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Autore: controcorrente    25/02/2012    3 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Benvenuti, cari lettori. Ecco a voi l’ennesimo capitolo della fic più lunga della sezione. Vorrei ringraziarvi per avermi letto sino ad ora. Siete stati tutti molto gentili e vi ringrazio per questo. Eccovi la nuova puntata della fic…buona lettura!

INGANNO

 

Quando la mattina successiva Madame si svegliò, vide un cielo particolarmente nuvoloso. Si stiracchiò con una mossa pigra e stanca, come se, invece di essere all’inizio, fosse ormai in prossimità del crepuscolo.

Non aveva molta voglia di alzarsi ma si forzò a farlo. Non aveva scelta. Quel giorno avrebbe detto a Gilbert la sua risposta e, se doveva essere onesta con sé stessa, aveva molta paura. Istintivamente si morse il labbro, indecisa.

Per tutta la notte aveva pensato a quanto aveva saputo da Monsieur Saint Just. A quel dialogo, si coprì il viso con le mani. Ancora stentava a crederci.

-E’uno scherzo?- domandò la dama, allibita.

Saint Just le rivolse un’occhiata stressata. –Vi pare che io abbia voglia di perdere il mio tempo con una nobile? Per vostra informazione, io i nobili li…-fece, prima di ricevere un’occhiata minacciosa dalla piccola Rosalie. Di fronte a quelle iridi rabbiose, tacque. C’erano momenti in cui rimpiangeva i vecchi tempi, quando s’infiltrava nelle case di quei sangue blu, seminando il terrore. Maximilien però disapprovava i suoi metodi ed ora, per il bene dei loro ideali, doveva stare buono.-Intendevo dire che sono una persona che sa fare bene il proprio lavoro. Non temete.- si corresse, sforzandosi di sorridere rassicurante. Con scarsi risultati.

-Vi prego Monsieur- rispose Madame- Non può essere come dite. Non è mai capitato che un nobile si prenda la briga di pagare queste cose. Non è compito suo.-

Saint Just arricciò il naso, non potendo fare a meno di darle ragione…anche se era seccante. –E’vero. Di solito se ne occupa la famiglia della sposa. Il documento di cui siamo in possesso, comunque, risale a poco dopo il matrimonio ed è stato fatto da vostro marito in persona.- osservò, massaggiandosi il mento – Si tratta però di un contratto capestro. I beni della famiglia De Jarjayes, fatta eccezione per le figlie di primo letto, che godono della dote materna e di quella versata al momento del loro matrimonio, sono vincolati alla vostra persona e a vostra figlia. In caso di divorzio, vostro marito vi ha lasciato tutto il patrimonio, fatta eccezione per lo stipendio versato dalla corona. Inoltre, vi è anche un’altra cosa.- osservò.

Marguerite si massaggiò il collo. La cosa si stava facendo piuttosto fosca.

Marie e Madame Chatelet ascoltavano silenziosamente, degnando quell’uomo della loro più completa attenzione. –Di cosa si tratta?- chiese la dama.

L’avvocato fissò le carte, poi si avvicinò ad uno degli scaffali. –Secondo gli archivi, negli ultimi anni, vostro marito si è recato in incognito nell’ufficio addetto a queste faccende, chiedendo di aggiungere un altro oggetto- fece, frugando nei cassetti prima di ritirare la mano- ovvero questo.-

A quel pensiero, la donna fissò muta quanto aveva ricevuto da quell’avvocato. Si trattava di un minuscolo volume fatto a mano. Sempre più perplessa, lo aprì, notando un mucchio di pagine ingiallite e vuote. La dama non capiva il motivo per cui, suo marito avesse preso quella decisione. Non aveva senso. 

Persino la sua decisione di educare la sua bambina come un uomo, aveva una logica, per quanto bislacca. –Non mi piace- mormorò –Non mi piace per niente.- Stava quasi per metterlo via, quando lo sguardo le cadde sulla fine del libricino. Immediatamente raggiunse l’estremità…e fu lì che li vide. Il disegno di una quercia e di una civetta. Marguerite sorrise leggermente.

