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Autore: fallsofarc    02/01/2012    55 recensioni
“Resta fermo solo pochi minuti, non so nemmeno come salutarti. Ho continuato a rimandare pensando che…” Guardava le nostre mani ancora unite, parlando di nuovo troppo velocemente.
“Abbracciami, fortissimo.”
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Binario
Binario 7

Dedicata a chi lascia
un pezzetto
di cuore
a ogni partenza




“Binario 7, di qua.” Afferrò con decisione il borsone e mi rivolse un sorriso spento, ogni minuto che passava il suo sguardo perdeva quella vivacità che lo contraddistingueva.
Mi ero incantata a osservare il suo profilo, mentre scrutava l’enorme tabellone delle partenze. L’ultimo tentativo di saturare ogni senso con la sua presenza fisica, quando ormai il tempo stava scadendo.
In silenzio, lo seguii nel sottopassaggio, schivando i passeggeri appena arrivati che salivano i gradini con la nervosa velocità di chi è in ritardo.
La confusione di passi affrettati, i tacchi che risuonavano nel soffitto basso, insieme alle chiacchiere e ai saluti, facevano risaltare ancora di più il silenzio che era sceso tra di noi.
La consapevolezza di doversi salutare era amara e avvelenava anche gli ultimi sorrisi.
“Eccolo.”
Risalendo le scale verso il binario, temevo di trovare già il treno in attesa, ma allo stesso tempo lo desideravo, perché ci avrebbe costretti a non indugiare in malinconici saluti.
L’aria era pungente e minacciava neve, il freddo era così fastidioso da farmi lacrimare gli occhi. O forse non era il freddo la vera causa di quelle lacrime che spingevano per uscire.
Mi liberai dello zaino, pensando che ci saremmo fermati lì, accanto alla riga gialla sulla banchina.
“No, aspetta. Andiamo avanti un altro po’, avviciniamoci alla tua carrozza.”
Non mi restò che annuire e rimettermi lo zaino, ignorando ancora le sue insistenze a portarlo.
Già nell’altra mano aveva il mio borsone, così pieno da avere la chiusura lampo a rischio di rottura.
All’andata era nelle stesse condizioni e avrebbe dovuto svuotarsi dopo l’apertura dei regali, ma non avevo fatto i conti con i suoi regali. Lo avevo perfino accusato, scherzando, di aver letto la mia letterina per Babbo Natale.
Come altro avrebbe potuto regalarmi esattamente il libro che più desideravo leggere, il blu-ray del mio film del cuore, il ciondolo con il mio portafortuna, i miei cioccolatini preferiti e la sciarpa dei colori che più adoravo? Era più facile scherzare con il furto della lettera di Natale che con la consapevolezza di quanto attentamente mi avesse ascoltata in quei mesi.
“Fermiamoci qui, c’è una panchina.” Propose, senza mai guardarmi negli occhi.
Mi limitai a sedermi, togliendomi lo zaino. Presto mi avrebbe chiesto se il gatto mi aveva mangiato la lingua, doveva essersi accorto che non avevo pronunciato nemmeno una sillaba da quando eravamo entrati in stazione.
Mia madre avrebbe detto che era un evento, perché non tacevo un minuto nemmeno nel sonno. Quella sua battuta mi aveva sempre terrorizzata all’idea di dormire con qualcuno, perché mi aspettavo di sostenere interi monologhi senza capo né coda, da addormentata come da sveglia.
Quando lo avevo raccontato a lui, aveva scambiato la mia preoccupazione per imbarazzo all’idea di dormire nella sua camera da letto.


