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Autore: Leitmotiv    22/01/2012    1 recensioni
Giovanni ha sempre vissuto l'Isola con lo spirito di un turista. I suoi occhi non si sono mai soffermati sulle vere inclinazioni dei suoi abitanti, dei loro segreti, nascosti dal brulicare del turismo estivo.
Govanni ha diciassette anni, e rimane facilmente ammaliato dai fratelli Marais: l'aggressivo Marcel, la graziosa Nicole, i segreti di Guillaime, il bellissimo, ambiguo maggiore dei Marais.
L'isola sembra racchiudere diversi disorientanti misteri, ben celati dall'indifferenza degli isolani e dagli stessi Marais.
Genere: Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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isola01 Questa storia si svolge agli inizi degli anni '90, quando a possedere imbarazzanti ed ingombranti cellulari erano in pochi, ma soprattutto era raro trovarli in mano a dei ragazzi.
Ho scelto gli anni novanta perche', pur non essendo lontani, non contemplavano l'uso di piastre per capelli o tecnologie troppo avanzate, si faceva a meno di internet (sull'isola "che dico io", internet e' approdato addirittura recentemente!) e d'inverno, sull'isola non era raro passare giorni interi senza elettricita', acqua calda, riscaldamento ed altre comodita' di uso comune.
Tuttora su "quell'isola", quando il tempo la dice brutta, non arrivano traghetti e puo' mancare la luce per diverso tempo quando uno meno se lo aspetta.
La mia non vuole essere affatto una critica nei confronti delle splendide comodita' contemporanee, ma piuttosto un noioso preambolo per specificare quali scomodita' mi serviranno ai fini della storia!

- Leit -








                                                              Settembre - Giovanni




Sembrava che nella casa di pietra le stanze fossero state distribuite senza un criterio.
L'abitazione era tutta un saliscendi e presentava numerosi anfratti su cui vi erano ammucchiati soprammobili di dubbia provenienza.
 Le porte erano piccole, così come i servizi, le piastrelle dei bagni e della cucina avevano colori vivaci e non c'era nessuna logica nella loro distribuzione.

Giovanni si affaccio' alla finestrella della propria stanza, osservando i tetti piu' bassi delle irregolari casette che circondavano la sua; una corpulenta  signora intenta a stendere i panni su un balconcino gli sorrise, il ragazzo le rispose agitando timidamente la mano e torno' a guardare gli scatoloni ammucchiati sul pavimento di gres.

La sua stanza si trovava all'ultimo piano ed era la piu' piccola della casa. Se non fosse stato per la terrazza chiusa da una cupola di vetro, non avrebbe mai saputo come disporre tutte le sue cose.
E dire che era stato davvero parsimonioso e si era portato dietro solo l'indispensabile, lasciando nell'ariosa casa fiorentina la maggior parte delle sue cose.

Suo padre entro' nella stanza porgendogli un pacchetto di cellophane trasparente - Giovanni, queste sono le tende. Controlla se la misura e' giusta, altrimenti vado a subito a cambiarle.
Il ragazzo si stupì dell'interessamento di suo padre alle tendine di casa. Quando i suoi genitori abitavano ancora insieme era sua madre ad interessarsi della manutenzione della casa, era convinto che suo padre, malgrado la sua superlaurea, non fosse nemmeno in grado di valutare che un' abitazione aveva bisogno di tende per non lasciare che i vicini spiassero nelle loro vite.
.
- Ah, ok. Ora le provo, babbo. Penso che dovremmo passare da scuola, piu' tardi.
- Eh e per quale ragione? - chiese suo padre, cadendo dalle nuvole - Non abbiamo gia' lasciato la tua iscrizione a luglio? - disse, sistemando sottobraccio le altre tende.
- Sì, ma se non porto le fototessera non  mi daranno nemmeno il libretto. A Livorno ci siamo fermati per questo a quella macchinetta istantanea... -  spiego' al genitore, scuotendo le tendine blu' dal loro pressato ripiegamento.
 Per tutto cio' che non concerneva la propria professione, suo padre era sbadato e svogliato. Per Giovanni a volte era frustrante non essere ascoltato.
L'uomo batte' la mano sulla coscia - Ahhh ma sì! Dai, dopo mi accompagni a fare la spesa e andiamo a lasciare le foto in segreteria - gli rispose, trotterellando giu' dalle scale.

Giovanni passo' una mano fra i morbidi riccioli neri che gli affollavano la testa, e si avvicino' una sedia per sistemare le tende in cima alla finestra.

