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Autore: Eloise_Hawkins    05/02/2012    6 recensioni
Lorcan ha ereditato da sua madre la passione per creature strane e piante inusuali, e convinto dell’esistenza di un vegetale con proprietà curative, si reca nelle Serre. Dopo un incontro speciale, sarà costretto a fare i conti con i suoi sentimenti.
Questa storia ha partecipato al contest "La Nuova Generazione è cosa buona e giusta", indetto da Roxanne Potter, e si è classificata seconda, vincendo inoltre il premio "Miglior Coppia".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Luna Potter, Lorcan Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Titolo: Il mare d’inverno
Autore: Eloise_Hawkins
Personaggi: Lorcan Scamandro, Lilian Luna Potter
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvertimenti: One-Shot
Introduzione: Lorcan ha ereditato da sua madre la passione per creature strane e piante inusuali, e convinto dell’esistenza di un vegetale con proprietà curative, si reca nelle Serre. Dopo un incontro speciale, sarà costretto a fare i conti con i suoi sentimenti.
Elemento obbligatorio scelto: Lorcan Scamandro
Elementi facoltativi scelti dal pacchetto: Prompt – Calore; Luogo – Serre di Erbologia.
Prompt scelto: Snasi
Eventuale citazione scelta: Amore, da goccia quotidiana a mare d’eternità.
Note: Non avendo notizie sulla reale età di Lorcan (ho perso una serata a cercare notizie su internet, ma non ho trovato nulla!), gli ho dato la stessa età di Lily. La storia è ambientata durante il loro quinto anno. L'Asploctecia è una pianta assolutamente inventata, di cui pertanto detengo i diritti.

 



Il mare d’inverno



 





Eppure doveva essere lì, da qualche parte. Sua madre gli aveva detto che amava i luoghi umidi e oscuri, e per di più lui era certo di aver visto, quella mattina durante la lezione di Erbologia, una foglia scarlatta affacciarsi da sotto il tavolo per poi nascondersi immediatamente dopo che un piede disattento l’aveva pestata.
Lorcan richiuse piano la porta della Serra, e si guardò intorno alla ricerca dell’Asploctecia, una pianta che annoverava tra le sue qualità quella di svegliare l’intelletto, placare l’ansia e guarire il mal di denti; il fatto che fosse piena di Plimpi non lo preoccupava minimamente, dato che sua madre gli aveva assicurato che bastava una piccola scorza di Radigorda per allontanarli, e lui infatti ne aveva una intera in tasca, così, per sicurezza.
Gli ultimi raggi di un pallido sole invernale si spinsero sin dentro il vivaio, trafiggendo i vetri opachi e ferendo gli occhi del ragazzo, che fu costretto a socchiudere appena le palpebre quando un brillio dorato catturò il riflesso dell’astro diurno, ormai morente. Incuriosito, Lorcan abbassò lo sguardo e notò ai suoi piedi un distintivo di Prefetto che riluceva debolmente alla luce del sole. Inclinò la testa di lato, perplesso, e stava per chinarsi a prenderlo quando tutta la sua sorpresa scemò: aveva appena udito uno scricchiolio provenire da sotto il tavolo della serra. Si piegò in uno scatto atletico che metteva in luce il suo talento e i suoi riflessi da Battitore, e poggiò le ginocchia e le mani sul terriccio umido, spiando con sguardo critico il nascondiglio oscuro in cui, secondo lui, si stava nascondendo l’Asploctecia. Tanto era intento nella sua minuziosa osservazione, che non udì la porta della serra aprirsi, né tantomeno i passetti delicati che seguirono. L’unica cosa che, più che sentire, avvertì, fu un intenso dolore all’altezza delle costole, esploso improvvisamente subito prima che la sua vista venisse offuscata da un lampo rosso scuro che odorava di vaniglia.
