. “A volte vorrei non essere un Potter.” Sussurrò piano. “Avrei delle sorelle che non tentano cose folli, e fratelli con più cervello. E un dna da Eroe che non si tramanda in modo devastante.”
Tom sorrise. “Io no. Mi piace che tu sia un Potter.” Replicò la stretta alla mano. “Il migliore, peraltro.”
Al arrossì, sbuffando. Il fatto che sorridesse appena era però un segno incoraggiante. Forse, almeno finché non si fosse trovato di fronte Lily, avrebbe mantenuto un minimo di buon’umore sindacale.
“Sì, in effetti senza di me non saresti sopravvissuto alla tua idiozia.”
Fece una smorfia, ma fu ricompensato da un Al che si alzò per stampargli  un bacio all’angolo della bocca. Tom si appoggiò meglio alla porta, chinandosi per far evolvere quel bacetto da terza elementare in qualcosa che gli era dovuto, visto come aveva affrontato la crisi.
In quel momento, l’interfono del treno decise di attivarsi per comunicar loro che erano arrivati. Seguì un potente scossone.
“Terraferma.” Mormorò Al, impallidendo un po’, ma riprendendo contegno.
Tom si scostò dalla porta, irritato ma dedicato alla causa. “Pronto Caposcuola?”
Al gli sorrise, ma evitò di rispondere. Non pretese lo facesse.

 
****
 
“Hogwarts è arrivata.”
Sören non aveva bisogno che Kirill bussasse alla sua porta, né che si facesse aprire per comunicargli quel che già sapeva. I rumori fuori dalla sua stanza erano chiari, come chiaro era stato l’ordine di quella mattina; indossare l’uniforme di gala ed essere pronti ad accogliere le delegazioni in ogni momento.
Beaux-Batons era arrivata poche ore prima e l’imponente cerimonia che era stata allestita in loro onore aveva intimidito non poco i francesi. Poteva capirli; erano una piccola, sebbene prestigiosa scuola nazionale. L’Istituto Durmstrang ospitava buona parte della gioventù dell’Europa del Nord, oltre a quella mittle-europea come lui. Norvegia, Svezia, paesi baltici, Russia, e una fetta nutrita dell’Est Europa.
“Sì, lo so.” Rispose aggiustandosi l’ultimo bottone d’osso della propria uniforme. “Scendo subito.”
“Ti aspetto fuori.” Gli comunicò il russo, chiudendosi poi la porta dietro.
Conta ogni mio passo…
Ormai era un dato di fatto che non poteva ignorare. Poliakoff lo stava controllando per conto di suo zio.
Zio si fida più di lui che di me.
Cancellò con un poderoso sforzo mentale quel ragionamento e raggiunse l’altro, che sostava appena fuori dalla porta con la schiena appoggiata al muro.
“Cos’è quella faccia?” Lo apostrofò scherzoso. “Ricordati che devi dare il benvenuto ai nostri amici britannici, non un addio!”
“È la mia faccia.” Replicò secco e Poliakoff fece una smorfia annoiata.
“Per Agrippa, se sei noioso! Stasera avremo cibo a volontà, idromele e persino animazione gentilmente fornita da Hogwarts. C’è il loro coro…” Fece una smorfietta, come a sottolineare quanto trovasse ridicola quel tipo di attività extra-curriculare. “Di che ti lamenti?”
“Non mi sto lamentando.” Aveva notato che il russo cercava di stuzzicarlo per fargli perdere la pazienza.
Ci vuole ben altro che qualche battuta fiacca. Sono stato temprato da Johannes.
Per non sprofondare nell’ansia doveva solo fare una cosa; andare avanti passo dopo passo, senza farsi domande, esattamente come avrebbe fatto un tempo.
Tralasciando che nulla era più come un tempo.
Sulle scale che portavano al piano inferiore furono raggiunti da un trafelato Radescu. “Ah, siete qui! Sbrigatevi, stanno arrivando!”
“Lo sappiamo Dionis, falla finita!” Sbottò sgarbato Kirill. “Con tutti i bauli e il serraglio di Famigli che si saran portati non scenderanno tanto presto!”
Sören non ribatté, limitandosi a controllare per l’ennesima volta che la fibbia della sua cintura fosse ben allacciata.
Si sentiva la bocca secca e il cuore pompare violentemente nel petto, e non aveva idea del perché.
In realtà la ho.
Hogwarts stava per tornare sotto i suoi occhi, sebbene in forma ridotta. Una Hogwarts fatta da Thomas Dursley, il suo obbiettivo. Da Albus Severus Potter, che sospettava di lui.
Una Hogwarts senza Lily.
Inspirò bruscamente e gli fu lanciata un’occhiata attenta dal russo.
Va’ all’inferno.
Lo sorpassò senza una parola affiancandosi a Radescu. Anche quello gli lanciò un’occhiata attenta.
“Sono tanto interessante?” Lo apostrofò forse con eccessiva durezza. Anzi, tolto il forse. Aveva esagerato dall’aria imbarazzata che assunse l’altro.
“No, no … affatto.” Mormorò a bassa voce. Lanciò un’occhiata a Poliakoff, che si grattava via una macchia dalla manica dell’uniforme. “Conosci il rumeno?” Gli chiese dal nulla.
“Sì.” Conosceva la maggior parte delle lingue neo-latine ovviamente. Era parte del bagaglio culturale che gli era stato inculcato sin dall’infanzia da fior di precettori. “Perché?”