Sfilo' il bastone di ferro battuto, dalla forma simile ad un'antica lancia uncinata, e vi infilo' i passanti della tenda. Il tessuto umile ma vivace delle tende sfiorava di poco il pavimento, dando alla stanza un'aria molto coreografica anche se poco ariosa.
Tiro' la tenda per far rientrare la luce, e torno' ai propri scatoloni.
- Avrei piuttosto voglia di uscire a farmi un bagno - penso', sentendo sulla pelle abbronzata dalle vacanze estive il bisogno di rinfrescarsi.
Suo nonno entro' lentamente nella stanza, stringendo fra le mani le proprie tendine; quasi indovinando  pensieri del nipote, gli parlo' - Ci vorrebbe un bagno in mare, no Giovanni? - disse, appoggiandosi allo stipite - Che un si puo' mica venire al mare e poi rimanere a frugare e sudare fra gli scatoloni! - esclamo' con il suo forte accento fiorentino; allargo' la bocca mostrando il suo perfetto, brillante sorriso artificiale. Il sottile profilo nero fra la dentatura e le gengive tradivano l'uso della dentiera.
- Vabbe', dai nonno, le vacanze ce le siamo gia' fatte. Prima ci liberiamo di questi scatoloni meglio e'.
- Sei così meticoloso che potresti arruolarti in marina - disse, alzando l'indice rugoso - Ma ricordati che il genio abita nel caos!

Non era la prima volta che suo nonno lo rimproverava con quel motto. Giovanni sapeva bene che in quella frase fatta si celava solo una mezza verita', nell'altra meta' si nascondeva invece la scusa che suo nonno additava per giustificare il caotico disordine che lui e suo padre erano soliti lasciare al loro passaggio.

Il ragazzo sorrise - Allora mi sa proprio che io non sono un genio come te e babbo.
- Certo che anche tu sei un genio, solo che tutto questo ordine che vai cercando non e' il tuo elemento naturale!
Giovanni sospiro' - Senti nonno, ma te le hai provate le tende in camera tua? - chiese, indirizzando l'argomento su un qualcosa che sicuramente avrebbe fatto defilare il gerarca famigliare.
- Per le tende c'e' tempo! Prima la mente! Ora esco a comprare il giornale, poi se mi avanzera' del tempo attacchero' le tende. Anzi Giovannino, visto che tu sei così baldo e giovane, piglia una seggiolina e mettimele te, le tende.
Giovanni. che si aspettava un epilogo del genere, sfilo' dalle  mani rugose del nonno la confezione senza lamentarsi.

Era sempre stato un ragazzo ubbidiente e riflessivo. Non parlava mai troppo, era educatamente cortese e difficilmente parlava di sè o degli altri in maniera inopportuna; non aveva atteggiamenti sguaiati e, seppure non era solito dimostrare le proprie rimostranze con le parole, non era capace di nascondere certi sguardi severi attraverso gli occhi verdi  e scrutatori.

Non era facile entrare nella sua testa, e questo spesso lo allontanava dai suoi coetanei, sempre un po' sospettosi confronti di quel suo fare da ometto.
Pur essendo un ragazzo tutto sommato  rilassato, agli altri appariva inamidato come una camicia nuova.

Giovanni scese al piano di sotto, dove la camera matrimoniale di suo nonno sembrava ancora piu' in disordine di quando lo aveva aiutato a portare su gli scatoloni, una paio di ore prima.  L'anziano aveva ammucchiato gli abiti sul letto e nell'armadio aveva riposto decine di libri e vecchi album fotografici.
Conoscendo suo nonno, il ragazzo temette che avrebbe riempito i mobili di libri ed abbandonato gli abiti là dove avesse trovato uno spazio libero.
- Che casino... - sussurro', avvicinando una seggiolina di paglia davanti alla finestra - Che casino...ma che vista mozzafiato! - Penso', scorgendo oltre le basse case dirimpetto una porzione dell'imponente castello di San Giorgio ed una luccicante di mare e sole - Hai capito il nonno... Questa finestra sembra una cornice su un quadro.

Il moro salì sulla seggioletta traballante, ed in punta di piedi cerco' di arrivare al bastone; quando lo ebbe sfilato, la paglia della seduta si squarcio' sotto il suo peso, e Giovanni venne proiettato in avanti verso la finestra spalancata.
Un'urletto femminile attiro' l'attenzione del ragazzo, mentre questo s'impediva di cadere arreggendosi al cornicione interno della finestra; un piede era fortunatamente rimasto incastrato all'interno della sedia, evitandogli  la caduta.

Giovanni guardo' la ragazza della casa di fronte, affacciata alla mansarda; imbarazzato da quell'incidente, le volle dimostrare che era tutto sottocontrollo. Con nonchalance estrasse il piede dalla sedia, e la sposto' indietro. Poi le mostro' il bastone della tenda, che non aveva smesso di stringere nella mano.
La giovane dirimpettaia sposto' le mani giunte dalla bocca al petto - C'e' mancato poco - gli disse, accennando ad un sorriso - Attaccavi le tende?

Aveva un accento insolito, forse era una turista. Non sembrava affatto una del posto.

