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Autore: miseichan    06/02/2012    30 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
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Bugie bianche

                                                                                                

       ≈ Il mio problema ≈

 

 

 

 

L’agente Ricciardi espirò e si rivolse al ragazzo.
“Una cosa ancora non mi è chiara: perché avete lo stesso balcone, voi due?”
“Perché viviamo insieme.”
“Voi due?”
“Sì.” sospirò affranto “Noi, un hacker in clausura, una escort in carriera e due topi mutanti.”
“Mi prendi per i fondelli, giovane?”
“No, agente.” negò, estraendo una nuova sigaretta dal pacchetto rosso: l’appoggiò alla labbra e cominciò a cercare l’accendino. 
“Ah, no!” sibilò lei strappandogliela via “Davanti a me tu non fumi più.”
“Signorina, per favore.”
“Per l’amor del cielo!” fronteggiò il poliziotto “Perché si comporta così? Come se io fossi la pazza e lui la povera vittima?! Non c’era lui sotto la doccia!”
“Avresti voluto, ragazzina?” chiese il ragazzo, ammiccando sorridente.
“Matteo.” lo avvertì lei, senza guardarlo.
“O avresti voluto che venissi sotto la doccia assieme a te?”
“Matteo.” lo minacciò.
“Dillo! Dillo che da quando mi hai visto con Sofia non fai che pensare a me!”
“Matteo!”
“E’ vero? Ho ragione, perché non lo ammetti?”
“Cosa? Che ero gelosa? Questo vuoi sentirti dire?! O che da quando ti ho visto fuori il bar che ti facevi non so più chi sei? O che a rigarti la moto sono stata io? Cos’è che vuoi sentirti dire?”
“Ragazzi, per favore…”
“Lo sai che ho parlato con tua madre? O non t’interessa e vuoi solo sentirti dire quanto sei bravo a letto, eh? Cos’è che vuoi sentire? Un’altra delle tue belle bugie?”
“Sono bugie bianche, ragazzina.”
“Sei solo un dannatissimo stronzo!” gridò lei, scagliandoglisi contro.
L’agente Ricciardi aspirò un’ultima volta e fece segno a due agenti di dividerli mentre spegneva il sigaro nello stesso punto in cui aveva spento quello precedente. 
Sospirando, intimò ai due ragazzi di sedersi. 
“Credo sia il caso che mi raccontiate un po’ di cose.”
Accese il terzo sigaro.
“Dall’inizio.”

 

 

~

 

 