Il salotto del palazzo De Jarjayes era silenzioso, come accadeva da quando aveva messo piede come nuova consorte. In un primo momento, aveva pensato che fosse dovuto al fatto che suo marito l’avesse presa per fare da madre alle sue figlie…o al massimo per essere la madre del tanto sospirato erede. In fondo, non era questo il motivo per cui ci si sposava?

Suo marito però non le aveva mai parlato…o per lo meno, non in privato. Ora però, dopo la cerimonia ed il pranzo, l’aveva condotta in quella stanza.

Marguerite fissò spaurita la persona che aveva di fronte. Il Generale era decisamente bello. Castano con due occhi azzurri e tempestosi. Era decisamente avvenente, si ritrovò a pensare…ma era molto serio. Non sorrideva quasi mai…come lei.

-Madame- fece questi, facendola sussultare. Aveva sentito poche volte quella voce, stupendosi quasi di udire quel suono. Basso e meno freddo di quanto i suoi modi lasciavano pensare. Eppure, non poteva negare a sé stessa di essere intimorita. Quella sera avrebbe dovuto assolvere ai suoi doveri coniugali…come avrebbe dovuto comportarsi?

Istintivamente arretrò, fino a cozzare con la schiena contro la libreria. Il colpo fece cadere alcuni libri. Uno posto sopra di lei stava per finire sulla sua testa. Un volume piuttosto notevole che l’avrebbe ferita…se un braccio non l’avesse protetta. Marguerite spalancò gli occhi, incontrando due pozzi azzurri ed inquieti.

Il terrore si fece strada dentro di lei, sfuggendo al controllo che si era imposta in tutti quei mesi.-Non ce la posso fare…non ce la posso fare…- singhiozzò, tremando violentemente. Tutte quelle responsabilità, tutti quei doveri…erano davvero troppi per lei. Aveva una paura maledetta…ed ora era tardi. Apparteneva a quell’uomo. Un secondo pensiero, poi, l’attraversò fulminea: si era ritratta dal suo tocco…che cosa le avrebbe fatto?

Chiuse gli occhi, preda del panico.

Il respiro accellerò improvviso e quel vestito da sposa, vecchio e che mal si adattava al suo fisico le comprimeva il torace, rendendole difficoltoso far passare l’aria. Vedeva, continuava a farlo, ma aveva la sensazione, il tarlo, che i suoi occhi non funzionassero a dovere. Quegli attacchi, che avevano segnato la sua infanzia, si erano ripresentati. I suoi genitori non avevano detto nulla a suo marito sul suo problema…non aveva alcun dubbio. Lui non ne era a conoscenza e non avrebbe gradito questa novità. E ancora paura, nuovo terrore, pronti a ghermirla.

-Sembrate così fragile- mormorò quella voce, intinta di una sfumatura che la giovane non riuscì a identificare- non dovete temere niente da me. Non amo picchiare le donne e voi non avete bisogno di caricarvi di ulteriori responsabilità. Quelle che avete bastano.-

Marguerite smise di tremare, stupita per quelle parole. Non sembrava arrabbiato con lei…e questo era piuttosto insolito. Aprì lentamente gli occhi, incerta…quando avvenne una cosa che la scosse maggiormente. Il Generale, senza che lei se ne accorgesse, si era avvicinato a lei più di quanto si sarebbe aspettata.

Un tocco lieve di labbra, al quale non seppe come rispondere.

-Non è facile per nessuno ricoprire i ruoli che gli altri si aspettano- fece questi, scostandosi rapido da lei –ma non c’è niente di peggio che farlo da soli.-

Gli occhi chiari di Marguerite rimasero fermi, immobilizzati da quel blu inquieto. Il gesto di quell’uomo era stato così inaspettato da lasciarla senza parole. La paura che si era impossessata di lei, pochi istanti prima, era stata cancellata dal suo sposo…e lei non se lo aspettava. Non disse una parola, nemmeno quando il Generale si scostò da lei. –Adesso vado dagli ospiti. Immagino che siano in pensiero. Voi prendetevi pure tutto il tempo che volete- disse, avvicinandosi alla porta e dandole le spalle.