Perché mi sembra che tu non voglia parlare di fronte a lui.” Gli rispose Dionis nella lingua madre. Sören afferrò il senso generale del discorso e tornò a farci l’orecchio quando continuò. “Che succede?
Niente che possa interessarti.”
Mi interessa se l’Istituto è in pericolo.” Fu la risposta secca. “Lo è? Perché sei preoccupato, si vede lontano un chilometro.
Non sono preoccupato.” Replicò cercando di non suonare aspro. Poliakoff era distratto dalla macchia tenace, ma si sarebbe presto accorto che stavano parlando tra loro in modo sospetto. “Va tutto bene.” Continuò in tedesco.
Radescu si limitò ad un cenno della testa, senza aggiungere altro. Non avrebbe comunque potuto, dato che era stato categorico.
Si morse un labbro; era dunque tanto palese la sua tensione? Non andava bene. Non andava bene affatto.
Scesero le tortuose scale a chiocciola che avrebbero portato all’ingresso principale; ricordava bene come le varie zone del castello fossero collegate da ripide scalinate, create il più delle volte nella pietra nuda della montagna, senza troppi fronzoli, spesso senza corrimano. Ricordava anche come d’inverno gelassero e fossero teatro di incidenti da parte delle incaute matricole. 
Ricordava molto, ma non gli importava nulla. In quel momento avrebbe voluto essere lontano chilometri dall’Istituto.
Perché per quanto fosse ridicolo da pensare, non aveva un solo amico là dentro. Nessuno a cui potesse rivolgersi, o affidarsi. Era solo.
Rilasciò lentamente l’aria dai polmoni e raddrizzò la schiena.
Basta piangersi addosso. Basta.
Lo era sempre stato. L’unica differenza era essersene accorto.


****


Scendere dal treno ed alzare lo sguardo era stato un tutt’uno.
Lily aveva notato come fosse stata approntata una sorta di rotaia finale, appena arrivata la terraferma, in cui il treno aveva agganciato le proprie ruote per terminare la corsa all’asciutto.
Teddy quando l’ultimo scossone di assestamento era terminato, le aveva fatto cenno di uscire. Aveva quindi preso il suo zaino e si era assicurata una copertura totale, tra mantello e sciarpa. 
Del resto mica possono tenermi qua dentro.
Aveva nascosto un sorriso vittorioso perché non era il caso e aveva seguito l’amico d’infanzia.
Alzare la testa era stato consequenziale per l’appunto, perché Durmstrang sorgeva da una parete di roccia ripidissima, molto più ripida di quanto le era sembrata vedendola da lontano. L’Istituto era     costruito praticamente in verticale, nato dalla roccia stessa, su tre piani. Il più alto era il più estremo, a picco sulla scogliera a strapiombo che digradava tra alte guglie e il mare.
L’entrata principale era di fronte a loro. Lily si accodò alla piccola delegazione, sbirciando. Vedeva in prima fila Albus e sapeva che avrebbe dovuto tenersi lontana da lui finché non gli fosse passata.
Forse tra un anno…
Inspirò leggermente; sapeva che il fratello non le avrebbe perdonato facilmente quella storia, come invece sembrava aver fatto Teddy, dato il suo sostanziale cuore tenero.
Non le importava. Affatto.
Proprio lui! Dovrebbe capirmi, visto quel che ha combinato per Tom l’anno scorso!
Decise di concentrarsi su altro, per esempio sull’ambiente del tutto nuovo che la circondava
L’imponente portone della fortezza  era anch’esso in pietra, riccamente istoriato di disegni di animali stilizzati in ghirigori complicati. Da quella distanza – più di un centinaio di metri di spessa neve li separavano dall’ingresso – vedeva poco e le sembravano forme prive di senso.
In ogni caso il portone era dannatamente d'impatto, alto il doppio rispetto a quello di Hogwarts – che di certo non era piccolo.
La delegazione incedeva compatta e infreddolita mentre soffiava un vento duro, che odorava di sale marino. Lily si strinse tra mantello e sciarpa pregando di arrivare prima di morire per assideramento istantaneo.
Perché, per tutti i troll della Gran Bretagna, non sono venuti a prenderci?
Non che se lo aspettasse; poteva quasi immaginare la soddisfazione di quell’antipatico del Direttore dell’Istituto mentre li osservava, al calduccio, arrancare nel ghiaccio per poi bussare alla porta, quasi dovessero supplicare ospitalità.
La neve faceva affondare voracemente i suoi stivaletti; con sorpresa intuì che sotto lo strato di ghiaccio c’era sabbia. Sabbia scura a giudicare dagli schizzi terrosi che seminavano gli altri di fronte a lei.
Ted la afferrò gentilmente per un braccio. “Ce la fai?”
“Sembrano sabbie mobili.” Mugugnò. “Ma davvero, prendermi in braccio sarebbe troppo.”
L’altro sorrise appena. “Non credo sia il caso.” Le fece notare.
Okay, ce l’avete tutti con me… ma non sono una prigioniera!
Sapeva di essere irragionevole, testarda e forse pure un po’ stupida. Sapeva che ci sarebbero state delle conseguenze. Non le importava. Tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento è che avrebbe rivisto Sören.
Ren.
Perché abbandonarlo non era un’opzione.
