Benvenuti,
cari lettori. Ecco a voi l’ennesimo capitolo della fic
più lunga della sezione.
Vorrei ringraziarvi per avermi letto sino ad ora. Siete stati tutti
molto
gentili e vi ringrazio per questo. Eccovi la nuova puntata della
fic…buona
lettura!
INGANNO
Quando la mattina successiva Madame
si svegliò, vide
un cielo particolarmente nuvoloso. Si stiracchiò con una
mossa pigra e stanca,
come se, invece di essere all’inizio, fosse ormai in
prossimità del crepuscolo.
Non aveva molta voglia di alzarsi
ma si forzò a farlo.
Non aveva scelta. Quel giorno avrebbe detto a Gilbert la sua risposta
e, se doveva
essere onesta con sé stessa, aveva molta paura.
Istintivamente si morse il
labbro, indecisa.
Per tutta la notte aveva pensato a
quanto aveva saputo
da Monsieur Saint Just. A quel dialogo, si coprì il viso con
le mani. Ancora
stentava a crederci.
-E’uno
scherzo?- domandò la dama, allibita.
Saint
Just le
rivolse un’occhiata stressata. –Vi pare che io
abbia voglia di perdere il mio
tempo con una nobile? Per vostra informazione, io i nobili
li…-fece, prima di
ricevere un’occhiata minacciosa dalla piccola Rosalie. Di
fronte a quelle iridi
rabbiose, tacque. C’erano momenti in cui rimpiangeva i vecchi
tempi, quando
s’infiltrava nelle case di quei sangue blu, seminando il
terrore. Maximilien
però disapprovava i suoi metodi ed ora, per il bene dei loro
ideali, doveva
stare buono.-Intendevo dire che sono una persona che sa fare bene il
proprio
lavoro. Non temete.- si corresse, sforzandosi di sorridere
rassicurante. Con
scarsi risultati.
-Vi
prego
Monsieur- rispose Madame- Non può essere come dite. Non
è mai capitato che un
nobile si prenda la briga di pagare queste cose. Non è
compito suo.-
Saint
Just
arricciò il naso, non potendo fare a meno di darle
ragione…anche se era
seccante. –E’vero. Di solito se ne occupa la
famiglia della sposa. Il documento
di cui siamo in possesso, comunque, risale a poco dopo il matrimonio ed
è stato
fatto da vostro marito in persona.- osservò, massaggiandosi
il mento – Si
tratta però di un contratto capestro. I beni della famiglia
De Jarjayes, fatta
eccezione per le figlie di primo letto, che godono della dote materna e
di
quella versata al momento del loro matrimonio, sono vincolati alla
vostra
persona e a vostra figlia. In caso di divorzio, vostro marito vi ha
lasciato
tutto il patrimonio, fatta eccezione per lo stipendio versato dalla
corona.
Inoltre, vi è anche un’altra cosa.-
osservò.
Marguerite si massaggiò
il collo. La cosa si stava
facendo piuttosto fosca.
Marie e
Madame Chatelet ascoltavano silenziosamente, degnando
quell’uomo della loro più
completa attenzione. –Di cosa si tratta?- chiese la dama.
L’avvocato
fissò le carte, poi si avvicinò ad uno degli
scaffali. –Secondo gli archivi,
negli ultimi anni, vostro marito si è recato in incognito
nell’ufficio addetto
a queste faccende, chiedendo di aggiungere un altro oggetto- fece,
frugando nei
cassetti prima di ritirare la mano- ovvero questo.-
A quel pensiero, la donna
fissò muta quanto aveva
ricevuto da quell’avvocato. Si trattava di un minuscolo
volume fatto a mano.
Sempre più perplessa, lo aprì, notando un mucchio
di pagine ingiallite e vuote.
La dama non capiva il motivo per cui, suo marito avesse preso quella
decisione.
Non aveva senso.
