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Autore: Miyuki chan    18/01/2012    4 recensioni
Io, giuro, quella ragazza non l'avrei mai capita.
Prima mi ringhiava contro, poi si arrabbiava, poi mi ignorava, poi ancora fuggiva.
E adesso addirittura mi baciava...
*
Io, un giorno o l'altro, a quello stupido pirata avrei staccato la testa dal collo.
Lui e quella sua perenne aria da moccioso compiaciuto, i capelli corvini e ribelli, le lentiggini, gli occhi scuri e ardenti...
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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Don't bother!


“No!”
Esclamai allarmata, spalancando gli occhi nel sentire ciò che il pirata, appena entrato nella mia cabina come nulla fosse, esigeva che facessi.
“Eeeeh? Si invece! Andiamo, forza”
“No-oo! Non puoi dirmelo ora, così come se niente fosse!”
Ribadii con più forza schiacciandomi contro il muro, cercando di far entrare ben in testa a quello stupido pirata che non mi sarei mossa di lì.
“Insomma mi sono scordato! Ho anche altre cose da fare io! An-dia-mo!”
Cantilenò imperterrito il moro, avvicinandosi.
“Ti ho detto di no!”
Ringhiai arrabbiata, più che mai decisa ad averla vinta.
Ace sbuffò, afferrandomi per un braccio ed iniziando a tirarmi, con l’intenzione di farmi uscire dalla mia confortevole cabina con le buone o con le cattive: mi opposi con tutte le mie forze, puntando con decisione i talloni a terra.
Il pirata mi guardò sorridendo impertinente, divertito dall’espressione sgomentata che dovevo aver assunto nel constatare che, nonostante la mia strenua resistenza, non aveva alcun problema a trascinarmi verso l’uscio.
“E’ inutile, sono troppo forte per te”
Commentò sornione, non senza una certa nota di orgoglio a gonfiargli il petto.
Stupido pirata, approfittare in quel modo del fatto che fossi così leggera e lui così muscoloso!
Ma non riuscii a trattenere un sorriso di sfida: glielo avrei fatto vedere io chi era il più forte dei due…
“Ma co-“
Fu costretto a lasciarmi il braccio, che per la verità ora era mutato in una grossa zampa bianca.
“Non vale!”
Protestò corrugando le sopracciglia, rendendosi conto che trascinare a forza una tigre di trecento chili sarebbe stato impossibile anche per lui.
Ruggii vittoriosa, sedendomi comodamente sul pavimento e guardandolo compiaciuta: che provasse a spostarmi ora!
“Aspetta, non fare così! Che problema hai? Mica ti mangia!”
Chiusi gli occhi sollevando il mento con fare altezzoso, la coda che spazzava il pavimento: proprio non se ne parlava che io andassi di mia spontanea volontà tra le fauci di Barbabianca!
“Vieni! Andiamo!”
Lo ignorai deliberatamente, fiera e compiaciuta della mia vittoria.
Ace sbuffò, e rimase per qualche secondo pensieroso.
“E va bene…”
Sussurrò, la voce calda e bassa, un enorme ghigno sul volto lentigginoso, gli occhi che brillavano.
Quello. Non. Era. Un. Buon. Segno.
Cercai di rimanere impassibile, troppo orgogliosa per mostrare alcun cedimento; la mia coda però mi tradì, improvvisamente scossa da un tremito.
“Lo capisci anche da sola che non è il caso di farmi arrabbiare. Allora, ti do un ultima possibilità: andiamo?”
Sogghignò, enormemente compiaciuto.
Gli risposi con un ringhio profondo e minaccioso: non mi facevo mettere nel sacco così facilmente, con uno stupido bluff: tanto, cosa avrebbe potuto farmi?
Se non mi aveva carbonizzata quando avevo attaccato quell’idiota dagli occhi verdi, certo non lo avrebbe fatto ora per un innocuo rifiuto.
Non si scompose davanti al mio atteggiamento altezzoso, continuando a ghignare come uno stupido marmocchio.
Stupido pirata…
Ma perché diavolo continuava ad insistere?!
Ormai non avevo più nulla contro di lui, vero, ma questo non significava che mi fidassi ciecamente: e, in particolare, non significava che mi sarei lasciata coinvolgere in una riunione di famiglia!
Soprattutto se l’amorevole padre altri non era che l’uomo più forte del mondo, nonché il pirata più temuto dei quattro mari.
 Anche se non ero più un marine, non credevo che per Barbabianca avrebbe fatto qualche differenza: infondo era solo da un giorno che avevo tolto la divisa.
La mia coda fremette di nuovo, frustando l’aria con un sibilo: col cavolo che andavo ad incontrare l’amorevole paparino.