In testa alla delegazione c’era il Preside, notò, e fu lui a salire la bassa scalinata che portava all’ingresso. Lily, adesso più vicina, poté notare un’enorme battente, della dimensione della ruota di un carro. Ora poteva vedere con chiarezza quali fossero le figure rappresentate su tutto il portone, quasi in un horror vacui.
Era una sola figura in realtà, una lunga figura che si ripeteva ininterrottamente quasi fosse un serpente dal corpo chilometrico. Aveva più teste, a volte di orso, a volte di leone, e faceva una cosa sola; mangiava il resto delle decorazioni, che fossero animali o arbusti.
Era terrificante.
Ted sembrò seguire la direzione del suo sguardo. “Tutto bene?”
“Questa è la loro arte decorativa?” Sussurrò piano. “Che diavolo hanno in testa?”
Ted lanciò uno sguardo al portone, apparentemente poco impressionato. “Beh, la Norvegia ha una lunga tradizione guerriera. Hai mai sentito parlare dei vichinghi?” Le chiese, senza aspettare risposta. “Credo che abbiano ripreso alcuni elementi dalla loro arte tradizionale.”
“Che cosa carina…” Borbottò, avvicinandosi alla sua presenza rassicurante. La sensazione di inquietudine che aveva provato quando aveva avvistato Durmstrang, ora che c’era praticamente davanti, non era diminuita, anzi. Si era amplificata.
Lanciò uno sguardo ai propri compagni di fronte a sé; sembravano debitamente impressionati, ma non spaventati.
Del resto neanche Hogwarts è proprio un posto chiaro e luminoso. Ma qui è… diverso. C’è un’aria cattiva.
Non la sente nessuno?
 
Tom si mordicchiava ossessivamente un labbro da quando aveva calcato il suolo del fiordo. Avrebbe dovuto esser contento di non essere più su un treno che non affondava solo grazie alla magia – alcune superstizioni babbane gli sarebbero rimaste sempre addosso -  ma non si era sentito sollevato. Anzi, tutt’altro. Non riusciva infatti a scacciare il senso di oppressione che gli pesava sul petto.
Durmstrang era come se l’era immaginata: compatta per non disperdere calore con torri battute dal vento, più simile ad una fortezza che ad un castello, scura e costruita della stessa pietra della montagna, per renderla ancora più nascosta e di difficile individuazione di quanto già non fosse.
Durmstrang non era una sorpresa, ma era scocciante sentirsi così… oppresso.
Inspirò, lanciando un’occhiata ad Albus che guardava con attenzione il portone.
“È più grande di quello di Hogwarts, no?” Disse. Erano le prime parole che pronunciava da quando erano scesi dal treno e gliene fu inspiegabilmente grato.
“Sì, direi almeno una ventina di piedi.” Convenne. “Deve avere una sua funzione, immagino.”
“Intimorire i visitatori?” Sorrise Al, scoccandogli uno sguardo. “Ti sanguina il labbro.” Attestò poi con tono neutro.
“Lo so.” Fece una smorfia infastidito. Gli pulsava caldo, fastidioso. Detestava dimostrare nervosismo, ma non poteva farne a meno. Non in quel frangente.
Albus volse di nuovo lo sguardo al portone. Il Preside era salito per la breve scalinata e aveva estratto la bacchetta; con un tocco di bacchetta suonò l’enorme battente in ottone che gli restituì un cupo suono metallico.
“Che decorazioni strane.” Osservò, tanto per dire qualcosa, ma Tom gli diede attenzione; tutto meglio che rimuginare. “Sembrano essere parte di un disegno solo. Tipo, quando non stacchi mai la penna… Strani animali. Che creature magiche hanno qui, Tom?”
“Non è una creatura vera, né per noi, né per i babbani.” Mormorò. “È un essere mitologico, un simbolo della tradizione vichinga.” Aggiunse, vedendo la confusione nello sguardo dell’altro. “La bestia che afferra, significa forza e vitalità. Violenza, a dirla tutta.” Soggiunse.
Al non ribatté, limitandosi a guardare le decorazioni assorto. “È tutto fuorché un caldo benvenuto.” Si limitò a dire, smuovendo distratto con un piede un cumulo di neve.
Scorpius si sporse tra di loro; Tom vide con la coda dell’occhio il biondo accecante dei suoi capelli. “Posso dire che questo posto mette i brividi?” Esordì. “A voi no?”
“Chiunque sano di mente ti darebbe ragione.” Soggiunse Al, e Tom d’improvviso si sentì meno idiota ad esserne così inquietato. “Penso sia voluto. O forse no.”
“Non dev’essere sempre stato così.” Si inserì Rose, che aveva l’aria di chi avrebbe voluto un camino, e subito, dalla quantità di vestiti che le si gonfiavano sotto il mantello. “A mia madre era stata raccontata come … insomma sì, poco ospitale, ma adesso sembra una fortezza militare o roba del genere.”
“Pensa che mio padre voleva mandarmi qui, Rosellina.” Sospirò Scorpius. “Sono contento che mamma si sia opposta.”
“Anche io. Perché ti avrebbero buttato a mare dopo due settimane.”
Scorpius annuì serio, lanciando un’occhiata verso il punto più alto del castello. “Sì, in effetti sono un tipo troppo… brioso… per l’ambiente.”
“Tremendamente.” Ironizzò questa, ma neppure troppo dall’espressione preoccupata che lanciò al proprio ragazzo. “Per le sottane di Morgana, sto congelando. Quando si decidono ad aprire?”