Silvestro sospirò, carezzandosi la pelata.
Fissò i due giovani e prese un bel respiro, profondo, cercando di riordinare le idee.
“Io torno sopra.” disse, sentendosi come un padre che sgrida i figli “Voi non vi muovete, non vi uccidete, non fate… niente! Va bene?” arretrò di un passo, incerto “Salgo a parlare con Silvano.”
Pensò al collega, alla sua espressione tra il furioso e l’esilarato, al suo sigaro… e si pentì di essere accorso. Silvestro li squadrò un’ultima volta, il timore di commettere un terribile errore nel lasciarli soli. Scosse il capo con frustrazione e cominciò a salire le scale.
Veronica si strinse ancor di più nella coperta, facendo sì che solamente il naso e gli occhi fuoriuscissero. Respirava piano, il cervello appannato… poteva un cervello essere appannato? Forse no. Forse era il neurone ad essersi perso in qualche meandro della sua mente. Ma la sua mente aveva meandri?
Veronica non aveva mai immaginato la propria mente come un labirinto. Si chiese se quello fosse il momento giusto per immaginare qualsiasi cosa sotto forma di labirinto.
Probabilmente no. Non era il momento giusto. Cosa avrebbe dovuto fare, allora?
“Teo?”
Veronica sussultò, spaventandosi da sola. Chiuse gli occhi, dondolandosi lentamente. 
“Teo, mi dispiace.” sussurrò ancora, la lingua più veloce del cervello.
A dire il vero, ora come ora, aveva la netta impressione di non averlo più un cervello.
Veronica si prese la testa fra le mani, smettendo di fissare le spalle del ragazzo. Perché faceva così, eh?! Perché continuava a farsi coinvolgere? Non aveva ancora imparato la lezione? Continuava, imperterrita, a farsi compromettere. 
A farsi piacere i ragazzi, quelli sbagliati soprattutto. Quel tipo di ragazzi che lei sapeva fin dall’inizio non sarebbe andato bene, non per lei almeno. Quelli che non sono del tutto normali. Quei ragazzi particolari, diversi: con qualche problema, anche, se possibile.
Quei ragazzi che vale la pena di conoscere, che ti incuriosiscono. Che ti fanno arrossire, palpitare. Sempre quel tipo di ragazzo che ti fa diventare volgare, che tira fuori un lato di te che tu stesso non conoscevi.
Matteo, insomma. Matteo riassumeva tutti questi tipi di ragazzi.
Matteo era quel tipo di ragazzo.
Probabilmente soffriva di un disturbo della personalità multipla. Dipendente dalle sigarette. Chiuso, aggrappato disperatamente alla sua facciata da duro. Desideroso di silenzio, di solitudine. Speranzoso, anche. Con un cuore grande di cui sembra vergognarsi.
Bello. Bello e non cosciente di esserlo. O forse, cosciente. Cosciente ma che finge di non esserlo. E gli piacevano i segreti. No, più probabilmente era pedinato dai segreti. Intrappolato in essi. Come lei.
Inopportuno, testardo, malizioso. Traditore.
Lei era una traditrice?
“Teo.” chiamò ancora, la voce bassissima.
Veronica sospirò, serrando gli occhi per frenare le lacrime. Non era il momento, si ripeté.
Guardò Matteo e fremette.
“Crepa, brutto stronzo.” sibilò, saltando in piedi.
Non era mai stata brava ad ascoltare gli altri, figurarsi se stessa. Che fosse o meno il momento giusto avrebbe agito, fatto qualcosa. Semplicemente perché sentiva di doverlo fare. Perché erano lì, soli.
“Ti rendi conto della situazione in cui siamo?” ringhiò ancora, avvicinandosi in pochi passi al ragazzo.
Matteo le dava le spalle, apparentemente indifferente. Forse nemmeno l’ascoltava.
“Non siamo in un dannato telefilm, Teo. Non è un gioco, questo.” continuò Veronica, le nocche pallide serrate sulla coperta “Non possiamo andare avanti così, a furia di bugie.”
“Sono tutte bugie bianche, ragazzina.” sussurrò lui.
“Bugie bianche?” chiese lei, incerta, continuando a fissargli la schiena rigida.
“Bianche. Innocenti, okay?”
“Una bugia non può essere innocente.” commentò Veronica.
“Può, invece.” sbottò lui, voltandosi di scatto “E’ buona, innocente, se detta a fin di bene.”
“E quando mai una bugia è detta a fin di bene?!”
“Quando la si dice per non ferire una persona. Quando la verità sarebbe troppo… troppo!”
“Mentendo peggiori solo la situazione!”
“No!” alzò la voce Matteo “No! Se mentendo proteggi gli altri, ogni omissione è giustificata.”
Veronica arretrò di un passo, la mano destra a coprirle gli occhi.
“Non hai idea di ciò che stai dicendo.”
“O forse tu non hai idea di quanto la verità possa far male.”
“Sai… sai cosa? Forse è a te che fa troppo male.”
“Come?”
“Sei tu stesso a non voler sentire la verità. Hai paura di affrontarla!”
“Non ho paura.”
“Sei un bambino, Teo.”
“Ho detto che non ho paura!” sfiatò, rosso in volto, la mano destra che tastava disperata i jeans alla ricerca di un pacchetto di sigarette.
“Certo.” approvò lei, annuendo “Sei terrorizzato.”
“Ragazzina, smettila.”
“Dov’è il problema, eh? La droga, i tuoi genitori, l’avvocatessa francese…?”
“Basta.”
E Veronica si zittì, riprendendo fiato.
Squadrò il viso tirato di Matteo, la posa rigida: arretrò di un passo ancora, fermandosi con le spalle poggiate al muro. Sospirò, abbassando lo sguardo chiaro.
“Ti sei circondato di bugie.” mormorò dopo un po’, attendendo una reazione.
Lui scrollò le spalle, chiudendo gli occhi e spingendo a fondo le mani nelle tasche.
“Hai creato un muro così alto, così invalicabile, che nemmeno tu sai più come superarlo. Sei bloccato, te ne rendi conto? Una menzogna dopo l’altra, un mattone dopo l’altro… e ora, Teo? Che facciamo, adesso?”
“Non c’è un noi.” sussurrò lui. Poche parole che riuscirono comunque a ferirla a dovere.
“Va bene. Cosa fai, adesso?”
“Niente. Perché dovrei fare qualcosa?”
“Perché è una situazione inaccettabile, almeno per me. E dovrebbe esserlo anche per te. Non sei stanco? Non hai voglia di assaporare un pizzico di normalità? Di libertà?”
Matteo non rispose, dandole definitivamente le spalle.
“Ricordi almeno come ci si sente, eh?” continuò lei, imperterrita “Senza dover essere costretti a mentire, a ricordare ogni singola menzogna detta, ogni più piccolo inganno.”
“Non ho bisogno di questo.”
“Di una vita normale?”
Il sospiro di Matteo riempì l’aria, talmente duro da sembrare un rantolo.
Si voltò piano, fissandola inespressivo: “Se sono in questa situazione è solo colpa mia.”
Veronica scosse il capo, piegando le labbra pallide in un debole sorriso: vedeva la disperazione negli occhi di lui, prorompente, salire lentamente in superficie. Inarrestabile.
“E se anche fosse?” sussurrò “Non credi di meritare una seconda possibilità?”
“Diamine, ragazzina…” sfiatò lui, reclinando la testa all’indietro “E’ un discorso totalmente privo di senso.”
“Le parole devono per forza avere un significato, Teo.”
“Lo credevo anch’io.” annuì Matteo “Almeno fino a quando non ho incontrato te.”
Veronica si alzò in piedi, percorrendo svogliatamente la stanza, fermandosi vicino alla scrivania: “Lo stesso vale per te.” disse “Confondi sempre le acque.”
“Oh, non rigirare la situazione. E’ impossibile fare un discorso coerente con te.”
“E’ quello che vuoi?” inarcò un sopracciglio la biondina “Va bene, parliamo. Con coerenza.”
“Non… non intendevo adesso.” si tirò indietro Matteo.
“Quando, allora? Siamo bloccati qui, soli. Quale posto migliore di una centrale di polizia, ti prego.”
“Non adesso.” ripeté lui, facendo per allontanarsi.
“Vieni qui, Teo.” lo chiamò Veronica, il sorriso nella voce “Guarda che cosa ho trovato.”
Matteo assottigliò lo sguardo, la sensazione che fosse una trappola. Veronica stava frugando nei cassetti, gli occhi accesi dal divertimento e una strana espressione in viso.
Avrebbe voluto declinare l’offerta, eppure la curiosità vinse, facendolo avvicinare alla scrivania: “Cosa?” domandò, piegandosi anch’egli sul cassetto aperto dalla ragazza.
Il rumore metallico che seguì a quelle parole rimbombò nella stanza, cogliendo uno solo dei due impreparato.
“Un paio di manette.” rispose Veronica, imperturbabile “Non le trovi carine?”
Matteo mosse la mano destra, piano, quel tanto che bastava ad osservare l’anello di ferro che gli circondava il polso: annuì, appurando di essere incatenato alla scrivania.
Guardò un attimo Veronica, un secondo solamente, e provò l’impulso di ucciderla.
“Aprile.” sibilò, calmo, sedendosi sul bordo della scrivania.
“E se non mi andasse di farlo?” ghignò lei, rigirandosi la piccola chiavi fra le mani.
Matteo non disse niente, non ci riuscì. Sentiva il sangue salirgli rapidamente alla testa ed era perfettamente cosciente di quanto la cosa fosse negativa per entrambi.
“Oppure.” considerò la biondina “Pensa se la perdessi… potrei convincere Silvestro a far sparire qualsiasi duplicato, lo sai?”
“E mi lasceresti qui incatenato a vita?” sospirò lui, inarcando un sopracciglio.
“Certo che no.” fece Veronica “Solo fino a quando non ti deciderai a parlare con me.”
“Cosa stiamo facendo adesso, ragazzina?”
“Perdendo tempo.”
“E di cosa vuoi parlare?”
“Ecco.” meditò lei “Direi che prima, di sopra, abbiamo toccato qualche punto dolente.”
“Abbiamo? Hai fatto tutto tu.”
“In ogni caso…”
Ad interromperla furono le dita di lui che fulminee artigliarono la coperta, tirandola a sé: Veronica rischiò di inciampare, ritrovandosi subito dopo a pochi millimetri da Matteo. Lui le poggiò una mano sulla schiena.
“Dammi quella chiave.” ringhiò, impedendole di allontanarsi “Subito.”
“Non hai l’impressione di un déjà vu?”
Veronica sollevò il braccio destro, la chiave stretta fra due dita: chiuse gli occhi, reclinò il capo all’indietro e la lanciò via.
Il tintinnio sul pavimento echeggiò per un po’, inesorabile. E Matteo la liberò.
“Oh, dai.” lo riprese lei, carezzandogli i capelli “Non mettere il broncio, adesso.”
“Fottiti.”
“E non diventarmi volgare.” lo pizzicò su un fianco, assottigliando lo sguardo.
“Non mi va di parlare.”
“Sicuro?” lo fissò, le mani ferme sulle sue ginocchia “Non c’è una cosa, di tutte quelle che ho detto prima, che abbia minimamente stimolato la tua curiosità?”
“Perché mi hai portato qui, ragazzina?”
Veronica arretrò di un passo, incerta.
“Non capisco la domanda.”
“Cos’è che ti ha fatto scattare? Cos’è successo?”
“Oltre te che mi fissavi sotto la doccia, intendi?”
“Sai che ho ragione. Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?”
“Niente, Teo.” si strinse nelle spalle lei, fingendo noncuranza “Mi andava solo di fare un salto alla polizia, sai com’è… e di gridare un po’ al vento i fatti nostri, così per passare meglio la nottata.”
“Non mi stavo facendo.” sussurrò il ragazzo, abbassando lo sguardo.
“Come?”
“Non mi stavo drogando, ragazzina, okay?”
Veronica schiuse le labbra, inclinando il capo: “Continuo a non avere idea di chi tu sia, però.” mormorò mesta.
“E credi di essere l’unica?” saltò su, lui “Io cosa dovrei dire? Non ti sei per caso fatta sfuggire di essere stata tu a rigarmi la moto?!”
“Sì. Sono stata io. Dopo che ti ho sentito parlare al telefono e…”
“Hai rigato la mia moto.” ripeté Matteo, incredulo, cercando di assimilare la notizia.
“E tu hai detto che sono un’oca!” gridò lei, spintonandolo.
“Quand’è che avrei detto una cosa del genere?”
“Al telefono! Hai detto che sono un’oca, una biondina insulsa, che parlo troppo!”
Matteo sbiancò, aprendo la bocca senza tuttavia riuscire ad emettere alcun suono. Scosse il capo, cercando inutilmente di fermare la fiumana di insulti che provenivano dalla ragazza.
“Insulsa?! Perché? Perché devi dire cose del genere? Non sopporti le biondine insulse? Le oche? Benissimo, ma allora spiegami per quale diavolo di motivo continui a rendermi la vita impossibile!”
“Non ho mai detto quelle cose, ragazzina.”
“Ti ho sentito io, con le mie orecchie! Smettila di riempirmi di bugie!”
“Non le ho mai pensate, allora!” esclamò lui, gesticolando nervoso.
Veronica si zittì un attimo, cercando di riprendere fiato. Si passò le mani sugli occhi e sospirò, mesta.
“Mi sta venendo il mal di tesa, Teo.” sussurrò, sedendosi al fianco del ragazzo “Rallentiamo, okay?”
“Erano bugie anche quelle.” rispose lui, guardandola negli occhi “Parlavo con Nicola.”
“Chi è Nicola?”
“Lo stronzo che… quello del bar, ragazzina.”
“Oh.” fece lei, aggrottando le sopracciglia, tentando di raccogliere le idee “Quindi tu…”
“Cercavo di dissuaderlo, di fargli cambiare idea. Si era fissato e io… non sapevo che altro fare. Non mi andava che ti avesse guardata, che pensasse a te, che mi parlasse e chiedesse di te. Lo avevo sempre considerato un cretino, ma dopo quello che…”
“Non avevo capito.” provò a interromperlo lei, sfiorandogli una mano.
“Per questo non volevo avere a che fare con te! Per questo non dovevi venire nel bar!”
Veronica sgranò gli occhi, il tono di Matteo che si alzava. Scosse il capo, fissandolo dura.
“Ora non te la prendere con me!”
“Non mi ascolti mai!” soffiò il ragazzo “Se solo non fossi venuta quella sera…”
“Dovevo fartela pagare!”
“Perché?!” gridò lui, abbassando subito dopo la voce “Perché non possiamo semplicemente ignorarci?”
“E’ questo che vuoi?” deglutì Veronica, deviando lo sguardo.
“Lo preferirei al caos che stiamo generando.”
Si alzarono in piedi assieme, allontanandosi l’uno dall’altra di qualche centimetro.
“Io ho provato a farlo, va bene?” sussurrò la biondina “Volevo farlo.”
“E perché non lo hai fatto?”
Lo sguardo blu della ragazza divenne improvvisamente di ghiaccio, imperscrutabile.
“Sai di non poter dare tutta la colpa a me, vero?” sibilò “Sei stato tu in piscina a…”
“Eri stata tu a venire, però.”
“E nella grotta? Mi ci hai portata tu!”
“Non ti sei certo rifiutata, vorrei farti notare.”
“Sei tu quello con la ragazza, che diavolo!” sbraitò Veronica “Sei tu a non dover cedere! Io dovrei starti lontana ma tu dovresti sforzarti il doppio!”
“Perché? Perché non posso semplicemente stare anche con te?”
Matteo boccheggiò, scuotendo convulsamente la testa.
“Non intendevo… mi sono espresso male.” tentò, crollando nuovamente sulla scrivania.
“Stai proponendo un harem?” inarcò un sopracciglio lei, sarcastica.
“No.” borbottò Matteo “Sto dicendo che non è un male se… parliamo.”
“E per parlare intendi quello che abbiamo fatto in camera di Cinzia?”
“No. Intendo solo… stare un po’ assieme, va bene?”
Veronica sbuffò, mordendosi un labbro con forza.
“E invece è male, lo capisci? E’ male. Per te, per me e anche per Sofia. Come puoi farle questo?”
“Farle cosa? Non le sto facendo alcunché!”
“L’hai già tradita una volta!”
“E non succederà ancora!” sbottò lui, il pugno che faceva tremare il tavolo.
“Bene.” annuì Veronica calma “E’ a questo punto che cominci a fare del male a me.”
Matteo non rispose, fissandola con espressione confusa.
“Quando la tradisci, ferisci lei. Appena non lo fai, ferisci me. Per tutto il tempo, infine, fai male a te stesso.”
“Io non… credo di essermi perso.” sussurrò il ragazzo, gli occhi neri resi ancora più scuri dalla stanchezza.
“Oh, mio dio!” ansimò la biondina, incredula “Come fate voi uomini ad essere talmente ciechi?”
Si avvicinò a Matteo, un dito fermo nella sua direzione.
“Come fai a pensare che da parte mia non ci sia… sentimento? Perché credi che sia così difficile ignorarti, mettere una fine a tutto? Non ci riesco. Non è nelle mie facoltà, lo capisci? Ed è anche colpa tua!”
“Non immaginavo che…”
“Certo. Perché è normale rotolarsi nelle coperte con un perfetto sconosciuto, no?”
“Eravamo ubriachi!” fece lui, allargando le braccia.
“E cosa c’entra?”
“Diavolo, ragazzina: credevo fosse tutto un gioco per te!”
Veronica si girò, esasperata, dandogli repentinamente le spalle. Si passò le mani sul viso, gli occhi chiusi nel disperato tentativo di fermare l’appropinquarsi delle lacrime. Doveva reagire.
“Crepa.” sibilò, scagliandoglisi contro.
Matteo non ebbe il tempo di reagire che uno schiaffo lo raggiunse, fulmineo, dietro la testa.
Spalancò gli occhi, sorpreso, pochi attimi prima che Veronica cominciasse a riempirlo di pugni: piccoli, quasi inesistenti. Pugni sul petto, sulle braccia, accompagnati da improperi e maledizioni. Insulti che non aveva mai sentito.
“Ferma, ferma… che cosa ti prende, si può sapere?” esclamò, cercando di bloccarle le mani.
Si agitò, tentando di muoversi ma ogni volta impedito dalle manette. Riuscì solamente a circondarle i fianchi con un braccio, attirandola a sé.
“Vuoi smetterla, cortesemente?” l’apostrofò, fissandola stralunato.
E Veronica si accasciò sul suo petto, permettendogli di respirare. Poggiò il mento sulla sua spalla, calma.
“Grazie.” ansimò lui, socchiudendo gli occhi.
Poi i denti si strinsero sulla sua spalla.
“Dai!” gridò il ragazzo, gemendo per il dolore “Sei una bestia!”
“Lo vedi?” annuì lei, accennando un sorriso “Siamo proprio fatti l’uno per l’altra.”