Giovanni penso' immediatamente che in lei ci fosse qaulcosa di molto francese.
- Sì, ma la sedia ha ceduto - le spiego', sporgendosi dalla finestra.
La ragazza gli mostro' nuovamente un sorriso, che Giovanni definì morbido, anche se non sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste per spiegare su di lei quell'aggettivo.
- Eravate gia' passati di qui, a luglio - dichiaro' lei, incrociando le braccia sullo stretto cornicione dal quale si affacciava - Vi siete trasferiti?
Era un'erre moscia quella che Giovanni riconobbe nella sua pronuncia. Doveva essere davvero francese - Sì, siamo arrivati con il traghetto di ieri pomeriggio.
- Ma e' tutta vostra la casa? - chiese lei, alzando il viso per guardarne la cima da cui spuntava la vetrage liberty della terrazza.
Giovanni annuì. Non era tipo da pavoneggiarsi ed inoltre se l'abitazione appariva in ottimo stato da fuori, la stessa cosa non si poteva dire certo dell'interno.
- Accidenti! - esclamo' la ragazza, schermandosi gli occhi con una mano.

I due giovani rimasero qualche istante in silenzio. Lei guardava i vetri smerigliati della cupola sul tetto, mentre Giovanni aveva spostato lo sguardo sul luccichìo del mare.
In lontananza il traghetto della compagnia Moby diretto in Corsica, con la sua scocca colorata, saluto' l'isola con un colpo di sirena.

- Quanti anni hai? - gli chiese lei, una volta passato il frastuono.
- Ne ho quasi diciotto - rispose Giovanni.
- Io ne ho sedici. Ti sei iscritto all'istituto tecnico? - gli chiese, con una punta d'entusiasmo nella voce.
- Bhe, sì- le rispose brevemente.
- Di dove sei? Toscano?
- Sì. Di Firenze.
 - Ah...
Un po' scoraggiata dalle risposte lapidarie del ragazzo, la sedicenne comincio' a perdere visibilmente interesse per il suo nuovo vicino - Allora ci vediamo presto - si congedo' , mentre il suo sorriso si era fatto incerto.
- Ciao... - le rispose Govanni, guardandola a malincuore sparire dalla sua visuale.
Non si considerava affatto una persona scorbutica, ma il ragazzo dovette ammettere di essersi messo un po' troppo sulla difensiva.




Giovanni seguì suo padre sino al piccolo market a pochi metri dalla piazza, entrambi armati di scatoloni per agevolare il trasporto della spesa.
Malgrado agosto avesse lasciato posto a settembre c'era ancora una certa vivacita' per l'isola.

Quella era la stagione delle barche a vela, c'erano numerosi turisti nordici, francesi e persino qualche inglese, quasi tutti ben organizzati con le loro moderne motorsailer dalle chiglie strette, niente a che fare con i pesanti motoscafi e gli imponenti yacht che ingombravano il porto nel fulcro della stagione estiva.

Quegli stessi turisti riempivano gli spazi angusti del minimarket, analizzando i prodotti sugli scaffali, non sempre muniti di diciture in inglese. Appena entrato Giovanni scorse appunto una famigliola tedesca alle prese con un barattolo di sugo pronto di cui, probabilmente, non riuscivano ad individuarne gli ingredienti.

Suo padre gli dette una generosa pacca sulla schiena - Hai intenzione di aiutarli, mio prodigo boyscout? - scherzo' l'adulto - Vediamo che c'e' al banco della carne. Mi sa che ci conveniva fare scorta sul continente.
Il ragazzo storse la bocca, lasciando la famigliola ai suoi problemi linguistici - Ma ce lo abbiamo il congelatore per la carne?
L'uomo s'imbroncio' - Ma lo abbiamo attaccato alla corrente il frigorifero?
Giovanni alzo' gli occhi al cielo - Bhe no, speravo che l'avesse fatto il proprietario, visto che ci ha assicurato che la casa era pronta per essere abitata - constato' il ragazzo.
- Oh bhe, allora ci conviene non prendere cibi freschi - pronuncio' serenamente l'adulto, buttando nel cartone alcune scatolette di tonno sottolio.
- Credevo che il bello di vivere su un'isola, fosse anche quello di poter usufruire di cibi freschi piu' facilmente - obbietto' il ragazzo, ripassando con lo sguardo delle noiose merendine confezionate.
- Non siamo mica in campagna! E non si puo' nemmeno mangiare ogni giorno pesce solo perche' siamo su un'isola. Comunque rimedieremo dopo che il frigorifero sara' in auge - concluse il genitore, gettando nello scatolone dei grissini.
- Come vuoi, babbo - rispose rassegnato il ragazzo, sollevando la scatola sul petto.