“Quindi rifiuti? E va bene. Se il Babbo ha voglia di fare due passi te lo porto qui, altrimenti recluterò qualche comandante: Jaws sarebbe perfetto, riuscirebbe a trascinarti fuori a forza anche in quella forma senza rovinarmi la nave”
Commentò con un sorriso sicuro.
Guardai Ace frustrata: bastardo di un pirata, scommetto che si stava divertendo un sacco ad innervosirmi, o davvero non si spiegava perché continuasse ad insistere.
Rimasi immobile mentre usciva dalla cabina, lento e sicuro.
Ascoltai i suoi passi allontanarsi: forse per una volta sarebbe stato meglio dargli retta, l’idea che tornasse coi rinforzi era tutt’altro che allettante.
Con un ringhio esasperato, scivolai veloce oltre l’uscio,  raggiungendo Ace in pochi secondi.
“Ti ho convinta?”
Chiese sornione e soddisfatto sbirciandomi, udendo i miei passi leggeri ed il pelo striato che gli solleticava la pelle mentre camminava.
Lo zittii con un ringhio, le orecchie appiattite sulla testa e la coda che nervosa frustava l’aria, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
“Credo che preferirebbero conoscerti in forma umana, sai?”
Ringhiai più forte fulminandolo con lo sguardo, irata: ma com’è che non me ne andava dritta una?
Barbabianca mi avrebbe scuoiata viva e si sarebbe fatto una bella pelliccia con il mio manto tigrato, potevo scommetterci.
Ace rise, incurante del mio pessimo umore:
“Lo dicevo per te!”
Si giustificò.
L’ennesimo ringhio: va bene che farlo arrabbiare avrebbe solo peggiorato la mia situazione, ma di certo non mi avrebbe convinto a tornare umana nemmeno minacciandomi di spedirmi sul fondo dell’oceano.


*



Qualche minuto dopo, eravamo sulla Moby Dick: un enorme, immensa nave,  la cui parte anteriore era in tutto e per tutto simile al muso di una balena.
L’equipaggio ci aspettava sul ponte principale, e in un paio di secondi io ed Ace fummo circondati dai pirati, impegnati a dare il ben tornato al ragazzo e ad osservare incuriositi me.
Notai con una punta di piacere che gli uomini sembravano però un po’ a disagio: non si fidavano, e mantenevano una distanza di un paio di metri da me che, al fianco del moro comandante della seconda, li osservavo minacciosa.
Ad un tratto un uomo si fece avanti, circondando con un braccio le spalle di Ace e dandomi la schiena con disinvoltura, proprio come se io non esistessi: aveva curiosi capelli biondi ed un espressione rilassata e amichevole sul volto ovale, incorniciato da una corta barbetta ispida; portava una camicia color prugna, aperta a mostrare l’addome muscoloso e un tatuaggio molto simile a quello di Ace.
Mi ci vollero appena due secondi per riconoscerlo: Marco la Fenice, comandante della prima flotta di Barbabianca.
Balzai indietro bruscamente, contrariata e ulteriormente innervosita dall’improvvisa vicinanza del suddetto pirata.
Lo vidi scambiare qualche parola con Ace, prima di voltarsi a guardarmi come se solo in quel momento si fosse accorto di me.
Sotto il suo sguardo mi appiattii sulle zampe, frustando l’aria con la coda, mentre socchiudevo le labbra nere mettendo in mostra le zanne e un ringhio basso e cupo mi usciva dalla gola.
I pirati attorno a me si agitarono capendo che la situazione si stava facendo tesa, allontanandosi ulteriormente e più velocemente che potevano.
Solo Marco ed Ace sembravano non essere minimamente preoccupati, tanto è vero che quest’ultimo disse, con il suo solito sorriso beffardo e una scrollata di spalle:
“Oggi è particolarmente di cattivo umore, non c’è stato verso di farla ragionare”
Vidi il sorriso della Fenice allungarsi impercettibilmente, mentre lasciava il ragazzo e si dirigeva verso di me.
Gettai rapida un occhiata alle mie spalle: no, non sarei certo riuscita a fuggire, c’erano troppi pirati a bloccare la strada.
Repentinamente tornai a rivolgermi verso il pirata: lo osservai avvicinarsi rimanendo immobile, tesa come una corda di violino, le unghie affondate nel lego del ponte, pronta a difendermi.
 “Marco”
Si presentò semplicemente, socchiudendo gli occhi e tendendomi la mano.
Drizzai le orecchie orientandole verso la Fenice, spiazzata dal tono calmo e pacato della sua voce.
Lentamente sentii i miei muscoli rilassarsi, mentre mi raddrizzavo sulle zampe e lo studiavo attentamente.
Era… strano.
Nel senso, strano per me, che ero abituata ad avere a che fare con Ace: quello che Marco aveva in viso era un vero e proprio sorriso tranquillo e … caldo, non un ghigno.
