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Autore: Dira_    04/01/2012    14 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLVIII
 
 

 
Now the time has come to leave, keep the flame and still believe
Know that love will shine through darkness, one bright star to light the wave
(Mo Ghile Mear, Celtic Woman)



6 Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Quasi ora di cena
 
Ad Albus non piaceva Durmstrang.
Non voleva passare per ingrato, non voleva neppure passare per xenofobo.
Ma non gli piaceva.
C’era qualcosa in quel castello che ispirava sfiducia; forse era il silenzio dei suoi strettissimi corridoi in pietra, forse era l’illuminazione praticamente assente – non che Hogwarts fosse luminosa come una giornata di Marzo, ma perlomeno vedevi dove mettere i piedi – forse, più semplicemente, era il pregiudizio che si portava dietro a  rafforzare quelle cupe impressioni.
Appena entrati dal grande portone ad arco, il Direttore Jagland li aveva indirizzati verso tre studenti all’ultimo anno a giudicare dall’altezza e corporatura – più che crescere, gli allievi dell’Istituto si sviluppavano in muscoli ed espressioni anodine.
Uno aveva preso in consegna i professori, un altro la delegazione e l’ultimo, tutto per lui, lo aveva invitato a seguirlo; l’avrebbe scortato fino alla sua stanza.
“Ho una singola?” Aveva chiesto solo leggermente lusingato. Davvero, appena appena, specie quando aveva incrociato gli sguardi smaccatamente indispettiti di Malfoy e di Tom.
L’unica risposta che aveva ottenuto era stato una faccia confusa.
Domanda idiota?
Non aveva più aperto bocca, e così aveva fatto il suo accompagnatore.
Scale a chiocciola, corridoi asfittici, pietra gelida ovunque e l’ululato del mare li avevano accompagnati per il resto del tragitto. Si era così ritrovato all’ultimo piano della fortezza. Il ragazzo aveva aperto una porta dall’aria anonima prendendo una grossa chiave da un mazzo che aveva attaccato alla cintura e poi gli aveva fatto spazio. Al era così entrato nella sua stanza. Si guardò attorno; l’ambiente era spoglio, funzionale, arredato per ospitare, più che per una lunga permanenza. Il letto era spazioso e coperto da una fitta pelliccia scura, che temeva appartenesse a qualche specie in via d’estinzione. Un angolo salotto era arredato da due poltrone dall’aria comoda e un tappeto anch’esso di pelliccia. Concludeva l’ambiente un massiccio focolare incassato nella parete.
Viste le premesse, pensavo peggio… Almeno qui fa caldo.
“Se le serve qualcosa, basta chiamarmi.” Disse l’allievo, distogliendolo dal flusso dei suoi pensieri. “Mi chiamo Dionis e sono al vostro servizio.”
“Vostro?” Si chiese a chi altro si riferisse oltre a lui, prima di rendersi conto che parlava solo di lui. Arrossì. “Non c’è bisogno di darmi del Voi, siamo coetanei!”
Il ragazzo gli restituì uno sguardo neutro. “Per chiamarmi basterà agitare la bacchetta.” Gli fece vedere il movimento con la sua, e Al seppe di esserselo dimenticato giusto un attimo dopo. “La cerimonia avrà luogo tra un’ora. Vi consiglio di…”
Ti.” Tornò alla carica, cocciuto. Quella situazione era sempre più sconcertante; non voleva essere apostrofato come un generale da un ragazzo che lo superava in peso e in altezza. Era assurdo. “Sul serio, ci tengo. Mi chiamo Al. Albus.” Rettificò, sperando che almeno il nome completo sortisse qualche effetto.

Già è abbastanza cerimonioso di suo.
Il durmstranghiano non espresse pareri o emozioni particolari. Si limitò ad annuire. “Come preferisci Albus. La cerimonia avrà luogo tra un’ora.” Ripeté. “Ti consiglio di cominciare a prepararti. Per il resto, sono al tuo ser…”
“Sì, va bene, ho capito, grazie.” Sorrise nervoso. Gli sembrava di esser precipitato in quei cupi racconti di guerra di cui era tanto appassionato James.

Quando il ragazzo se ne fu andato, dopo avergli consegnato la chiave della sua stanza, Al tirò un sospiro di sollievo togliendosi il pesante mantello da viaggio. Senza curarsi di dove fosse esattamente finito si diresse verso il focolare, stendendo le mani per rosolarsele a dovere.
Per tutti i calzini sporchi di Merlino, finalmente le sento di nuovo!
In quel momento non aveva la minima voglia di pensare, riflettere, elucubrare; voleva recuperare tutte le funzioni vitali, compresa una temperatura corporea umana. Tutto lì.
Non voglio pensare a cose come mandare un Gufo a papà e avvertirlo che sì, Lily è qui, e no, non posso darle la prima Passaporta che c’è a disposizione per tornare a casa. Non voglio.
Sentì la porta aprirsi dietro di sé. “Dionis, non mi serve niente.” Borbottò seccato. Sperava di non trovarselo dietro ad ogni due per tre, perché a Tom non sarebbe affatto piaciuto.
“Chi è Dionis?”
La voce incolore del suo ragazzo arrivò intempestiva come un temporale durante un giorno estivo. Si voltò per vederlo sulla porta, con il borsone a tracolla e l’aria infastidita. Doveva ammettere che quelle atmosfere umbratili gli si addicevano, specialmente alla sua figura alta e scura; avrebbe presumibilmente passato tutto il loro soggiorno a spuntare da angoli in ombra silenzioso come un gatto.

Facendo prendere un accidenti al sottoscritto.
“Il mio assistente personale.” Gli comunicò comunque con serenità, voltandosi nella sua direzione. “Piuttosto, che ci fai qui?”
La domanda cadde nel vuoto. Tom buttò il borsone sul suo letto e gli scoccò una seconda occhiataccia. “Perché hai un assistente personale?”

“E che ne so? Durmstrang è strana.” Replicò mantenendo la facciata tranquilla. Un minimo di indecisione avrebbe scatenato una crisi di gelosia in piena regola. “Posso avere una risposta alla mia domanda?”
Tom lo ignorò una seconda volta, affiancandoglisi e stendendo le mani al fuoco. Al aspettò pazientemente che recuperasse un minimo di capacità sociali.

