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Autore: Honey to the poison    25/12/2011    3 recensioni
“saremo insieme per sempre vero?”.
I suoi occhi erano lucidi, le guance rosse di una risata scappata da sola nelle nostre conversazioni insensate.
Nata solo per rendere più veloce un pomeriggio noioso.
La sua testa s’incastrò sulla mia spalla, con leggerezza, sfiorandomi il collo con la punta del naso, i suoi capelli una massa scomposta che mi solleticava la spalla scoperta.
“per sempre” le accordai stringendola con un braccio, il suo corpo più piccolo del mio aveva l’immaturità di un frutto acerbo.
“sei la mia migliore amica” sospirò soddisfatta abbassando le ciglia, potevo sentirne la carezza sottile mentre si appoggiava alla mia pelle.
Un nodo scorsoio mi strinse la gola, in una parola dolce che non bastava più.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si va avanti, a volte.

Grazie a te

 

Quando aprii gli occhi il soffitto mi parve incredibilmente lontano.

Una ciocca dei capelli di Martina mi solleticava le labbra, scivolando appena sulla guancia.

Il collo esposto al suo respiro lento mentre mi dormiva addosso, nello stretto spazio del divano.

Cercai lentamente di spostarmi, mentre mi accorgevo che non aveva smesso di abbracciarmi durante un sonnellino imprevisto.

Stavamo parlando, con la tv di sottofondo e una giornata di sole oltre le finestre di casa mia che non ci interessava molto.

Poi, ad un certo punto, aveva sbadigliato.

Con nonchalance.

Mentre mi mettevo comoda, quasi distesa.

Le parole erano diventate lente, sempre più rade.

Ma io avevo smesso di preoccuparmene perché probabilmente stavo già dormendo.

 

“Marti …” le bisbigliai schiarendomi la voce.

Si strinse contro di me nascondendosi contro la spalla, cocciuta di sonno.

Ridacchiai sommessamente mentre cercavo di capire come svegliarla senza che si chiudesse a riccio.

 

“Mamma?” domandò impastando le lettere in una sola parola, gli occhi chiusi.

Risi un po’ più forte, accarezzandole i capelli.

“no Martina non sono la mamma”

“non la mia idiota” biascicò aprendo leggermente uno sguardo di sfida dorata.

E sonnacchiosa.

“la tua”.

 

Cercai di ricordare nell’ordine confuso dei miei pensieri appena svegli cosa c’entrasse la mia genitrice in quel momento.

 

Non le avevo ancora fatte incontrare, nel vago timore che mi si leggesse in gesti nervosi che quella ragazza troppo magra non fosse solo una mia amica.

Erano rimaste separate pur nella stessa casa, con orari differenti di una routine che mi era amica mentre incastravo le loro vite nella mia.

Mentre prendevo del tempo inutile tra un bacio con Martina e le risate con mamma davanti un film leggero.

 

Tempo che cominciava a sommarsi in ogni giorno trascorso.

Di un mese che prendeva scadenze lunghe.

 

“tua madre Lori” mi ricordò Martina alzandosi su un gomito per guardarmi meglio nella mia espressione confusa, “torna da lavoro alle sette”.

Scossi il polso alla ricerca dell’orologio mentre sapevo già di essere irrimediabilmente in ritardo.

 

La porta scattò con precisione chirurgica mentre la ragazza accanto a me si metteva a sedere sul divano in un gesto di estrema difesa su una situazione decisamente ambigua.

Sentii il sospiro indeciso di mia madre mentre sostava nell’ingresso.

 

La sacca di Martina sicuramente abbandonata sotto i cappotti.

 

“Lori!” strillò sbattendo qualcosa sul mobile vicino la porta.

I passi secchi di mia madre mentre attraversava la casa per arrivare in salotto dove la attendevo con le braccia incrociate e l’aria colpevole.

 

“Lori!” mi sgridò di nuovo, “come hai potuto …”, mi guardò negli occhi e per un attimo sperai di essere abbastanza alta da nascondere Martina dietro di me

 

“Dei! Era la sola cosa che ti avevo chiesto e tu sei riuscita a deludermi” mi rimproverò affranta agitando una pianta bonsai tra le mani.

 

Non nascondermi qualcosa

 

“ti avevo detto di dare acqua alla pianta dell’ingresso!”

“come?”

 

Mia madre mi guardò come se fossi irrimediabilmente tarda.

“Ho detto” ripeté scandendo lentamente le parole, “che ti avevo gentilmente chiesto di dare acqua alle piante, soprattutto a questa … sai quanto ci tengo!”.

 

“mamma …”

“ma come devo fare con te?” sospirò passandosi una mano sulla fronte, “giuro che se vivessi con un neurone in più sulle nuvole ti dimenticheresti persino di respirare ogni tanto”.

 

La guardai sorridere a Martina che, inconsciamente, le rispose con un ghigno.

 

“ha un’eccezionale propensione per fare impazzire le persone, non è vero?” continuò mia madre per nulla disturbata dalla sua presenza mentre mi prendeva palesemente in giro.