 

~

 

“Cicì?”
Cinzia trasalì, una mano che correva all’altezza del cuore. Immobile, reclinò il capo all’indietro: “Mi hai spaventata.” mormorò, accostando il portone alle sue spalle.
“Scusa.”
“E non chiamarmi a quel modo.” soffiò, percorrendo l’atrio del palazzo totalmente avvolto dalle tenebre.
“Cicì?” chiese la voce, divertita.
“Sì.” annuì lei “Non lo hai mai fatto, non così.”
“E dove sarebbe il problema?”
Cinzia sospirò, avvicinandosi alle scale: fissò la figura scura e assottigliò lo sguardo, tesa.
“Cosa vuoi, adesso?”
“Parlare.”
“E’ tardi, Lorenzo.” scosse la testa “E non ne ho voglia.”
Cominciò a salire gli scalini, incurante di lui che la seguiva in silenzio.
Fu la mano del ragazzo a fermarla, stringendosi attorno al suo polso. Cinzia si voltò, fingendo noncuranza.
“Che c’è, insomma?” sbottò, dura “Ti ho già fatto le mie scuse per la ginocchiata.”
“Non dovevi essere tu a scusarti.” sussurrò lui, spingendola delicatamente con le spalle contro la ringhiera.
“Invece sì.” ripeté Cinzia “Ho agito senza pensare e mi dispiace.”
Lorenzo sospirò, liberandole il polso e passandosi le mani sul volto pallido.
“Qualunque cosa tu abbia pensato…”
“Non ho pensato.” negò lei, facendo per salire nuovamente.
“Non era mio.” sibilò il ragazzo, costringendola a fermarsi “Dicevo sul serio quando…”
“Quando mi chiedevi una possibilità?!” ringhiò Cinzia, spintonandolo “Avevi un tanga nella tasca del giubbotto, Lorenzo! Un tanga! Non ho pensato che fosse tuo, se la cosa può rassicurare la tua ridicola virilità. Ho semplicemente ipotizzato che appartenesse a una qualsiasi ragazza e che…”
L’indice del ragazzo si poggiò sulle labbra di lei, tremando impercettibilmente.
Si piegò verso Cinzia, baciandola di slancio: che fosse per zittirla, per tirarsi fuori da una conversazione che non gli andava di affrontare  o semplicemente perché era ciò che più di tutto voleva fare.
La baciò, incurante di ogni cosa al di fuori di loro. Assaporò quella bocca che per tanto tempo non aveva fatto altro che immaginare, sognare. E si lasciò trascinare dall’impeto di passione che a stento riconosceva proprio.
Le mani di Cinzia, aperte sul suo petto, cercarono di allontanarlo: si lasciò spingere via, di poco, però. Quel tanto che bastava a schiudere le labbra:
“Mi dispiace.” sussurrò, avvolgendo i fianchi della ragazza.
Cinzia scosse il capo, provando ancora a liberarsi.
“Scusa.” bisbigliò Lorenzo “Scusa, scusa, scusa, scusa.”
E lei smise di spingerlo via. Sospirò, poggiando la fronte sul petto di lui.
“Non ho parole per farti capire quanto mi dispiaccia, Cinzia.” mormorò il ragazzo “Sono pronto a chiederti scusa all’infinito se vuoi. Il tanga non era mio e non è importante di chi fosse, perché lei non aveva importanza. Non per me, lo capisci? Mi dispiace. Di tutto.”
Sfiorò i capelli corti di lei, le dita che leggere giocavano con le punte lisce: poggiò le labbra sulla testa di Cinzia e chiuse gli occhi, sperando che quel momento non finisse mai.
“Non va bene.” ruppe il silenzio la ragazza.
Lorenzo sussultò, forzandosi per non arretrare. Si schiarì la gola, la mano che indugiava sul fianco di lei: “Cosa non va bene?” domandò, timoroso della risposta.
“Questo.” rispose Cinzia, la voce ferma, allontanandosi da lui “Tutto questo.”
“Cinzia…”
“Non funziona così, va bene?” continuò lei, liberandosi dalla presa del ragazzo “Non puoi credere né tantomeno pensare che… io non mi comporto in questo modo.”
Lorenzo le alzò il mento con due dita, cercandone lo sguardo. E gli occhi nocciola si fermarono nei suoi.
“Domani ho un appuntamento con Simone.” ribadì Cinzia.
“No.” sibilò lui “Tu non vai da nessuna parte.”
La ragazza sorrise, il divertimento che si rifletteva nello sguardo.
“Ah, Lorenzo mio.” sospirò Cinzia, cominciando a salire le scale “Io vado dove mi pare.”
“Perché fai così?” le gridò dietro lui, inseguendola.
“Smettila.” scandì lei “Vai a casa, è tardi.”
“Io vado dove mi pare.” le fece il verso Lorenzo, salendo due scalini alla volta e raggiungendola in poco tempo.
“Non in casa mia, in ogni caso.” sillabò Cinzia, fulminandolo senza fermarsi.
“Mi accamperò sul pianerottolo.”
“E’ una minaccia?” ridacchiò lei, cominciando l’ultima rampa “Stai attento, giovane, potrebbe venirmi l’idea di spingerti di sotto.”
“Spingermi di sotto?” chiese Lorenzo, alzando il capo con fare ironico.
“Sì.” annuì Cinzia “Vuoi provare? Un bel volo per le scale.”
“E’ il tuo modo per chiedere il bacio della buona notte?”
Cinzia frugò nella borsa, estraendone le chiavi velocemente; Lorenzo arrivò poco dopo, affannato, sventolando un tanga con la mano.
“E’ questo il problema? Tutto qui?” sbottò “E’ tutta colpa di un dannatissimo tanga?”
“Veronica ha sempre creduto che tu fossi provvisto di soli due neuroni, lo sai?” sibilò la ragazza, camminando a marcia indietro verso la porta “Perché diavolo non li convinci a fare una fottutissima sinapsi?!”
“Vedi?” fece lui, un inspiegabile sorriso a fior di labbra “Mi fai impazzire anche quando mi insulti.”
Cinzia scosse la testa, incredula.
“Non sei ubriaco, vero?”
“Dimmelo tu.” ghignò lui.
“Vai a farti fott…”
“Ehi!” la interruppe il ragazzo, accennando con il capo alle spalle di lei.
Cinzia si voltò di scatto, senza capire: fissò la figura appostata davanti alla porta e si fermò, basita.
“Sofia?” balbettò, cercando di focalizzare la situazione “Che ci fai qui?”
“Matteo!” esclamò lei, l’espressione sconvolta “Che fine ha fatto, si può sapere? Non riesco a contattarlo! Non risponde, non so se ha ricevuto i messaggi! Non è qui, non trovo Simone, non…”
“Sofia!” le si avvicinò prontamente Cinzia, affrettandosi ad aprire la porta “Entra, dai. Che succede?”
“Succede che devo parlare con Matteo!” affermò la biondina, tormentandosi le mani e guardandosi attorno con fare perso.
Lorenzo era entrato dopo di loro, accendendo la luce e socchiudendo la porta.
“E’ andato via poco dopo la fine della partita.” disse, alternando lo sguardo fra le due “Possiamo riferirgli noi un messaggio?”
“No!” strillò quasi Sofia, le mani che arruffavano i capelli già scomposti “No! Devo parlargli io!”
Cinzia cercò di calmarla, spingendola a sedersi.
“Vedrai che tornerà a momenti, su.” mormorò “Non fare così.”
Lorenzo si avvicinò alla brunetta, afferrandola per le spalle e sussurrandole all’orecchio:
“Certo che non sei il meglio a consolare.”
“Sto combattendo l’impulso di buttare lei giù per le scale.” sibilò Cinzia in risposta, allontanandosi da Sofia.
“Oh, ma povera ragazza.” ghignò lui, guardandola di sbieco.
“La povera ragazza sta indirettamente facendo soffrire tua sorella.”
“E tu stai direttamente facendo soffrire me.”
Cinzia sollevò lo sguardo, colpita dal cambiamento di tono che aveva appena subito la conversazione.
Fissò Lorenzo, cercando delle parole che non le venivano in alcun modo. Dischiuse le labbra, pronta a parlare, quando la porta dell’appartamene venne spalancata di colpo.
Simone entrò come una furia, il volto trasfigurato dalla rabbia: non sembrava nemmeno lui. Ansimava appena, gli occhiali di traverso e lo sguardo allucinato.
“Sei una stronza!”

 

 

“Sarà la quinta volta che mi vibra il cellulare, ragazzina.”
“Non potrebbe importarmene di meno.” si strinse nelle spalle Veronica, seduta sulle ginocchia di lui.
“Perché non fai la brava e cerchi quella piccola e graziosa chiave e…”
“Se non ti stavi drogando...” mormorò lei, interrompendolo “Ho paura di chiedertelo, ma… spacciavi?”
Matteo non rispose, passandosi la mano libera sugli occhi.
“Non è che abbia tutta questa voglia di risponderti, sai?”
“Sei uno spacciatore, Teo?”
Veronica si girò appena, cercando lo sguardo di lui: incrociò quegli occhi neri e tentò di non lasciarseli sfuggire. Lui sospirò, scuotendo esasperato il capo.
“Ho bisogno di fumare, dannazione.” borbottò, continuando prima che lei potesse dire alcunché “E sì, stavo spacciando. E allora? Dov’è il problema, sentiamo?”
“Dov’è il problema?” gli fece il verso Veronica “E’ questo il problema! Si può sapere perché?!”
“Forse perché ne ho bisogno.” ringhiò il ragazzo “Non ti è mai passato per la testa che qualcuno possa aver bisogno di soldi, eh?!”
“Soldi?” saltò su lei “Ma sei fai non so quanti lavori! Che balle racconti?!”
“La verità!” scattò Matteo “Una volta tanto che lo faccio e nemmeno va bene! Racconto la verità! Ho bisogno di soldi e quello è il modo più rapido che ho trovato per ottenerli!”
“E i muri…”
Il balbettio incoerente della ragazza lo spinse ad abbassare il tono.
“Alcuni dei clienti.” sussurrò, sfiorando quello che era stato un occhio nero “Alle volte possono diventare un pochino violenti, sai com’è.”
“Perché ti servono i soldi, allora?!” sbottò lei, subito dopo “Se non è per la droga, io non…”
“Non ti sembra di aver fatto abbastanza domande?” la interruppe Matteo, lo sguardo improvvisamente duro.
“Non è che tu abbia esattamente risposto a tutte.”
“Vediamo tu come ti comporti, invece.” disse, facendola scivolare giù dalle sue gambe “Forse ho sentito male, ma sbaglio o hai affermato, urlato più che altro, di aver parlato con mia madre?”
La voce di Matteo si era andata affievolendo sul finire della domanda, come bloccata nella gola. Veronica si seppellì nella coperta, nascondendosi totalmente alla vista di lui.
“Potrei aver risposto al tuo cellulare.” sussurrò, arretrando di qualche passo, incerta.
“Tu che cosa?” ringhiò il ragazzo, il tintinnio delle manette che venivano tirate.
“Eri occupato in quel momento.” provò lei “Con Michele, mi sembra. E io ero sovrappensiero, e ho risposto, e mi dispiace… ma era tua madre! Aveva una voce tanto dolce, Teo! E dispiaciuta!”
“Non dovevi rispondere!” sbottò Matteo, incredulo “E non dovevi parlare con lei!”
“Diceva che non riusciva mai a contattarti!” singhiozzò quasi la ragazza, liberando dalla coperta solo gli occhi lucidi “E ha accennato qualcosa del tipo che vogliono aiutarti.”
“Tu non capisci…” soffiò lui, la mano sulla bocca, lo sguardo abbacinato.   
“E le dispiace.” sussurrò ancora Veronica “Non so di cosa, ma le dispiace.”
Matteo chiuse gli occhi, respirando piano, con difficoltà.
“Non sai in cosa ti stai immischiando.”
“No, hai ragione.” approvò lei, decisa “Vorrei saperlo, però, okay? Mi piacerebbe.”
“A me no.”
E il cellulare vibrò di nuovo.
“E va bene!” sbottò la biondina, stanca “Rispondi! Vedi chi è che rompe anche a quest’ora!”
“A parte te, vorrai dire.” borbottò lui, portando rapidamente il telefonino all’orecchio.
Seguì una serie di mormorii, grugniti e borbottii che Veronica non riuscì minimamente ad interpretare. Il viso di Matteo, però, cambiava espressione ogni due secondi: da una semplice confusione allo shock puro.
“Liberami!” esclamò poco dopo, chiudendo la chiamata con mano tremante “Liberami, ragazzina, dobbiamo andare! Adesso!”
Veronica sgranò gli occhi, non riuscendo a capire il repentino cambio di rotta.
“Dove?” balbettò, tastando il pavimento alla ricerca della chiave.
Matteo scivolò giù dalla scrivania, più esangue di quanto non fosse un attimo prima.
“All’ospedale.” biascicò, l’espressione assente.
La chiave appena trovata per poco non scivolò dalle dita della ragazza.
“Come?”
“Era… era Daniele.” sussurrò lui, disattento “Dobbiamo andare.”
Veronica aprì le manette, scuotendolo per un braccio.
“Il mio Daniele?! Qualcuno non si è sentito bene? Che succede, Teo?” sfiatò, sempre più in ansia.
Lui la fissò, lo sguardo appannato.
“Forse… forse sta per svegliarsi.”

