Nessuno, nessuno al mondo sapeva di loro, era certo che nemmeno i
fidati Potter e Weasley avevano mai intuito quello che era successo.
Si era convinto che questo avrebbe dovuto aiutarla a buttare
nell'oblio il loro passato, eppure aveva sperimentato come davanti a
uno sguardo ignorante saliva la frustrazione di chi conosce la
realtà.
Ma cos'era poi la realtà? Non certo il loro periodo nella foresta, e
men che meno l'istinto di cercarsi, di trovarsi ancora una volta nel
momento in cui erano stati in salvo: si erano aggrappati a un barlume
di illusione, confondendo la finzione di un mondo parallelo e
diametralmente opposto con la vita, dove forse i loro nomi accostati
non avrebbero significato un'implosione.
Non era quello che avevano condiviso a spingerli insieme, non era
quello che grazie all'altro avevano scoperto di avere dentro, non
solo: era quello che avevano visto nella persona di fronte a loro,
quando si erano dati l'opportunità di conoscersi; allora,
automaticamente, erano nate due nuove persone: il Draco di Hermione e
l'Hermione di Draco.
Sempre loro, dentro e fuori, ma mai così veri, così assoluti; come
l'elevamento all'ennesima potenza dello zucchero: per definizione è
il senso stesso della dolcezza, ma amplificato si schiude in
dimensioni non percepibili, ma che lo arricchiscono
inequivocabilmente.
Draco, stronzo e vigliacco era nato e stronzo e vigliacco sarebbe
morto, ma accostato a Hermione la sua vigliaccheria equivaleva in
primis a proteggere lei: la mancanza di coraggio di poter vivere
senza essere sul suo stesso pianeta.
Stronzo, perché alla fine se l'era lasciata alle spalle, e vigliacco
perché si era negato di darle di nuovo un nome, così era diventata
Lei, un pronome evocato con reverenza e paura, ancora una
volta l'assoluta evoluzione di una persona.
Non verrò a cercati,
io ti scorderò.
Servirà del tempo e
guarirò.
Quando aveva distolto lo sguardo, dicendole addio, per una frazione
di secondo l'aveva creduto, aveva creduto che il suo destino avrebbe
potuto ancora cambiare e scorrere lontano da Lei, scordandola,
guarendo da quel sentimento insano che per il solo fatto che lo
accostava a quella ragazza che significava l'opposto della sua vita
era per forza sbagliato.
Perché, alla fine, amarla poteva significare solo che la sua vita
stessa era un errore.
Era maledetto, sul braccio e nell'anima due forze si contendevano la
sua vita; e se forse il braccio avrebbe potuto staccarlo non c'era
modo di separarsi dalla sua anima; era stato chiaro allora, quando
aveva incrociato i suoi occhi traditi, ed era stato ovvio in seguito,
ogni volta che si aspettava di dimenticarla.
E con tutti, la
famiglia, i mangiamorte, i suoi compagni di scuola, ogni volta che
incontrava l'ignoranza nei loro occhi si ricordava che per loro non
era mai accaduto niente. Per loro il mondo aveva sempre continuato a
scorrere normalmente, non era mai esistita quell'esplosione nel mezzo
della sua vita che per il solo fatto di essere segreta era alla fine
ancora più reale.
* * *
Che
non era una foresta normale, che l'armadio gli avesse portati in
qualche luogo maledetto ed impregnato di magia, stava diventando
sempre più ovvio: avevano iniziato a perdere il conto dei giorni
passati a camminare, poteva essere passata una settimana come un
mese, eppure l'ostinazione con cui giorno dopo giorno si mettevano in
marcia era pari al primo giorno.
Solo
un particolare era mutato: avevano iniziato come estranei e al tempo
stesso nemici, avversari; con il passare del tempo si erano smussate
le diversità, rendendoli simili in quanto pari nella condizione di
dispersi, complici silenziosi che condividevano ferite e paure senza
mai esternarle.
La
monotonia di minuti sempre uguali, risvegli identici uno dopo l'altro
e situazioni ridondanti stendeva un velo di oblio allontanandoli
dalle loro vite, schiacciandoli vicini e compagni.