Era ormai prossimo a prendere la maniglia, quando qualcosa lo trattenne. –Ah- fece, come soprappensiero –una cosa però dovete promettermi.-

Marguerite ebbe un sussulto. La voce del Generale pareva strana, intrisa di qualcosa che non riusciva ad identificare e che questi sembrava quasi non rendersene conto, per quanti sforzi facesse. Una sottile tensione che nemmeno i modi di quella persona, perfettamente fedeli all’etichetta, riuscivano a celare. Una scoperta che la pietrificò, letteralmente. –Di…di che si tratta?- balbettò, sentendosi improvvisamente ridicola.

I suoi genitori, prima di lasciarla, l’avevano ammonita sul comportamento da tenere in presenza del marito. Una persona troppo più agiata e nobile di loro, troppo al di sopra della loro famiglia per non renderli preoccupati: la loro debole e inetta primogenita sarebbe mai stata all’altezza di un simile partito? Per questo, era stati particolarmente addosso alla figlia, più di quanto avessero mai fatto in vita loro…e questo, invece di rallegrare la giovane, la caricava di aspettative e pressioni che la innervosivano più del necessario. Per questo aveva timore a rapportarsi con quel militare ed era più che convinta di aver commesso qualche sbaglio.

Non poteva essere diversamente.

Lei era solo una timida ( e quindi inetta), silenziosa (e quindi noiosa) figlia di un nobiluncolo di campagna. Così era e così sarebbe stato…forse più di prima. Per questo, quando il Generale parlò, si era messa nella condizione d’animo di ricevere l’ennesima offesa. Era naturale per lei…ma ancora una volta quella persona la spiazzò.

-Non sparite- fece, prima di lasciarla sola.

 

Marguerite fissò la propria immagine. Quel ricordo la tormentava spesso, nei momenti più inaspettati e non riusciva a dare un nome alla causa per la quale un simile episodio si mostrava così, alla sua mente. La donna di vetro di fronte a lei sorrideva lieve, incerto dire se di cuore o per recita.

Non sapeva dare un nome a quanto era avvenuto quel giorno…e una parte del suo animo preferiva così. Affibbiargli una definizione avrebbe significato prenderne atto e lei, nella sua esistenza di ombra, dopo anni e anni di afflizioni, fantasie infrante e silenzi, era giunta alla conclusione che forse era meglio mantenere tutto nell’anonimato. Dare un nome voleva dire donare una consistenza a qualcosa che forse esisteva solo nel proprio cervello…come tutte quelle sensazioni contrastanti che si dibattevano dentro di lei e che trapelavano, sia pure compressi dietro all’etichetta e a qualche freno che ancora non riusciva a comprendere…un laccio, una catena che teneva prigioniero quel generale.

Ne era sempre più convinta. Da quando lo aveva incontrato la sera in cui si era infiltrata a Versailles, era un pensiero fisso: suo marito era impelagato in qualche cosa di complesso e terribile…altrimenti non avrebbe mai reagito in modo così inconsulto. Nemmeno quando si arrabbiava per la disobbedienza di Oscar, aveva mostrato una simile mancanza di controllo.

La risata stridula di Mademoiselle De Bouillé rieccheggiò nel suo cervello. Un suono sgradevole che le faceva fischiare le orecchie. –E va bene, Francois- mormorò, fissando laconica il soffitto della camera in cui dormiva da giorni –quando tutto sarà finito, io e te faremo i conti.-

 

 

 

La sala da pranzo era avvolta dal silenzio. Marguerite era seduta al tavolo e fissava i piatti che le venivano serviti. La Fayette, per parte sua, si limitava a masticare i pezzi di carne abilmente cucinati dai propri servitori.