- Dovremmo farci allacciare la linea telefonica - disse improvvisamente suo padre, mentre srotolava alcune banconote per pagare la spesa.
- Ma scusa, come pensi che la mamma potra' rintracciarci, così? - rispose Giovanni, allibito da quella confessione. S'immaginava gia' sua madre, indemoniata,  sbarcare sull'isola e bussare porta a porta al fine di trovarli.
- Le ho fatto mandare un telegramma dal nonno, dalle poste. Il proprietario mi ha detto che non aveva fatto ripristinare la linea telefonica solo ieri pomeriggio, quando mi ha consegnato le chiavi di casa. E che ci vuoi fare! - concluse con la sua solita aria svagata .
Giovanni aprì la bocca per contraddirlo, ma visto che ci avrebbe  pensato sua madre Bianca a tuonar proteste contro suo padre a tempo debito, preferì rientrare nei panni del ragazzo tranquillo che era.
 Era una donna piuttosto collerica sua madre  quando si trattava del marito, anche se era pur vero che quell'uomo sapeva diventare esasperante. La sua innata ingenuita' irritava e sconvolgeva la serieta' e la precisione con cui sua moglie era solita affrontare la vita.
A volte Giovanni era spaventato dalla furia che sua madre riversava sul coniuge, e nemmeno lui, spesso, riusciva a capire la leggerezza con cui suo padre Aldo evitava lo scontro diretto con la donna.
Piu' suo padre sminuiva le arrabbiature di Bianca, piu' questa  si gonfiava di rabbia.

La relazione fra i due coniugi era sempre stata un' utopia, Giovanni se ne rendeva benissimo conto. Sapeva bene che anche gli adulti commettevano errori di umana valutazione, non gli aveva mai idealizzato il loro matrimonio, ed aveva accettato il fallimento del loro matrimonio con una certa saggezza.

- Ora passiamo un attimo da casa a lasciare questa zavorra e poi andiamo alla segreteria della scuola. Spero tu sia venuto bene in quelle fototessera! - disse l'uomo - Io nella mia carta d'identita' sembro un beduino a cui hanno appena sequestrato il cammello! Una tristezza...chissa' a che stavo pensando mentre l'ottico mi stava scattando la foto.
- Come se si potesse venir bene nelle foto dei documenti - commento' il ragazzo.
- Bhe Giovanni, sei nuovo del posto, fossi in te farei di tutto per fare bella figura. Quando studiavo a Roma cercavo di apparire in forma ogni giorno, anche se ero un po' triste per la lontanaza da casa, e questo mi ha aiutato a pormi meglio con gli altri.
- Facevi molto sport?
- No macche'! Al massimo facevo qualche scampagnata la domenica...Avevo molto da studiare, lo sai. Pero' cercavo di non trasmettere la mia malinconia e le mie preoccupazioni. Andavo a lezione bello pettinato, con un pantalone "giusto", argomentazioni sempre a portata di mano...insomma, non mi piaceva apparire come il classico topo di biblioteca, o come lo studente fuorisede triste e solitario.

Giovanni si era spesso ritrovato fra le mani le foto di suo padre. Il piu' delle volte gliele metteva fra le mani suo nonno, da sempre fiero dell'intraprendenza e l'allegria del proprio unico figlio. A volte sembrava che l'anziano cercasse di trasmettergli i loro stessi modi di fare, la loro vena sregolata e geniale, allora lo intratteneva anche un intero pomeriggio mostrandogli foto, raccontando con enfasi la vita di Aldo, brillante archeologo specializzato in recuperi subacquei.
Il  nipote se ne rimaneva quieto ad ascoltare il nonno, un po' in soggezione rispetto alle grandi imprese che nonno Giasone, oratore esperto, sapeva rendere interessanti come un romanzo.
Per quanto Giovanni fosse legato alla figura di suo padre ed a quella del nonno, percepiva una sostanziale differenza fra il suo modo di porsi alla vita, e la loro. Differenza che pero' gestiva con tollerante educazione.

- Babbo, ma e' solo una fototessera. Io poi conosco l'isola, e conosco Enea e qualche suo amico. Per me l'isola non e' proprio una novita', non importa che io faccia lo splendido per attirare l'attenzione.
Aldo gli mostro' un sorriso che la sapeva lunga - Perche' tu sei convinto che ambientarsi in un posto che si crede di conoscere sia  immediato e rassicurante. Ma Giovanni, non e' un'esperienza così superficiale. Lo so che a te, quello che dico, ti sembrera' solo un avvertimento da genitore, ma...non mi dilungo altrimenti. Tanto lo vedrai presto da te - concluse l'uomo, guardando con aria sicura dritto davanti a sè.
Giovanni sollevo' le sopracciglia. Era forse l'aria antica dell'isola a regalare a suo padre quei lampi di saggezza?



La segreteria scolastica non era altro che una minuta stanzina, resa ancora piu' piccola dal basso soffitto antincendio, un elemento di sicurezza  insolito per quell'isola un po' fuori dalle righe.
La signora che  accolse Giovanni e suo padre era la moglie del sindaco, abbronzatissima e carica di bigiotteria colorata. Gli mostro' un sorriso ingiallito dalla nicotina ma sicuramente accattivante, particolare come il lungo caftano che indossava.
Nell'indicare le sedie su cui accomodarsi, i ninnoli che le inanellavano il collo e le braccia entrarono rumorosamente in collisione.