 

 

Il dito tremante di Simone era puntato contro Cinzia.
Lei, pallida, lo fissava senza riuscire a capire. Stronza? Ce l’aveva davvero con lei?
“Tu!” sibilò il rosso, fremente, avvicinandosi di un passo. Scosse il capo, lo sguardo che diventava appena appena lucido, sconfortato.
E dei passi risuonarono sulle scale, incredibilmente frettolosi.
Michele si fiondò nella stanza, piegato in due dall’affanno.
“Io non lo sapevo!” esclamò, gli occhi ancora più grandi del normale “Credevo lo sapesse!”
Il ragazzino osservò la situazione, scuotendo disperato il capo.
“Giuro!” gemette “Credevo lo sapesse…”
E Simone reclinò il capo all’indietro, chiudendo gli occhi per un solo secondo, il tono che si faceva ancora più impietoso mentre formulava una nuova accusa: “Sei una putt…” 
“Attento alle parole.” lo fermò subito Lorenzo, frapponendosi tra i due.
“Non sto parlando con te.” lo spinse di lato Simone, fissando una Cinzia sempre più scossa.
“Non me lo hai detto.” sibilò, rivolto alla ragazza che finalmente cominciava a capire “Come hai potuto?”
“Cinzia mi dispiace.” s’intromise la vocetta di Michele, tremante e traboccante dispiacere.
Lei scosse una mano nella sua direzione, cercando di fargli capire che non era colpa sua. Perché, in fondo, era vero: era stata lei a sbagliare.
“Cos’è che stavi dicendo, Simo?” chiese, raddrizzando le spalle e ostentando una sicurezza che non aveva.
“Che sei una sporca…”
Questa volta Lorenzo non usò più le buone maniere, la mano destra che correva a stringere la spalla del ragazzo. Lo fissò, implacabile.
“Ripeto.” ringhiò “Attento alle parole. Molto, molto attento.”
“Attento un cacchio!” si ribellò il rosso “E’ una prostituta! Non ci sono altre parole!”
“Simone.” mormorò Cinzia, la voce rotta.
“Non parlarmi più.” soffiò il ragazzo, liberandosi malamente dalla presa di Lorenzo “Credevo… credevo di conoscerti almeno un pochino. E poi… mio Dio, che schifo!”
Continuarono a fissarsi: gli occhi di lei pieni di lacrime e quelli di lui accesi da una rabbia che probabilmente non avevano conosciuto prima di allora.
Cinzia piegò il capo, soffocando un singhiozzo: si voltò, dandogli le spalle e allontanandosi di un passo.
“Non hai il diritto di parlarle così.” lo apostrofò Lorenzo, serrando le labbra.
“Ho il diritto di dire quello che mi pare!” sbottò Simone in risposta “Mi ha preso in giro fino a ora!”
“Non l’ho fatto!” urlò lei, girandosi di scatto “Non puoi prendertela solo con me!”
“Non faccio il gigolò io!” tenne duro Simone.
Cinzia si avvicinò, furente quanto scossa.
“Non puoi giudicarmi.” sibilò, scuotendo il capo impercettibilmente.
“Non ho alcuna intenzione di farlo.” sollevò il mento lui “Sto solo commentando la realtà.”
E partì lo schiaffo. Forte.
“Da che pulpito…” borbottò Cinzia, le labbra tremanti, ritirando la mano.
“Io non mento.” rispose Simone, le dita a sfiorare la guancia lesa.
“Nemmeno io.”
Fu la voce di Sofia, insicura, a farsi sentire nel silenzio appena calato.
“Io… Simone, ti prego, dov’è Matteo?”
Il ragazzo ci mise qualche attimo a metterla a fuoco, sbattendo più volte le palpebre.
“Matteo?” fece poi, ancora confuso “Non lo so. Io… non lo so. Perché?”
“Hanno chiamato.” sussurrò Sofia, abbracciandosi da sola “Dall’ospedale.”
I due si guardarono, ritrovandosi all’istante. Lo dissero insieme, dando voce allo stesso, fulminante, pensiero: “Giovanni.”

 

*

 

“Hai fatto?”
Cominciò a saltellare nervoso sul posto, i denti che mordevano impulsivamente il labbro.
“Finito?” chiese ancora, ansioso “Posso girarmi?”
Aspettò qualche secondo, il respiro sempre più affannoso. Poi sbuffò contrariato.
“Guarda che mi volto!” esclamò impaziente “Capito, cucciola?”
Daniele sospirò, passandosi le mani sul viso con fare stanco.
Quando ancora una volta non ottenne risposta cominciò lentamente a girare su se stesso, incerto. E poi la vide: completamente vestita. Sorrise, sinceramente sollevato. Non era pronto a vedere la sua migliore amica nuda. Probabilmente sarebbe stato un colpo troppo duro per il suo già instabile equilibrio mentale.
“Stai benissimo con il mio cambio, sai?” commentò, carezzandosi sovrappensiero il pizzetto “Oh sì, il blu ti dona proprio. Così fai tanto Meredith Grey,” continuò “non hai mai preso in considerazione la carriera di specializzando, cucciola?”
Veronica continuava a non rispondere, lo sguardo assente e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni azzurri troppo grandi per lei. I capelli si erano quasi asciugati del tutto: incorniciavano un volto decisamente più cereo del normale, segnato dalla stanchezza.
Daniele si avvicinò cautamente, fermandosi di fronte a lei, l’espressione improvvisamente seria: “Non fare così, Vero.” mormorò “Mi spaventi, dai. Dì qualcosa.”
Lei scosse il capo, le labbra che tremavano impercettibilmente.
“Non ti riconosco!” sbottò Daniele, afferrandole di getto una mano e stringendola fra le sue “Questa non è la Veronica che conosco! Lei non avrebbe mai lasciato entrare Matteo da solo in quella stanza! Lei ora non se ne starebbe qui, in silenzio, senza fare niente… reagirebbe, lei.”
“Reagire?” biascicò dopo un po’ Veronica, cogliendolo di sorpresa.
Agitò la mano, liberandola dalla presa del ragazzo e sollevò il mento, un lampo indignato e deciso che le attraversava gli occhi chiari.
“Sai perché non posso reagire?” sibilò “Perché se lo facessi dovrei prendermela con te: con uno dei miei più cari amici! Con te che non mi dici cosa diavolo sta succedendo in quella stanza! Tu! Tu, tu sempre e maledettamente tu! Tu che menti affermando di non conoscere Matteo! E poi lo chiami! Chiami lui! Per cosa?! Cosa sta succedendo, cosa?!”
Un singhiozzo frustrato le scosse le spalle mentre sollevava lo sguardo al soffitto, cercando con tutta se stessa di non cedere alle lacrime: non poteva, non in quel momento.
“Perché nessuno mi parla? Segreti, segreti, tanti di quei segreti da riempirci un libro, Danny. E Teo li spaccia per bugie bianche, e tu fingi di non conoscerli… e alla fine dei conti? L’unica a non sapere davvero niente sono io. L’unica scema. E continuo a cercare di capirci qualcosa, di restare vicina a tutti voi… a quale scopo? Perché diavolo sono così autolesionista?! Vuoi sapere una cosa?”
Daniele scosse il capo, le mani che tentavano inutilmente di afferrare quelle iperattive di lei mentre continuava a parlare:  “Non mi interessa più. Non voglio sapere.” 
Si alzò dal lettino, le dita che sfioravano in segno di saluto il braccio del ragazzo.
Daniele chiuse gli occhi, il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle e l’ultima frase di Veronica che gli rimbombava assordante nelle orecchie.
“Ho chiuso.”

 

~

 