Quasi avesse aspettato quella precisa frase, il portone si spalancò con l’eleganza di ingranaggi oliati o magia potente. Vitious si fece rapidamente indietro, prendendo di nuovo posto in testa alla fine assieme alla McGrannit.
Tom vide Rose mormorare qualsiasi di simile ad un ‘finalmente’ quando la delegazione si mosse e varcò l’ingresso in modo frettoloso e sollevato.
Farci aspettare al freddo… È questa l’ospitalità nordica?
L’ingresso era quanto di più simile ad una caverna, per metà scavata dalla natura e per l’altra da mani umane, a vedere il lungo colonnato che portava ad una scalinata alta quanto una piccola collina.
Ma non era la sala il punto. Era ciò che c’era dentro.
Perché quello che fece inspirare bruscamente tutta la delegazione come un solo uomo furono le persone; l’intera scuola era lì ad accoglierli come avrebbe dovuto, ovviamente. Ma l’intera scuola era praticamente la popolazione di una cittadina babbana. L’enorme marea di uniformi allineate lungo il colonnato, in più file, era impressionante. Tom si trovò senza parole.
La scuola non è un’inutile spreco di imponenza. Deve contenerli tutti.
Meike gli aveva accennato al fatto che fossero tanti, ma non così tanti. Sentì Al irrigidirsi al suo fianco.
“Ma quanti diavolo sono?” Sussurrò Rose. “E poi… perché se ne stanno zitti?”
Era forse quello a dare più effetto alla cosa. Il fatto che fossero tutti silenziosi come morti, irrigiditi in una posizione di riposo che ricordava quella dei militari babbani. Tutti con l’uniforme color fango regolamentare e con i capelli rasati o appuntati, nel caso fossero ragazze.
Tom cercò Meike con lo sguardo, ma non la vide; essendo una matricola doveva trovarsi nelle ultime file, troppo minuta per poter esser scorta. Notò però una violenta macchia rossa al ridosso della scalinata.
La delegazione della Prima Prova. Luzhin è lì.
“Preside Vitious!” Il silenzio fu spezzato dal rimbombare delle parole del Direttore Jagland che si avvicinò loro con rapide falcate. L’espressione gioviale non si estendeva però agli occhi.
Come sempre. Come attore fa schifo.
Il mago strinse brevemente la mano al piccolo Preside e poi baciò il dorso di quella della McGrannit. “Spero sia stato un viaggio agevole. Benvenuti a Durmstrang, da Durmstrang.” Fece un gesto omnicomprensivo e come un solo uomo, l’intera scuola si mise sull’attenti.
Tom sentì Rose sobbalzare e poi la vide afferrare il braccio di Scorpius come a trarne conforto.
Sì, oggettivamente impressionante.
Hogwarts, Hogwarts del nostro cuor…” Borbottò Scorpius, recitando senza intonazione e dando una pacchetta sulla mano contratta della propria ragazza. “Mai stato più felice di non essermi iscritto qui.”
Decisamente.
Al di là di questo, Tom apprezzò silenziosamente la coreografia austera e la marzialità dell’insieme, come il rigore delle uniformi e la compostezza delle espressioni. Era una scuola precisa come un orologio, e questo per lui era un pregio, non un demotivante difetto.
Forse adatta a me. Ma non di certo per Malfoy, o Al, o Rose. E soprattutto, non adatta a Meike.
Adesso capiva le occhiaie della bambina, le sue lacrime e la sua riluttanza a tornarvi; una scuola simile alimentava la disciplina interiore, la conoscenza. Ma certo non lasciava liberi di esprimersi.
Senza contare il sicuro nonnismo dei più grandi verso i più piccoli. 
Doveva trovare Meike, finita quella cerimonia. Se c’era qualcosa su cui poteva aver controllo in quel momento, era la serenità del suo folletto di Rügen. Non su suo padre, non sulle bravate di Lily, non su Luzhin.
Meike.
Doveva darsi un obbiettivo immediato, o la tensione avrebbe finito per fargli fare qualcosa di stupido.
“Prego, venite.” Li incalzò il Direttore. “Sarete stanchi per il lungo viaggio.”
Muoversi di nuovo fu quasi un sollievo. Tom abbassò lo sguardo verso Al, e lo trovò che fissava il nulla senza espressioni particolari in viso. Tradotto, era teso come una corda di violino.
Gli toccò leggermente il braccio con il suo e immediatamente l’altro gli afferrò il polso quasi fosse una cima lanciata ad un naufrago.
Conosceva la sensazione.
“Dimmi che non abbiamo fatto una follia a venire qui.” Sussurrò, così piano che fu certo che né Rose né Malfoy l’avessero sentito, benché fossero subito dietro di loro. “Dimmelo.”
Tom rifletté, poi disse l’unica cosa sensata, date le contingenze. “Se non fossimo qui, Lily l’avrebbe fatta franca.”
E poi, chi affronterebbe mio padre?
Al serrò la presa sulla sua mano e poi la lasciò. Intravide un sorriso piegargli l’angolo delle labbra. “Ti amo.” Mormorò, perché certe cose si dicevano a bassa voce, sembrava.
Tom sorrise di rimando. “Sì, lo so. Anch’io.”  Ma si dicevano.