“Non ti preoccupare, dormo in salotto e ti lascio la mia camera!”
“Stai scherzando? Sono io quella che deve dormire sul divano!”
“Non c’è nemmeno la porta e mio padre si sveglia un sacco di volte durante la notte, non voglio farti dormire male.”
“Non fa nulla, ho il sonno pesante. Davvero, non voglio crearti problemi, già mi ospiti e…” Non mi aveva nemmeno lasciata finire di parlare.
“Sono io che ti ho invitata, no? Posso anche incastrare la brandina in lavanderia.”
Già, la brandina. La cosa più naturale del mondo, non potevo aver pensato davvero che avremmo dormito entrambi nel suo letto, no?
“Ma in camera tua… c’è posto anche per la brandina?” Avevo domandato, un po’ imbarazzata.
“Sì, tra il mio letto e la scrivania c’è uno spazio più che sufficiente, ma non volevo dare per scontato che avremmo dormito nella stessa stanza, cioè so che…”
Lo fermai, sentendolo accelerare il ritmo delle parole, come faceva sempre quando era nervoso. Avevo imparato a riconoscere ogni sfumatura della sua voce, durante le nostre interminabili telefonate.
“Io veramente l’avevo dato per scontato. La mia paura è che…”
“Che?”
“Mia madre dice che parlo anche nel sonno.” Ammisi, sbuffando.
La risposta fu una sonora risata.