“fino a livelli del tutto inesplorati” le rispose Martina senza lasciarla con lo sguardo.

Avanzò verso mia madre porgendole la mano.

"ragazza intelligente", si complimentò mamma nella presentazione, "io sono Alba, la madre di questa strana aliena".

La ragazza annuì compiacente, "Martina, amica dell'essere esasperante".

 

Le vidi sorridersi a vicenda mentre la giornata prendeva una piega del tutto inaspettata.

C'era da chiedersi se entro la serata sarebbero riuscite a inventarsi un piano per farmi fuori.

"Allora Martina" chiese mamma assaporando il nuovo nome, "ti fermi a cena?"

La ragazza al mio fianco alzò il cellulare in segno di scusa.

"mia madre mi sta già aspettando, e non credo mi perdonerà di essermi persa il suo speciale polpettone ripieno".

Strizzò un occhio con aria civettuola, "magari la prossima volta".

Mamma sorrise accordandole un cenno di assenso mentre i lunghi capelli scuri di Martina giravano in un fruscio sulle sue spalle magre.

"mi accompagni alla porta?" mi chiese avviandosi da sola verso l'ingresso.

Anuii inebetita mentre senza dire una parola la seguivo fino allo zerbino per poi tornare indietro in salotto.

La donna, seduta sul divano dove fino a pochi minuti prima stavo riposando con una ragazza a lei sconosciuta mi sorrise leggera.

 

"è carina .... mi piace!"

 

....

 

"non mi piace!" strillò Vale dall'altra parte della tenda.

Rimasi a guardare l'ombra dei suoi piedi fuori dal camerino con le braccia cariche di lingerie.

"e allora non prenderlo!" brontolai di rimando.

Erano troppi i minuti in cui stavo facendo da guardarobiere con una sfilza di signorine 'possoesserleutile' che mi spintonavano di qua e di la.

 

Senza parlare dell'incredibile quantità di pensieri poco casti che mi si stavano affollando in mente da quando eravamo entrate nel negozio di intimo.

Eppure avrei giurato a me stessa di essere davvero poco incline a fantasie così spudorate.

"da quando Mario mi ha detto che gli piace il pizzo io credo che ..."

Lasciai la voce di Vale ovattarsi tra le pieghe della stoffa mentre una specie di modella versione casalinga usciva dal camerino a fianco con incedere elegante, mi raggiunse per nulla intimidita con due reggiseni assolutamente indecenti tra le mani.

 

"secondo te qual è più sexy?"

 

Chi aveva deciso l'improvvisa morte dei preamboli?

"hem ..."

 

"quello rosa" decretò la testa di Vale appena spuntata dietro di me, incapace di trattenere un giudizio su qualsiasi capo di vestiario.

"dici che mi starebbe meglio?" domandò la ragazza non del tutto convinta.

"certo, e poi si intona con il colore dei tuoi occhi".

 

"quello blu" sentenziai prima di rendermene conto.

La finta modella si lasciò incuriosire, "sicura?"

"credimi, nessuno baderà al colore dei tuoi occhi con quello addosso".

 

Scoppiò a ridere prima di ringraziarmi con un gesto della mano e allontanarsi verso le casse.

Vale restò con lo sguardo perplesso e la chioma scombinata appena fuori la tenda del camerino.

"credo che ascolterà il tuo consiglio" bisbigliò sovrappensiero.

Sparì immediatamente dentro con un fruscio di seta e gancetti.

 

"entra a controllare!"

mi scossi dai miei pensieri di colpo.

"come scusa?"

"entra qui dentro e dammi un consiglio, non ne posso più di chiedermi quale sia il completo migliore"

"Vale, non mi sembra una buona ide ..." una mano piccola ma impaziente mi trascinò dentro per una manica.

 

"perché hai gli occhi chiusi?"

Strinsi le palpebre nascondendo le mani dietro la schiena.

E se ci fosse stata una corda nei paraggi l'avrai usata senza remore contro me stessa.

"la luce mi ferisce" tentai impacciata.

L'odore di fiori selvatici di Vale misto a quello sottile del raso impregnava lo stretto spazio tra noi due.

"si ma così dubito saprai darmi un consiglio" mi canzonò sfiorandomi un braccio.

Sperai non si accorgesse del mio tremore.

"dai Lori, abbi pietà e facciamola finita con questa storia!"

 

Strinsi più forte gli occhi, lasciandomi invadere la vista da piccole luci bianche.

 

In questa storia c'era la mia migliore amica con un completo intimo assolutamente trasparente oltre i miei occhi chiusi.

 

In questa storia c'era la ragazza che amavo a pochi passi da me, semi nuda e innocente, come lo era sempre.

 

In questa storia che non ero in grado di affrontare, c'era la tentazione di un passo definitivo.

 

"Lori?"

 

Una lacrima di disperazione mi annebbiava la vista mentre aprivo gli occhi e la guardavo.

Con un desiderio che lei non notò nemmeno aggiustandosi la spallina destra.

 

"sei bellissima Vale"

 

-

 

 

Il lenzuolo sembrava stringermi come una morsa, e la coperta, inappropriata per la stagione, pesava come piombo, senza per questo riuscire a scaldarmi.