 
Lily aveva visto il rosso delle uniformi dell’élite. Era impossibile non notarle, in tutto quel mare di mortificante color fango spiccavano come una luminaria di Natale. L’ex-delegazione di Durmstrang era in fondo all’enorme fila di sinistra, accanto alla lunga scalinata di pietra che si apriva su un portone ad arco che doveva portare al primo piano e forse alla zona abitabile. Lo sperava, perché avrebbe dato un braccio per potersi sedere al fuoco rinfrancante di una stanza riscaldata.
Comunque lì c’era Sören.
Inspirò, cercando di calmare il battito furioso del proprio cuore; era certa chiunque potesse sentirlo.
Lanciò infatti uno sguardo a Ted che le era accanto, e fu ricambiata da uno sguardo interrogativo.
Nota sempre se qualcuno lo guarda. Sesto senso mezzo-lupesco o ansia da prestazione?
“Tutto bene?” Le chiese con un sorriso gentile, ma distratto; era infatti piuttosto occupato a fissare le schiene potenzialmente indisciplinate dei suoi alunni. Che però stranamente marciavano in silenzio. Più che tranquilli in realtà, in soggezione.
Se volevano farci sentire a disagio, ci sono riusciti perfettamente.
“Sì, più o meno. In realtà sono estasiata dai loro metodi di accoglienza.” Replicò e notò che l’altro si ingoiò una risata, cercando di mantenere distanze e contegno.
“Sì, non hai tutti i torti.” Mormorò a mezza bocca. “Ma è il modo in cui lo fanno, quindi dobbiamo… accettarlo, suppongo.” Aggrottò le sopracciglia, poi raddrizzò la schiena, quasi a voler dare più autorevolezza alle sue parole.
Pensi anche tu che tutto questo sia agghiacciante, Teddy. Eddai.
“Sicuro.” Sorrise però, tanto per dire o fare qualcosa. La sottile linea rossa si avvicinava e lei doveva essere pronta.
Beh.
A fare nulla in realtà, che certo non sarebbe saltata addosso a Ren pretendendo spiegazioni; non in quel consesso e non subito almeno.  
E se non ci fosse?
Era improbabile, ma di cose improbabili ne erano successe tante in quell’ultimo periodo che ormai non credeva più alle sue previsioni ragionate.
Spesso si rivelano un bel buco nell’acqua. Grosso, tra l’altro.
Inspirò di nuovo. Poche manciate di secondi e l’avrebbe visto. Forse, allora, avrebbe saputo cosa fare.
Perché sì, non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto adesso che l’aveva finalmente a disposizione.
 
Sören ricordava com’erano le adunate dell’Istituto. Venivano fatte ad inizio di ogni anno scolastico per l’arrivo delle matricole. Per accoglierle, si diceva. Si rivedeva, undicenne, varcare quel grande portone, spaesato. Vedendo quella mole di gente, cresciuto sempre con la presenza di poche persone accuratamente selezionate, aveva quasi avuto un capogiro. Ricordava il sudore freddo che gli congelava la schiena, le mani e il viso bollente, la sensazione di profonda inadeguatezza. Sicuramente non era stato il solo, tra quelli del suo anno, a sentirsi così ma gli era sembrato.  
Ricordava quel giorno perché lo vedeva riflesso nei volti degli studenti di Hogwarts; vi leggeva lo stesso timoroso sgomento.
Persino il loro Preside sembrava intimorito, sebbene le spalle dritte e il viso fermo indicassero qualcuno di non facile intimidazione. Lanciò uno sguardo anche alla seconda professoressa accompagnatrice. Era la donna che aveva fermato il duello tra lui e James Potter. La donna ricambiò il suo sguardo duramente; si sentì in dovere di abbassarlo, e distoglierlo.
Notò quindi con la coda dell’occhio Albus Severus Potter, pallido e serio; un’espressione ben diversa da quella quieta e gioviale che aveva conosciuto. Poteva capirlo. Accanto a lui, come previsto, Thomas Dursley: per un attimo pensò che si fosse occluso, prima di ricordare di non averlo mai visto con una singola espressione chiara in viso. Era povero di espressioni come un Occlumante.
Poi vide qualcosa di rosso. Per un momento, registrò che erano capelli, capelli rossi. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
Razionalizza. Non è lei. Lei è ad Hogwarts adesso. È solo una ragazza con i capelli rossi, in Gran Bretagna è pieno di persone coi capelli rossi.
Trovò di nuovo il ritmo del proprio respiro e alzò il viso, tornando nella posizione di attenti che ci si aspettava dal campione di Durmstrang.
E la vide.
Se la trovò precisamente di fronte perché nel tempo in cui il suo ridicolo intelletto ragionava, la delegazione scozzese era avanzata.
Lily era lì.
Con precisione chirurgica – con istinto, pensò con il senno di poi – aveva alzato lo sguardo proprio nel momento in cui Lily gli era sfilata accanto.
Che… cosa…
Sentiva le sinapsi come congelate, quasi si fosse risvegliato dopo un sonno intenso.
Razionalmente – ah, parola meravigliosa. Inutile al momento, ma meravigliosa – Lily Luna non poteva essere lì.
Eppure Lily lo fissava in viso, apertamente. Era lì e lo guardava con quei suoi enormi occhi spudorati, verdissimi, e spaventosi.
Sentì la saliva seccarsi in gola e se gli avessero chiesto di parlare in quel momento, in quel preciso momento, non sarebbe stato in grado di articolare una sola sillaba.