“Cosa le porto?”
Veronica sollevò stancamente lo sguardo dal tavolo, incontrando due occhi ancora più esausti dei suoi: era un ragazzino minuscolo, probabilmente in piena fase adolescenziale. Apparecchio ai denti, acne prorompente e un paio di cuffie che pendevano dal collo della felpa. Ah, e gomma da masticare in bocca.
“Un caffè, grazie.” sussurrò, tornando a poggiare la testa sulle braccia.
Le piaceva quella posizione: le permetteva di escludere tutto, ogni cosa. Scomparivano la caffetteria, i tavoli vuoti, la notte che sembrava voler forzare le finestre e avvolgerla con la sua tristezza. Avrebbe voluto dirle che non c’era bisogno di sforzarsi tanto, che non era necessario un vento così forte a sferzare i vetri: la tristezza già l’aveva raggiunta, no? Non ci stava sguazzando dentro da un bel po’ in quel mare di malinconia e incertezza?
Percepì il profumo del caffè in anticipo: schiuse appena le palpebre, osservando il ragazzino che poggiava delicatamente il bicchiere sul tavolo e poi prendeva posto su una sedia di fianco alla sua.
Veronica inarcò un sopracciglio e lui rispose con un’alzata di spalle:
“Non c’è nessun altro a quest’ora.” borbottò, estraendo il cellulare dalla tasca.
Veronica annuì e chiuse di nuovo gli occhi, beandosi del silenzio che li circondava. Sentiva i pensieri che scemavano, allontanandosi con deferenza, quasi avessero capito che era inutile continuare a ronzare in giro: non c’era altro da fare. 
Il suo neurone più funzionante aveva oramai alzato bandiera bianca e gli altri, diligenti, avevano seguito il suo esempio. Fine.
E poi sentì un rumore improvviso, stridente: una sedia che graffiava il pavimento, strusciando senza pietà. Impiegò qualche istante a far diradare la nebbia e a mettere a fuoco Michele, appollaiato sulla sedia di fronte alla sua, dall’altra parte del tavolo. Sbatté più volte le palpebre, velocemente, cercando di capire se e per quanto aveva dormito. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e vide lo stesso buio di poco prima.
“Ho combinato un casino, Vero.” sbottò Michele, attirando a forza la sua attenzione.
Veronica cercò di annuire, il capo troppo pesante: il bicchiere di caffè si avvicinò alla sua mano, spinto da una forza invisibile. Il passo successivo fu capire che quella forza invisibile era l’adolescente che l’aveva servita, ancora seduto affianco a lei, lo sguardo comprensivo. Non meno confusa, bevve avidamente un sorso.
“Non mi interessa, Mickey.” sussurrò, la bevanda calda che le solleticava la gola.
Gli occhi già grandi del ragazzino divennero immensi.
“Co… come non ti interessa?” balbettò incredulo “Devi ascoltarmi!”
“No.” ribatté lei, continuando a bere “Ho deciso di chiamarmi fuori. Non vedo, non sento, non parlo… come le tre scimmie, hai presente? Fate finta che io non esista più.”
Michele si sporse in avanti sul tavolo, assottigliando lo sguardo.
“Tu non sei una scimmia.” fremette “E devi ascoltarmi.”
“No.”
“Veronica!”
“Ho detto no.”
Un mugolio frustrato gli sfuggì dalle labbra: “Ma… ho combinato davvero un casino, Vero! E c’entra Simone. E Cicì. E lo sai che io odio fare guai del genere, ma non lo faccio volontariamente, davvero! Lo giuro! Non so com’è possibile, capisci?”
Veronica restò impassibile, le parole del ragazzino che le facevano vibrare una corda che conosceva bene. 
“Mi devi aiutare.” provò ancora Michele “Non vuoi… non vuoi aiutarmi?”
Lei deviò lo sguardo, allontanandolo da quello disperato del suo piccolo coinquilino: girò il viso, imbattendosi nell’espressione attenta del cameriere. Non era realmente sorpreso o interessato alla faccenda. Semplicemente osservava. In silenzio.
E Veronica non riuscì a trovarvi alcunché di male. Lei non faceva più parte del giro: se lui voleva farsi avanti e prendere il suo posto, prego.
Quando tornò a guardare davanti a sé, Michele era sparito. Scomparso nel nulla.
Veronica sospirò, incrociando di nuovo le braccia sul tavolo e poggiandovi la testa: voleva dormire, okay? Era possibile o doveva chiedere un permesso speciale anche per quello? Chiuse gli occhi, la nebbia silenziosa di prima che tornava a confonderle le idee, avvolgendola delicatamente. E poi successe. Di nuovo.
Lo stesso rumore improvviso e stridente. La medesima, dannata sedia di prima. Provò a ignorare la cosa, ma socchiudere un occhio fu più forte di lei: nonostante il ciuffo di capelli biondi che le oscurava al visuale lo vide ugualmente. Un metro e novanta di stupidità che continuava ad affermare di condividere il suo stesso patrimonio genetico.
“Non hai idea di cos’è successo.” ringhiò Lorenzo, appropriandosi del suo bicchiere di caffè.
Veronica sollevò il capo con indolenza, sbattendo piano le palpebre.
“Simone.” borbottò il fratello “Dovrei pestarlo, sai? Come… come si è permesso? Chi diamine crede di essere? Non ha il diritto di comportarsi così, giusto?”
Quasi si strozzò con il caffè, tanta l’enfasi che metteva in quello che stava dicendo. Posò il bicchiere e la fissò: “Mi stai ascoltando?” chiese serio.
E lei scosse la testa.
“E’ importante!” sbottò allora Lorenzo, stralunato “Simone ha…”
“Non mi interessa.” lo interruppe Veronica “Non andare avanti, fermati qui. Non mi interessa, non lo voglio sapere, non sono più fatti miei.”
“Stai delirando.”
“Davvero. Non mi interessa.”
Lorenzo si sporse verso la sorella, incatenandone lo sguardo: “Che diavolo ti prende, si può sapere? Non puoi disinteressarti di tutto così di colpo, lo sai?”
“Perché non potrei, eh?”
“Perché non è una telenovela alla televisione. Non puoi premere un bottone e spegnere tutto. Non puoi. Perché è di noi che si tratta, hai capito? Di noi. Facciamo parte di te come tu fai parte di noi.”
Veronica deviò lo sguardo, reprimendo un gemito.
“Guardami.” fece Lorenzo.
Lei non ubbidì e fu il fratello ad afferrarle il mento con due dita, voltandole gentilmente il capo: “Non so cosa ti prenda, davvero.” mormorò, le sopracciglia aggrottate “Non è così che funziona, però. Almeno non per te. Non sei il tipo che scappa alla prima difficoltà, principessa.”
“E’ la milionesima difficoltà, Lori!” esclamò Veronica, rossa in viso “Non la prima, okay? L’ennesima! Sono stanca. Tanto, ma tanto stanca. E non voglio saperne più niente.”
Lorenzo le lasciò andare il mento, tornando a sedersi con un sospiro sconfortato.
Lei si sfregò gli occhi, bevendo l’ultimo sorso di caffè: “Mi… mi accompagni a casa?”
“No.”
Un nuovo bicchiere di caffè le comparve improvvisamente fra le mani, ma lei non fece in tempo a degnare di un solo sguardo il cameriere che Lorenzo cominciò a parlare.
“Non ti accompagno da nessuna parte.” fece “E sai perché? Perché sono convinto che poi te ne pentiresti amaramente.”
“Di cosa? Di cosa dovrei pentirmi?!”
“Di aver abbandonato tutti e tutto. Non sei così. Non ne sei capace.”
“Lorenzo senti…”
Lui scosse la testa, il ciuffo biondo che gli copriva un occhio.
“Non ne sei capace.” mormorò ancora, guardandosi attorno “Scommettiamo?”
Veronica trovava sempre più difficile seguire il discorso, l’effetto della caffeina che tardava a farsi sentire.
“Scommetto che fra meno di dieci… cinque minuti non sarai più in grado di ostentare quest’atteggiamento menefreghista. Ci stai?”
Lei schiuse le labbra per dire qualcosa ma Lorenzo si era già alzato in piedi, un sorriso da Stregatto a piegargli le labbra. Si piegò leggermente verso l’orecchio della sorella e, prima di sparire, ripeté: “Non ne sei capace.”
Veronica non fiatò, limitandosi a ingurgitare altro caffè. Fu con la coda dell’occhio che colse quel movimento. Lo stesso movimento che probabilmente aveva notato anche Lorenzo: Cinzia. Cinzia che percorreva sbandando il corridoio, avvicinandosi sempre più all’entrata della caffetteria.
Al diavolo. Cos’era, una congiura? Una specie di staffetta? Uno alla volta, uno dopo l’altro, pronti più che mai a farle saltare gli ultimi nervi che le restavano?!
Il suo sospiro si fuse con quello del cameriere seduto al suo fianco. Si guardarono. Lui annuì, masticando: “C’è movimento.”
E Veronica si passò una mano fra i capelli.
Questa volta la sedia non fece rumore: la brunetta prese posto senza farla minimamente strusciare per terra. Cinzia la fissò, lo sguardo indecifrabile. E poi sospirò a sua volta.
“Racconta.” disse, bevendo un sorso dal bicchiere dell’amica.
“Come?” balbettò Veronica in risposta, presa completamente in contropiede.
“Racconta.” ripeté Cinzia, annuendo seria “Cos’è successo? Come ti senti? Che ti ha detto? Cosa non ti ha detto? Altre bugie?”
“Io…”
“E perché indossi la divisa da ospedale di Daniele?”
Veronica si riappropriò del bicchiere, rimpiangendo l’assenza di alcool nella bevanda.
Cinzia si preoccupava per lei, chiedeva di lei, pensava a lei. Prima che a se stessa. Al diavolo. Non poteva darla vinta così a Lorenzo.
“Ehi.” la richiamò l’amica “Racconta, dai. Sfogati, Vero.”
Chiuse gli occhi, scuotendo mestamente il capo. Mai scommettere contro Lorenzo. Mai.
“Cicì.” sussurrò, un groppo in gola “Che ti è successo?”
L’altra sgranò gli occhi, arretrando istintivamente: “Come?”
Veronica si sporse per afferrarle saldamente una mano: “Sei sconvolta, tesoro.” mormorò, la preoccupazione che aumentava.
“Io…” fece Cinzia, mordendosi un labbro “Io stavo interrogando te, Vero. Com’è che abbiamo cambiato così discorso, eh? Racconta prima tu, dai.”
“Cicì.” insisté Veronica, sicura di sé e sempre più inquieta “Parla.”
Quella ruotò gli occhi, ostentando un’indifferenza niente affatto credibile. Poi Veronica rafforzò la stretta sulla mano dell’amica e lo sguardo della brunetta si riempì di lacrime, irrefrenabili: “Simone.” singhiozzò, sdraiandosi quasi sul tavolo pur di riuscire a nascondere almeno in parte il viso “Lui, lui mi ha dato della puttana, capisci? Ha scoperto tutto… anche se non ho idea di come sia possibile che non l’abbia capito prima e…” un singhiozzo convulso le scosse le spalle, spezzandole la voce “… ha detto tante cose brutte, Vero. Erano come tante pugnalate, okay? Una dopo l’altra. Una più a fondo dell’altra.”
Veronica si alzò, aggirando il tavolino senza tuttavia lasciare la mano di Cinzia: la sollevò con delicatezza, quel tanto che bastava affinché potesse sedersi sulle sue ginocchia. E l’abbracciò. Con tutta la forza che aveva.
“E’ uno stronzo, Cicì.” sussurrò, continuando a ripeterlo, carezzandole i capelli e stringendola a sé “E’ un ragazzo. E’ sua prerogativa essere stronzo, no? Non può essere altrimenti. E’ nella sua natura.”
Cinzia continuava a piangere, scuotendo leggermente il capo contro il petto dell’amica.
“No, no…” borbottava “… avevamo un appuntamento, noi.”
“Vuoi che lo castri?” chiese Veronica, scostandole i capelli dal viso “Prendo in prestito le tue cesoie e…”
Non riuscì a continuare la frase, colpita da quello che lesse negli occhi dell’altra. 
“Lui… lui ti piace davvero.”
Cinzia non rispose. Più di mille parole in quel silenzio.
“Oddio.” scandì piano la biondina, rafforzando la presa “Ti piace proprio.”
“Io…” tirò su col naso Cinzia “… è dolce. Non avevo mai avuto a che fare con qualcuno così dolce, sai? E’… è come una fragola gigante, Vero. Ricoperta di cioccolato e con la punta di panna montata.”
“Non è che è solo fame la tua?” cercò di scherzare Veronica, inutilmente.
“E’ dolce. E attento. E timido all’inverosimile. E… ascolta, ride, dice cose che non riesco minimamente a capire e… so che ti sembrerò pazza ma davvero, davvero mi ero affezionata all’idea che…”
Le mancò la voce, un nuovo singhiozzo che le toglieva il respiro: “E poi stasera. Urla. E… tutte quelle pugnalate, io…”
Veronica la tirò di nuovo a sé. Il neurone più efficiente, seppur di malavoglia, ritirò la bandiera bianca.
Non ne sei capace.
Mai. Mai scommettere con Lorenzo. Non ne sei capace.
Di ignorare il dolore di Cinzia? No, certo che non ne era capace. E se questo voleva dire perdere una stupida scommessa, ben venga. 
Non ne sei capace. E se voleva dire rientrare nei giochi, va bene.
Fino a un certo punto, però.
Solo per ciò che riguardava Cinzia. Il che forse includeva privare la fragolina rossa degli attributi, ecco, ma non per altro. Per nient’altro. Solo per lei. Per Cinzia.
Non ne sei capace.
“Ci penso io, Cicì.” sussurrò, scoccandole un bacio sui capelli “Ci penso io adesso, okay?”

