New Year's Eve
“4..3..2..1..”
“Buon
anno, tesoro” le sussurrò Chuck, dandole un
dolce bacio sulla guancia.
“Buon anno, anche a te, maritino”
esclamò Blair con
un sorriso dipinto sul volto. Chuck notò le guance
arrossate di lei,
probabilmente a causa del freddo, e decise di avvicinarla al proprio
petto, con
l’intenzione di riscaldarla, quanto più poteva.
“Non avremmo dovuto essere qui” iniziò
lui con tono
pacato, nonostante l’echeggiare della folla, attorno a loro.
“Chuck, ne abbiamo già parlato,
ricordi?” lo
rimproverò, scrutandolo attentamente.
“La storia è capodanno e siamo cittadini
newyorkesi, non mi basta, Blair. Essere qui a Times Square, nel bel
mezzo di
tutta questa gente, non ti aiuterà a star meglio”
insistette lui, tenendola
stretta accanto a sé, per proteggerla.
“Invece si e lo sai” mormorò lei,
sorridendo alla
vista dei coriandoli, che coloravano il cielo del centro di Manhattan,
quella
notte.
“Blair..” la richiamò. Chuck sapeva che
era giusto
che lei trovasse un mondo per svagarsi, per non pensare a
ciò che aveva
comunicato loro il dottore, ma lo infastidiva immensamente
l’atteggiamento da
lei assunto negli ultimi giorni. Blair non si distraeva da quel dato di
fatto,
Blair semplicemente si comportava come se il rischio che lei e il bimbo
potessero morire non esistesse, mentre a lui quel pensiero lo
distruggeva,
lentamente, giorno dopo giorno. Perché doveva fingere anche
con lui?
“Chuck…andrà tutto bene” lo rassicurò Blair, quasi
fosse in
grado di leggergli nella mente.
“Blair…auguri!” li interruppe
d’un tratto Serena,
sbucando alle loro spalle e abbracciando, successivamente,
l’amica.
“Auguri, Chuck” gli porse la mano Humphrey,
abbozzando un sorriso, mentre il piccolo Samuel era sulle sue spalle.
“Noi stiamo andando a casa. I piccoli sono stanchi”
comunicò loro Serena, prendendo in braccio Isobel, prima al
suo fianco.
“Così presto? Non festeggiate nemmeno
Capodanno?!”
esclamò Blair, speranzosa di passare il resto della notte
con i propri amici.
“Ormai è mezzanotte e mezza…poi chi ti
dice che non
festeggeremo a casa…” dichiarò
l’altra, sorridendo maliziosamente al marito.
Blair alzò gli occhi al cielo, constatando che, nonostante
il passare degli
anni, gli sguardi di Dan e Serena avrebbero fatto venire il diabete a
chiunque.
“Ah, piantatela! Siete patetici!” disse infine,
mentre Chuck rise di gusto.
“Mamma,
sono
stanca” sussurrò Isobel con voce roca e occhi
stanchi.
“Si, andiamo. Saluta zia Blair e zio Chuck” la
incitò Serena.
“Notte zia Blair, notte zio Chuck”
ripeté lei.
“Sogni d’oro, bellissima” le rispose
Blair con
dolcezza, non potendo non pensare a quanto la piccola assomigliasse
alla madre.
Isobel aveva gli stessi boccoli d’orati di Serena con grandi
occhi blu. Ma non
era solo l’aspetto a rendere tale la somiglianza,
bensì anche il suo spirito
libero, pieno di vita e vivace. Isobel era la Serena di 20 anni prima.
Blair ne
era più che convinta, nonostante la sua migliore amica
continuasse a ripeterle
che sua figlia era molto più simile a una Waldorf di quanto
pensasse.
“Allora noi andiamo” la bionda fece loro un ultimo
cenno di saluto, prima di allontanarsi.
“Ehi, Serena, io arrivo fra un minuto” le
comunicò
suo marito, rimanendo accanto agli amici. Lei abbozzò un
sorriso comprensivo,
dileguandosi, poi, fra la folla.
“Chuck, hai sentito Nate?” gli domandò
Daniel.
“No. Ho provato a chiamarlo più volte, senza mai
ricevere alcuna risposta. Ho lasciato gli auguri in segreteria
telefonica”
commentò lui, augurandosi davvero che per Nate quello
potesse essere un anno
migliore.
“Anche io. E’ forte, riuscirà a
superarlo se gli
stiamo accanto” Dan gli rivolse un sguardo complice, quasi a
mostrargli che
poteva contare su di lui, che insieme sarebbero stati capaci di aiutare
l’
amico.
“Auguri”
esclamò ad un passante, traballando su se
stesso. Era solo. Di nuovo. Nate constatò che mentre tutti
erano felici e
contenti, lui era…solo. Questo era l’unico
pensiero che gli balenava nella
mente. Si diede persino dell’illuso per aver creduto che non
fosse così.
Cadde a terra per l’alcool e per il dolore.
“Dannazione!” urlò, ubriaco, stanco e
addolorato.
“Nate?” una voce lo richiamò alla
realtà.
“Si può sapere perché sei accasciato
per terra?”
“Jenny?” domandò, alzando lo sguardo e
riconoscendola, nonostante la vista un po’ offuscata per
qualche scotch di
troppo.
“Si, sono io.”
“Allora? Hai intenzione di spiegarmi perché ti
trovi qui?” gli chiese lei, sedendosi accanto a lui nel bordo
del marciapiede.
“Sono solo” disse, senza pensarci due volte.