Fu solo un attimo; Lily non poteva fermarsi. L’aveva vista rallentare, certo, testarda e inadeguata come solo chi non conosceva l’etichetta o se ne fregava poteva essere, ma poi il giovane professore accanto a lei le aveva fatto cenno di avanzare, toccandole il gomito con una mano.
È qui.
La delegazione gli passò oltre e subito dopo sentì un leggero colpo sul fianco. Era Radescu.
“La fila.” Sussurrò.
Non capì subito. Poi vide che c’era quasi un  passo di distanza tra lui e il rumeno. Si era sporto, aveva fatto un intero passo in avanti. Verso Lily.
Tornò immediatamente indietro. Non controllò se qualcuno l’avesse visto, perché sapeva di avere gli occhi di Poliakoff piantati sulla nuca.
Maledizione.
Ripararsi dietro una barriera di Occlumanzia fu la prima cosa che gli venne in mente; doveva far chiarezza mentale, doveva impedire al proprio cuore di galoppare come un dannato Thestral imbizzarrito, doveva capire perché Lilian fosse lì, nonostante glielo avessero proibito – e lo avevano fatto, questo era certo come il sole che sorgeva al mattino.
Ma soprattutto, doveva piantarla di sentire quel desiderio incontrollabile di andarle dietro.
 
 
****
 

Inghilterra, Londra, pomeriggio.
Ministero della Magia, Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio Internazionale della Legge Magica.
 
“Signor Malfoy … c’è un problema.”
Quando la sua segretaria si annunciava facendo una pausa studiata, significava che un problema c’era sul serio.
Rachel – si ricordava solo il nome - era stata a Serpeverde un paio d’anni dopo di lui, e possedeva la grazia efficiente e discreta delle segretarie del Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale. Oltre a questo, sapeva essere una sottoposta intelligente, invece che stolidamente ammirata, come spesso capitava in altri Dipartimenti. O uffici. Auror.
Abbassò il plico che stava consultando sulla scrivania, e le lanciò comunque un’occhiata di seccata sufficienza. “Che succede?”
“Mi ha detto di avvertirla se quella persona fosse tornata qui.” Replicò senza scomporsi. “Quella persona adesso è qui.” Fece nuovamente una delle sue calcolate pause. “E sta urlando contro uno dei nostri funzionari.”
“Non mi aspettavo niente di meno, da un suo ingresso.” Commentò facendo sorridere leggermente la donna. “Che ufficio?”
“Ufficio Locazioni Errate.”
Draco Malfoy inarcò le sopracciglia perplesso; per quale motivo Il Bambino Meraviglia doveva sbraitare in quell’ufficio? Locazioni errate era uno sportello molto specifico. Serviva a dare consigli di procedura a maghi o streghe che si erano trovati materializzati, per sbaglio o per dolo – questo era ininfluente ai fini del consulto – nel territorio di un altro Ministero, cosa che faceva scattare immediatamente sanzione e arresto, se privi della documentazione necessaria.
Si alzò e si diresse, dopo un breve cenno di commiato alla segretaria, verso l’ufficio, che si trovava peraltro distante dal suo.
Potter, la solita seccatura.
Il problema del Dipartimento Cooperazione era che non vi era una sola indicazione e le geometrie architettoniche tendevano ad assomigliarsi drammaticamente.
Anni di consumata faccia tosta gli permisero di arrivare a destinazione senza dover chiedere ad un solo collega. Del resto era bastato seguire quelli giusti.
Le urla del Salvatore si sentivano persino oltre la porta chiusa. Non distingueva il tono, ma il tenore sicuramente. Era infuriato come solo un bamboccio viziato da mille porte aperte in suo onore poteva essere.
Entrò senza bussare, e si trovò di fronte un atterrito funzionario, quasi riparato dietro la sua scrivania e Potter che torreggiava – riusciva a farlo nonostante non fosse affatto imponente – sull’intera stanzetta. Dietro di lui vide la mole stolida e ciondolante di Weasley.
Weasley, in effetti, fu il primo a notare le sua presenza. “Che diavolo ci fai qui Malfoy?” Sbottò spazientito.
“Ci lavoro.” Replicò godendosi la mancanza di parole dell’altro. Potter doveva essere talmente infuriato da intimorire anche la sua spalla comica. Si rivolse poi all’altro auror. “Potter, smettila di maltrattare i miei funzionari. Non siamo nella vostra stalla di eroi, qui il machismo non sortisce alcun effetto.”
Questo si voltò scoccandogli un’occhiata di fuoco. Per un attimo Draco sentì l’impulso, giovanile ma saggio, di fare un passo indietro e andare a chiamare la sicurezza.
“Allora dì al tuo funzionario di darmi risposta chiare invece di blaterare di procedure senza senso!” Ringhiò. “Non sono qui per imparare il vostro regolamento!”
“Sei qui per comportarti come un essere umano. Cosa che so, al secondo piano, non riesce facile.” Replicò, ignorando le orecchie rosse di Weasley, in dirittura di esplosione. L’importante era che Potter non cominciasse a lanciare mobili; l’espressione gli faceva temere quell’eventualità. “Randolph, vatti a prendere un caffè in sala ricreativa. Qua ci penso io.”
“Sì, signor Malfoy.” Sussurrò il ragazzo, che ricordava nebulosamente avesse sostituito il vecchio funzionario deputato a quell’ufficio qualche mese prima. Potter non aveva avuto fortuna.