Persino la sua decisione di educare
la sua bambina
come un uomo, aveva una logica, per quanto bislacca. –Non mi
piace- mormorò
–Non mi piace per niente.- Stava quasi per metterlo via,
quando lo sguardo le
cadde sulla fine del libricino. Immediatamente raggiunse
l’estremità…e fu lì
che li vide. Il disegno di una quercia e di una civetta. Marguerite
sorrise
leggermente.
Il
salotto
del palazzo De Jarjayes era silenzioso, come accadeva da quando aveva
messo
piede come nuova consorte. In un primo momento, aveva pensato che fosse
dovuto
al fatto che suo marito l’avesse presa per fare da madre alle
sue figlie…o al
massimo per essere la madre del tanto sospirato erede. In fondo, non
era questo
il motivo per cui ci si sposava?
Suo
marito
però non le aveva mai parlato…o per lo meno, non
in privato. Ora però, dopo la
cerimonia ed il pranzo, l’aveva condotta in quella stanza.
Marguerite
fissò spaurita la persona che aveva di fronte. Il Generale
era decisamente
bello. Castano con due occhi azzurri e tempestosi. Era decisamente
avvenente,
si ritrovò a pensare…ma era molto serio. Non
sorrideva quasi mai…come lei.
-Madame-
fece
questi, facendola sussultare. Aveva sentito poche volte quella voce,
stupendosi
quasi di udire quel suono. Basso e meno freddo di quanto i suoi modi
lasciavano
pensare. Eppure, non poteva negare a sé stessa di essere
intimorita. Quella
sera avrebbe dovuto assolvere ai suoi doveri coniugali…come
avrebbe dovuto
comportarsi?
Istintivamente
arretrò, fino a cozzare con la schiena contro la libreria.
Il colpo fece cadere
alcuni libri. Uno posto sopra di lei stava per finire sulla sua testa.
Un
volume piuttosto notevole che l’avrebbe ferita…se
un braccio non l’avesse
protetta. Marguerite spalancò gli occhi, incontrando due
pozzi azzurri ed
inquieti.
Il
terrore si
fece strada dentro di lei, sfuggendo al controllo che si era imposta in
tutti
quei mesi.-Non ce la posso fare…non ce la posso
fare…- singhiozzò, tremando
violentemente. Tutte quelle responsabilità, tutti quei
doveri…erano davvero
troppi per lei. Aveva una paura maledetta…ed ora era tardi.
Apparteneva a
quell’uomo. Un secondo pensiero, poi,
l’attraversò fulminea: si era ritratta
dal suo tocco…che cosa le avrebbe fatto?
Chiuse
gli
occhi, preda del panico.
Il
respiro
accellerò improvviso e quel vestito da sposa, vecchio e che
mal si adattava al
suo fisico le comprimeva il torace, rendendole difficoltoso far passare
l’aria.
Vedeva, continuava a farlo, ma aveva la sensazione, il tarlo, che i
suoi occhi
non funzionassero a dovere. Quegli attacchi, che avevano segnato la sua
infanzia, si erano ripresentati. I suoi genitori non avevano detto
nulla a suo
marito sul suo problema…non aveva alcun dubbio. Lui non ne
era a conoscenza e
non avrebbe gradito questa novità. E ancora paura, nuovo
terrore, pronti a
ghermirla.
-Sembrate
così fragile- mormorò quella voce, intinta di una
sfumatura che la giovane non
riuscì a identificare- non dovete temere niente da me. Non
amo picchiare le
donne e voi non avete bisogno di caricarvi di ulteriori
responsabilità. Quelle
che avete bastano.-
Marguerite
smise di tremare, stupita per quelle parole. Non sembrava arrabbiato
con lei…e
questo era piuttosto insolito. Aprì lentamente gli occhi,
incerta…quando
avvenne una cosa che la scosse maggiormente. Il Generale, senza che lei
se ne
accorgesse, si era avvicinato a lei più di quanto si sarebbe
aspettata.
Un
tocco
lieve di labbra, al quale non seppe come rispondere.