- Dunque Giovanni - sorrise al ragazzo, puntando l'indice sul nome riportato nella sua cartelletta personale - Io qui sono l'unica segretaria, quindi se hai bisogno di qualcosa non puoi sbagliare. Una delle foto che mi hai portato la metteremo qui, l'altra la appunteremo sul tuo libretto delle assenze - disse, estraendo da un cassetto l'oggetto di cui gli stava parlando.

Mentre la donna compilava i suoi dati, Giovanni si era disratto a guardare il panorama che s'intravedeva dalla finestrella della stanza. Il porto brulicava di turisti e paesani, impegnati nell'ora dell'aperitivo. I piccoli tavolini a ridosso della banchina erano quasi tutti pieni, malgrado la lontananza il ragazzo riusciva a distinguere i graziosi bicchieri dei drinks dai grossi calici da birra.

- Mi dica, quando comincerete il recupero del relitto? - chiese la moglie del sindaco, rivolta al padre del ragazzo.
Giovanni volse lo sguardo al padre. Aldo si mosse sulla piccola sedia di formica azzurra.
- Il team non e' ancora al completo, e nemmeno l'attrezzatura. Ma non credo che tarderemo piu' di una settimana.
- E' stato difficile ottenere i finanziamenti? - sorrise maliziosamente la donna.
L'uomo rimase stupito da quella domanda confidenziale. Gli occhietti azzurri della donna gli sembrarono quasi insinuanti - Oh bhe, bisogna trovare le persone giuste ed i tempi giusti.
- Eh sì. Le conoscenze giuste fanno la differenza! - esclamo' la donna, porgendo loro il libretto delle assenze - Qui abbiamo finito - sorrise a Giovanni, incrociando le dita sulla scrivania - Giovanotto, goditi questi ultimi giorni di vacanza!
Giovanni corrugo' la fronte da sotto i morbidi ricci corvini. Non provava simpatia per i sorrisi particolari che quella donna stava loro riservando.





                                                          Settembre - I fratelli Marais





Per la cucina aleggiava un forte odore di cipolla. Una grossa pentola in coccio ribolliva sul fornello riempiendo la stanza con il suo rotondo gorgoglìo.

L'odore risaliva le scale dell'abitazione, penetrando attraverso le camere da letto, sino a strofinarsi sotto il naso dei tre ragazzi che occupavano la  mansarda.

Marcel lascio' scivolare il braccio oltre il bordo del letto, sfiorando il pavimento con le grosse nocche della mano.
Il ragazzo mugolo', schiudendo le labbra sul cuscino umido di saliva. Aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco le sottili strisce di sole  che la persiana disegnava sul pavimento rossastro. S'inginocchio' sul letto, guardando alla sua destra il corpo lungo e quieto di suo fratello Guillaime, i lunghi capelli biondi avvolti intorno al collo e la faccia.
Quando si era coricato, la sera prima, suo fratello non era ancora tornato da fuori, e come al solito non aveva minimamente percepito il suo rientro. Guillaime sapeva essere silenzioso come un'ombra.
Poi volse lo sguardo dietro di sè, scorgendo le gambe di sua sorella intrecciate alle lenzuola. Nel sonno muoveva inconsciamente  dita scurite da sole.  Nicole era la prima della famiglia a toccare letto, aveva i ritmi di una bambina e sbadigliava per tutta la sera.

Il ragazzo scruto' un'altra volta i due corpi immobili, con la sua solita espressione seria e vagamente corrucciata, di chi vuole sempre controllare che intorno a sè  tutto sia come dovrebbe essere.
Il sole e' spuntato, Nicole e Guillaime sono nel loro letto, al piano di sotto papa' Marais e' rientrato da lavoro e sta preparando il pranzo: e' una classica tarda  mattina di vacanze estive.

Marcel scese in cucina. Padre e figlio si salutarono con un cenno del capo, silenziosi e significativi come solo certa gente di mare sapeva essere.
Mise il pentolino del latte sul fuoco, e poso' il bricco del caffe', da tempo ormai freddo, al centro del tavolo. Porto' alle labbra un grosso biscotto dall'aria rustica, osservando lo scorcio di mare e rocce che si vedeva dalla finestra.
- Marcel, domani ho bisogno che ti metta a riparare le reti - disse l'uomo di casa.
Il ragazzo annuì, prendendo posto al tavolo. Fra i tre figli era l'unico che seguiva volontariamente il lavoro di pescatore di suo padre.

Nicole entro' nella stanza nascondendo un largo sbadiglio dietro il dorso della mano. Pochi passi dietro di lei, Guillaime si passava una mano fra i lunghi capelli, liberandoli dai nodi del sonno.

Era curioso come nella famiglia non esistessero certe convenzioni, quali il saluto mattutino. Alla silenziosa famiglia Marais bastava un cenno del capo, uno sguardo degli occhi neri e profondi per comunicare certe frasi convenzionali.