Lorcan impiegò qualche istante prima di percepire il sapore umido e salato della terra sulla lingua, e di comprendere che si trovava disteso prono per terra; per di più, avvertiva un peso gravargli sulla schiena. Quando, cinque anni prima, il Cappello Parlante l’aveva smistato a Corvonero, forse aveva fatto troppo affidamento sul cervello di sua madre, perché il primo pensiero del ragazzo fu che l’Asploctecia l’aveva, per chissà quale motivo, attaccato, dimostrando non solo un’estrema aggressività e un non indifferente coraggio, ma anche un incredibile sprezzo del pericolo, dove per pericolo si intendeva la Radigorda, che, notò con sgomento e un pizzico di orrore Lorcan, era rotolata fuori dalla sua tasca e ora giaceva a un paio di metri da lui. Sua madre gli aveva sempre detto che l’unico pericolo di quella pianta fossero le foglie, estremamente urticanti, e le radici, potenzialmente aggressive; ma che attaccasse senza motivo, non l’aveva mai saputo, né lo sospettava minimamente.
«Lorcan!»
Che poi l’Asploctecia parlasse, e che per di più avesse la voce di Lilian Luna Potter, era una cosa assolutamente inimmaginabile. Improvvisamente colto da una confusione che si traduceva in quello sguardo stralunato, il giovane pensò che, forse, dopotutto, non era stata l’Asploctecia a parlare, a meno che questa non si fosse accoppiata con un Molliccio, creando una nuova creatura che avrebbe sicuramente destato l’interesse dei suoi genitori. Mentre quella bislacca idea si formava nella sua mente, Lorcan avvertì il peso scomparire dalla sua schiena, e subito dopo vide comparire davanti a lui due grandi occhi castani, che lo guardavano con un misto di preoccupazione e divertimento. E non erano occhi qualunque. Erano i suoi occhi. Gli inconfondibili occhi di Lily.
«Mi dispiace, non ti avevo visto» si scusò la ragazzina, tendendogli una mano così da aiutarlo a rialzarsi. Lorcan si mise a sedere, e il suo sguardo si posò sul palmo di Lily: aveva una pelle così morbida, così profumata, così delicata. Sbattè un paio di volte le palpebre, deglutì, e portò le iridi sul suo viso. Non l’avesse mai fatto: avvertì un calore improvviso sprigionarsi all’altezza del petto, e salirgli fino al viso, imporporandogli le gote. Sperò vivamente che lei non lo notasse, mentre si affrettava a balbettare qualche parola di scusa.
«N-non preoccuparti» La sua voce risultò odiosamente tremolante, e, mentre pronunciava con affrettata dedizione quella frase, il giovane si rese conto di provare un intenso dolore al petto. E non nel punto in cui lei gli era caduta sopra.
Le labbra di Lily si incurvarono in un sorriso sincero e luminoso. Si sedette di fronte al ragazzo, le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia, e guardandolo fisso negli occhi gli domandò: «Cosa facevi a terra?». La sincera curiosità del suo tono era attraente almeno quanto il timbro soffice della sua voce, ma mai al livello dei suoi occhi scuri, che lo guardavano con un misto di tenerezza e ingenuo interesse. Nel momento in cui incrociò il suo sguardo, a Lorcan sembrò che in quella Serra fosse esploso improvvisamente un vulcano: cominciò a sentire un caldo innaturale, considerando che era ormai quasi dicembre.
«Cercavo l’Asploctecia» replicò lui sinceramente, incapace di fissare qualsiasi altra cosa non fosse il suo viso. Lo sguardo di Lily si velò di una perplessità che lei non fece nulla per nascondere.
«Oh» disse, sbattendo le palpebre e guardandosi intorno, come se stesse cercando di capire a cosa il ragazzo si stesse riferendo. «E cosa…» si mordicchiò il labbro inferiore, soppesando le parole con estrema cura: forse temeva che quella domanda avrebbe ferito i suoi sentimenti. Ma se c’era una cosa che Lilian Luna Potter aveva preso da sua madre, oltre i capelli rossi, quella era la sfacciataggine; dal padre aveva invece ereditato il coraggio tipico dei Grifondoro. Così, dopo aver preso un respiro profondo, gli domandò: «Cosa sarebbe questa Aplestocia?». Sul volto di Lorcan si aprì un sorriso che si trasformò ben presto in una risata divertita. Lily arricciò le labbra, come offesa da quella risposta sconsiderata, gonfiando le guance in modo infantile nel sentire le risa del giovane amplificarsi per diventare un eccesso di ilarità che lei ritenne assolutamente inopportuno: se c’era qualcuno che doveva ridere di quella situazione, era lei, certa che non esistesse nessuna pianta con quel nome bislacco.