D’altronde
non c’era più bisogno di fingere di star bene,
almeno non con Jenny.
“Sai che non è così…hai tua
madre, i tuoi amici…”
iniziò lei, cercando di rassicurarlo.
“Loro si sono costruiti una vita. Io, invece…ho
perso tutto” ribatté, cadendo nello sconforto
più totale.
“La vita va avanti, Nate” Jenny odiava vederlo
così,
pur non essendo la prima volta che lo trovava in quello stato. Si
ricordò la
confusione che gli lesse negli occhi al compleanno di Blair, quasi
dieci anni
prima, come la profonda delusione che esprimeva il suo volto, dopo le
scelte
egoistiche di Serena.
“Charlie mi ha lasciato all’altare,
Jenny!” le
spiegò lui a denti stretti, quasi lei non volesse capire la
gravità della
situazione. Lei rimase senza parole, percependo la sua frustrazione.
“Si,
lo voglio” disse con voce tremante, nonostante
l’emozione che provò in quel momento. Nate
sorrise, guardando la donna che
amava dinnanzi a lui. Si sentiva così maledettamente felice;
quasi impaurito
che qualcuno gliel’avrebbe portata via, quella
felicità, poiché troppa per un
uomo mortale come lui.
“E
tu, Charlie Rhodes, vuoi prendere come tuo
legittimo…” Lui
era accecato da quell’abito bianco che stava
d’incanto alla sua sposa. Non
riusciva a sentire, vedere altro che non fosse lei, la sua
Charlie.
“…finché morte non vi
separi?” Arrivò a
percepire soltanto le ultime parole del sacerdote, aspettando
l’atteso consenso
di lei; le rivolse un ultimo sorriso complice, quando intravide,
successivamente, la paura e la dispersione nei suoi occhi. Fu allora
che Nate
perse un battito. Il primo di una lunga serie.
“Mi dispiace, ma non posso” gli mormorò
Charlie con
le lacrime agli occhi, sfilandosi la fede e correndo, correndo lantana
da lui,
dal loro matrimonio. Lui restò immobile
sull’altare ad osservare la sua
Charlie voltargli le spalle, e
scomparire, poi, dietro il portone in legno massiccio della cattedrale
floreale.
Nate guardò verso l’alto, maledicendosi per
quell’immensa
felicità provata, eccessiva per un comune mortale come lui.
*
“Mi
manca…mi manca maledettamente” ammise,
sentendosi in colpa
per lo sfogo avuto poco prima.
“Lo so, ma vedrai che andrà meglio”
Jenny era
dispiaciuta, avrebbe fatto qualsiasi cosa per tirargli su il morale.
“Sai, si dice che il tempo porti consiglio”
continuò,
appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Questa mi è nuova…Jenny Humphrey che
si comporta
da saggia” Nate abbozzò un sorriso e lei si
sentì sollevata. Si, era certa che
lui avrebbe superato anche quella situazione, come sempre.
Quello
era il momento che preferiva della giornata.
Sedersi accanto ai suoi figli e dar loro il bacio della buonanotte.
Molte volte
scherzava, parlava, oppure raccontava loro delle storie, veritiere o
meno, affinché
si addormentassero. Dan era molto più bravo di lei in
ciò, doveva ammetterlo, d’altronde
non per niente era uno scrittore. Nonostante questo lui preferiva
lasciare a
lei quel compito, a parer suo, magico. Serena avrebbe desiderato con
tutta se
stessa
quelle attenzioni da parte di sua madre, in parte mancate, per svariate incomprensioni e
dimenticanze. Probabilmente
Dan lo sapeva.
“Ehi, si sono già addormentati?” le
chiese suo
marito, entrando nella camera dei piccoli.
“Shh. Sai che Isobel non prende più sonno una
volta
sveglia” sussurrò, uscendo dalla stanza, seguita
da Dan.
“Eccome se lo so” mormorò lui, roteando
gli occhi e
afferrandola per i fianchi.
“Sai, può essere che io avessi scherzato con
Blair…prima”
iniziò in tono malizioso, muovendo le mani fra i bottoni
della camicia del
marito.
“An, davvero? E riguardo cosa?” continuò
lui, tenendole
il gioco e avvicinando le labbra.
“Non ne ho idea” Serena rise radiosa,
allontanandosi
da lui e lasciandolo impacciato sul proprio posto.
“Davvero divertente” commentò Dan,
raggiungendola
in cucina. Serena lo guardò, scrutandolo attentamente. Lui
era tale e uguale a
sempre: la stessa persona di cui si era innamorata undici anni prima,
la sua
ancora di salvezza, la sua isola sicura.
“Cosa stai pensando?” le domandò Dan con
occhi
indagatori e un sorriso sincero.
“A quanto hai cambiato la mia vita” gli
dichiarò,
mentre lui le andò incontro per abbracciarla.
“Sei tu quella che ha reso la mia vita migliore” le
sussurrò Dan all’orecchio. Serena
affondò la testa nel suo petto, lasciandosi
cullare dalle sue braccia e soprattutto dalle sue parole, trovando
finalmente
quel momento magico, da sempre desiderato.
Non uccidetemi, vi prego. Perdonate il ritardo del seconto capitolo, ma la scuola mi tiene piuttosto impegnata.
Comunque ecco qua il seguito, mi auguro sia abbastanza decente e leggibile.
Pian pianino si chiariranno le attuali situazioni tramite flashback e anche determinati spazi temporali.
Ditemi sinceramente cosa ne pensate.
Alla prossima e che sia il più presto possibile:)