E poi la sicurezza che trasmetteva era ben diversa da quella, molto vicina all’arroganza, di Ace: sembrava essere il genere di persona che ha sempre la situazione sotto controllo e sa sempre cosa fare, il genere di persona di cui potersi fidare ciecamente.
Non mi stupiva che Barbabianca avesse scelto lui come suo braccio destro.
Quasi prima che me ne potessi rendere conto mi ero rilassata a tal punto da tornare ad assumere la forma umana:
“Mikami”
Risposi in un sussurro, stringendo debolmente la mano della Fenice che continuava a guardarmi sorridente.
In quel momento l’atteggiamento dell’intera ciurma mutò: fu come se tutti insieme avessero lasciato uscire il fiato che stavano trattenendo in attesa della mia mossa.
Ripresero a chiacchierare tra loro e tornarono ad avvicinarsi, studiandomi incuriositi.
Sentii addirittura uno di loro esclamare:
 “Ace, non ci sai proprio fare con le donne! Prendi esempio dal Comandante Marco!”
Ritirai la mano da quella della Fenice arrossendo violentemente, mentre Ace rispondeva a tono e con un gran sorriso a quella provocazione:
“Roy, devo ricordarti cosa è successo l’ultima volta che sei uscito con una donna o chiudi da solo quella fogna?”
Tutta la ciurma rise sonoramente a quello scambio di battute: mah, cameratismo tra uomini, una di quelle cose che sicuramente non avrei mai capito.
Marco mi rivolse un ultimo sguardo, prima di tornare verso Ace.
Sgattaiolai a mia volta al fianco del ragazzo, che rimaneva comunque l’unico pirata che conoscessi e vicino al quale mi sentivo decisamente più mio agio che con tutto il resto della ciurma messo insieme, realizzando di essere tornata solo una povera ragazza indifesa in mezzo a non-so-quanti brutti ceffi.
Il ragazzo in questione mi rivolse uno sguardo sornione e compiaciuto: alla fine, aveva ottenuto che tornassi al mio aspetto abituale, dopotutto.
“Bene ora che hai conosciuto Marco, rimane solo il Babbo. Sei fortunata, gli altri comandanti sono tutti occupati in altre faccende, e non sono sulla nave”
Sentendogli dire “Babbo” mi incupii all’istante: e va bene, incontrare la Fenice si era rivelato essere molto meno fastidiosi di quanto non mi fossi aspettata, ma Barbabianca era tutta un'altra storia.
Tuttavia oramai ero sulla Moby Dick, e non mi veniva in mente nessun modo in cui mi sarei potuta sottrarre dall’imminente incontro: seguii docilmente Ace che, preceduto da Marco, con passi rapidi e decisi si stava già dirigendo verso un’altra zona della nave.
Camminai dietro di lui per una ventina di metri, rassegnata e con lo sguardo basso; quando si fermò all’improvviso non me ne accorsi, andando a sbattere il naso contro il teschio ghignante che fiero svettava sulla schiena del ragazzo.
Questo non fece nessun commento in proposito, dicendo invece, allegro:
“Buongiorno Babbo!”
Sentii un brivido scuotermi a quelle parole: rimasi nascosta dietro la figura massiccia di Ace, gli occhi puntati sulla sua schiena abbronzata, incassando la testa tra le spalle nel disperato tentativo di svanire nel nulla e di non dover affrontare l’Imperatore Bianco.
“Buongiorno, figliolo”
Rispose una voce cavernosa e profonda, che mi procurò un altro brivido.
Nonostante la paura, non riuscii a reprimere la mia curiosità e sporsi appena la testa: ero davanti all’uomo più grosso che avessi mai visto e – ero pronta a giurarlo – all’ uomo più grosso che fosse mai esistito in tutto il mondo.
Sentii l’ennesimo brivido violento scuotermi, mentre trattenendo il respiro osservavo l’enorme petto coperto di cicatrici, la bandana nera e gli inconfondibili baffi bianchi a mezza luna che gli nascondevano la bocca.
Non osando guardarlo negli occhi, non riuscii proprio a capire che espressione avesse in volto.
Barbabianca sedeva su un enorme trono a cui la Fenice era tranquillamente appoggiata, mentre assisteva alla scena con un sorriso pacato.
“Allora, Ace, cosa hai fatto in questi mesi?”
Mi rilassai appena tornando a nascondermi dietro il pirata moro, enormemente sollevata nel constatare che Barbabianca, anche se era impossibile che non si fosse accorto della mia presenza, mi ignorava deliberatamente e sembrava fortemente intenzionato a continuare a farlo.
“Nulla di particolare, a parte l’aver imbarcato un marine…”
Rispose invece, proprio in quel momento, quel bastardo di Ace scansandosi all’improvviso.