-Non
è facile
per nessuno ricoprire i ruoli che gli altri si aspettano- fece questi,
scostandosi rapido da lei –ma non c’è
niente di peggio che farlo da soli.-
Gli
occhi
chiari di Marguerite rimasero fermi, immobilizzati da quel blu
inquieto. Il
gesto di quell’uomo era stato così inaspettato da
lasciarla senza parole. La
paura che si era impossessata di lei, pochi istanti prima, era stata
cancellata
dal suo sposo…e lei non se lo aspettava. Non disse una
parola, nemmeno quando
il Generale si scostò da lei. –Adesso vado dagli
ospiti. Immagino che siano in
pensiero. Voi prendetevi pure tutto il tempo che volete- disse,
avvicinandosi
alla porta e dandole le spalle.
Era
ormai
prossimo a prendere la maniglia, quando qualcosa lo trattenne.
–Ah- fece, come
soprappensiero –una cosa però dovete promettermi.-
Marguerite
ebbe un sussulto. La voce del Generale pareva strana, intrisa di
qualcosa che
non riusciva ad identificare e che questi sembrava quasi non rendersene
conto,
per quanti sforzi facesse. Una sottile tensione che nemmeno i modi di
quella
persona, perfettamente fedeli all’etichetta, riuscivano a
celare. Una scoperta
che la pietrificò, letteralmente.
–Di…di che si tratta?- balbettò,
sentendosi
improvvisamente ridicola.
I suoi
genitori, prima di lasciarla, l’avevano ammonita sul
comportamento da tenere in
presenza del marito. Una persona troppo più agiata e nobile
di loro, troppo al
di sopra della loro famiglia per non renderli preoccupati: la loro
debole e
inetta primogenita sarebbe mai stata all’altezza di un simile
partito? Per
questo, era stati particolarmente addosso alla figlia, più
di quanto avessero
mai fatto in vita loro…e questo, invece di rallegrare la
giovane, la caricava
di aspettative e pressioni che la innervosivano più del
necessario. Per questo
aveva timore a rapportarsi con quel militare ed era più che
convinta di aver
commesso qualche sbaglio.
Non
poteva
essere diversamente.
Lei era
solo
una timida ( e quindi inetta), silenziosa (e quindi noiosa) figlia di
un
nobiluncolo di campagna. Così era e così sarebbe
stato…forse più di prima. Per
questo, quando il Generale parlò, si era messa nella
condizione d’animo di
ricevere l’ennesima offesa. Era naturale per
lei…ma ancora una volta quella
persona la spiazzò.
-Non
sparite-
fece, prima di lasciarla sola.
Marguerite fissò la
propria immagine. Quel ricordo la tormentava
spesso, nei momenti più inaspettati e non riusciva a dare un
nome alla causa
per la quale un simile episodio si mostrava così, alla sua
mente. La donna di
vetro di fronte a lei sorrideva lieve, incerto dire se di cuore o per
recita.
Non sapeva dare un nome a quanto
era avvenuto quel
giorno…e una parte del suo animo preferiva così.
Affibbiargli una definizione
avrebbe significato prenderne atto e lei, nella sua esistenza di ombra,
dopo
anni e anni di afflizioni, fantasie infrante e silenzi, era giunta alla
conclusione che forse era meglio mantenere tutto
nell’anonimato. Dare un nome
voleva dire donare una consistenza a qualcosa che forse esisteva solo
nel
proprio cervello…come tutte quelle sensazioni contrastanti
che si dibattevano
dentro di lei e che trapelavano, sia pure compressi dietro
all’etichetta e a
qualche freno che ancora non riusciva a comprendere…un
laccio, una catena che
teneva prigioniero quel generale.
Ne era sempre più
convinta. Da quando lo aveva incontrato
la sera in cui si era infiltrata a Versailles, era un pensiero fisso:
suo
marito era impelagato in qualche cosa di complesso e
terribile…altrimenti non
avrebbe mai reagito in modo così inconsulto. Nemmeno quando
si arrabbiava per
la disobbedienza di Oscar, aveva mostrato una simile mancanza di
controllo.