 

~

 

Veronica percorse il corridoio a passo di marcia.
Implacabile.
Si fermò di fronte a quella porta. La porta. E bussò. Probabilmente quasi abbatté.
“Simone esci!” sbraitò, senza fermarsi “So che sei lì dentro, lurida fragola, esci immediatamente!”
L’infermiera seduta dietro il bancone all’angolo fece per alzarsi, uno sguardo inviperito e le braccia incrociate, quando la porta si schiuse appena, mostrando due occhi grigi e una zazzera rossa.
“Ve… Veronica?” sussurrò il ragazzo, gli occhiali che rischiavano di scivolargli dal naso.
Lei ghignò, scuotendo leggermente il capo e afferrando repentinamente il bavero della maglia di Simone: “Ma no!” esclamò “Sono Babbo Natale, spero mi perdonerai per il leggero anticipo!”
“Ascolta, non credo sia il caso di…” tentò lui, il fiato che gli mancava per la presa ferrea della ragazza.
Veronica smise di sorridere, trascinandolo in corridoio. Per un solo istante, un misero, infinitesimale attimo, intravide anche Matteo. E Sofia. Vicini. Nella stanza.
Non ne sei capace.
La porta si chiuse alle spalle di Simone e lei sbatté le palpebre per rimuovere quell’immagine decisamente non appropriata. Fastidiosa, anzi. Insopportabile, perché no.
“Cosa diavolo ti è preso?” ringhiò Veronica, spingendolo con le spalle contro il muro.
“A me?” balbettò Simone, gli occhi sempre più sgranati “Sicura di… di star parlando con la persona giusta? Non è che… non è che vuoi che ti chiami Matteo, per caso?”
“No!” sbottò Veronica “E’ con te che sono furiosa non con Matteo!”
Lui sembrò rimpicciolire, abbassandosi all’altezza di lei, l’espressione tesa: “Abbassa la voce.” bisbigliò “E’ un ospedale, dai.”
“Tu.” riprese lei in un ringhio “Sei arrivato da noi che sembravi Bambi. Un povero, vulnerabile cucciolo rosso e smarrito. Senza voce. Sbaglio?”
“Non capisco dove tu voglia arrivare.” ribatté Simone, lo sguardo più serio.
“Non avevi voce, Simone.” continuò lei “E quand’è che decidi di tirarla fuori, eh?”
“Non eri presente.”
Si era risollevato, aggiustandosi gli occhiali.
“Le hai gridato contro.” fremette Veronica, controllando a stento la rabbia “Contro Cinzia!”
“Mi ha mentito!” fece lui, il tono acuto “Mi ha mentito!” scandì ancora, tremante.
“Non è vero!”
“Sì!” sbottò “Sì che lo ha fatto. Senza pensarci due volte. Avevo tutto il diritto di arrabbiarmi, che diavolo! E non ho detto nulla che non rispecchiasse la realtà, porca miseria!”
“Incredibile…” si allontanò appena Veronica, lasciandolo andare “Tu non hai idea. Non hai la più pallida idea di quanto fragile sia quella ragazza.”
“Fragile?” ripeté Simone, sarcastico “A me è sembrata tutto fuorché fragile.”
“Non la conosci.” sibilò lei “Non la conosci nemmeno un po’, non hai il minimo diritto di emettere giudizi.”
Il ragazzo fece per dire qualcosa ma Veronica lo precedette, fulminandolo con lo sguardo.
“Come se tu, poi, fossi l’emblema della sincerità.”
“Prego?”
“Accusi lei di aver mentito. E tu?” si avvicinò di nuovo, un’espressione di sfida “Sei stato sincero, tu?”
“Non ho mai mentito.”
“Neanche una bugia bianca?”
E a Simone caddero gli occhiali. Si chinò in fretta e furia per riappropriarsene, le dita incerte.
“Dove hai passato le ultime notti, Simone?” continuò Veronica, implacabile.
“A casa di amici.”
“Una specie di pigiama party?” provò lei “O qualcosa di più simile a un’orgia?”
“Co… cosa?! Che dici? Io non… non sono gay!”
“Non l’ho mai detto.”
Simone non si rialzò, preferendo restare seduto sul pavimento, la testa poggiata sulle ginocchia strette al petto: “Non potevo parlarvene, okay?” disse “Ora forse… presto. Se tutto si risolve per il meglio.”
“Non dirmi che anche tu sei invischiato nel giro della droga.” borbottò lei, scivolando a sedere al suo fianco.
Lui sollevò il viso, sinceramente sorpreso: “Sai di Matt?”
“Cos’è,” mormorò Veronica annuendo “siete in affari assieme?”
“No, certo che no.”
“Prostituzione anche tu? Porno?” tentò ancora “Sei arrabbiato con Cinzia perché volevi avere l’esclusiva?”
“Non è divertente.”
Per un po’ nessuno disse alcunché. Restarono in silenzio, gli sguardi persi, i pensieri confusi. Poi Veronica gli rifilò una gomitata nello stomaco, precisa e penetrante.
“Te la meritavi.” sussurrò, a mo’ di spiegazione “Ed è solo l’inizio.”
Lui si piegò in avanti, improvvisamente a corto di fiato. E lei sorrise vagamente, scuotendo piano il capo: “Sai cosa?” mormorò, poggiandogli una mano sulla spalla “Non sei male, dopotutto. Devi solo far funzionare meglio quel tuo cervellino. Hai sbagliato. E presto o tardi te ne renderai conto. Spero per te presto.”
Veronica si alzò in piedi, le dita che arruffavano i capelli di Simone con un po’ troppa forza:
“Neanche tu sei un santo. Nessuno è perfetto. E tutti hanno dei segreti, più o meno brutti. Sbaglio?”
Simone non disse niente, ancora piegato in due. Lei si strinse per le spalle, facendo per allontanarsi: “Chiedile scusa.” aggiunse, muovendo i primi passi.
Non fece in tempo a percorrere un metro, però, che quella porta si aprì: una mano ne uscì, agguantandola per la manica senza troppe premure. Veronica si voltò, sinceramente meravigliata e incontrò un paio di occhi neri.
“Teo?” sfiatò, presa in contropiede.
Lui annuì, lanciando solo una veloce occhiata in direzione di Simone.
“Vieni dentro.” disse, la voce roca, tornando a fissarla con determinazione.
“Come?”
“Vieni dentro.” ripeté lui, attirandola a sé senza darle il tempo di realizzare la frase. Lei quasi gli sbatté contro, inciampando miseramente nei suoi stessi piedi: riuscì a reggersi in piedi per pura fortuna, incredula.
“Sofia, ci lasceresti soli, per favore?”
Sentì il pavimento che le tremava sotto i piedi. Aveva… stava davvero cacciando Sofia?
Sollevò lo sguardo, bisognosa di accertarsi della situazione. 
“Hai bisogno di qualcosa, Mattèo?” domandò la francesina, avviandosi di malavoglia in direzione della porta.
“No, grazie.”
“Sicuro?”
Lui neanche rispose. E Sofia uscì dalla stanza, lasciandoli soli. In quella stanza d’ospedale. La stanza.
“Devo parlarti.”
“Con me?” balbettò Veronica, timorosa anche solo di guardarlo in faccia “Sei sicuro?”
“Ti dona il blu, te l’ho mai detto?”
Okay. Sollevò di scatto lo sguardo, scandagliando l’espressione di lui.
Si avvicinò, poggiandogli una mano sulla fronte: “Sicuro di non avere la febbre?”
Matteo le prese la mano, stringendola fra le sue e sorridendo. Sì, sorridendo. Non ghignando.
Sorridendo.
Oh, mio Dio. Sorrideva. Matteo era in grado di sorridere!
Veronica quasi si sentì svenire, il cuore che accelerava e decelerava senza alcun controllo. Diamine.
“Ti mette in risalto gli occhi.” continuò lui “Non che abbiano bisogno di essere resi più belli.”
“Mi stai spaventando, davvero.”
“Voglio solo parlarti.”
“Forse dovrei chiamare qualcuno.”
“Ragazzina,” la fermò Matteo, le mani che si ancoravano sulle spalle di lei “voglio parlare con te.”
Veronica annuì appena, scuotendo subito dopo il capo.
E Matteo rise.
La miseriaccia nera, rise. Spaventandola a morte.
“Forse sta impazzendo.” mormorò Veronica fra se e se, il tono di voce basso. Eppure lui udì ugualmente il commento e cominciò a ridere più forte. Una risata calda, coinvolgente, rassicurante.
Una risata di cui era facile, troppo facile, innamorarsi.
Veronica lo fissò, le labbra dischiuse per la sorpresa e il capo leggermente inclinato di lato: rilassato, ecco come appariva. Un’espressione serena che non aveva ancora mai visto.
Le labbra stirate in un sorriso, gli occhi ridenti e luminosi. Era come se emanasse luce. 
Inquietante, sì. Fottutamente inquietante.
“Sai dove siamo, non è vero?” chiese lei, prendendogli il viso fra le mani.
“Certo.” annuì Matteo, ruotando il volto quel tanto che bastava a lasciarle un bacio sul palmo “In ospedale.”
Veronica si sforzò di ignorare il punto in cui lui l’aveva baciata e provò ancora.
“Matteo…”
“Siamo in ospedale,” fece lui, sicuro, interrompendola “nella camera di mio fratello.”