Non
avevano dimenticato chi era la persona che si trovavano a fianco, non
avevano scordato la rivalità e l'odio, eppure queste appartenevano
ad un mondo passato e lontano, che si scontrava continuamente tra
l'istinto di perpetrarle e quello di accantonarle in nome di un
presente in cui ogni ideale, ogni pregiudizio e ogni rancore sembrava
perdere senso.
Così,
in silenzio come tutto era iniziato, piano piano l'astio era stato
accantonato per momenti in cui sarebbe stato più intelligente
provarlo, rimpiazzato da una muta accettazione; più che per la
situazione dell'altra persona.
Draco
aveva accettato Hermione, quella che gli avevano insegnato ad
identificare come “abominio di strega” era diventata una compagna
sveglia ed intelligente, capace di stringere i denti e porgergli la
mano nei momenti di reciproca difficoltà senza aspettarsi protezione
da parte sua o ringraziamenti per i suoi sacrifici; l'esperienze
passate le avevano insegnato il valore della condivisione come uno
stile di vita, era pragmatica e lucida nelle sue scelte ma nonostante
tutto questo, nonostante effettivamente non dimostrasse di aver
bisogno di lui, Draco percepiva in quei rari momenti di debolezza,
una crepa di solitudine che scalfiva la sua invincibilità.
A
volte era un'ombra pensierosa sul viso, gli occhi vedevano il
sentiero di fronte a loro ma capiva che in realtà stava guardando
oltre, ricordando ciò che le era stato strappato;
altre
volte era un sospiro fuggito al suo contegno, quando pensava che lui
dormisse, e con metodici movimenti riavviava il fuoco cercando di
dominare il tremito impaurito della sua mano.
Dentro
a quell'armatura da valorosa guerriera c'era una ragazzina, gravata
dalle paure che la parte più forte di sé le relegava per rendersi
più sicura, ma al tempo stesso indeboliva quel lato più fragile
della sua personalità, destinato ad essere aggravato di tutto ciò
che non riusciva ad esprimere, dai mille dubbi che continuavano a
sbattere nella sua mente senza risposta, dalle urla senza voce che
non potevano essere confidate.
Draco
percepiva quella debolezza perché era lo specchio di sé, perché
anche lui si era sempre portato a dietro nella vita un ragazzo che
non trovava voce, ed era la prima volta che intravvedeva la fragilità
in una persona che non fosse lui: ecco perché col passare delle
notti invece di girarsi dall'altra parte per non cadere in tentazione
di guardare quella mano inferma la osservava, dapprima in silenzio
come uno spettatore nascosto; poi aveva iniziato a manifestarsi
mettendosi a sedere e condividendo mutamente la sua paura.
Inizialmente
Hermione, non appena si accorgeva che era sveglio, riprendeva il
controllo di sé e ritornava ad essere l'impeccabile sentinella
valorosa, consigliandogli di rimettersi a dormire con voce ferma e
sicura; poi, leggendo negli occhi di Draco una muta solidarietà che
mai saliva in superficie, piano piano si era adattata a quello
sguardo, fino alla notte in cui, quando lui si sollevò dal suo
giaciglio e si sedette accanto al fuoco, non comandò più alla sua
mano di fermarsi.
Evitò
di incrociare i suoi occhi, fissando testardamente lo scoppiettare
del fuoco come se fosse stata sola, ma pur conscia di non esserlo
aveva lasciato che quella parte più debole di sé continuasse ad
esistere davanti a lui.
Non
aveva pianto ma il turbamento era ben dipinto sul suo viso, i denti
stringevano il labbro per impedirgli di tremare, le dita instabili
facevano scivolare tutto ciò che toccava, mentre cercava di tenersi
impegnata sperando che lo sconforto finisse.
E
anche se lo ignorava palesemente sapeva che Draco era accanto a lei,
a offrirle un muto sostegno.
Lentamente il suo respiro si fece più
calmo, i movimenti più sicuri, e le labbra secche e screpolate
tornavano ad essere ferme;
solo
allora Draco tornò a sdraiarsi, e così per tutte le sere
successive.