La risata stridula di Mademoiselle
De Bouillé
rieccheggiò nel suo cervello. Un suono sgradevole che le
faceva fischiare le
orecchie. –E va bene, Francois- mormorò, fissando
laconica il soffitto della
camera in cui dormiva da giorni –quando tutto sarà
finito, io e te faremo i
conti.-
La sala da pranzo era avvolta dal
silenzio. Marguerite
era seduta al tavolo e fissava i piatti che le venivano serviti.
-Qualcosa non va, Marguerite?-
domandò alla fine,
giunto al termine del secondo- Siete particolarmente silenziosa.-
-Dov’è vostra
figlia?- chiese la dama, fissando il
cibo.
-Lucrece- le rispose
l’amico, ignorando palesemente la
parola con cui l’altra aveva chiamato la ragazzina
– è nelle sue stanze. Non si
sente bene.-
L’altra non disse niente.
Improvvisamente aveva perso
l’appetito. Non era il fatto che sentisse la mancanza di
quella persona, unica
compagnia, oltre a Erin, Marie e agli attori, che avesse in quel posto.
Ora, da
qualche giorno, quella giovane non si faceva vedere e quando chiedeva
al
padrone di casa o ai servi dove fosse, riceveva solo risposte evasive.
Non le
piaceva molto quella situazione ma ugualmente evitò di porre
altre domande.
Gilbert sembrava essere piuttosto restio a darle una risposta diversa
da quella
che suonava ai suoi occhi come una scusa ufficiosa e falsa.
-Perché me lo
domandate?- chiese, posando bruscamente
la forchetta ed il coltello sul tavolo.
Madame lo guardò. I suoi
modi garbati e leziosi
stonavano con la violenza con cui aveva posato quegli oggetti.
-Non dovete chiedere perdono
Marguerite- rispose,
tornando a rivolgerle quell’espressione rassicurante con cui
si era sempre
mostrato ai suoi occhi –può capitare…di
perdere di vista le competenze che
spettano ad ognuno di voi e data la vostra condizione, siete
più che
scusabile.-
La dama si morse il labbro,
imponendosi di sorridere,
ma ciò che le venne fu una pallida smorfia, simile a quelle
che riservava alle
persone intorno a lei durante l’infanzia.
Erin percorreva silenziosa i
corridoi. I suoi passi
sembravano non avere suono, tanto si poggiavano lievi sul pavimento.
Con la
coda dell’occhio, si guardava attorno. Aveva lasciato da poco
le cucine, dove
aveva sgraffignato qualcosa da mettere sotto i denti. Negli ultimi
giorni, il
padrone di casa aveva smesso d’invitarle a cenare con lui. In
un primo momento,
aveva pensato che fosse per via dei numerosi impegni per la sicurezza
delle
strade ma poi aveva capito.
Lo vedeva negli sguardi dei
domestici.
Lo vedeva dal modo in cui impediva
a chiunque di
avvicinarsi a Madame. Senza dire nulla apertamente, sia lei, che Marie
erano state
allontanate e non potevano far compagnia a quella donna. Le cameriere
impedivano loro di entrare nelle stanze frequentate dalla dama e, negli
ultimi
tempi, aveva visto che anche la figliastra passava sempre meno tempo in
sua
compagnia. Quel particolare inizialmente non l’aveva
preoccupata. La giovane
Lucrece non era una persona molto socievole…eppure alla
donna dagli occhi
felini non era sfuggito il modo affettuoso ed impacciato con cui
guardava
Madame.
Poteva capirla in fondo.
Nemmeno lei aveva visto sua madre.