“Non dormirò in una camerata con Malfoy e un sacco di ragazzini rumorosi.” Disse infine, mentre Al si era già allontanato per disfare i bagagli. “E intendo letteralmente. Non riuscirò a prendere sonno in loro compagnia.”
“Serpeverde ti ha viziato.”  

“Serpeverde ha rispetto degli spazi personali di una persona.” Fu l’ovvia replica. Non che potesse dargli torto, dopotutto. “Durmstrang invece ci considera ammassabili come una mandria di mucche.”
Al soppresse una risatina; assecondarlo nei suoi capricci era cosa che aveva imparato ad evitare sin da bambino. “Non esagerare. Sono sicuro che la vostra camerata è spaziosa e ben riscaldata.”
Tom non rispose, ma era un sì, da come si incupì scornato.

“Non dormirò. Passerò un mese insonne.”
“Allora dormi da me, no?” Sorrise prendendogli il borsone. Trovava divertente che Tom si fosse, più o meno, premurato di chiedergli se poteva rimanere.

Come se non sapessimo entrambi che non riusciamo a dormire bene, se non siamo assieme.
Notò gli angoli delle labbra dell’altro ragazzo incurvarsi impercettibilmente in un sorriso sollevato. “Bene. Ero qui per questo.” Disse infatti. “Anche se suppongo non sia permesso.”
“E allora? Non sono un problema nostro, le loro regole.” Scrollò le spalle.

Siamo qui assieme. Non separati. Assieme.
Tom stavolta ghignò apertamente. Sembrava sempre divertito – e anche piuttosto affascinato – quando aveva quegli attacchi di ribellione all’autorità costituita. “No?”
“Esatto.” Confermò e poi ridacchiò quando si sentì acchiappare e tirare tra le braccia dell’altro per un bacio a labbra fredde, le quali diventarono un problema secondario non appena si spostarono poco sotto l’orecchio in un bacio leggero e maledettamente eccitante. Avrebbe davvero voluto sincerarsi della comodità del letto verso cui Tom lo stava spingendo, ma c’erano altre cose da fare.

Molte, purtroppo.
Si staccò a malincuore, dandogli un colpetto sul petto. “Dobbiamo prepararci per la cerimonia di accoglienza.”
Tom si accigliò di nuovo. “Dobbiamo indossarle sul serio?”
Al batté le palpebre confuso, cercando di far mente locale. Quando capì a cosa l’altro si stesse riferendo, dovette trattenere un ghigno. “Sì, Tom. Temo proprio sia nelle nostre regole.”
“Non mi metterò una sottana.”
Alzò gli occhi al cielo; quei pregiudizi babbani spuntavano fuori dal nulla, ma erano difficilissimi da scacciare una volta che si presentavano. “Sono tuniche cerimoniali. Tutti i maghi le indossano.”

“Tuo padre non la indossa. Ron non la indossa.”
“Sono auror, non possono rischiare di inciampare nei propri vestiti.” Afferrò la tunica verde petrolio – lo stesso tipo di verde della loro Casa - che intravedeva tra sciarpe di scorta e guanti voluminosi; era stato un regalo di quel Natale e Tom, bisognava ammetterlo, si era sforzato un po’ oltre il solito minimo sindacale per non accettarla con una smorfia.
Perché, indovina chi gliel’ha regalata? Zia Hermione.
“Dammi un motivo per indossarla.”
“È da mago!” Sbuffò, con il sacrosanto impulso di fargliela ingoiare pezzo per pezzo. “Tu sei un mago, è regolamentare e dobbiamo indossarla.”
Tom piegò le labbra in una smorfia sprezzante. “La indossano solo i purosangue.”

Albus sospirò: a volte pensava che quei categorici rifiuti per le espressioni più conservatrici della magia avessero radici più profonde della sua educazione babbana.
Credo che non gli piaccia avere niente a che fare con un certo tipo di ideali… quelli dei purosangue e… beh, di Voldemort.
Erano riflessioni che si teneva per sé: c’erano angoli della coscienza del suo ragazzo che non andavano stuzzicati se non era strettamente necessario.
“Tralasciando il fatto che sei un purosangue…” Sottolineò con il suo miglior tono gentile, tendendogliela e facendogliela accettare, finalmente. “… ti sta bene. La indosseremo tutti e sarà solo per stasera. Dai.” Sospirò con il suo miglior tono bisognoso. “Non rendermi le cose difficili, non anche tu.”
Tom serrò le labbra e un vago lampo colpevole e allo stesso tempo indispettito gli passò nello sguardo.

Signori, ho ufficialmente vinto questa discussione.
“Va bene.” Borbottò. “Devo andare a cercare Meike. La porto qui?”
“Ah.” Fece mente locale, sentendo che era il suo turno di sentirsi in colpa. Con il casino di sua sorella, si era completamente dimenticato della presenza della loro piccola amica tedesca. “Certo, ma non metterti nei guai.”
“Io?” Ghignò l’altro slacciandosi i bottoni della camicia, con un’aria così innocente da essere inquietante. “Quando mai?”