I rumori delle stoviglie sul tavolo si alternavano a quelle della zuppa sul fornello. La cucina in pietra e calce era umida e calda, piccole macchie di muffa puntellinavano il soffitto dalle pesanti travi a vista.

Guillaime afferro' una grossa fetta di pane, ricoprendola meticolosamente di burro. Sembrava totalmente concentrato su quell'operazione, ma i suoi pensieri erano lontani ed inafferrabili.
Marcel osservava il viso del fratello, sospettoso e lievemente stizzìto dal mistero dei suoi occhi e dai capelli lunghi e sottili da femmina.
Nicole temeva che fra i due scoppiasse il solito interrogatorio con cui Marcel torchiava il fratello maggiore. Teneva sott'occhio la vena che si tendeva sul collo forte e mascolino, le sue dita nervose mentre stringevano il coltello della marmellata, le labbra generose serrarsi e schiudersi per il disappunto dei propri sospetti.

Marcel non accettava la condotta di Guillaime, i suoi discutibili gusti. Non aveva mai colto suo fratello in flagrante, ma s'immaginava gli incontri a cui si abbandonava durante la notte, o quando spariva durante il giorno.
Per la sua natura era inconcepibile non poterlo tenere sottocontrollo come invece riusciva  a fare con la sorella piu' piccola.

La ragazza sia alzo' dalla tavola, e raggiunse il padre intento a sfilettare delle piccole triglie sul largo lavello di pietra. Si sporse verso il suo viso, depositandogli un bacio sulla guancia cotta dal vento e dal sole.
- Posso avere dei soldi per i quaderni?
Papà Marais mugugno' qualcosa, asciugandosi le mani sul grembiule, poi allungo' le mani al portafoglio e ne estrasse una banconota da diecimilalire - Fai in modo che ti bastino.
Nicole sorrise, mostrando la vezzosa fessura fra gli incisivi - E il diario?
Il pescatore alzo' il coperchio della pentola, una nube di vapore investì genitore e figlia - Puoi usare un quaderno, come sempre - le rispose, mostrando disinteresse per quelli che a lui apparivano solo i capricci di un' adolescente.
La sedicenne rimase in silenzio, rigirandosi la banconota fra le mani. Non erano poveri, allora perche' non poteva permettersi nemmeno un diario?
- Nico, vieni qui - chiamo' Marcel. La sorella gli si avvicino', aspettandosi un rimprovero. Suo fratello aveva solo un anno in piu' di lei, ma la trattava come se ne avesse avuti almeno dieci in piu'.

Marcel le allungo' un pizzicotto sui fianchi; la ragazza si ritrasse, allungandogli uno schiaffo. Il ragazzo rise, afferrandole le dita - Te li do io i soldi, ma tu mi aiuterai a rammendare le reti.
A Nicole quell'offerta non sembrava per niente conveniente. Non le piaceva l'odore della barca, non sopportava l'olezzo delle reti. Eppure sapeva che suo padre non le avrebbe allungato una moneta' di piu'. Spinse una mano sulla faccia del ragazzo - E va bene, ma i soldi me li dai ora.
Il ragazzo le blocco' entrambe le mani, stringendole senza l'evidente scopo di farle veramente del male - Ah, blonde! Te li daro' subito dopo che avrai finito di aiutarmi, stupide...
Nico gli riservo' una smorfia antipatica - Ma ce li hai i soldi?
Sapendo bene che quei soldi non venivano dalle tasche di suo padre, ma da certi suoi prepotenti comportamenti, Marcel spio' la reazione di papa' Marais. Ma l'uomo sembrava non essere minimamente interessato ai soliti battibecchi dei suoi figli - Ce li ho sì, io. Tu presentati domani mattina alla barca, ed io te li daro' subito - disse, lasciandola andare.

Nicole torno' seduta davanti alla propria colazione, stirando le diecimilalire che si erano raggrinzite durante le scherzose molestie del fratello - Che non sia un trucco, Marcel...
- Stupide! - le rispose, tornando ad addentare la sua fetta di pane.



Marcel scese dalla barca, posando alcune nasse verdastre vicino alla sorella.
- Io vado a comprare dei galleggianti, dopo sistemiamo queste - le disse, passandosi la maglietta scolorita sul viso sudato.
Nicole sospiro'. Aveva un viso talmente afflitto che sembrava condannata a spaccar pietre - Prendimi della spuma gia' che vai.
- Mica passo dal bar - rispose allontanadosi.
Nicole avrebbe voluto tirare un calcio nel vuoto, ma l'intreccio della rete che stava rammendando le impediva di muoversi liberamente.