 

~

 

Simone si reggeva la testa fra le mani.
Respirava piano, cercando di riportare il battito ad un ritmo normale. Brutta, brutta gomitata davvero.
Sentiva ancora le parole di Veronica rimbombargli nelle orecchie, qualcosa di molto simile ad un senso di colpa che cominciava a farsi sentire lì: nel punto in cui lei lo aveva colpito. 
Che fosse tutto programmato?
“Non ha senso, giusto?” mormorò “Io sono dalla parte del giusto, no?”
Sofia al suo fianco sussultò, guardandolo di sbieco.
“Ho ragione io. E’ lei che ha sbagliato. Io sono completamente dalla parte del giusto, giusto? Giusto?!”
“Vuoi sapere cosa sarebbe giusto, Simo?” sibilò lei, alzandosi in piedi a fatica “Che tutti voi uomini spariste dalla faccia della terra. Perché non ne fate una giusta, in realtà. Sbagliate. Una volta dopo l’altra. Sempre.”
“Noi non…”
“Voi sbagliate sperando che noi donne riusciremo a ignorare i vostri errori. O a perdonarli. O a dimenticarli. Quando non è possibile, perché ce lo rendete sempre più difficile. E ci ferite, sempre. Ma sai cosa?”
Simone rimpicciolì, la tremenda impressione che tutte le donne ce l’avessero con lui.
Chi altro lo avrebbe sgridato? L’infermiera? Le lanciò un’occhiata e gli sembrò più inviperita di quanto già non fosse. Sì, probabilmente gli avrebbe urlato contro anche lei.
“Mi sono stancata di subire. Alla prossima cazzata che fate non rispondo più di me. Chiaro? Che sia tu, un illustre sconosciuto o quell’emerito deficiente del tuo amico. Non mi interessa.”
Sofia si allontanò i capelli dal viso, un’espressione dura negli occhi.
Simone non fece in tempo ad aprire bocca che lei già si era defilata, il picchiettio dei tacchi che rimbalzava sulle pareti bianche e spoglie. Lui sospirò, internamente sollevato. Meno donne aveva attorno in quel momento meglio era, decisamente. Lanciò una rapida occhiata per il corridoio, terrorizzato all’idea di vederne arrivare qualcun’altra: e se Cinzia gli fosse passata davanti? Cosa avrebbe potuto fare?
Forse, cominciò a ponderare, poteva provare a mimetizzarsi con il muro. Oppure, poteva chiedere asilo politico all’infermiera e usare lei come scudo umano se la situazione lo avesse reso necessario. O ancora…
Fu con un po’ di ritardo che sentì i passi. Troppo concentrato sulle diverse opzioni, non ci aveva fatto caso. E non erano i tacchi di Sofia, di questo era sicuro. E sollevato.
Gli occhi socchiusi, guardò intimorito chi arrivava dal fondo del corridoio: a stento trattenne un sospiro nel momento in cui riconobbe Michele. Solo lui. Il piccolo, adorabile Mickey. Sorrise, reclinando il capo contro il muro e facendogli segno di avvicinarsi.
“Non sai che paura mi hai fatto.” disse “Temevo fosse qualche altra componente del genere femminile pronta a farmi la pelle, ti giuro. Oddio, Mickey, ho bisogno di supporto morale.”
Michele lo aveva raggiunto: se ne stava in piedi, rigido come una statua.
“Non è certo da me che lo avrai.” sibilò gelido.
Simone non disse niente, le labbra dischiuse per la sorpresa.
“Come hai potuto… come hai potuto, Simo?” balbettò il ragazzino, la voce tremante.
Le labbra strette, pallide, tremanti anch’esse. Simone sbatté le palpebre, incredulo.
“Non capisco.” sussurrò, scuotendo il capo e allungando le dita verso Michele. Lui si scansò, un lampo furioso che gli attraversava lo sguardo.
“Hai insultato Cinzia.” lo assalì “Cosa diavolo ti è passato per la testa?!”
“Michele, ascolta…”
“Non ascolto un bel niente! Sei un bastardo! Un lurido bastardo!” inveì il ragazzino “E non capisci niente! Non capisci assolutamente niente! Hai idea di… hai idea…” si fermò, cercando di riprendere fiato “No. Non ne hai la più pallida idea. Hai semplicemente dato aria alla bocca.”
“Michele…”
“Ti credevo mio amico.”
Simone non ribatté, incapace di emettere il minimo suono.
“Ci credevo, davvero. E volevo aiutarti.” scosse il capo, arretrando ancora “Poi tu...”
“Mi dispiace.” mormorò Simone, sollevando a stento lo sguardo.
“Non mi interessa.”
“Non fare così, ti prego.” lo supplicò Simone “Non anche tu.”
Quando fece per alzarsi, Michele si allontanò ancora di più, ricominciando a camminare come se Simone non lo avesse fermato. Come se non fosse successo niente.
Come se non avesse incontrato nessuno.
“Mickey…” lo chiamò un’ultima volta, disperato.
“Vai al diavolo.”

 

~

 

“Tuo… tuo fratello?”
Veronica quasi perse l’equilibrio, l’impressione che l’onda d’urto provocata da quell’ultima affermazione fosse tanto forte da gettarla per terra. Fratello?
“Da quand’è che hai un fratello?” balbettò, guardandosi velocemente in giro.
Se anche Matteo rispose lei non lo sentì.
Fissava il letto bianco. Quel letto a cui non aveva prestato la minima attenzione entrando, troppo concentrata sul repentino cambiamento di personalità di Matteo. Del giovane Fiori.
Giovane Fiori.
Donatello lo aveva chiamato così. Giovane Fiori. Come a voler implicare l’esistenza anche di un Fiori più grande. Non il padre. No. Il fratello. Un fratello maggiore.
Veronica sbatté più volte le palpebre, incredula. Era stata cieca? Quanti altri indizi aveva avuto, eh
“Ronnie?”
Ignorò il richiamo. Ignorò le mani di lui che le massaggiavano le spalle. Ignorò.
“Fratello.” ripeté più che altro a se stessa “Fratello.”
E fissò il ragazzo nel letto. Due, tre anni più grande di Matteo, forse?
I capelli scuri, leggermente spettinati. La barba fatta. Le stesse labbra del fratello. Fratello.
Aveva gli occhi chiusi, il respiro quasi impercettibile. Fratello.
Il lenzuolo bianco lo copriva fino al petto, rimboccato con cura. Fratello.
“Non sei figlio unico?”
Matteo ridacchiò, forzandola a girarsi verso di lui: “Tu che dici?” chiese, un sorriso smagliante “Ti piace?”
“Chi?”
“Giovanni!” esclamò Matteo, il sorriso se possibile ancor più luminoso “Ti piace?”
“Tuo… tuo fratello?”
“Ho come l’impressione che tu non abbia ancora digerito l’informazione, ragazzina.”
“Tu hai un fratello.” ripeté lei, a riprova di ciò che lui aveva appena detto “Un fratello che si chiama Giovanni. Giovanni è tuo fratello.”
“Sì.” approvò Matteo “Quale che sia l’ordine delle parole la verità è sempre la stessa.”
“Tu mi stai dicendo la verità.”
“E’ una domanda?” fece lui, leggermente confuso.
“No.”
Veronica smise di guardarlo, la mente appannata dai denti brillanti di lui. Dal suo sorriso splendente. Da quella dannatissima felicità contagiosa che sembrava sprizzare da tutti i pori, anche dalle orecchie.
“La verità, Ronnie.” mormorò Matteo, sollevandole il mento “Niente più bugie.”
“Perché ora?”
“Perché non ora?”
Veronica deviò ancora una volta lo sguardo, intontita. Diede le spalle a Matteo, avvicinandosi al letto. E inclinò il capo, guardando Giovanni: “E’ bello.” sussurrò, sorridendo appena.
“Più di me?” le bisbigliò Matteo all’orecchio, abbracciandola da dietro.
“Cos’ha che non va?”
“E’ in coma.”
Lei annuì, poggiando una mano sopra quella di Matteo. E la strinse.
“Non mi hai risposto.” continuò lui “E’ più bello di me, sì o no?”
“Mi dispiace, Teo.”
“Perché è più bello di me?”
“Mi dispiace, davvero.”
“C’è stato un miglioramento.” fece lui, stringendole a sua volta la mano “Un miglioramento, capisci?”
Veronica riusciva a sentire la gioia che traboccava da quelle parole, una felicità travolgente. Voltò il capo, di poco, quel tanto che bastava a scoccargli un bacio sulla guancia.
Matteo chiuse gli occhi, aumentando la presa attorno alla vita di lei: “Gli saresti piaciuta.” disse, correggendosi subito dopo “Gli piacerai sicuramente.”
Se la rivoltò fra le braccia, fissandola con due occhi sveglissimi: “Ti adorerà.” affermò “Tu, con la tua sfacciataggine, le tue folli idee, i tuoi impossibili modi di fare…”
“Da quanto tempo è qui?”
“Un anno. Poco più di un anno. Un anno e mezzo.”
“Un anno e mezzo?”
Matteo annuì, chiudendo gli occhi per un istante. Solo per un attimo.
“Mi dispiace.” bisbigliò Veronica, una mano che saliva a carezzargli la guancia.
“Non mi hai ancora risposto.” fece lui, un timido sorriso che gli illuminava di nuovo il volto.
“Ho dimenticato la domanda.”
“E’ più bello di me?”
“No.” sussurrò lei, la fronte che si appoggiava contro la sua “Assolutamente no.”

 

~

 

“Michele?”
Lui rallentò, malvolentieri, aspettando che fosse l’altro a raggiungerlo.
“Ehi, finalmente ti ho trovato!” esclamò Silvestro, sollevato “Siete scomparsi tutti, che diavolo! Non ho idea di cosa stia succedendo, non uno di voi che risponda al cellulare, nemmeno un…”
Si fermò, la voce che gli veniva meno mentre si rendeva conto che qualcosa non andava: assottigliò lo sguardo, chiedendosi se fosse colpa della scarsa illuminazione di quel particolare corridoio o se realmente le spalle del ragazzino fossero scosse da un leggero tremore. Mosse qualche passo, posizionandosi di fronte a Michele.
E ammutolì.
“Ehi.” sussurrò, a corto di parole “Cosa… cos’è successo?”
Michele distolse lo sguardo, una mano che correva a coprirgli le labbra.
“Non… non capisco.” mormorò Silvestro, carezzandosi la pelata, ancora stordito. Non era abituato a vederlo in quelle condizioni, non quando non c’entravano i suoi genitori.
L’ultima volta che aveva visto quell’espressione sul volto di Michele, all’ospedale gli avevano dovuto mettere dieci punti. 
Silvestro fece per avvicinarsi, incerto. E Michele arretrò.
“Ti va… ti va di parlare?”
Lui scosse la testa.
“Lo sai che io sono qui, vero?” chiese ancora “Che ci sono sempre. In ogni momento. Per qualsiasi cosa.”
Michele reclinò il capo all’indietro, gli occhi chiusi con forza.
“Ci sono per te, Mickey. Sempre.”
“Perché dovresti?” sussurrò il ragazzino, la voce roca “Eh, perché?”
“Perché sì.”
“Eri arrabbiato con me.” fece, costringendosi a guardarlo “Non ti ho aperto la porta. Non ti ho ascoltato. Come fai a non avercela ancora con me? Perché non sei più arrabbiato?! Dovresti!”
“Non sono arrabbiato.” ribatté Silvestro, calmo “Lo sono stato, è vero, ma non significa niente e tu dovresti saperlo. Come fai a dubitare ancora di certe cose, eh, ragazzino?”
“Sono abituato così!” sbottò Michele “Sono abituato a non fidarmi, okay? Perché lo so che prima o poi anche tu mi volterai le spalle, lasciandomi da solo. Perché sono io ad essere sbagliato. Sono io che ho qualcosa che non va, a quanto pare. E sbaglio sempre. Una volta dopo l’altra. E…”
Silvestro non lo lasciò continuare, tirandolo a sé con vigore, le braccia che lo stringevano con tutta la forza che aveva. Soffocandolo quasi. Contro il suo petto, togliendogli il respiro.
In un primo momento lo sentì irrigidirsi per la sorpresa, confuso, impreparato. Poi anche le ultime forze lo abbandonarono e si lasciò andare fra le sue braccia.
E allora lo strinse ancor di più.
“Non c’è qualcosa che non va in te.” sussurrò.
Michele si agitò appena, come per negare con il capo. Un sussulto che gli scuoteva le spalle.
“Non rimarrai solo, ragazzino.” mormorò ancora, il tono fermo.
“Invece sì.” singhiozzò lui “Ho combinato un casino, Bond. Un casino enorme. Cicì mi odierà a morte. E anche Veronica. E tu… ed è tutta colpa mia. Tutta mia. Non sono buono a niente. Tutta mia…”
“Smettila.” fece Silvestro, chiudendo gli occhi “Io non ti odio.”
“Lo farai, lo farai…”
“Non è vero, Mickey, no. Ti devi calmare, va bene? Sei stanco e non…”
“E’ tutta colpa mia, Bond.”
“Non hai fatto niente.”
“Li ho fatti litigare!” si agitò lui, cercando inutilmente di divincolarsi “Litigare, non capisci?! Come… come con mamma e papà! Come…”
Gli mancò il fiato, un lampo di terrore che gli attraversava lo sguardo: “Come mamma e papà.”
Silvestro non disse niente, afferrandolo saldamente per le spalle e fissandolo negli occhi: “Basta.” sussurrò “Ora andiamo a casa. Insieme. E ci beviamo una camomilla.”
“No, no. Dobbiamo…”
“Andare a casa.”