****
 
Lily si sentiva un’appestata.
Poteva capire le ragioni per cui le ragazze del coro la guardavano a distanza, ed evitavano direttamente di incrociare lo sguardo con il suo.
Sì, è stato figo quel che hai fatto, ma metti che i guai son contagiosi e me li attacchi.
Non le biasimava, ma non biasimava neppure sé stessa.
Passò le dita sulla pelliccia che ricopriva il letto che l’avrebbe ospitata, a dire dei professori, finché non sarebbero riusciti a farla tornare a casa.
Non sarà così semplice. Non mi sono fatta venire il malditesta per nulla. Farebbero prima a rassegnarsi.
Tutto questo non l’aveva detto ad alta voce; in realtà, da quando Ted l’aveva assegnata ad una arcigna Rose non aveva avuto modo di aprire bocca. Sua cugina aveva scortato lei e altre nel dormitorio che era stato loro assegnato e poi era sparita, chiamata dalla McGrannit per chissà quale magagna organizzativa; sapeva che di quell’aspetto se ne occupava più lei che Albus, deputato invece ai rapporti con lo studentato di Durmstrang.
È una fortuna che parlino tutti inglese, o quasi. Anche perché Al non sa una parola di tedesco.
Era stato Sören a dirgli che era quella la loro lingua franca.  
Ren…
Inspirò, tirando un calcetto distratto al mobiletto accanto al letto. L’aveva visto, l’aveva vista, si erano visti. E non era stata una sua impressione, aveva percepito qualcosa fremere nei lineamenti dell’altro.
Sorpresa, sicuro e poi… non che fosse contento di vedermi, ma forse è l’unico che non sembra totalmente fuori di testa all’idea di avermi qui. Il che è tutto dire.
Doveva trovare un modo per incontrarlo, anche se non sarebbe stato semplice. Non come aveva immaginato perlomeno. Sembrava infatti che in quella scuola ci fosse una sorta di coprifuoco perenne.
Si succhiò il labbro pensierosa, guardando con invidia le altre ragazze prepararsi per l’esibizione che si sarebbe tenuta di lì a poco; ridevano, si davano una mano a chiudere le elaborate tuniche di scena, provavano le melodie.
A Lily piaceva cantare. Sin da bambina l’aveva trovata un’eccellente valvola di sfogo per ogni suo nervosismo.  I suoi fratelli avevano il volo, lei la musica. I suoi ricordi più belli coinvolgevano la radio, un tappeto su cui stendersi e canzoni da intonare a beneficio di Hugo. Non era solo questione di farsi ammirare da un uditorio; era azzerare i pensieri e concentrarsi completamente su qualcosa.  
In ogni caso, dubitava che l’avrebbero lasciata anche solo avvicinare al palco come spettatrice.
Sentì un colpo di tosse affianco a sé. Si voltò per vedere una delle ragazze, Tassorosso, accettare grata un bicchier d’acqua da una compagna premurosa.
“Morgana, con questo freddo temo proprio di essermi presa qualcosa!” La sentì lamentarsi con voce roca.
Che sfortuna.
… No. Momento.
Batté le palpebre velocemente, voltandosi. “Linnie, hai mal di gola?” Chiese a bruciapelo.
La ragazza la guardò sorpresa dal suo improvviso inserirsi. “Sì… cioè, credo di sì. È questo freddo… Mi ammalo sempre, d’inverno.” Seguì un altro violento attacco di tosse. “Speravo che il Decotto Tiramisù sistemasse le cose, ma che vuoi… me l’ha preparato mia zia prima di partire. È negata per le pozioni!”
“Non ci voleva.” Si intromise la ragazza del bicchier d’acqua. “Sei una delle soliste, non puoi ammalarti adesso!”
“Non credo di avere la febbre, è la tosse che mi preoccupa. E se tossisco quando sono sul palco?”

Lily sorrise, mostrando una faccia accorata d’occasione mentre di sé sentiva ruggire trionfo.
Già. Sei una delle soliste. E lo sono anche io. E il Preside farebbe di tutto perché l’esibizione sia perfetta.
Non era mai stata tipa da gioire delle disgrazie altrui.
A meno che non vengano a mio favore. Ehi, sono umana.
Rimase però in silenzio, limitandosi ad ascoltare le due ragazze rassicurarsi a vicenda. Rose rientrò in quel momento, con la grazia femminea di un generale che visitava le truppe. Lily sentì quasi l’impulso di mettersi sull’attenti quando le si piantò davanti tendendole una lettera.
“È per te, dallo zio.” Sbottò e poi si voltò per tornare al suo posto letto senza un’altra parola.
Wow. Trattamento del silenzio. Prevedibile. Per fortuna.
Deglutì, reggendo la busta tra le mani. L’esaltazione che l’aveva colta fino ad un momento prima si era sgonfiata come un palloncino babbano.
Strappò la carta, sfilando la lettera.
Almeno non è una Strillettera. Ma non è lo stile di papà. Quella è più la nonna… o la mamma.
Contò fino a cinque – non che avesse senso, ma comunque – e poi lesse.
 
Lily,
Quello che hai fatto è stupido. Non c’è altro modo per definirlo, e dirti che non me l’aspettavo da te è scontato.
Posso immaginare perché tu abbia deciso di fare questo. Posso capirlo. Non posso scusarlo. Non solo perché hai disobbedito ad un ordine mio e della mamma.
Vorrei che capissi da sola perché quello che hai fatto è molto grave.
 
Lily sentì un groppo serrarle la gola, e accartocciò la lettera tra le dita, quasi volesse, stupidamente ne era consapevole, nasconderla. La cosa peggiore non era aver disubbidito, ma aver tradito la fiducia dei suoi genitori.
La cosa peggiore è che lo farei di nuovo.

Non c’era mai stato niente in vita sua di cui era stata più sicura. Doveva essere lì.  
Aveva sempre deriso chi faceva stupidaggini in nome di quel sentimento. Rideva delle dichiarazioni appassionate delle sue amiche, volubili come vele al vento. Aveva detto a Roxanne che non si sarebbe mai innamorata.
E invece eccomi qui. Cotta come una zucchina e altrettanto idiota.
Sperava soltanto che suo padre, capendo, l’avrebbe anche perdonata. Prima o poi.
Si sentì toccare una spalla e si voltò. Era Linnie. “Ehi.” Disse e Lily in quella interiezione rassegnata e frustrata vi lesse quel che si aspettava. “Non credo di potermi esibire. Tu la mia parte la conosci, dovevamo dividercela.”
Non poté far altro che annuire, mentre sentiva lo sguardo della cugina trafiggerle la nuca.  

La tassorosso esitò a lungo e poi sospirò, vinta dall’evidenza di un nuovo e violento colpo di tosse. “Se il Preside è d’accordo, potresti prendere il mio posto… Pensi di farcela?”
“Certo.” Magari non sapeva come raggiungere Sören, ma il Fato – per dirla come l’avrebbe detta Fiorenzo – stava aggiustando la strada per lei.

E lei credeva nel Fato.
 