Le febbri
puerperali se l’erano portata via, pochi mesi dopo la sua
nascita…eppure,
malgrado quella mancanza la rendesse simile alla giovane aristocratica
e alla
sua piccola amica, sentiva di non nutrire quella stessa
emozione…quando si
trovava accanto alla dama. Forse per via del fatto che la sua vita era
stata
così diversa. Stava per raggiungere la propria stanza,
quando una mano si
poggiò sulla propria stanza, facendola sobbalzare.
-Mademoiselle O’Neal-
fece una voce bassa –cosa ci
fate in giro a quest’ora?-
Erin si voltò di scatto
e ignorando quel battito più
veloce del normale, che imputò a quella presa alla
sprovvista, gli lanciò
un’occhiataccia. –Ah- grugnì- siete voi-.
Girodelle ridacchiò
vedendola così corrucciata. Non
sapeva dirsene il motivo ma trovava quel suo fare così
scontroso
divertente…qualche volta. –Ripeto la domanda-
fece, inclinando la testa- cosa
ci fate qui…e con quest’aria così
guardinga poi!- La donna, per tutta risposta,
si spostò, tentando di nascondere le cose prese.
L’altro però non demorse.
-Nulla che ti possa riguardare!-
esclamò piccata.
Victor non fece una piega.
–Ah no?- chiese- E quegli
insaccati che tenete nascosti dietro alla schiena cosa sono?-
Erin indietreggiò.
–SONO AFFARI MIEI!- strillò,
indispettita. Non sopportava quella vicinanza. Non le succedeva mai di
essere
preda del nervosismo con un uomo. Pensava di essere riuscita ad
allontanarlo,
con la sua scenata nel parco…ma si era dovuta ricredere.
Quella
febbriciattola era decisamente fastidiosa e le preoccupazioni che
l’avevano
presa dopo la scoperta con Lucrece non le permettevano di dormire. Si
era
rigirata varie volte…ma alla fine aveva dovuto rinunciarci.
Improvvisamente
qualcuno bussò alla porta. Erin non disse nulla,limitandosi
a guardare chi
fosse…senza riuscire a trattenere uno sbuffo risentito.
–Ah…sei tu- bofonchiò,
guardandolo fisso. Girodelle era entrato nella camera che le avevano
riservato.
Cosa che non era mai successo prima. Da quella sera, che non sapeva se
benedire
o inveirle contro, quel nobile si era sempre tenuto a distanza da lei.
Erin si
morse
nervosamente il labbro, senza perderlo di vista. Si era mostrata a quel
perfetto estraneo come mai gli era accaduto…da quando aveva
smesso di
aggrapparsi alle illusioni.
-Scusatemi,
signorina- fece, chiudendo la porta- volevo sentirvi se vi sentite
meglio…ma, a
giudicare dal modo gentile con cui mi avete accolto poco fa, penso che
stiate…come dire…più che bene.-
Erin
fissò il
nobile, notando come il suo sguardo si posasse sulla sua figura.
Immobile,
interessato. Istintivamente si guardò, notando, non senza
irritazione, che
l’apertura della camicia si era allargata, scoprendo le
spalle e parte del
petto. Senza rendersene conto, quel pezzo di vestiario copriva meno di
quanto
avrebbe voluto…ma lo lasciò lì
dov’era.
-Grazie-
borbottò, aggrottando la fronte-posso sapere che cosa vuoi?
Sei venuto in
camera mia tutti i giorni, da quando mi sono sentita
male…che significa? Sensi
di colpa tardivi?-
Victor
non
fece una piega. –Veramente- fece, passandosi una mano sui
capelli-non sono io
che mi sono spogliato in una fredda e gelida notte invernale. Non sono
responsabile. Io sono innocente come un bambino appena nato.-
L’altra
lo
fissò. –Non fa ridere-rispose, dopo un breve
momento.
Girodelle
non
sembrò minimamente turbato da quelle parole stizzite. Non vi
faceva più caso e
questo la irritava molto. Non lo voleva intorno…eppure era
sempre lì.