Quando il giovane fu letteralmente volato via con le ali ai piedi, Potter rilasciò un lungo sospiro.
“Ho bisogno di una mano.” Ammise francamente, sempre con la mascella tesa, ma meno da guerriero sul campo di battaglia. “E mi serve subito.”
Draco assaporò il luccichio disperato negli occhi dell’altro. Doveva essere successo qualcosa di grave per farlo reagire così.
Cosa può far perdere la testa a Potter, a parte qualunque cosa?
Data la sua furia, poteva trattarsi solo di un pericolo immediato. E l’unica cosa che mandava davvero il cervello del Salvatore a farsi una passeggiata era una minaccia diretta ai suoi cari.
Famiglia.
“A quale dei tuoi figli è successo qualcosa?” Chiese, e ghignò alla faccia sconcertata dell’altro. “Siamo onesti, Potter. Hai la sindrome della chioccia e non sai controllarti. Mettere insieme i pezzi non è difficile. L’unico problema è che consideri figli almeno una decina di persone. Quale, dunque?”
L’ex-grifondoro tacitò con un cenno della mano in tentativo di intromettersi di Weasley. “Lily.”  Disse serio. “La più piccola. Ha quindici anni, e adesso è a Durmstrang.”
“E quindi?”
“Non dovrebbe stare lì.” Si intromise Ron, perché Potter stava di nuovo avendo un attacco di collera obnubilante, a giudicare dal colorito terreo che aveva assunto. “Harry e mia sorella gliel’avevano proibito. È scappata.”
“Complimenti per la sorveglianza.”
“Malfoy, se sei qui per prendere per il culo…” Iniziò il rosso e Draco, davvero, trovava delizioso poter fargli saltare i nervi. Ma non aveva tempo da perdere.
Sono un po’ troppo ansiosi per aver spedito una ragazzina in una semplice scuola.
“Sono qui perché, come ho detto, questo è il mio lavoro. “ Tagliò corto. “Randolph è uscito da Hogwarts l’anno scorso. A parte blaterare di codici e regolamenti non può far molto per aiutarvi. Non è neppure la persona giusta.”
“E allora chi è?” Sbottò Potter inspirando come se dovesse andare in apnea. Al di là della collera, era chiaro fosse spaventato a morte. Da Durmstrang.
Meraviglioso. Ho mandato Scorpius là volontariamente. Davvero meraviglioso.
Cancellò con un colpo di spugna quel pensiero e si concentrò sul togliersi dai piedi quei due rozzi, incivili grifondoro.
“Un minorenne che scappa in un altro Stato non è cosa da tutti i giorni, Potter. Non esiste un ufficio deputato, non ufficialmente.” Spiegò sentendosi infinitamente paziente. “Di solito i ragazzini scappano nel mondo babbano. Di solito, tornano spaventati e ben risoluti a non metterci più piede.” Chiosò con leggerezza, e fu un po’ deluso da non ottenere reazioni. Potter ad ogni buon conto lo fissava con lo sguardo di un falco.
Non poteva far altro che l’auror. O il serial killer.
“Va’ avanti.” Lo incalzò.
“La Norvegia, dove ormai tutti sappiamo si trovi Durmstrang…” Scorpius si era premurato di blaterarlo a chiunque gli desse udienza quel Natale. “… ha leggi particolari per quanto riguarda i minorenni. Qualunque minore di diciassette anni si trovi nel suo territorio è nella sua giurisdizione, e gli viene quindi assegnata una Traccia.”
“Spiegati meglio, Malfoy.” Fu l’unica reazione di Weasley che si era evidentemente perso. 
“Ci stavo arrivando.” Replicò irritato. Per questo odiava gli auror. Di ogni conversazione, ne facevano un interrogatorio.
Tralasciando che questi due esemplari li odio da ben prima.
“La Traccia segnala la posizione e non solo ogni volta che un ragazzino usa la magia. Sempre. Considerando la scarsa comunità magica, i grandi spazi inabitati e la facilità con cui un bambino si perde, è stata una misura precauzionale doverosa.” Fece una pausa. “Ora, il problema è che questa Traccia impedisce la Materializzazione del minori fuori dai confini norvegesi. Lo stesso vale per un viaggio con la Polvere volante, Passaporta o imbarco via nave. Qualsiasi passaggio. Ogni volta che ci si prova, il ragazzo viene ri-materializzato alla posizione iniziale.” Di fronte alle espressioni sbalordite, soggiunse. “È una misura che è stata presa dopo che un gruppo di dodicenni si era perso sui monti a confine con la Svezia nell’idiotico tentativo di scappare di casa.” 
“Ma la nostra delegazione?” Chiese Weasley in un lampo di rara lucidità.
“Non so se avete notato il permesso che vi hanno fatto firmare i vostri figli.”
“Non avevamo bisogno di firmare niente, Draco. Sono tutti maggiorenni.” Replicò Potter. “Se lo sono firmati da soli.”
Draco ignorò la frecciatina, continuando come se non l’avesse sentita. “Il permesso è un contratto magico. Con la loro firma o quella di un parente o tutore, la Traccia non viene attivata. Sfortunatamente, a quanto mi è stato dato di capire, Lily non aveva il permesso con sé quando è scappata.”
“La Traccia su di lei si è attivata.” Concluse Potter sempre più pallido. Probabilmente era l’idea di non poter controllare la situazione a mandarlo in panne.