"male ..." riuscii a tartagliare tra i denti che battevano di loro iniziativa.

Mamma si assicurò che la febbre fosse davvero alta come risultava dal termometro, la sua mano fresca era un balsamo sulla mia fronte, come quando ero piccola e credevo che potessi guarire solo con lei al mio fianco.

"il medico dice che quest'influenza è terribile, un paio di giorni con la temperatura alta e poi almeno una settimana per riprendersi del tutto ..."

Parlava a se stessa lo sapevo.

"mi dispiace da morire ma non posso rimandare ancora per molto, devo assolutamente andare in Francia a firmare la separazione con tuo padre".

Strinsi gli occhi, "lo so mamma".

Sospirò qualcosa che non riuscii a distinguere mentre entravo in uno stato di torpore a cui non potevo resistere.

"non posso lasciarti sola, ma la nonna non se la sente di venire fin qui ... forse potrei chiedere a Vale di trasferirsi qui un paio di giorni, giusto il tempo di rimetterti..."

"Martina"

Mamma trattenne il respiro spostandomi una ciocca di capelli dalla guancia, la pressione era tenera su di me.

"Lori ..."

"Martina" ripeterono le mie labbra senza controllo.

Mi diede un bacio triste prima di lasciarmi andare al sonno.

 

-

 

"Lori ..." sentii una vaga pressione al braccio con cui cingevo i fianchi di Vale per impedirle di andare via, oltre un bordo nero di cui non conoscevo lo spessore.

"Lori lasciami, mi fai male".

 

Aprii gli occhi, i capelli di Martina mi soffocavano mentre la sua schiena premeva contro il mio petto e le ossa del suo bacino fragili tra le mie mani troppo grandi chiedevano di essere liberati.

 

La lasciai andare immediatamente.

La ragazza accanto a me sospirò pesantemente, con una rassegnazione sviluppata in appena una settimana di convivenza.

Mia madre sarebbe stata via ancora per qualche settimana, la sua strategia legale per liberarsi di un matrimonio che nel cuore non esisteva più da anni con l'uomo che amavo più di tutti.

Quel padre che mi aveva lasciato insieme alla casa e una scatola rotta con alcuni dei suoi ricordi inutili in una mattina di Gennaio.

Troppo lontana per meritare dettagli.

 

Martina si girò lentamente per guardarmi negli occhi, aveva scure occhiaie di notti insonni dal troppo parlare.

Dormiva con il capo sul mio cuscino e le labbra ad un passo dalle mie.

Sentivo il suo corpo chiedermi di trattenerlo più a fondo delle carezze troppo veloci che la lasciavano con il respiro a metà e l'anima insoddisfatta.

Ma non potevo.

 

Non dopo che, notte dopo notte, trattenevo il corpo di Vale da un burrone che sentivo fragile sotto i miei piedi.

 

"Ancora quel sogno?"

 

Sospirai stanca.

 

"Vedrai che tua madre starà bene", mi sussurrò in una bugia che avevo inventato per rendere credibili i miei incubi.

"Devi solo rilassarti", mi sussurrò sfiorandomi leggera il petto, la sua mano sembrava conoscere bene la mia pelle.

Attaccai le sue labbra con tutta la delicatezza di cui ero capace, trattenendo il fiato per darle solo una tenera carezza.

La pillola di zucchero che consola dopo la medicina amara.

La sua bocca che accoglieva la mia senza scappare, chiedendo semmai il permesso di rimanere, trovare un angolo in cui riposare indisturbata.

Le lasciai il mento per il collo, la spalla per il seno.

Scendendo con le labbra mentre cercavo altro calore con le mani, adattandomi alle sue forme che avevo imparato a conoscere bene, in una meccanica che mi dava scosse dolci sotto i polpastrelli.

L'eco delle sue vibrazioni tramite i miei movimenti.

Sorrideva mentre il rumore impercettibile di un bussare cheto alla porta principale mi staccava da lei.

 

Chi avrebbe mai potuto ignorare il campanello elettrico al giorno d'oggi?

 

"Aspetta".

 

Dimenticando le pantofole a pochi centimetri di distanza infilai distrattamente le scarpe slacciate, raggiungendo l'ingresso di corsa.

 

Attraverso lo spioncino trovai delle spalle fragili e un viso sciolto dal pianto.

 

Lo scatto della maniglia la invitò ad entrare prima di riuscire a formulare le parole esatte di uno spavento troppo recente.

 

Le lacrime di Vale sul mio pigiama era la prova tangibile che fosse davvero li.

“Vale …”

Scostò il viso dal mio petto, quel tanto che servì per farmi intravedere la macchia nera sotto il suo occhio destro.

Lo zigomo deturpato di una goccia di sangue non del tutto rappreso, ancora fresco, appena intaccato dal vento.

“Lori … Lori no!”

Avevo già strappato la giacca all’appendi abiti accanto la porta prima di precipitarmi fuori di casa.

L’odore di Mario troppo forte tra i capelli di Vale l‘unica traccia che mi serviva per condannarlo a morte.

  
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