«Asploctecia» disse alla fine il ragazzo, tra una risata e l’altra, dopo essersi calmato un po’ ma continuando comunque a tenersi la pancia. «Si chiama Asploctecia» precisò con tono ilare, guardandola nuovamente negli occhi: il sorriso scomparve nel momento in cui il suo sguardo si infranse sulla leggera ira che aveva invaso il volto delicato di lei. Quando Lily se ne accorse, sorrise debolmente.
«E perché la cerchi?» lo incitò, dimenticando la collera di poco prima, improvvisamente colta da una curiosità feroce.
«Lys ha il mal di denti» spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo. La ragazza lo fissò, perplessa, le palpebre che si alzavano e si abbassavano rapide, in una chiara esternazione di confusione che non sfuggì a Lorcan. «Le radici di Asploctecia curano il mal di denti» precisò quindi dopo qualche minuto di riflessione, incapace di fare qualsiasi altra cosa che non fosse perdersi nei suoi occhi scuri.
«Oh» La bocca rosea di Lily si arrotondò di sorpresa. «Posso aiutarti a cercarla, se vuoi» propose subito, e sul suo volto comparve ancora una volta un sorriso talmente luminoso da rischiarare la serra – ed alzare la temperatura di qualche altro grado. Il giovane annuì debolmente, sorridendole di rimando, anche se quello sul suo volto più che un sorriso sembrava una smorfia imbarazzata e tirata – cosa che, effettivamente, era.
«D’accordo. Grazie» Lorcan si passò una mano tra i capelli, ravviandoli con fare nervoso, e riempendoli di terra in modo del tutto inconsapevole. Ma alla più giovane dei Potter non sfuggirono i granelli di terriccio che sporcavano i capelli biondissimi e arruffati del ragazzo. Ridacchiando divertita, si sporse verso di lui, e gli scompigliò il crine per eliminare quella polvere dispettosa.
«Com’è fatta questa…» Lily si bloccò un attimo, alzando gli occhi per riflettere, poi, vinta dall’ignoranza, o forse più semplicemente dalla dimenticanza, scosse il capo, e sorridendo di nuovo riprese: «…questa pianta?». La ragazza non aveva evidentemente notato il rossore che si era propagato sulla pelle altrimenti candida del giovane, e lo fissava con aspettativa e curiosità.
«Ehm» Lorcan deglutì, trasse un respiro profondo e distolse lo sguardo dal suo volto, domandandosi per quale logico motivo Dicembre avesse deciso di giocargli quello strano scherzo atmosferico, innalzando le temperature. Concentrandosi solo sul suo compito, il giovane cercò di figurarsi mentalmente la pianta per poterla descrivere all’amica. In realtà, non ne aveva mai vista ­­­­­­­­­­­­­una, ma sua madre gliene aveva parlato spesso, ed era sicuro di riuscire a riconoscerla.
«Ha delle foglie rosse. Grandi più o meno così» avvicinò gli indici tra di loro, tenendoli comunque distanziati di circa dieci centimetri «E… ehm… sono rosse. Le foglie» ripetè, imbarazzato. Lily piegò di lato la testa, e una ciocca di capelli le scivolò da dietro l’orecchio e andò a solleticarle lo zigomo lentigginoso. Fissò il giovane, sbattendo le palpebre.
«D’accordo» disse indulgente, evidentemente abituata alle sue stranezze. Poi si guardò intorno, cercando qualcosa di rosso, senza notare che, invece che gettarsi a capofitto nella ricerca, Lorcan non faceva altro che fissarla con desiderio.