Così la brandina fu posizionata tra il letto e la scrivania. Non sapevo se avevo parlato davvero nel sonno. In realtà avevamo dormito davvero poco, addormentandoci a notte fonda per lasciare spazio alle chiacchiere.
“Hai freddo?”
La sua domanda mi riportò alla realtà, nemmeno il gelo della panchina a contatto con le mie gambe mi aveva evitato di perdermi tra i ricordi. “Un po’, ma ho la tua sciarpa a tenermi al caldo.” La sollevai, coprendomi fino al naso.
Si avvicinò, scivolando sul ferro ghiacciato e scrostato della panchina e mi cinse le spalle con un braccio, attirandomi a sé.
“Va meglio?” soffiò il suo respiro caldo tra i miei capelli, facendomi tremare.
Stretta a lui, non resistetti più. Con gli occhi così colmi di lacrime da non distinguere che le sagome sbiadite delle persone che passavano, sussurrai: “Non voglio partire.”
Mi strinse ancora più forte, sospirando. “A febbraio vengo a trovarti, te l’ho promesso.”
Era soltanto il 2 gennaio. Un mese che sarebbe durato un’intera stagione.
Era assurdo ma ciò che prima era tollerabile, era diventato improvvisamente insostenibile. Tutti quei chilometri di distanza si erano dilatati in ogni minuto che avevamo trascorso fianco a fianco negli ultimi giorni.
Ogni volta che mi ero svegliata con l’odore del caffè appena fatto e lo avevo salutato con uno sbadiglio e i capelli arruffati dal sonno.
Ogni volta che mi ero chiusa in bagno per indossare il pigiama con i Babbi Natale e poi mi ero infilata nel suo letto, pronta a passare le ore successive a parlare, ridere e confidarci aneddoti del passato.
Ogni volta che sua madre mi aveva sorriso e ci aveva guardati di sottecchi con uno strano sorriso, perché una mamma sa sempre tutto.
Ogni volta che qualcuno nella sua famiglia mi aveva salutata con calore, come se non fosse la prima volta che mi vedeva.
Ogni volta che qualcuno ci scambiava per una coppia e noi ne ridevamo insieme, evitando però di guardarci negli occhi.
Ogni volta che mi abbracciava, sfruttando le scuse più banali.
“Questi giorni sono stati…” Balbettai, incapace di continuare. La gola chiusa da un nodo di lacrime.
“Sì, lo so. Pensare che ne ero un po’ terrorizzato.”
“Da cosa?” La curiosità vinse perfino la tristezza.
“Da te, ovviamente. Temevo che non saresti stata zitta nemmeno nel sonno.”
Ridendo, lo colpii con un gomito. “Scemo!”
“Mi mancheranno i tuoi insulti.” Aggiunse, la voce già meno scherzosa.
“A me mancherai tu.” Nessuna traccia di divertimento, soltanto sincerità nuda e cruda.
Si girò di lato per abbracciarmi meglio, stringendomi forte e lasciandomi nascondere le lacrime sulla sua spalla.
“Ora che siamo sopravvissuti, possiamo vederci più spesso, no?” Sdrammatizzò, con la sua meravigliosa, seppur a tratti irritante, capacità di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
“Mah, non saprei. Ti svegli sempre troppo presto, vuoi costringermi a fare sport anche se sono l’emblema della pigrizia, mangi delle cose disgustose e russi.”
Mi staccai da lui, asciugandomi di nascosto le lacrime con la sciarpa, prima di guardarlo con il sorriso più convincente che riuscii a imbastire.
“Ah sì?! Ma che ingrata! Ho dormito quattro notti su quella brandina scomodissima, sentendoti parlare perfino nel sonno!” Si indignò, per gioco.
Era bello vedere i suoi occhi brillare ancora di divertimento.
“Avresti potuto dormire nel tuo letto, con me. C’era spazio per entrambi. Però ti avrei assordato con i miei monologhi così vicini al tuo orecchio!”
Si dice che scherzando sia più facile dire la verità. E la verità era che avrei voluto dormire con lui, sentirlo vicino anche nel sonno.
Quel mezzo metro tra un letto e l’altro era un confine troppo grande, simboleggiava le centinaia di chilometri che normalmente ci separavano.
“Manco morto, come minimo tiri anche i calci!” Sorrise, distogliendo subito lo sguardo.
Cosa temeva che leggessi nei suoi occhi? Non ero ancora così brava a interpretarli come facevo con il tono della sua voce, mi mancava l’esercizio e pochi giorni non erano di certo stati sufficienti.
Ma se nascondeva gli occhi al mio esame, forse c’era qualcosa che non voleva che vedessi?
Forse anche lui avrebbe voluto dormire con me? O ero io ad illudermi?
“Ti toccherà rischiare. Sai che io a casa ho solo un letto matrimoniale e, per farcelo stare, c’è rimasto giusto lo spazio per camminarci intorno.”
Si girò, fissandomi senza parlare né sorridere. C’era molto più in quello sguardo che nella battuta che rimase silente. La bolla di significati e sentimenti inespressi si dissolse all’annuncio del treno in arrivo.
In perfetto orario, maledetto. Dov’erano quei bei treni di una volta che accumulavano ore di ritardo?
Ero pronta a diventare un cubetto di ghiaccio su quella panchina, pur di guadagnare altro tempo con lui.
Afferrai lo zaino, infilandolo da una sola spalla.
La sua mano calda si intrecciò alle mie dita fredde.
“Ti avevo detto di metterti i guanti.”
Annuii, semplicemente. Non potevo certo dirgli di non averli indossati proprio perché speravo che lui mi prendesse per mano.
“Sta arrivando.”
Guardai alla mia destra e lo vidi, quel lungo e veloce ammasso di ferraglia che mi avrebbe riportata a casa.
Ma io non ci volevo tornare, non da sola almeno. Erano bastati cinque giorni per farmi abituare alla sua casa, alla sua vita, alla sua famiglia, ai suoi amici. A lui.
Averlo accanto, fisicamente, era stato strano all’inizio, le prime ore.
Ma poi mi ero chiesta come avevo fatto a resistere oltre un anno senza poterlo abbracciare, senza sentire l’odore della sua pelle, senza vederlo sorridere dal vivo, mangiare di gusto e muoversi pigramente in pigiama con l’angolo della bocca ancora sporco di dentifricio.
Senza viverlo.
La sua mano si strinse ancora più forte alla mia, mentre ci avvicinavamo a quella riga gialla che era il nostro ultimo capolinea.
Guardava dritto davanti a sé, ipnotizzato dallo scorrere delle carrozze, oppure semplicemente assente.
Mi sembrava trascorso solo un minuto da quando ero salita su un treno analogo, in una stazione simile ma lontanissima, con lo stomaco chiuso dall’ansia, quella che ha il sapore dell’aspettativa.
Ed eccomi di nuovo stravolta da un’ansia di un altro tipo. Quella che ti trasforma il pranzo in un cubo di cemento che sembra non scendere più giù della gola. Quella che sa di abbandono.
Più il treno rallentava, più dentro di me desideravo che non si fermasse, lasciandomi lì. Mi lasciai trascinare, inerme, verso la mia carrozza.
“Resta fermo solo pochi minuti, non so nemmeno come salutarti. Ho continuato a rimandare pensando che…” Guardava le nostre mani ancora unite, parlando di nuovo troppo velocemente.
“Abbracciami, fortissimo.”
E così fece, togliendomi il respiro. Lui che era così atletico e aveva muscoli da vendere. Io che mi ero fatta un sacco di complessi, all’idea che mi abbracciasse sentendomi così tanto morbida.
Stupida, avevo sprecato un giorno intero di abbracci, per quella paura immotivata.
Un gesto di affetto così bello e così importante non deve mai essere appannato da futili preoccupazioni.
“Ti voglio bene.”
“Anch’io, tanto.”
Ci eravamo staccati dopo un minuto, ero rimasta l’ultima a dover salire, ormai.
“Scrivimi appena arrivi a casa.”
“Certo.”
Non c’era altro da dire o forse ce ne sarebbe stato troppo.
Rimanemmo a fissarci, sciogliendo lentamente l’abbraccio.
Poi, con gli occhi lucidi e la vista un po’ sfuocata, lo vidi chinarsi verso di me e, d’istinto, chiusi gli occhi.
Sentii le sue labbra calde posarsi sulle mie, in un bacio leggero e dolcissimo.
Il suo pollice mi accarezzò la guancia, cancellando la lacrima che era sfuggita.
“Devi andare.”
“Sì.”
Non mi girai mentre salivo, lo guardai solo un istante quando mi passò il borsone da sotto la scaletta.
“Ciao.” Sussurrai, ancora in piedi in cima alle scale.
“Leggila in viaggio.” Mi fece scivolare una busta in tasca, un secondo prima che la porta si chiudesse.
Alzai la mano per salutarlo, mentre il treno ripartiva dalla stazione.
Tirai su con il naso, singhiozzando e dandomi della stupida.
Che senso aveva piangere dopo aver trascorso giorni bellissimi?
Trovai il mio posto, sistemai il bagaglio e mi sedetti, guardando il paesaggio scorrere dal finestrino.
Mi decisi ad aprire la lettera quando ormai erano passati venti minuti, avevo bisogno di metabolizzare quel distacco.
Aprii la busta bianca e ci trovai un foglio strappato da un vecchio quaderno.
Poche righe, la sua calligrafia a stento leggibile.
Non era il tipo da lettere, di sicuro non scritte a mano.
Perché aveva voluto scrivermi quella? Avrebbe potuto mandarmi un’e-mail, appena tornato a casa.


