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Autore: GenGhis    02/01/2012    6 recensioni
Questi racconti nascono principalmente da molto tempo libero, uniti ad una notevole capacità di elaborare idiozie e trascriverle su carta. Non mi andava di dover scrivere sempre le stesse cose, quindi non c'è un vero e proprio tema che accomuna queste storie. Solo, appunto, tanto tempo libero e la stessa penna.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Racconto 7
Il Grande Lago

* * *


 

Era ormai molto tempo che il Grande Lago non parlava più. Se ne stava lì, immobile, a rosolarsi sotto il sole cocente, sonnecchiando come un grosso gatto domestico, con la superficie bluastra appena increspata dal passaggio delle giovani tinche e dei corpulenti barbi d’acqua dolce. Se si aveva un po’ di fortuna, poteva capitare di avvistarli mentre venivano a galla giusto per una manciata di secondi, e ammirare la luce del mezzogiorno peruviano rispecchiarsi nelle loro squame bagnate, per poi scomparire di nuovo nei bui fondali del Titicaca. A volte capitava che le loro incaute sbirciatine venissero apostrofate dai secchi rimbrotti degli svassi, sonnacchiosi eppure costantemente vigili, che scuotevano pieni di disprezzo le loro austere corone brune, richiamando prontamente all’ordine coloro che, in qualunque posto meno quello, sarebbero dovuti esserne le prede favorite.
Eppure il Grande Lago non parlava più, e quello era un dato di fatto. Non appena notava leggeri flutti raggrinzirsi sotto i suoi occhi e venire poi trasportati dal vento verso la costa Est, Pilar sentiva il cuore battere tanto impetuosamente da farle dolere lo sterno, e attendeva fiduciosa che le giungesse il familiare mormorio, salvo poi rimanere inevitabilmente delusa. E allora si accomodava nel punto della riva occidentale preferito, e si sfilava i sandali districandosi fra gli incroci delle fettucce scure; immergeva quindi le gambe nell’acqua paludosa e torbida del litorale, percependo alghe e altre piante di quel genere lambirle appena le piante dei piedi.
Era in grado di rimanere ore ed ore in quella stessa posizione, solo oscillando di tanto in tanto i polpacci congestionati dal freddo, e scrutando poi ammirata le deformità di questi ultimi che il Grande Lago modellava sotto sua richiesta, per farla divertire. Si facevano così compagnia a vicenda finchè la superficie acquitrinosa dove Pilar teneva a mollo i piedi diventava una pozza buia e opaca, e allora le sembrava di non avere più voglia di giocare assieme a lui. Tornava alla bicicletta -una Route 66 verniciata di giallo limone- di corsa, e pedalava via tornando a fissarlo almeno altre cinque o sei volte, prima che di dileguarsi silenziosamente nel buio.
Nessuno le chiedeva mai niente del Grande Lago. Probabilmente a nessuno importava molto del veleggiare sonnacchioso degli aironi cenerini, subito dopo la siesta, e di come il loro corpi sembrassero migliaia di frecce scagliate da altrettante balestre, quando spiccavano il volo in un chiassoso frullio di piume bianche e nere. Se mai qualcuno gliel’avesse chiesto, Pilar avrebbe raccontato questa e tante altre storie, e avrebbe continuato a descrivere l’affettuoso ribollire dalla schiuma, che salutava lei e la sua Route 66 quando si apprestavano a scendere a valle.
Immaginava che, dopo qualche tempo, le sarebbero venute meno le parole, e che anche il brillare delle cataratte degli occhi spinosi sarebbe parsa una storia già sentita. E allora il Grande Lago sarebbe tornato a parlarle, e a dare voce ai pensieri di ogni singolo granello di sabbia del fondale. Per la maggior parte del tempo riflettevano sui ventri smerigliati dei pesci che volavano sopra le loro teste, ma a volte si chiedevano se esistesse qualcosa di diverso da quella sostanza verdognola e schiumosa in cui pigramente navigavano. E alcuni di loro, i più anziani, avevano un’intera vita da rievocare, e per primi avevano visto il Grande Lago nascere, e il suo ampio grembo riempirsi di figli deformi.
Ma nessuno le chiese mai né questa, né altre storie. Con il passare del tempo, sembrò quasi che il Grande Lago avesse preso ad accartocciarsi su se stesso, che si stesse raggrinzendo come un frutto essiccato. Prima era un lago, poi una palude, una pozzanghera piena di fanghiglia collosa e senza memoria. Infine una goccia, così piccola che Pilar, seppur cercandola fra le zolle molli d’humus, non la trovò più.

  
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