Quello o il fatto che ha spedito metà della sua progenie in un posto a rischio di attacco terroristico.
“Scommetto che era ciò che cercava di spiegarvi Randolph.” Confermò annoiato. “Riportarla indietro non sarà facile. Togliere la Traccia ad un minore non è cosa semplice, ci vorranno settimane solo per ottenere i permessi.”
Potter inspirò di nuovo. Sembrava prendere aria, quasi ne fosse a corto. “Quante settimane?”
“Non posso dare una stima precisa.” Alzò gli occhi al cielo. Grifondoro, tutti uguali. Tutto e subito erano le uniche opzioni disponibili per loro. “Dipende dalla velocità con cui si muoverà il Ministero norvegese. Considerando che hanno alcuni uffici de-localizzati in Svezia e Danimarca? Non ne ho idea.”
L’altro si mosse nella sua direzione. E di nuovo Draco sentì la vaga sensazione di doversela dare a gambe. Dietro quell’aria da scrivano – Potter aveva tutto fuorché il physique du rôle – si nascondeva il ragazzo che aveva ucciso il mago più oscuro di tutti i tempi. Un dannato guerriero quattr’occhi.
Non era una cosa da prendere sottogamba. Specie se il suddetto occhialuto lo stava puntando come un maledetto cane da caccia.
“Te ne occuperai tu, vero?” Non  era una domanda, lo percepì dal tono.
Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa passivamente. “Potter, ci sono altrettanti validi funzionari…”
“Tu sei il migliore.” Lo bloccò. Lo guardò in viso per capire quale fosse il trucco: se fosse una presa in giro o un’improvvisa svolta verso la follia. Non sembrava nessuna delle due opzioni.  “Voglio che sia tu a lavorarci. Per favore.” Soggiunse senza cambiare espressione.
Stavolta toccò a lui sospirare. Avrebbe potuto rifiutarsi. Avrebbe voluto; il fatto era che quella questione lo colpiva al fianco come un colpo sleale. Perché se la mocciosa di Potter era in pericolo, chi gli assicurava che Scorpius fosse invece perfettamente al sicuro?
L’unico modo per avere informazioni, era esser parte della storia.
“D’accordo.” Replicò. Non aspettò il ringraziamento che l’altro stava già formulando sulle labbra.“Ma ad una condizione. Non voglio vedere la tua faccia se non sarà espressamente convocata. Se avrò informazioni o aggiornamenti, lo saprai.” Ci pensò attentamente, perché Potter era meno sciocco di quanto non desse a vedere. “Né qualcuno del tuo clan, dei tuoi affiliati o dei tuoi auror dovrà di nuovo metter piede qui per questa faccenda. Intesi?”
L’altro lo fissò per un attimo senza espressione. Poi fece un mezzo sorriso, tendendogli la mano. “Affare fatto, Draco. E grazie.”
“Non ringraziarmi, evito che qualcuno dei miei funzionari abbia un infarto prima del tempo.” Commentò asciutto, stringendogli la mano. Lo stavano facendo un po’ troppo spesso negli ultimi tempi.
L’ex-grifondoro fece un secondo mezzo sorriso, poi si congedò con un cenno, portandosi dietro un incupito Weasley a cui non era andato giù tutto quel contatto fisico tra di loro.
Sapessi io, Lenticchia.  
 
 
“Pensi davvero che ci si possa fidare di Malfoy?” Lo apostrofò Ron, appena usciti da un ufficio in cui Harry si era sentito mancare l’aria per tutto il tempo. La filosofia dell’open-space degli auror era di gran lunga migliore.
“Suo figlio è lì, Ron. Se c’è qualcuno che vuole sapere esattamente cosa sta succedendo e come tirare fuori un ragazzo prima del tempo in caso di pericolo, è proprio Draco.”
L’amico gli lanciò un’occhiata valutativa. “Allora… era a lui che puntavi!” Esclamò di colpo. “Mi sembrava strano che fossimo andati da quel ragazzetto che non sapeva spiccicare una parola!”
“Non avevo idea se ci fosse qualcuno in grado di aiutarmi ufficialmente, ma ufficiosamente? Sì. Lui.” Replicò senza scomporsi all’aria sconvolta dell’amico. “Dovevo solo attirare la sua attenzione.” Concluse.
Avrebbe riportato indietro Lily. A qualunque costo.
E poi starà in punizione fino ai trent’anni. Minimo.
Non gli interessava sapere perché l’avesse fatto, anche se il Gufo che Ginny gli aveva spedito poche ore prima sollevava quell’interrogativo.
Non gli interessava il perché. Gli interessava il come. Come avrebbe ripreso il controllo su una situazione che già prima sembrava sfuggirgli dalle dita.
“Comunque dovremo cominciare a fidarci di lui prima o poi.” Osservò, mentre premeva il pulsante di chiamata dell’ascensore.
Ron fece una smorfia poco convinta. “E perché?”
Harry fece un sorriso dispiaciuto. “Perché abbiamo già suo figlio in famiglia. E temo che Scorpius venga con tutto il pacchetto.”
L’altro si infilò in ascensore senza una parola. Non stava a lui convincerlo, e lo seguì senza aggiungere altro.
“Figli…” Masticò Ron a mezza bocca. “A volte ti verrebbe voglia di non riprodurti, ah?”
Harry non rispose ma, suo malgrado, fu dannatamente d’accordo.
 

 
 
 
  
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