Se stai leggendo questa lettera è perché non sono riuscito a fare ciò che mi ero ripromesso.
Sono chiuso in bagno mentre tu ti stai preparando per ripartire. Ho avuto quasi cinque giorni interi per farlo ma ho continuato a rimandare, temendo di rovinare il tempo che ci rimaneva.
Se te l’ho consegnata, vuol dire che non sono riuscito a baciarti e a dirti che vorrei che la prossima volta che verrai qui, non dovremo correggere chiunque ci scambi per una coppia.
Non mi basta averti come migliore amica, non più. Avevi ragione all’inizio, quando dicevi di non credere all’amicizia tra uomo e donna.
Il tempo ti ha fatta ricredere e ha fatto nascere qualcosa di straordinario. Ero davvero convinto che fosse solo amicizia ma poi… ti ho avuta qui con me.
Ora la distanza non mi impedirà più di desiderarti.
Spero di non aver rovinato tutto, sto male all’idea di perderti ma sto ancora più male all’idea di mentirti.


Lasciai cadere il foglio in grembo, il sorriso che affiorava in mezzo alle lacrime.



EDIT 02/02/2017
Sono passati cinque anni da quando ho scritto questa OS ma sono sempre rimasta affezionata ai suoi personaggi, per questo ho deciso di portarli virtualmente con me in una nuova avventura. Binario 7 verrà spesso citato in Onde di velluto, il mio secondo romanzo, inedito, in uscita il 9 febbraio.
   
 
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