****
 
Tom non si era perso.
Indossava una stramaledetta tunica e non si era perso. Stranamente però, quella certezza non faceva che esacerbare la sua irritazione. Se qualcuno, chiunque, anche il Direttore della scuola in persona, lo avesse infastidito intimandogli di rimanere negli ambienti preposti alla delegazione, in quel momento l’avrebbe maledetto su due piedi.
Inspirò lentamente, rilasciando ossigeno e incamerando serenità d’animo. Fallendo.
Arrivare da Albus non era stato difficile. Aveva semplicemente salito una rampa di scale. Quindi, quando aveva lasciato l’ultimo piano, aveva percorso la strada all’indietro, ma qualcosa era andato storto.
Forse è stata quella scala … la seconda che ho preso.
Quella scuola sembrava frutto di un allucinazione escheriana. Hogwarts, con la sua planimetria mobile, in confronto era uno scherzo. O più semplicemente, conosceva la sua scuola e i suoi capricci architettonici.
Sette anni contro poche ore…
Come se la situazione non fosse abbastanza scoraggiante, non c’era nessuno a cui chiedere indicazioni; sembrava che l’intera scuola fosse disabitata.
Evidentemente passeggiare trai corridoi non è uso a Durmstrang.
Forse non era uso neppure percorrerli per spostarsi da un ambiente all’altro. Magari gli studenti si materializzavano, invece che camminare. Per quanto ne sapeva, ammise amaramente, poteva esser così.
Com’è possibile visto quanti sono? Non ce n’è neppure uno in giro?
Dove diavolo è il dormitorio del primo anno?
Poteva essere al piano terra, se l’élite – ultimo anno, studenti meritevoli – alloggiava all’ultimo. Aveva senso. Doveva trovare la scala giusta; se non altro non una che lo facesse tornare al punto di partenza.
C’era anche l’eventualità che Meike lo stesse cercando; dubitava che l’undicenne fosse rimasta buona ad aspettare un’occasione per vederlo. Non si sentivano da quando l’aveva messa sulla passaporta per Schwerin e Meike detestava l’interrompersi delle loro comunicazioni.
Sospirò notando come il corridoio che stava percorrendo non desse cenno di aver fine; era completamente al buio e aveva dovuto lanciare un lumos per riuscire a vedere dove mettere i piedi.
Non pensavo che ‘accendiamo i fuochi solo per scopi magici’¹ significasse un castello senza illuminazione.
Proprio un luogo ameno. Non c’è neanche una finestra.           
La non presenza di feritoie, o finestre forse significava un corridoio interno. Forse. Abbassò la bacchetta che rischiarava i suoi passi e tirò un secondo sospiro.
Adesso capisco perché ci hanno scortato. Non erano cerimoniosi, erano funzionali.
Sondò con i polpastrelli il manico rassicurante e familiare della propria bacchetta.
Doveva ammettere l’evidenza; si era perso.
Non è più grande di Hogwarts. Ma senza luce, orientarsi è impossibile.
Quella realizzazione portò a due cose: un’ondata di fastidio e una serie di rumori. Rumori veri, tangibili e in linea d’aria ad un centinaio di metri da lui – Durmstrang si sviluppava in lunghezza, più che in altezza. Tese le orecchie e ascoltò: erano due voci ed una di esse suonava familiare. La prima era di una ragazza che parlava un tedesco da seconda, forse terza lingua. Una studentessa dell’Istituto. La seconda, anch’essa femminile, ma infantile e madrelingua. Era Meike. 
Stavano litigando. Questo bastò per fargli raggiungere la fonte dell’alterco senza perdere un solo attimo.
Guidato dalle voci, si trovò di colpo di fronte alle due, che però non lo notarono. Spese la bacchetta e si nascose.
Sentiamo com’è che si comportano a Durmstrang.
Voglio andare dai miei amici!” Tom si stupì del tono di rabbia cocente che sobbolliva nella voce solitamente squillante della bambina. “Non resterò nella mia stanza!
Sei in punizione, Wollin!” Tom notò che la ragazza, più grande e quindi un Prefetto o un ruolo equivalente, aveva afferrato il braccio di Meike, che tirava nella direzione opposta, con una testardaggine che neppure un milione di castighi avrebbero domato. “Non fare l’idiota!
Idiota mi ci chiami già, che differenza!” Si divincolò con una smorfia, ottenendo solo di essere afferrata con più forza.
Non costringermi ad usare la bacchetta!
Tom aveva ascoltato abbastanza. Anzi, forse per un lato piuttosto scomodo del suo carattere aveva ascoltato fin troppo. Accese di colpo la bacchetta ed appoggiò una mano sulla spalla del Prefetto – o quel che era.

Tom!” Meike si aprì in un sorriso estasiato mentre la ragazza faceva un salto sul posto; a giudicare dalla sua espressione di shock si era spaventata.
Tom sentì un piccolo moto di soddisfazione. Il terrore – se inflitto a piccole dosi e a chi lo meritava – era divertente.
Buh.
Cosa… chi sei?” Esclamò con un notabile controllo, considerando che l’aveva detto in tedesco che no, non era la sua lingua. “Vieni da Hogwarts? Cosa vuoi?” Indovinò dai suoi vestiti, passando quindi all’inglese. Apparentemente gli studenti dell’Istituto erano versatili nelle lingue.  
“Lei.” Indicò Meike con un cenno della testa, mentre la bambina si apriva se possibile in un sorriso ancora più enorme. Sorrideva come Al, senza pietà per i suoi poveri muscoli facciali. “E abbassa la bacchetta, non vorrei che qualcuno si facesse male.” Aggiunse vedendo che l’aveva levata contro di lui in un istinto che dava da pensare.

Nervosetti da queste parti.
La ragazza obbedì. “Non intendevo puntartela contro. Mi hai colto di sorpresa.” Borbottò imbarazzata, lanciando uno sguardo frettoloso alla sua, di bacchetta.
“Lo spero.” Replicò neutro.
L’ho abbassata prima di te. Ma non significa non possa alzarla, prima di te.
Si rivolse poi a Meike. “Vieni.” Le disse semplicemente. “Andiamo da Mutti.”
Meike fece un risolino deliziato, sgusciando con una certa abilità dalla presa del Prefetto.

“Wollin è in punizione.” Si riscosse di colpo questa. “Inoltre, chi diavolo sei?”
Tom se l’era aspettato; e aveva lavorato, in merito. Tirò fuori un foglio da una tasca della tunica. “Il suo tutore.” Glielo porse. “Sono stato incaricato da Cordula Wollin. Devo occuparmi di sua nipote durante la mia permanenza.”
“Sul serio?”  Esclamò Meike con grandi occhi tondi. “Adesso non mi possono punire?”