Era decisamente annoiata, da un bel po' aveva cominciato a convincersi che quel diario non valeva la fatica che stava facendo. Il nylon delle reti le graffiava le gambe e le sentiva pizzicare come fosse stata tormentata da un nugolo di zanzare.
Si prese l'ennesima pausa, infilando l'ago nel risvolto dei pantaloncini per non perderlo di vista.
Alla sua destra il club di diving dell'isola si apprestava ad indossare le mute per l'immersione di mezzogiorno. Fra i soliti visi ce n'erano anche di sconosciuti, ma Nicole riconobbe subito che non si trattava di turisti.
I forestieri avevano la muta dello stesso colore, ed anche l'attrezzatura era omologata. Sui galleggianti che i sub avrebbero usato per segnalare la loro presenza alle barche, vi era stampato il nome di un'universita'.

Riconobbe i generosi boccoli neri del suo vicino di casa, appoggiato alla porta del club, con le braccia incrociate sul petto.
Indossava un paio di occhiali a specchio, eppure osservando il suo volto poteva intuire che stava seguendo le mosse dei sub.
Un uomo gli si avvicino', poggiandogli una mano sulla spalla; Nicole non riusciva a distinguere i loro discorsi, ma intuì che fra i due c'era molta confidenza. Quando l'uomo si fu allontanato con gli altri sub, per raggiungere l'imbarcazione, il ragazzo si mosse verso l'orlo della banchina, con lo sguardo fisso sulla fila delle varie imbarcazioni ormeggiate.  

Vedendo che l'aveva sorpassata senza accorgersi di lei, Nicole lo chiamo', anche se solo in quel momento si accorse di non sapere il suo nome- Hey, ragazzo delle tende!
Giovanni parve cadere dalle nuvole. Si tolse gli occhiali da sole, e ci mise qualche secondo per riconoscere la sua giovane dirimpettaia, sommersa per meta' corpo da una grossa rete da pesca.
Piu' che ad una sirena, il ragazzo penso' a lei come un ad un giovane crostaceo intrappolato in una rete.

- Ciao. Non ti avevo riconosciuta... - ammise - Ma tu peschi? - chiese sorpreso. L'immagine francese che aveva di lei poco c'entrava con la pesca di mare.
- Io? No no! - nego' immediatamentela ragazza, credendo di parergli troppo strana - Mio padre e' pescatore. Sto aiutando mio fratello ad aggiustare l'attrezzatura!
- Ah... Sei  brava - le sorrise, piegandosi sul suo operato - E paziente.
Dentro di sè Nicole era lieta per quel complimento, anche se ad un occhio esperto il suo operato non sarebbe stato egualmente apprezzato.  E la pazienza cui si stava adoperando non era altro che un obbligo imposto da Marcel.
- Bhe, diciamo che ci provo - gli rispose. La sua attenzione cadde sullo scintillante orologio da polso che il ragazzo indossava - E' ricco - penso', valutando che quell'oggetto non doveva costare poco - Forse e' un figlio di papa'.

Giovanni prese fra le mani un lembo della rete - E' da molto che ci lavori?
- Da stamattina, quando mio padre e' rientrato dalla pesca.
- Posso vedere come fai? - gli chiese lui, sorridendole in modo disarmante.
Nicole si stupì di quella richiesta. Sembrava davvero interessato al suo operato. Forse avrebbe preferito un altro tipo di approccio da parte sua - Sì..certo. Vedi, prendi l'ago' così,  e devi tenere tesa la porzione di rete che vuoi riparare così, con il palmo aperto. E' un po' stancante per le dita. Per le mie.
- Ci vorrebbe una mano grossa e forte - obbietto' Giovanni - E quelle sono delle nasse? - chiese, indicando le reti con il manico che Marcel aveva ammucchiato accanto a lei.
- Sì. Dopo devo riparare anche quelle, ma non usero' l'ago.
- Ma dimmi... - riattacco' lui, voltando lo sguardo verso il mare - lo conosci tu Enea?
Nicole annuì - Sì, e' in classe con uno dei miei fratelli. Se hai diciassette anni, sara' sicuramente in classe con te.
- Gia'. Ed anche con tuo fratello.
- Purtroppo sì - realizzo' mentalmente. Erano davvero basse le speranze che Marcel prendesse in simpatia un ragazzo venuto dal continente, oltretutto di buona famiglia, a quanto suggeriva il suo orologio e la casa dove si era trasferito - Sarete solo in sette, mi sa.
- Davvero? Solo in sette?! Non ho mai visto una classe di soli sette alunni...
- Non ti hanno detto che forse il prossimo anno la scuola chiudera'? Bhe, la ragione e' questa. Ci sono molti bambini sull'isola, ma pochi ragazzi. Non ha senso tenere aperto un liceo solo per noi pochi.
- Sì ne ero al corrente - rispose Giovanni.

Sua madre aveva scatenato l'inferno quando era venuta a conoscenza della precarieta' di quella scuola. Ma a Livorno, dove lei abitava, non c'era quel tipo d'indirizzo, ed all'ultimo anno di liceo non poteva certo iscriversi ad un'altro corso di studi.