-In
realtà-
continuò, avvicinandosi- volevo sapere come stavi. La febbre
se ne è andata?-
L’altra
non
rispose, sentendo distintamente un campanello d’allarme farsi
strada nella sua
testa. –Cosa volete?- disse alla fine, incrociando le braccia
ed evidenziando,
non si sa bene se volutamente oppure no, la piega del seno.
Girodelle
si
fece nuovamente rigido.
-Avanti-
incalzò questa –tutta questa apprensione
è un po’ insolita. Non siete venuto
fin qui per vedere il mio stato di saluto…tanto
più se sono con una camicia da
notte.Forza, vuotate il sacco.-
Il
nobile si
accomodò sul materasso, senza ovviamente chiedere il
permesso. Erin non fece
una piega, desiderando soltanto che se ne andasse. –Geremia
mi ha detto che se
ne andrà, tra qualche tempo. Cosa intendi fare?- disse,
guardandola diretto.
La
donna lo
fissò. Sapeva tutto. Glielo aveva raccontato Teresina ma
avrebbe preferito che
suo marito la informasse della loro decisione. In qualche modo, saper
che il
suo migliore amico aveva discusso di questo progetto con
quell’estraneo,
piuttosto che con lei, la disturbò, facendole sentire per
l’ennesima volta in
vita sua, l’amaro sapore dell’emarginazione.
–Il capocomico me ne ha parlato
qualche tempo fa. L’ho visto per strada, intento a comprare
alcune cose
necessarie per il viaggio…è stato tutto
casuale.-aggiunse, in tono di scuse.
-Non te
l’ho
chiesto!- fece piccata, dandogli le spalle.
Non
voleva
vederlo, seccata per la precisione chirurgica con cui aveva colpito il
suo
punto debole. Non aveva previsto la reazione di Girodelle,
però.
Questi
infatti, l’aveva tirata indietro con un braccio,
costringendola a tenere la
propria schiena contro il suo petto. Quel contatto ebbe il potere
d’immobilizzarla. –Non c’è
bisogno che me lo dica- fece questi, bisbigliandole
all’orecchio e scatenandole contro nuovi brividi-siete una
persona
contraddittoria. Con la voce dite una cosa, con il corpo
un’altra. Non ho
dimenticato quella sera, proprio no…però
è colpa vostra se vi siete presa un
raffreddore. Volevate dimostrarmi quanto siete
orribile…eppure non penso che
sia così. Gli attori vi vogliono bene, Madame vi
rispetta…perché dovreste
essere una persona spregevole?-
A
quelle
parole, provò a divincolarsi. Era così, non
poteva che essere così. Era una
femmina della peggior specie, eppure le persone della compagnia le
avevano
voluto bene. Madame, pur sapendo della sua condizione passata, non
l’aveva mai guardata
con disprezzo. Doveva
essere meno triste
di prima…ma non riusciva a togliersi quel peso. Girodelle
però strinse
maggiormente la presa.-Un tempo, forse, avrei tenuto maggior conto
dell’aspetto
morale, sebbene abbia usato con tutte le donne che ho avuto un
comportamento
quanto mai corretto. Ora però, il mio mondo è
precipitato e non penso che le
cose che lo regolavano fossero sempre giuste…ma lasciavo che
lo sembrassero.
Vivi e lascia vivere, questo era il mio credo…forse
l’unica cosa che ho
conservato da allora. Un tempo, avrei seguito l’idea comune,
che non vuole
vedere come le condizioni di vita non sempre sono dettate dalla scelta
della
persona…ma non è così. Non lo
è quasi mai.-fece amaro.
Erin
non
disse niente, facendosi di pietra. –Un tempo, ho amato una
donna. E’stato il
mio pensiero fisso per quasi trent’anni…e non era
propriamente un’aristocratica
“tradizionale”. Prima d’incontrarla, mi
limitavo a vedere la bellezza che
mostravano, dando meno peso a ciò che
nascondevano…non che queste si
impegnassero a fare il contrario! Lei però non era
così. Rimasi colpito prima
dal suo carattere e, partendo dal rispetto, persi completamente la
testa.-
fece, abbassando la voce alla fine.