Se alzeranno ancora la bacchetta contro di te li farò pentire di essere nati.
Quindi diciamo di sì.
Preferì comunque riferire una versione edulcorata. “Adesso non possono afferrarti come un mucchio di stracci.” La spinse leggermente dietro di sé, e fece qualche passo in direzione della ragazza. Forse era la sua altezza, forse era perché era spuntato praticamente dal nulla o forse era l’atmosfera che non angosciava solo gli ospiti, ma quella fece un rapido passo indietro.
Nervi molto tesi. Interessante.
“Wollin non dà mai retta.” Sbottò. “È in punizione per non aver rispettato gli ordini ricevuti.”
“Quali?”
“Mettere in ordine i suoi effetti personali, oltre ad essere scappata.” Sostenne il suo sguardo stavolta. La tempra delle ragazze dell’Istituto non era cosa da sottovalutare. Era inquieta, glielo leggeva nell’espressione, ma non spaventata, non più.
“Metterò a posto dopo che avrò salutato i miei amici, lo prometto!” Propose Meike alle sue spalle, con la ritrovata vocetta squillante, Tom la registrò con un certo sollievo.

“Penso sia un compromesso accettabile. La riporterò io al suo dormitorio.” Le porse di nuovo la lettera e la ragazza stavolta la prese, anche se con una certa riluttanza.
“La farò vedere al Direttore.” Disse, infilandosela nella giacca dell’uniforme. Anche quella delle ragazze aveva un taglio militare. “Nel frattempo Wollin deve tornare con me. Non ho l’autorità per autorizzare una cosa del genere.”
“Ma hai l’autorità per usare la bacchetta su di lei?” Chiese quasi gentilmente. Ovviamente no, dall’occhiata allarmata che gli venne lanciata. “Immagino ti abbiano detto che, quando non vieni obbedita, tu possa farlo, ma che non sia opportuno che se si sappia in giro. Pessima pubblicità.” Si voltò verso la bambina, che sembrava quasi aver ripreso colore. Adesso le si vedevano le lentiggini. “Meike, dille chi è Mutti.”
“È il Caposcuola di Hogwarts e mi vuole tanto bene!” Cinguettò Meike, a cui non sfuggiva nessun sottointeso. Del resto stava ghignando.

Ne farò un eccellente Serpeverde. Eccellente. 
“Non credo che il vostro Direttore sarebbe contento di sapere che si parla male di Durmstrang in un’altra scuola.” Soggiunse. Che avesse usato la bacchetta su Meike con intenzioni dolorose o meno, non aveva importanza.
Nessuno tocca le mie persone.
“Viene con me.” Prese per mano la bambina quasi a sottolineare il concetto. La strinse leggermente, rassicurante, quando la sentì aggrapparglisi alle dita. “La riporterò in tempo per l’appello.” Aggiunse, perché non aveva intenzione di creare veri imbarazzi diplomatici.
Al mi ucciderebbe. 
“Bene… per l’appello va bene.” Inspirò il Prefetto. “Farò vedere la lettera.”
“Non è un falso. Contattate sua nonna, se non è sufficiente. Vi dirà le stesse cose.” Replicò quieto. Aveva avuto l’impulso di affatturare la ragazza, ma spaventarla e metterla in una posizione di debolezza l’aveva appagato abbastanza. Per il momento. “Andiamo.” Incitò la bambina.
Meike, svoltato l’angolo, prese a trascinarlo con la forza di un piccolo treno a motore.  Dopo cinque minuti ritenne doveroso rallentare prima che sfondasse una parete con la testa. “Meike, fermati. Non è una corsa ad ostacoli.”
L’undicenne si voltò, mordicchiandosi un labbro con due occhi enormi. “Voglio andare da Mutti!”

“Stiamo andando da Al, ma rallenta.” Le intimò e quel che ottenne fu di venir placcato ad altezza vita in un abbraccio stritolatore.
Strano non fosse ancora arrivato…
“Mi sei mancato.” Borbottò contro la stoffa della sua orrenda tunica. “Mi sei mancato, questo posto fa schifo, voglio venire con te e Al ad Hogwarts!”
“Sì, questo posto fa schifo.” Confermò mettendole una mano sulla schiena e sentendola calda e sudata anche sotto l’uniforme spessa e grigia. Doveva aver lottato per arrivare fin là. “Non posso portarti ad Hogwarts, non quest’anno.” La sentì stringersi con più forza. “Ma sono qui, Al è qui. Non ti lasceremo sola.”
Sentì la bambina tirare su con il naso. “Hai una gonna.” Fu la sua toccante replica.

Ragazzini…
Tom stirò le labbra, ingoiandosi una rispostaccia. Fu piuttosto difficile. “È una tunica.”
“Sembra una gonna.”
“È una tunica.”
Meike alzò la testa con un sorrisetto. “Okay, come ti pare, però eri spaventosissimo! Tipo prima, quando sei uscito dal nulla, di botto!” Esclamò, saltando di palo in frasca come avrebbe fatto Malfoy. O forse era Malfoy ad avere la logorrea di un undicenne. “Hulda se l’è fatta sotto, facevi paura con quell’espressione arrabbiata, sai? Ti riesce proprio bene fare il cattivo!”
Tom trattenne un sogghigno amaro, perché l’entusiasmo della bambina era genuino. “Sì? Dillo ad Al. Dice che come cattivo non valgo niente.”
Meike si strinse nelle spalle. “Però come buono sei fico.”

Tom sorrise.  
 
****
 
“Al, c’è un problema.”
Rose si accomodò accanto a lui, scivolando sul sedile di pietra che era solo uno dei tanti – proprio tanti – che popolavano la sala comune di Durmstrang. A quanto gli aveva detto il suo durmstranghiano personale la sala si chiamava Montering. Cosa volesse dire, Al lo ignorava, ma in ogni caso il gigantesco ambiente non ricalcava affatto la loro Sala Grande. Più che svilupparsi in ampiezza si sviluppava in in verticale. I posti a sedere non erano ad un tavolo, ma in file che si disponevano in un semicerchio che sprofondava a picco di diversi metri. In fondo vi era una larga pedana circolare che doveva ospitare l’oratore d’occasione. In quel caso avrebbe ospitato il loro coro.

“Ohi, ma mi ascolti?” Rose gli colpì leggermente il braccio. “Ehi.”
“Sì, scusa… stavo guardandomi attorno.” Replicò. Da lì era facilissimo avere le vertigini; bastava alzare lo sguardo. Non si vedevano che uniformi scure a perdita d’occhio.

Non pensavo che a Durmstrang fossero così tanti.
Rose sbuffò. “Sì, è impressionante.” Convenne. “Comunque… c’è un problema.” Ripeté.
Si voltò verso di lei, lanciando anche un’occhiata distratta a Tom, seduto accanto a Scorpius. Erano gli unici della delegazione ad aver preso posto accanto a loro.