- Comunque i professori non ci vanno pesanti. Forse per te che hai sempre abitato sul continente ti sembrera' piu' facile studiare qui.
- Bhe, ma le materie saranno sempre le stesse!
- Tu hai l'aria intelligente. Qui invece un po' tutti arrivano ad anno nuovo per il rotto della cuffia! - rise la ragazza,
Anche Giovanni rise - Maddai! Ma tu dove finirai di studiare, se il prossimo anno la scuola chiudera'?
- Di certo non prendero' ogni mattina il traghetto per andare a Livorno... Oh no! Forse tornero' in Corsica da mia madre. Ma ancora e' tutto da vedere.
- Ah ecco, sei còrsa! - esclamo' il moretto.
- Ti eri chiesto l'origine della mia erre moscia?
Giovanni agito' gli occhiali da sole - Bhe sì, diciamo che mi ero convinto che tu fossi francese!
- Ma guarda che in Corsica si parla molto l'italiano. I miei fratelli non hanno questa erre. E' che io sono nata a Nizza, e non posso fare a meno di parlare così.

Giovanni avrebbe voluto confessarle che i suoi capelli biondi, e qualcosa nel suo viso gli aveva ricordato Brigitte Bardot, la Francia,  l'indipendenza delle ragazze francesi, ma si rendeva conto che così facendo le sarebbe apparso inopportuno.
Dire ad una ragazza "mi ricordi la Bardot" era un conto, ma tentare di spiegarle tutte le piccole caratteristiche che lo rimandavano alle atmosfere parigine e che probabilmente riusciva a captare solo lui, era un altro par di maniche.
Lui non aveva la dialettica di un poeta, le sarebbe apparso strano e ridicolo.

Fu mentre Giovanni elaborava un'altra domanda, che Marcel allungo' il passo lungo il molo una volta individuati i due ragazzi.
Il fiorentino scorse gli occhi agitati di Nicole, e si alzo'.
- Io mi chiamo Nicole - gli disse velocemente lei, prima che gli occhi neri di Marcel si puntassero nei suoi.
- Ah. Io sono Giovanni - rispose lui, percependo lo sguardo ostile di Marcel, appena giunto accanto ai due - Vuoi vedere che e' questo suo fratello? - penso', indossando gli occhiali da sole.

Il ragazzo era di poco piu' basso di lui, ma  tutto il suo essere s'imponeva con la sola presenza. Giovanni si stupì dell'incredibile somiglianza con la sorella; se non avesse saputo l'eta' di entrambi li avrebbe creduti gemelli.
Fratello e sorella avevano lo stesso naso greco, in contrasto con le labbra voluminose e sfacciate. Seppure fosse un pensiero inconfessabile per  un ragazzo, dovette ammettere che anche in lui c'era qualcosa della Bardot.
A quel pensiero, Giovanni abbasso' lo sguardo per primo e Marcel sentì di aver avuto la meglio su di lui ancor prima di aver aperto bocca.

- Tieni la tua spuma, stupide! - sbotto', colpendole delicatamente la guancia con la bottiglia di plastica.
"Stupide", "blonde", "crètine" e via discorrendo, erano tutti vezzeggiativi con cui suo fratello, piu' o meno scherzosamente, si divertiva a tormentarla.
Nicole gli allungo' un pizzicotto - Lo sai che lui sara' in classe con te, quest'anno?
Marcel poggio' una mano sul capo della sorella, come questa fosse un cagnolino, ed alzo' il mento con aria di superiorita' - Ah sì, lo sapevo che ce n'era uno nuovo. Io sono Marcel - gli disse, senza accennare ad allungare la mano per una stretta sincera.
Giovanni non si stupì del suo atteggiamento. Bastava un'occhiata sola per rendersi conto con chi aveva a che fare - Io Giovanni. Sto nel palazzo di fronte a casa vostra.

Marcel rimase immobile, mentre sua sorella cercava di scacciare la sua mano - Ah sì? Buono a sapersi. Nico, dammi da bere.
Nicole gli passo' la bottiglia, pensando che tenergli la bocca occupata non era affatto una cattiva idea. Guardo' il moro negli occhi, cercando di fargli capire che era arrrivato il momento di congedarsi, perche' tanto un tipo come Marcel aveva ben poco da dirgli.

Giovanni comprese la situazione. Mise le mani in tasca - Allora ci vediamo in giro.
Marcel alzo' le spalle, storgendo la bocca piena, ed ingoio' rumorosamente la bibita gassata.
- Ciao, Giovanni.. - lo saluto' Nico, agitando appena la mano. In cuor suo si auguro' che il ragazzo in futuro non l'avrebbe evitata, spaventato dal fare di suo fratello.

Marcel si chino' verso di lei, schiacciando la gota contro la sua - E' carino, no?
Nicole si volto' verso di lui, con occhi fiammeggianti - Non prendermi per il culo. E non credo che verra' a darti noia, se tu non lo provocherai.
- Ah no? - Marcel sorrise, un sorriso obliquo come quello di un fauno.


































 
  
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