«Credo che sia sotto il tavolo. L’ho vista stamattina» la informò lui con tono incolore, indicando il lungo bancone di legno alla sua destra. Benchè apparentemente il suo obiettivo fosse quella pianta, i suoi pensieri erano rivolti a tutto, meno che all’Asploctecia.
«Oh» Lily puntò lo sguardo castano su di lui, sempre più perplessa, e soprattutto ancora più curiosa. Si piegò in avanti, e i lunghi capelli rossi le scivolarono di lato, oltre la spalla, finendo a contatto con il terriccio umido e sporcandosi. Eppure la ragazza non ci fece caso: anziché riportarli dietro la schiena, allungò una mano, spingendola avanti a sé come per tastare l’oscurità fitta che c’era sotto il tavolo. A quel gesto, Lorcan scattò e le afferrò con forza il braccio, tirandola indietro, il volto contratto da una smorfia di preoccupazione. Lo sguardo di Lily si puntò, con sorpresa e un leggero timore, sul volto di Lorcan: aveva negli occhi una muta domanda, e quell’espressione spaesata e curiosa, ma mai spaventata, colpì il ragazzo come un pugno allo stomaco. Fu improvvisamente incapace di respirare, di intendere e di volere, e imputò la colpa a quella cappa di calore che lo stava soffocando. Con un gesto rapido almeno quanto quello precedente, lasciò il braccio della giovane, e abbassò lo sguardo.
«Potrebbe essere pericoloso» spiegò, trovandosi la voce inspiegabilmente impastata e la gola improvvisamente secca «Le foglie dell’Asploctecia sono estremamente urticanti, e le sue radici potrebbero essere un tantino violente» precisò, per poi lanciarle un’occhiata di sfuggita. Lily lo fissava con gli occhi sgranati dalla meraviglia.
«Violente?» ripetè incredula, allontanandosi un poco dal tavolo. Le labbra di Lorcan si arcuarono in un mezzo sorriso, e lui annuì.
«Ti si infilano nel naso e ti strappano il cervello» chiosò a bassa voce. L’imbarazzo scivolò via lentamente, mentre una nuova sicurezza lo invadeva: la sua conoscenza di quella pianta lo faceva sentire saggio, e lo rendeva improvvisamente consapevole dell’inesperienza della ragazzina. Erano entrati nel suo campo, e il fragile scudo dettato dalla sua competenza lo faceva sentire più protetto, meno impacciato davanti a lei.
«Forse sono parenti dei Gorgosprizzi» considerò Lily, e subito dopo scoppiò a ridere, divertita dal suo stesso pensiero: la sua risata cristallina e tintinnante riempì il cuore di Lorcan, che si lasciò andare a sua volta, e cominciò a ridere anche lui, prima piano, poi sempre più forte, in modo più libero e disinvolto, fino a quando entrambi non si trovarono a rotolarsi per terra tenendosi la pancia con le mani, in preda a un eccesso di risa senza precedenti. Risero senza freni né catene per un tempo che nessuno dei due si preoccupò di misurare: semplicemente si lasciarono andare a quella complice ilarità, fino a quando, ubriachi d’allegria, non si placarono, estinguendo in un ultimo sguardo sorridente quelle risate.
Dopo aver ripreso un contegno, entrambi si guardarono, sul volto un largo, luminoso sorriso. Lily si asciugò le lacrime che le erano sgorgate, sincere, dagli occhi, passandosi un dito sotto le lunghe ciglia nere, mentre il ragazzo gattonò fino alla Radigorda, abbandonata a pochi metri dai due. La raccolse, poi estrasse la bacchetta dalla cintura dei pantaloni, dove era incastrata, e pronunciò un incantesimo, la punta rivolta verso quella strana cipolla verde che Lily guardava con curiosità. Una saetta di luce sfuggì dall’esile bastone di legno, e la Radigorda si divise in due metà perfettamente complementari: Lorcan le prese entrambe, e ne porse una alla ragazza, sorridendo.
«Ti proteggerà» disse solamente, e lei non esitò nemmeno un istante: la prese e la strinse forte, come se fosse la sua unica arma di salvezza in quella serra ora immersa nel buio della sera.