 

~

 

“Mi fai impazzire, lo sai?”
Veronica sorrise appena, cercando di non lasciarsi attraversare da quello sguardo. Uno sguardo che era troppo.
“In negativo, immagino.” mormorò, provando ad allontanarsi, anche solo di un passo.
“Certo che in negativo.” rispose Matteo, serrando ancora di più la presa attorno alla vita della ragazza “Come potrebbe essere altrimenti? Tu con i tuoi sbalzi di umore, le tue domande impertinenti…”
“Il problema quindi sarei solo io, eh?”
“Sì.” sorrise lui, lasciandola senza fiato “Sei il mio problema.”
Non fece in tempo ad aprire bocca: non riuscì nemmeno a sbattere le palpebre, niente. Fu questione di un attimo e le labbra di Matteo si poggiarono sulle sue, irruente.
Non fece in tempo a pensare, a realizzare cosa stesse accadendo: non riuscì a far altro che ricambiare il bacio. Con tutta se stessa. Perché se anche una parte di lei continuava a urlare che era sbagliato, era una parte che in quel momento non aveva la più piccola possibilità di vittoria. Perché era di un bacio di Matteo che si stava parlando. Lui. 
Lui e quelle sue dannatissime labbra che sembrava non poter in alcun modo evitare.
“Un problema, eh?” sussurrò, stringendosi il più possibile al ragazzo, le mani che si allacciavano dietro il suo collo, le dita che piano salivano fra i suoi capelli.
“No, ragazzina.” rispose a stento lui, mordicchiandole il labbro “Non un problema. Il mio problema.”
Veronica annuì, la vaga impressione che fosse una risposta accettabile. 
Matteo ridacchiò, scuotendo impercettibilmente il capo: “L’ho detto che mi fai impazzire.”
“Stiamo sbagliando, Teo.” fece lei, cercando di riprendere fiato.
“Ah, sì? A me non sembra.”
Arretrò, impedendogli di avvicinarsi di nuovo: “Non qui, Teo.”
“Perché?”
“C’è tuo fratello nel letto!” esclamò Veronica, il tono leggermente stridulo “Tuo fratello. Nel letto.”
“Lo so.”
E gli occhi di lei si dilatarono, come se solo in quel momento avesse realizzato qualcosa di molto importante: “Non sei in te.” disse, poggiandogli le mani sul petto, ferme.
“Non sono… certo che sono in me!”
“No! No, no, no, no! Tu sei sconvolto! Tu…”
“Non sono sconvolto! Sono felice, al settimo cielo, Ronnie!”
“Tu sorridevi! E ridevi!”
“Tutti modi di esternare gioia, vorrei farti notare.”
“Ti brillano gli occhi, Teo.”
“Questo anche perché sto guardando te.”
E Veronica arretrò di scatto, negando con fare caparbio. Negando, negando, negando.
“Ti sei aperto,” borbottò “stavi parlando e…”
“Sto bene.” la fermò lui, allargando le braccia “Sto benissimo.”
“Stai bene?”
“Sì.”
“Sei… sei in te?” chiese ancora, allontanandosi con una mano i capelli dal viso “Totalmente in te?”
“Più in me di quanto non lo sia mai stato.”
“E tuo fratello?”
Matteo si strinse nelle spalle, avvicinandosi lentamente: “Dovrà abituarsi ad assistere a spettacoli del genere, non credi?”
“Teo!”
“Cosa?” ghignò lui, costringendola ad arretrare fino alla porta “Non sei d’accordo?”
E quando le labbra di lui le solleticarono il collo non riuscì a far altro che annuire. Sì. Sì, era d’accordo. Le dita, come guidate da una forza sconosciuta, tornarono docili fra i suoi capelli. E lo lasciò fare.
Reclinò il capo all’indietro, contro la porta, contenta che ci fosse qualcosa a cui appoggiarsi: qualcosa che le impedisse di cadere. Sorrise, solleticandogli le labbra con la lingua: “Sei pazzo.” mormorò “Totalmente pazzo.”
“Allora siamo perfetti insieme, no?” ribatté Matteo, le mani che veloci scendevano sotto le cosce di lei.
La sollevò, continuando a baciarla con tutto il fiato che aveva. Senza perdersi un respiro. Come se non avesse mai fatto altro. Come se non avesse mai sognato altro.
Veronica fece leva sulle sue spalle, la gambe che gli si chiudevano attorno alla vita. Le mani scesero lentamente, scivolando caute nel colletto della camicia di lui, carezzandogli le spalle calde. E sorrise, incapace di fare altro.
“Quindi…” sussurrò Matteo “… dici che qui non sarebbe giusto?”
“Non saprei.” scherzò lei, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio “Probabilmente no.”
“E dove vorresti…”
Non riuscì a concludere la frase.
Aveva sentito qualcosa. Un battere. Forte.
Non era stato il suo cuore, ne era quasi certo. Era stato qualcos’altro. Qualcun altro.
“Hai sentito?” bisbigliò, il fiato corto “Hai sentito anche tu?”
“Hanno bussato.”
“Sei sicura?” gemette lui “Proprio a questa porta?”
Veronica gli rifilò uno schiaffo dietro la testa.
“Fammi scendere, fammi scendere!” sussurrò concitatamente, lo sguardo allucinato.
Matteo le liberò le gambe, attento che non perdesse l’equilibrio. Si fissarono per un momento, frastornati, per poi allontanarsi di scatto l’uno dall’altro. Senza fiatare.
Esattamente un attimo prima che la porta venisse aperta con forza.
Sofia li guardava, senza palare. L’espressione assente mentre osservava la scena che aveva davanti agli occhi: lui che si aggiustava la camicia, lei che cercava di pettinarsi i capelli. Insieme.
Incrociò le braccia, poggiando una spalla contro lo stipite della porta, l’aria rilassata. E osservava. Le labbra rosse e gonfie di entrambi. Gli occhi sfuggenti e luminosi. I respiri corti. Osservava.
“Va tutto bene?” chiese, premurosa, accennando un sorriso incerto.
Annuirono entrambi, senza guardarsi. Senza guardarla.
Lui che tossiva, dandole le spalle. Lei che fissava il pavimento, le dita premute sulle labbra.
Osservava.
“Verreste un istante fuori, per cortesia?” domandò, il tono gentile, lanciando un’occhiata veloce a Giovanni.
“Fuori?” mormorò Veronica, azzardandosi a guardarla per un secondo.
Sofia annuì, accennando con il capo in direzione del corridoio: “Non ci metterò molto, promesso.”
Vedendo che non accennavano a muoversi inclinò il capo, divertita: “Qualcosa non va, forse?”
“Niente.” risposero i due all’unisono, affrettandosi a uscire dalla stanza. Gli occhi bassi. Distanti.
Sofia li seguì, chiudendosi la porta alle spalle e fissandoli alternativamente. Sorridente.
Aveva smesso di osservare.
“Sai cosa, Matteo?” sibilò, avvicinandosi implacabile al ragazzo “Mi sono stancata.”
Il tono della francesina era gelido, minaccioso. Eppure, ciò che più spaventò gli altri due fu un particolare irrilevante. Difficile da notare, forse. Un semplice, minuscolo accento che non c’era più. Non aveva detto Mattèo, bensì Matteo.
Terrorizzati, ecco. Da un’inflessione mancante.
“Non credi di aver oltrepassato il limite?” continuò Sofia, ormai vicinissima, attirandolo a sé con fare brutale “Non credi, Matteo?”
Sotto lo sguardo appannato di lui gli aprì la fibbia dei pantaloni, sfilando la cintura senza fretta da ogni passante.
“Tradirmi una volta può anche andare.” sussurrò la francesina, assorta “Ma perseverare nell’errore, no, caro. Non va proprio. Non quando io sono presente. Nemmeno quando io sono assente. Non va e basta.”
“Sofia…” provò lui “Non è…”
“Non è come sembra?” sorrise lei, scoprendo i denti bianchissimi e sfilandogli definitivamente la cintura dai pantaloni “Non è come sembra…” ponderò, voltandosi verso Veronica.
Si rigirava la cinta fra le dita bianche, il capo leggermente inclinato di lato: “Quindi… quindi non hai infilato la lingua nella bocca di questa puttana qui.”
Matteo arretrò di un passo, scuotendo la testa senza convinzione.
“Quindi non ho interrotto niente.” continuò Sofia, fulminandolo “Non stavate per saltarvi addosso.”
“No.” squittì Veronica, lo sguardo basso.
“Certo che no!” sbottò la francesina “Perché vi eravate già saltati addosso!”
“Sofia…” la chiamò Matteo, la voce bassa, calma, implorante.
“Non ci provare neanche!” fremette Sofia, la fibbia della cinta che sfiorava di pochi millimetri la fronte del ragazzo “Non ci provare.” ripeté, scandendo ogni parola.
“Ascolta…”
“No! No che non ascolto! Andatevene all’inferno!” sibilò lei “Tu e quest’altra put…”
“Ecco!” intervenne una voce, interrompendola sul più bello.
Si voltarono tutti e tre: Lorenzo si avvicinava, un ghigno serafico sulle labbra.
“Sapete cosa?” fece, il ghigno che si accentuava “Ho come l’impressione di un déjà vu.”
Sofia si era azzittita, le mani che continuavano a giocare con la cintura di Matteo.
“Hai intenzione di frustarlo?” chiese Lorenzo, il fare innocente “Nel caso lo tengo fermo.”
“Perché invece non te ne vai?” ribatté Sofia, lo sguardo duro “E’ una questione privata.”
“Oh, lo so.” assentì il biondo “Lo so, lo so, lo so. Fatto sta che stanno arrivando altri spettatori, però. E sai com’è, mi sarebbe piaciuto avere una parte in questa bella scenetta.”
Sofia scosse furiosa la testa, troppo sconvolta per capire le parole di Lorenzo.
“No! Non c’è nessuna parte e parte! E’ una questione fra me e lui! Fra me e questo stronzo qua!”
Quando la risatina li raggiunse sussultarono tutti e tre. Eppure Lorenzo li aveva avvertiti.
“Hai visto, Debora?” sghignazzò una voce, chiaramente divertita.
I due si avvicinavano, implacabili.
“Te lo avevo detto che il ragazzo la stronzaggine l’aveva presa da te.”

 

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