La
donna lo
guardò. Non le era sfuggito quell’aria malinconica
che si nascondeva dietro ai
suoi modi cinici e disincantati. –Perché mi
raccontate questo?-chiese,
dandogli, una volta tanto, un tono educato.
Victor
la
fissò, sorridendole stanco. –Mi ricordate un
po’quella donna…sembra strano ma è
così.-fece mesto.
Erin
chiuse
gli occhi. In testa, avvertiva una sottile tensione che si mescolava
alle
pulsioni del suo corpo, incapace ancora di trovare requie. Le mente
vigile,
però, non voleva saperne di rimanere immobile.-Parlate della
figlia di Madame?-domandò.
Girodelle
ebbe un sussulto. –Mettete da parte questa frenesia.
Uccidetela, fatela a pezzi
in modo da non ricostruirla più. Se avete rispetto per la
dama che state proteggendo,
se volete porre fine ai rischi che ci circondano e che potrebbero
nuocere a
Madame e…e a lei, abbandonate questa fantasia: Ginevra ha
scelto Lancillotto,
non Artù.- continuò dura.
Il
militare
si irrigidì.-Parlare con voi non ha il minimo senso-
sbottò, perdendo la sua
consueta flemma –ma cosa lo dico a fare? Siete sola e
meritate di esserlo!-
Erin non aveva dimenticato quello
scambio verbale. Le
parole dell’uomo l’avevano ferita più di
quanto avesse dato a vedere. Forse, si
erano fatti male a vicenda…però era lei a
soffrirne maggiormente, in quell’istante.
Non voleva più
parlargli…perché voleva continuare a
perseguitarla? Le sembrava di essere tornata alla situazione
precedente, a
quando il nobile di fronte a lei si teneva a distanza. Era come se
fossero più
estranei di quanto non fossero. Quel pensiero la riempì di
amarezza. Non era
forse quello che voleva? Che stesse distante da lei? Che non si
prendesse
troppe confidenze? Ora era accontentata. Quel tipo continuava a
fissarla
divertito, come se fosse un fenomeno da baraccone.
-Io non devo rendere conto a
nessuno- sibilò, con il
chiaro intento di ferirlo, almeno quanto aveva fatto lui- men che meno
ad un
perfetto estraneo-. Prese una delle cibarie che teneva nascoste e
gliele gettò
malamente contro. –Non credo tu abbia mangiato.Prendi questo
e, se hai fame,
arrangiati.-disse, prima di andarsene, lasciandolo lì.
Marguerite fece un profondo
sospiro. –Gilbert- fece,
tenendo la testa bassa, come se il peso delle parole la stesse
schiacciando –ho
riflettuto alla vostra proposta. Sono rimasta al fianco del generale
per ben
trent’anni, sopportando tutto. Ho seguito
l’etichetta, comportandomi come ogni
sposa dovrebbe, rispettando il proprio sposo, senza cadere in scandali.
Ho
vissuto un’esistenza d’ombra, senza aver la
possibilità di poter davvero
decidere…e sarà così anche adesso,
sperando che sia l’ultima volta. Forse avete
ragione. E’bene che io lasci mio marito libero di condurre la
propria esistenza
senza il peso della mia…tuttavia vorrei uscirne nel modo
più onorevole
possibile. Il ripudio è qualcosa di troppo infamante e,
considerando che ho
dovuto sopportare le sue…stranezze, vorrei lasciarlo con
decoro.-
Vide gli occhi di
Allora,
il
capitolo si conclude così. Come potete vedere, la storia sta
prendendo una
piega diversa. Sto facendo come nelle fic di Twilight ma chissene.
Vorrei
ringraziarvi per avermi seguito e spero che anche questa parte sia
stata di
vostro gradimento. Alla prossima!
cicina