Si lanciarono un’occhiata d’intesa, poi, tenendo ben saldo il pezzo di Radigorda, si misero gattoni e si piegarono verso il tavolo, spiando con sguardo curioso e un po’ spaventato oltre il buio che avvolgeva la parte inferiore del bancone di legno.
La loro attenzione fu tuttavia richiamata da un improvviso, acuto grugnito poco distante da loro. I loro occhi si spostarono in sincronia su una palla di pelo nera e all’apparenza estremamente soffice, dotata di un lungo naso al termine del quale riluceva un piccolo oggetto dorato.
«La mia spilla!» Lily scattò in piedi, lo sguardo spalancato, e lasciò cadere a terra la Radigorda, ora completamente dimentica dell’Asploctecia e della sua nuova missione. Inseguì lo Snaso appena apparso, il quale, notando il suo improvviso interessamento all’oggetto faticosamente recuperato, fuggì dalle sue grinfie, sgattaiolando fuori dalle Serre.
Lorcan si alzò lentamente, un po’ deluso da quella reazione, e ripercorse gli stessi passi della ragazza. Non appena uscì all’aria aperta, la coperta fredda della sera lo avvolse con un’inaspettata carezza, e tutto il caldo provato fino a quel momento stemperò in quella nuova temperatura assolutamente adatta al mese di Dicembre. Il suo sguardo si assottigliò nell’oscurità del parco, e non tardò ad individuare la corsa della ragazzina, che inseguiva un minuscolo puntino, rapido e praticamente invisibile nel buio. Affrettò il passo, e la affiancò.
«Non preoccuparti» disse con un leggero fiatone, correndo accanto a lei e guardandola negli occhi «lo prendo io» si offrì, dopodichè accelerò il passo e si lanciò sullo Snaso. Nel senso letterale del termine: si tuffò sul piccolo animaletto, braccandolo con le mani, e quello lanciò un guaito di dolore che lo costrinse ad abbandonare la spilla ma gli permise di mordere con decisione e violenza la mano di Lorcan, malauguratamente capitata davanti al lungo muso della creatura.
«Ahi!» urlò il ragazzo, massaggiandosi la parte offesa con sguardo corrucciato. Lo Snaso si divincolò dalla sua presa e fuggì lontano, inghiottito ben presto dall’oscurità fitta della Foresta Proibita. Lily, invece, gli fu subito accanto, e gli prese la mano tra le sue, osservando con sguardo attento e preoccupato i piccoli solchi sanguinanti lasciati dai dentini affilati dell’animaletto.
«Mi dispiace, mi dispiace, Lorcan» gemette, e alzò gli occhi imploranti su di lui, fissandolo con espressione di supplica. Lorcan sorrise, liberandosi dalla sua stretta delicata: improvvisamente, il freddo di quella sera si trasformò – di nuovo – in un calore prorompente e dilagante, che partendo dal suo petto avvolse tutto il suo corpo, concludendo il suo viaggio di riscaldamento sul viso, nuovamente arrossato dall’imbarazzo.
«Non importa, non è colpa tua» la rassicurò il ragazzo. Si chinò, raccolse dal prato la spilla dorata della ragazza e gliela porse. «Ecco, tieni».
Lily sorrise di un sorriso che gli spezzò il cuore: luminoso, riconoscente, unico. Avvolse le mani attorno a quelle di Lorcan, grata del suo gesto, e notò con un certo stupore il calore delle sue mani.