Mi trovai quindi tutto d’un tratto di fronte all’immenso e temibile capitano, mentre i suoi occhi gialli e affilati smettevano di ignorarmi e mi fissavano penetranti.
Smisi di respirare fissandolo a mia volta, gli occhi spalancati dalla paura, incapace di muovere un solo muscolo.
“Un marine? Questa mocciosa?”
Domandò con una leggera nota di curiosità nella voce profonda.
Il mio cuore mancò un battito, mentre mi rendevo conto che quello che avrebbe fatto il Capitano di lì a qualche secondo avrebbe deciso la mia sorte.
“GURARARARARARARARA!”
La risata improvvisa e tonante dell’Imperatore scosse l’intera nave facendomi quasi esplodere il cuore nel petto per lo spavento: sobbalzai terrorizzata, indietreggiando, mentre un unico pensiero mi lampeggiava nella mente: fuga.
Ma non riuscii nemmeno a tentare di scappare, perché la mia schiena si scontrò immediatamente con il petto di Ace appena dietro di me.
Capendo che non sarei potuta andare da nessuna parte rimasi immobile contro di lui, osando appena respirare, terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto entro pochi secondi.
 “Babbo, credo che tu le abbia fatto paura”
Commentò in un sussurro Marco, rivolgendomi uno sguardo comprensivo.
Lo guardai disperata sperando che venisse in mio aiuto, magari con una frase del tipo “E’ meglio se la lasciamo tornare nella sua cabina”; frase che, purtroppo, non arrivò mai.
“…Da quando sei così affettuosa?”
Sussurrò d’un tratto Ace sfiorandomi l’orecchio con le labbra, con voce calda e seducente.
Spalancai gli occhi e balzai in avanti avvampando violentemente, voltandomi a guardarlo incredula.
Di nuovo la risata assurdamente potente di Barbabianca scosse la Moby Dick, alla quale si unirono anche quella sonora di quello stupido pirata lentigginoso e quella più contenuta della Fenice.
“Non riprovarci mai più!”
Avrei voluto ringhiarglielo ma la mia voce suonò terribilmente stridula mentre ancora shoccata  lo fissavo negli occhi neri, il viso in fiamme, scordandomi all’improvviso di tutta la paura che avevo appena provato tanto era l’imbarazzo.
“Sei tu che ti sei strusciata contro di me, io mi stavo solo informando su cosa ti passasse per la testa”
Si giustificò tra le risate, per nulla turbato.
“Io mi stavo strusciando?! Ma tu non… Ahhhh!”
Rinunciai con un gemito esasperato a spiegargli il motivo del mio comportamento: tanto non avrei ammesso nemmeno sotto tortura che ero quasi morta di paura per una stupida risata.
“E come mai hai imbarcato un marine?”
La voce cavernosa di Barbabianca mi fece improvvisamente ricordare che il pirata più temibile del mondo se ne stava tranquillamente seduto alle mie spalle: la paura tornò ad assalirmi.
Mi voltai di scatto verso di lui, deglutendo, il cuore che mi batteva all’impazzata nel petto.
“E’ una storia lunga, Babbo”
Rispose Ace senza smettere di sorridere.
“Anzi, in realtà ora è un ex-marine…”
Si corresse, affondando con un gesto sicuro le mani nelle tasche delle braghe nere.
“Come ti chiami, ragazzina?”
Mi domandò il capitano con la sua voce profonda, spostando gli occhi severi e penetranti dal pirata a me.
Mi trovai a pensare che riferirsi a lui con un l’appellativo di “Imperatore” era certamente una scelta molto saggia: non si sarebbe potuto definirlo altrimenti una volta che il suo sguardo maestoso e al contempo feroce si posava su di te, ghiacciandoti il sangue nelle vene.
“Mikami”
Risposi spaventata in un sussurro e respirando piano piano, non osando fare alcun rumore.
“Gurarararara”
Rise ancora: una risata, stavolta più bassa, simile ad un borbottio.
Deglutii di nuovo: se c’era una cosa che avevo imparato con Ace, mi sembrava che questa cosa fosse proprio che la risata di un pirata non è mai un buon segno.
Questa volta, invece, la frase che uscì da sotto i baffi del Capitano fu per me la più bella che avessi mai sentito, una frase che mi avrebbe permesso di allontanarmi da lui e, se conoscevo almeno un pochino Ace, di allontanarmi anche molto in fretta:
“Parleremo dopo, figlioli. La cena ci aspetta”



Spazio autrice:
Ohhhhhhh finalmente c'è anche Marcooooooo *ç*
Okay, la smetto subito XD
Rileggendo questo capitolo mi sono resa conto che non è proprio un capitolo lusinghiero per il povero Ace ò_ò
Ma non temete, avrà anche lui i suoi  momenti di gloria ;)
Che altro dire! Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono e, in particolare, chi recensisce **
A presto gente! :*




  
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