Il resto è coro. E poi, Lily.
I due si guardavano attorno con espressioni diverse; Malfoy sembrava entusiasta, anche se in modo contenuto, trovandosi tra estranei. Aveva assunto il vecchio sorriso gentile ma un po’ beffardo con cui l’aveva conosciuto.
Tom prevedibilmente era illeggibile. Sembrava che avesse esaurito tutte le sue emozioni nella breve conversazione avuta con Meike nella loro stanza, prima che dovesse riconsegnarla – era stato proprio lui ad usare quel termine, aggiungendovi una smorfia significativa.
Occupiamoci di un problema per volta… Per il momento Meike è al sicuro.  Tom avrà minacciato a dovere chi di dovere.
“Al!” Rose stava perdendo la pazienza a giudicare dallo schiaffo scocciato che gli diede sulla spalla. “Mi vuoi dar ascolto?”
Sospirò, facendogli un sorriso di scuse. “Scusa, hai ragione. Qual è il problema?”
“Lily.”
Ricacciò indietro l’irritazione che si sentì montare. “E dove sta la novità?”

“Sì, è che… no.” Si impappinò. Poi si mordicchiò un labbro. “Madaleine Anderson si è presa una brutta infreddatura.”
“Decotto Tiramisù.” Consigliò in automatico, prima di capire che l’altra stava girando attorno all’argomento. “E perché la cosa è collegata a Lily?”

“Lily la sostituirà sul palco.” Dovette intellegire il suo pensiero immediato da come lo squadrò apprensiva. “A dirla tutta, stavolta non è colpa sua… Non ha certo fatto ammalare la Anderson!”
“Conoscendola sarebbe capace di avvelenare qualcuno per salire sulle luci della ribalta.” Replicò piatto, e una parte di sé lo pensava sul serio; se sua sorella voleva qualcosa non si faceva troppi scrupoli ad ottenerla. Di solito i modi di riuscita non coinvolgevano o mettevano nei guai nessuno.

Di solito. Con questa bravata ci ha coinvolti tutti però.
Rose giocherellò con il ciondolo a forma di cactus che ormai portava quasi fosse un’estensione della sua persona. Al capì che esitava perché non voleva vederlo arrabbiarsi.
Ci sono dannatamente vicino, già…
“Ne va dell’esibizione, Al…” Tentò piano. “E lo so, sei arrabbiato. Lo siamo tutti, ma… in fondo lo facciamo per la scuola, no?”
Al non replicò nulla. Avrebbe voluto appendere sua sorella per le orecchie ad un punto molto alto finché non fosse rinsavita, tutto lì.
Ma neppure questo servirebbe ad un granché. Non è tipa che impara dai suoi errori.
 “Avevo capito che stava architettando qualcosa.” Borbottò Rose, palesando l’origine dei suoi tormenti.
Al le lanciò uno sguardo e vide che aveva le orecchie paonazze. Gli venne da sorridere e le prese una mano, stringendola gentilmente. Rose aveva una capacità tutta masochista di assumersi responsabilità che non le competevano, se si trattava della loro famiglia. In questo lei e Teddy si somigliavano.
Straordinario masochismo o spirito del branco?
“Rosie, non è colpa di nessuno, tantomeno tua. Avevamo capito tutti, più o meno, che stava pianificando qualcosa.”
“Non pensavo sarebbe arrivata a… a questo!” Sbottò per tutta risposta.
Al sospirò. “Già, neppure io.”
“Io però la ammiro.” Se ne uscì Malfoy, che fino a quel momento sembrava non averli uditi per la cacofonia di tante persone che parlavano tutte assieme. Aspettare non era dote neppure degli allievi.
Per fortuna, o avrei pensato non fossero umani.
Al squadrò perplesso il biondo, che gli restituì un sorriso dei suoi. “La ammiri?”
“A quindici anni non mi sarebbe mai saltato in mente di infilarmi di nascosto in un treno diretto oltre confine, solo per stare vicino ad un amico… tralasciando il fatto che non avevo amici.” Sorrise rassicurante all’aggrottarsi delle sopracciglia della fidanzata.  “La tua sorellina è tosta.”

“È testarda, è diverso.” Fece una smorfia. “E non riesce a capire i no.”
“Perché, Potter, tu ci riesci?” Ghignò. “L’anno scorso era tutto un proibirti qualcosa. E mi risulta che tu sia finito in una caverna e con una certa bacchetta in mano.”
Al si sentì arrossire, preso in contropiede. Ignorò lo sguardo di Tom, che aveva rivolto loro l’attenzione proprio nel momento sbagliato. “Era diverso.” Incrociò le braccia al petto, consapevole che non era una grande espressione di sicurezza. “Non ho mai preteso di aver fatto la cosa giusta. Solo quella necessaria.”
Malfoy si strinse nelle spalle, consultando con un movimento fluido il suo orologio da taschino. Sembrava avere smeraldi incastonati a giudicare da come brillava. “Forse la sta facendo anche tua sorella.”

“Luzhin ha aggredito Lily!” Esclamò Rose, riportandoli sul piano fattuale. “Hai visto anche tu i lividi, Scorpius!”
Il ragazzo convenne con un cenno della testa. “Sì, li ho visti e non penso sia una bella persona chi fa una cosa del genere.” Fece una pausa, prima di scuotere la testa. “Ma la piccola Potter non la pensa così. E al momento, quel che pensa lei non è da sottovalutare. In fondo l’ha portata qui, no?”

Lo abbiamo sottovalutato fin troppo in effetti… - Pensò Al, scambiandosi uno sguardo con Tom. L’altro indicò poi verso l’alto e Albus seguì la direzione del dito: vide una macchia di color amaranto accomodarsi nell’ultima fila, quella più in alto, quasi a ridosso dell’entrata.
L’ex-delegazione.  
Persino a diversi metri di distanza in linea d’aria riconobbe Sören Luzhin. Spiccava per la corporatura più magra e i capelli non rasati. Non c’erano molti ragazzi coi capelli lunghi in quella scuola.  
Le fiaccole che avevano illuminato fino a quel momento l’ambiente persero forza, facendo gradualmente calare la penombra.
“Stanno per iniziare!” Sussurrò Rose.
Al si accomodò per quanto poteva sul sedile di pietra. Poteva avercela con Lily per aver fatto qualcosa che, lo sapeva meglio di tutti, avrebbe potuto portarle conseguenze a lungo termine. Ma l’avrebbe applaudita. Perché era sua sorella.
 