«Lorcan» la giovane aggrottò appena le sopracciglia, fissandolo ora con sguardo carico di apprensione. «Hai la febbre? Sei bollente» gli fece notare, turbata. Lorcan fissò i suoi occhi castani, spalancati dalla preoccupazione, e si perse in quegli universi scuri, così limpidi e luminosi da rischiarare la notte intorno a loro. Improvvisamente, fu incapace di elaborare qualsiasi pensiero, e di compiere qualsiasi gesto: rimase semplicemente immobile, la bocca leggermente spalancata, le sue mani tra quelle di Lily, le sue iridi a frugare in quelle di lei. Il contatto rovente con la pelle della ragazza lo feriva e curava al tempo stesso: gli bruciava la carne, e il dolore lo rendeva vigile ma stordito. La guardava, e non vedeva altro che le ciglia scure e vellutate che le contornavano i grandi occhi castani, accesi da una luce di ansiosa agitazione; la guardava, e non vedeva altro che i lineamenti delicati del viso, incorniciato dalla chioma rosso fuoco, che danzava debolmente al vento della sera; la guardava, e quelle lentiggini sembravano stelle che le accendevano il viso di una bellezza senza pari. La guardava, e non sentiva altro che il cuore tamburellare con forza sul petto, come un uccello impazzito che volesse sfuggire dalla sua gabbia di ossa, carne e sangue.
Quella sera si rese conto, per la prima volta dopo anni, di quanto, giorno dopo giorno, l’affetto per quell’amica d’infanzia si fosse trasformato in qualcosa di molto di più. Ogni suo gesto, ogni suo sorriso, ogni suo sguardo aveva scavato dentro di lui un vuoto che solo lei sarebbe stata capace di colmare: lei era stata uno stillicidio infinito che con costanza aveva eroso l’amicizia per trasformarla in una cosa diversa, più profonda ed immortale. E adesso, dentro il suo cuore sentiva agitarsi una tempesta che aveva un solo nome: amore, da goccia quotidiana a mare d’eternità.
E lui quel mare lo avvertiva, gelido oceano di sentimenti, ed emozioni nuove e mai provate: ondeggiava furioso dentro di lui, e rimescolava la passione e l’affetto, l’amicizia e la complicità, in un miscuglio inconcepibile il cui nome non poteva essere pensato, figuriamoci pronunciato. Eppure, quello stesso mare, nato come goccia – la sua voce soffice e la sua risata cristallina – cresciuto come lago – la sua pelle candida e profumata, i suoi capelli morbidi e setosi – invecchiato come oceano – i suoi occhi scuri e magnetici, quello sguardo limpido e privo di pretese – lo spingeva verso di lei, e agitandosi smuoveva il suo cuore, ma anche le parole che gli erano rimaste incollate allo stomaco fino a quel momento, e che ora si dimenavano risalendo su per la gola secca, e fermandosi sulla punta della lingua, trattenute solo dalla stretta con cui aveva assottigliato le labbra per non fare sfuggire quella verità dalla sua bocca sfacciata. Ma il mare, si sa, ha una forza tutta sua: potente e maestoso, non possiede stanchezza e non conosce clemenza. Lorcan lo sentiva, come una slavina continua, tuono incessante figlio di un temporale che aveva creato lui stesso. E quel mare, in quella notte d’inverno, lo spinse a rivelare la realtà del suo cuore.
«Ti amo, Lily» Fu un soffio, dolcissimo e delicato: quelle parole che, fermate solo dalle sue labbra, gli erano rimaste incatenate alla lingua, fluirono via con insperato splendore, brillarono nella notte, veleggiarono placide in quell’aria fredda – caldo, lui sentiva solo caldo quando la guardava – e si infransero negli occhi spalancati di quella ragazzina che, con ingenuo stupore, era rimasta lì a guardarlo con preoccupata apprensione e che, nel sentirgli pronunciare quella verità, scoppiò a ridere di quella risata di cui lui si era innamorato.
«Hai decisamente la febbre, Lorcan. Stai delirando» ridacchiò Lily, e lo prese per mano, per poi incamminarsi verso la scuola, precedendolo di qualche passo. «Ti porto in infermeria» decretò allegramente, ben lontana dall’indovinare la realtà dei sentimenti e delle parole del giovane.
E Lorcan, senza dire una parola, la seguì. Non sapeva se ridere o piangere, e forse si sentiva persino sollevato: perché era riuscito ad ammettere quella verità; perché glielo aveva detto; perché lei non gli aveva creduto; e, soprattutto, perchè era riuscito a spiegare a se stesso il motivo per cui ogni volta che si trovava con Lily, si sentiva come se centinaia di Gorgosprizzi gli avessero confuso il cervello.

 

   
 
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