Non
era capace di impedire allo sconforto di assalirla, ma grazie a lui
diventava in grado di placarlo.
* * *
Lei non poteva saperlo, eppure anche nel momento più terribile non era
stato capace di lasciarla sola con il suo dolore, condividendolo con Lei.
E ora invece tutto si complicava di più per l'ennesima volta,
vedendoli soli e schierati per un confronto diretto.
Lei non era lì, ma esattamente come qualche ora prima aveva
percepito con estrema esattezza il suo arrivo ora sapeva che era
questione di minuti prima che si ricongiungesse al suo compagno.
-perché non glielo hai detto?
La voce di Potter si disperse nell'enorme ambiente, rimbalzando
sull'alto soffitto e per tornare da lui, sotto le spoglie della voce della sua
coscienza.
Esitò, perché alle sue orecchie quella domanda aveva un significato
ben diverso: perché non hai detto a Lei la verità, perché
l'hai lasciata soffrire senza sapere che per te era, è, lo stesso.
Ma Potter non poteva saperlo.
-a Bellatrix- continuò -sapevi che ero io, non ha detto niente- gli
ricordò.
La risposta a quell'ultima domanda era il corollare della prima: per
Lei.
Doveva approfittare che Lei non ci fosse, doveva riuscire a risolvere
la questione con Potter prima che il suo arrivo rendesse tutto più
difficile, anche se lui aveva appena scoperto il suo nervo più
delicato, senza saperlo.
Dietro di lui una spinta, la stessa che proveniva dalla sua mente che
sapeva che non c'era tempo da perdere, cercò di ordinare al suo
braccio una mossa, tentò di concentrarsi su qualsiasi incantesimo
mentre la voce di lei, disperata e decisa, gli toglieva ogni volontà
oltre alla bacchetta scagliata via dal suo Expelliarmus.
Si sentì tirare, percepì in lontananza una maledizione senza
perdono che implorò maledicendosi al tempo stesso che potesse
sbagliare il bersaglio, e iniziò a correre, con Weasley alle
calcagna.
Più che paura di lui, era sempre Weasley alla fine, era
il terrore dello scontro con lei.
Su quello era catalizzata la sua mentre mentre quell'inaffidabile di
Goyle aveva scagliato l'incantesimo che rischiava di ucciderli tutti.
Le fiamme divamparono tutto, non fu capace di provare pietà per lui
mentre veniva inghiottito dal suo stesso incantesimo e continuò a
fuggire, stringendosi sempre di più nella trappola, mentre il fuoco
lo raggiungeva veloce.
Facile quanto stupido chiedersi se, per finire così, aveva avuto
senso la sua scelta.
Era finita, rapidamente come non lo avrebbe mai immaginato, e il
rimpianto (la vigliaccheria) si mischiava alla paura, mentre vedeva
la battaglia, la sua vita intera, uno sfuocato contorno mentre solo
Lei sembrava aver davvero senso.
Mentre il fuoco lo lambiva, freneticamente l'istinto di sopravvivenza
lo scoprì, costringendolo ad ammettere che la cosa veramente
importante era Hermione, alla fine.
Buon San Valentino e grazie a Maelle che nello scorso capitolo mi ha lasciato una recensione!
Sto respirando questa fiction molto lentamente secondo i miei standard,
eppure i prossimi avvenimenti sono tutti impressi nella mia mente, solo
la fine è un punto di domanda: so come arrivarci ma in tutta
onestà non ho ancora scelto che futuro dare al progagonista (no,
non Harry, intendo Draco, il protagonista della fiction).
Immagino che vi sarete accorti che il momento della Stanza delle
Necessità è MovieVerse, scrivendo con immagini
nella mia mente per riproporre questa scena ho optato su ciò
che, effettivamente, immagine è.
In modo ovvio, ma è giusto ricordarlo, rammento che tutti i
personaggi sono della Rowling, e quelle belle frasi ai lati della
pagina sono il testo di "Tanto il resto cambia" di Mengoni.
Eccovi il link http://www.youtube.com/watch?v=VA1Jwvuc0-o se vi va di risentivela.