****
 
Sören si accomodò dove Poliakoff lo invitò a sedere. Voleva avere una buona visuale, ma qualunque posto in realtà andava bene. L’élite godeva dei posti migliori, sempre. Misurò con lo sguardo l’intera platea, ma non fece in tempo a focalizzare nessuno in particolare che la regolazione delle torce venne abbassato al minimo.
Stanno per iniziare.
Di colpo si accesero le torce sul palco, con un lampo che suscitò un sospiro di sorpresa nell’uditorio. Poi entrò il coro di Hogwarts; erano una dozzina di elementi, vestiti con tuniche da cerimonia che baluginavano del bronzo che ornava lo stemma multicolore di Hogwarts. Quelle dei ragazzi erano molto semplici, lineari. Le ragazze indossavano corpetti sottili e gonne ampie.
Hogwarts era una scuola che non badava a concetti come la sobrietà e austerità; anzi, sembravano esserle del tutto estranei.
Forse è questo il suo maggior pregio.
Non dovette consumarsi gli occhi cercando la sua sagoma tra le ombre. Lily era sul palco.
Inspirò, facendo ben attenzione a congelare ogni espressione o movimento; dubitava che Poliakoff avesse il dono di vedere al buio, ma era meglio esser prudenti.
Il coro iniziò a cantare una melodia che a Sören sembrò inspiegabilmente familiare.  
 
Sé mo laoch mo Ghile Mear
‘Sé mo Chaesar, Ghile Mear,
Suan ná séan ní bhfuaireas féin
Ó chuaigh i gcéin mo Ghile Mear.
 
Gaelico.  
Di colpo qualcosa scattò nella sua memoria; la melodia era diversa, ma le parole, quelle le ricordava. Gli venne di colpo in mente suo padre.
Elias Prince non era tipo da cantare o intonare motivetti, ma Sören ricordò un vecchio disco, la puntina che grattava il vinile, una voce di uomo che cantava una canzone fatta di parole incomprensibili.
 
“Sai che lingua è questa, Sören? È gaelico irlandese. Viene da una terra distante dal Continente. Un’isola in mezzo al mare.”
“Voi lo sapete parlare, padre? Capite cosa dice?”
“Certo. Ti ho detto che parte della nostra famiglia viene da quella terra, lo ricordi?”
“Sì, me lo ricordo.” Un’esitazione. Curiosità. “Di che parla la canzone?”

Gli era stata elargita una carezza sulla testa, secca e breve come quando stringeva un nodo. “Di quel che di solito parlano le poesie del mio vecchio paese, Sören.” C’era stato un sospiro, e suo padre non sospirava mai. “… Parla di abbandono e di esilio.”
 
Non aveva dimenticato quell’episodio.
L’avevo semplicemente racchiuso in quel posto.
Era una scatola nella sua testa. Era lì che teneva chiusi tutti i ricordi che preferiva lasciar dietro un velo di Occlumanzia. Li aveva nascosti lì quando suo zio aveva cominciato a dargli lezioni in quella disciplina; ed ora eccola lì, Mo Ghile Mear, sulle labbra dei ragazzi di Hogwarts e sulle labbra di Lily.
Era tra le soliste; in prima fila e le sue mani, i suoi fianchi, il suo intero corpo si muoveva a ritmo della musica. Lo facevano anche gli altri, ovviamente, ma a Sören sembrava ci fosse solo lei.
Gli sembrava di non vederla da secoli, il che era ridicolo. Come era ridicola la nostalgia che sembrava stringergli lo stomaco in una morsa di ferro.
Si concentrò forzosamente sull’esibizione corale. Le soliste cantavano una strofa a testa, in inglese; era una bella canzone, eseguita in modo coinvolgente. Aveva già avuto modo di sentir provare il coro di Hogwarts, ma lo scenario era diverso, e paradossalmente più adatto alle atmosfere della canzone.
Lanciò uno sguardo ai ragazzi accanto a sé e li trovò ammaliati dalla musica.
Dove ho letto che la musica è una magia al di là di qualsiasi altra²?
Voleva godersi l’esibizione, ma non gli fu possibile. Perché Lily si staccò dalle altre e pronunciò la sua, di strofa. In quanto solista, le competeva. In quanta sua dannazione personale, pure.
 
Now the time has come to leave
Keep the flame and still believe
Know that love will shine through darkness
One bright star to light the wave
 
La sua voce era bella, limpida nelle note dell’adolescenza. Era brava, di quelle bravure nate con semplicità e sviluppate con piacere. Sorrideva. Era quello ad averlo sempre intrigato di lei; la gioia schietta che provava nel fare le cose.  
 
 “Ren, ti sono piaciuta, oggi, alle prove? Sei pregato di rispondermi elogiandomi moltissimo.”
“Ah, sì. Ho capito. È stato come…”
“Come?”
“… no, non importa.”
“No, adesso me lo dici. Subito. Ora!”
“… al cristallo. Quando hai cantato ho pensato al cristallo. Sai… quando… quando vi batti con una forchetta, per sbaglio, mentre mangi. Bicchieri di cristallo, intendo.”
“Non ne ho a casa, mi spiace, ma… è… wow. È un complimento… è il più bel complimento che mi hanno fatto sulla mia voce.”

“… Sul serio?”
“Ren, sto
arrossendo, se non si nota. Sul serio.”
 
Pensava ancora che Lily cantasse con la purezza del cristallo.
E questo rafforzava il suo malessere; doveva sapere perché si trovasse lì, perché non fosse ad Hogwarts, al sicuro. Ormai non rivestiva più un ruolo di interesse per suo zio. Se fosse rimasta in Scozia si sarebbe definitivamente lasciata quella storia alle spalle.
La canzone prese ritmi serrati, ci furono violini e l’incalzare di percussioni. Vide persino Radescu, il ragazzo immagine di Durmstrang, battere i palmi delle mani sulle ginocchia, ammaliato.
Quando tutti si alzarono applaudendo – un po’ per dovere, un po’ per sincero plauso – si alzò anche lui.
 
****
 
Lily sapeva di aver cantato bene. Si era esercitata per mesi, e non c’era una canzone del repertorio che non avesse provato fino alla nausea; il Preside da quel punto di vista era un perfezionista e pretendeva molto da loro. Da lei specialmente.
Per questo non mi ha incenerito quando io e Linnie gli abbiamo proposto la cosa.
Secondo me, sotto sotto, era contento che mi esibissi…
Ovviamente di questi suoi pensieri non aveva reso partecipe nessuno. E adesso, a spettacolo finito ci si crogiolava in segreto, chiacchierando con i compagni che avevano lasciato alle spalle ogni imbarazzo e l’avevano riaccolta nel gruppo. Non era male.
Aveva cercato Sören con lo sguardo non appena le torce si erano riaccese ma non l’aveva visto; doveva aver abbandonato i posti non appena gli era stato dato l’ordine di farlo. A quanto le era stato detto l’ex-delegazione era stata la prima a lasciare gli spalti.
Io non ho visto lui, ma lui di certo avrà visto me. Anche da lassù, i miei capelli rossi spiccano. Voglio dire, a parte Billy King, sono l’unica nel coro ad averli.
Mi ha visto, di certo.
Usciti dalle quinte si incontrarono con il resto dei compagni e a Lily morirono le parole in gola.
Suo fratello era lì, assieme a Tom, Rose e Scorpius. Si fermò di fronte a loro, con un sorriso. Era uno dei suoi, gentili e affabili, ma non si estendeva agli occhi.

Manco per sbaglio…
“Siete stati bravissimi, i miei complimenti!” Esclamò con calore. “Adesso ci sposteremo nella sala refettorio della scuola per la cena in onore della nostra delegazione e quella di Beaux-Batons. Avete un po’ di tempo, vi consiglio di approfittarne per andare a cambiarvi.” Li informò, continuando in quel sorriso che le ragazze definivano incantevole e lei falso come una promessa di Pix. Non guardò una sola volta nella sua direzione e Lily si sentì avvampare di rabbia e dispiacere.
Fu quella sensazione di indefinita ingiustizia che le strappò una smorfia. “Io posso venire o sono in punizione?”
Albus a domanda doveva rispondere. Anche se sorrideva, Lily intuì che si stava frenando per non sbottarle contro. “Il Preside ha detto che puoi. Quindi sì.” Due frasi secche e gelate come una palla di neve in piena faccia. Si rivolse di nuovo agli altri. “Ci vediamo dopo, e ancora complimenti.” Detto questo voltò loro le spalle e si incamminò, con sua enorme sorpresa, verso un ragazzo di Durmstrang che sostava impettito poco distante. Era nientemeno che Dionis.
Ma che…
“È il suo studente di riferimento. La sua controparte durmstranghiana. Lo scorta ovunque.” Gli comunicò Tom e Lily quasi sobbalzò; non si era resa conto che durante lo scambio di battute l’altro le si era spostato accanto.
“Bella tunica…” Disse per recuperare charme e tranquillità.
“Sta’ zitta.” Borbottò l’altro facendola ridacchiare.
“Lo conosco. Dico, quel ragazzo.” Replicò mentre gli altri venivano radunati da Rose; nessuno sano di mente si sarebbe avventurato da solo nella strada di ritorno per il dormitorio. “È a posto… per i canoni di Durmstrang, si intende.” Vedendo l’espressione irritata di Tom, le uscì suo malgrado un ghignetto. “Guarda che gli piacciono le ragazze. Mi ha chiesto di andare al Ballo del Ceppo assieme.”
Tom ammorbidì il cipiglio. “Meglio così.” Le scoccò un’occhiata. “Non vai con gli altri?”
“Subito.” Confermò. Esitò, perché se c’era qualcuno che poteva capire, oltre all’esperimento fallimentare di Albus, era Thomas, lo strano ragazzo meraviglia. “Al… è…”
“Sì, è.” La anticipò. “Comprensibile, direi.”

“Un corno! Proprio lui si mette a farmi la ramanzina?” Lanciò un’occhiata a Rose, la donna dalle mille orecchie e rimproveri. Fortunatamente era troppo occupata a gestire Scorpius e il resto della delegazione per notarla.
Al li ha mollati su due piedi. Cavolo, è proprio infuriato, accidenti a lui.
“Non mi ricordo te ne abbia fatta una.”
“Usa il trattamento del silenzio sdegnato, credi sia meglio?”
Tom rifletté fissandola attentamente; se non si era abituati, l’atteggiamento da sezionamento chirurgico del cugino acquisito poteva mettere molto a disagio.
Però, almeno, è l’unico che ancora mi parla…
“Penso che sia perché si è trovato nella tua situazione, o in una simile, che sia così arrabbiato.” Spiegò con espressione assorta. Quel genere di ragionamenti empatici non facevano per lui, ma Lily ne apprezzò lo sforzo. “Non penso stia a me dirti che ne ha sofferto, visto che ne ero la causa.” Concluse e non ci fu più nulla da ribattere.
Colpita e affondata.
“Raggiungi la delegazione, o ti perderai.” La riscosse. Poi si incamminò nella direzione opposta.
“Sicuro che non ti perderai tu?” Gli gridò dietro, tra il lazzo e la reale preoccupazione. Quella scuola era labirintica. Tom non si voltò neppure per risponderle male.
Troppo orgoglioso per ammettere l’eventualità, ho idea.
Si sbrigò a raggiungere il bagliore dell’ultima bacchetta della delegazione, che peraltro si stava allontanando con una certa fretta.
Non fece in tempo a farlo che qualcuno la afferrò nell’ombra e ce la trascinò dentro.

 
 
****
 
Note:


Bastardatona finale! :D
Cercherò di aggiornare il prima possibile – anche se sono entrata in un periodo infernale, detto sessione d’esami E tesi e davvero, non posso promettere niente. Anche se vorrei T_T

Questa la canzone. Guardatevi l’esibizione. Guardate chi canta la strofa di Lily, la ragazza col vestito dorato. Hayley Westenra è praticamente una Lily cresciuta. *_* Tra parentesi la cover del capitolo è proprio presa dal live linkato. ;)  
La versione che invece Sören ricorda mi piace pensare sia questa . Che Elias Prince fosse un babbanofilo? XD
In ogni caso la canzone è una ballata piuttosto antica e soprattutto, vista come una delle canzoni tradizionali dell’Irlanda e Scozia per eccellenza. Qui per info.

1. Direttamente dalla penna della Rowling. Pare che a Durmstrang non vadano d’accordo con l’illuminazione. “…and fires are only lit for magical purposes.” (da Hp Wiki)
2. La citazione, un po’ modificata, è di una frase di Albus Silente: “La musica! Una magia al di là di tutto ciò che facciamo”.   
  
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