-Qualcosa non va, Marguerite?- domandò alla fine, giunto al termine del secondo- Siete particolarmente silenziosa.-

-Dov’è vostra figlia?- chiese la dama, fissando il cibo.

-Lucrece- le rispose l’amico, ignorando palesemente la parola con cui l’altra aveva chiamato la ragazzina – è nelle sue stanze. Non si sente bene.-

L’altra non disse niente. Improvvisamente aveva perso l’appetito. Non era il fatto che sentisse la mancanza di quella persona, unica compagnia, oltre a Erin, Marie e agli attori, che avesse in quel posto. Ora, da qualche giorno, quella giovane non si faceva vedere e quando chiedeva al padrone di casa o ai servi dove fosse, riceveva solo risposte evasive. Non le piaceva molto quella situazione ma ugualmente evitò di porre altre domande. Gilbert sembrava essere piuttosto restio a darle una risposta diversa da quella che suonava ai suoi occhi come una scusa ufficiosa e falsa.

-Perché me lo domandate?- chiese, posando bruscamente la forchetta ed il coltello sul tavolo.

Madame lo guardò. I suoi modi garbati e leziosi stonavano con la violenza con cui aveva posato quegli oggetti. La Fayette si stava irritando per qualcosa. Meglio evitare la figliastra constatò. –Semplice curiosità…perdonatemi- rispose, tenendo la testa bassa.

La Fayette sorrise.

-Non dovete chiedere perdono Marguerite- rispose, tornando a rivolgerle quell’espressione rassicurante con cui si era sempre mostrato ai suoi occhi –può capitare…di perdere di vista le competenze che spettano ad ognuno di voi e data la vostra condizione, siete più che scusabile.-

La dama si morse il labbro, imponendosi di sorridere, ma ciò che le venne fu una pallida smorfia, simile a quelle che riservava alle persone intorno a lei durante l’infanzia. La Fayette sembrò non notare niente. –Gilbert- fece a voce più bassa del solito –vorrei parlarvi…a proposito della proposta che mi avete fatto.-

 

 

 

 

 

Erin percorreva silenziosa i corridoi. I suoi passi sembravano non avere suono, tanto si poggiavano lievi sul pavimento. Con la coda dell’occhio, si guardava attorno. Aveva lasciato da poco le cucine, dove aveva sgraffignato qualcosa da mettere sotto i denti. Negli ultimi giorni, il padrone di casa aveva smesso d’invitarle a cenare con lui. In un primo momento, aveva pensato che fosse per via dei numerosi impegni per la sicurezza delle strade ma poi aveva capito.

Lo vedeva negli sguardi dei domestici.

Lo vedeva dal modo in cui impediva a chiunque di avvicinarsi a Madame. Senza dire nulla apertamente, sia lei, che Marie erano state allontanate e non potevano far compagnia a quella donna. Le cameriere impedivano loro di entrare nelle stanze frequentate dalla dama e, negli ultimi tempi, aveva visto che anche la figliastra passava sempre meno tempo in sua compagnia. Quel particolare inizialmente non l’aveva preoccupata. La giovane Lucrece non era una persona molto socievole…eppure alla donna dagli occhi felini non era sfuggito il modo affettuoso ed impacciato con cui guardava Madame.

Poteva capirla in fondo.

Nemmeno lei aveva visto sua madre. Le febbri puerperali se l’erano portata via, pochi mesi dopo la sua nascita…eppure, malgrado quella mancanza la rendesse simile alla giovane aristocratica e alla sua piccola amica, sentiva di non nutrire quella stessa emozione…quando si trovava accanto alla dama. Forse per via del fatto che la sua vita era stata così diversa. Stava per raggiungere la propria stanza, quando una mano si poggiò sulla propria stanza, facendola sobbalzare.

-Mademoiselle O’Neal- fece una voce bassa –cosa ci fate in giro a quest’ora?-

Erin si voltò di scatto e ignorando quel battito più veloce del normale, che imputò a quella presa alla sprovvista, gli lanciò un’occhiataccia. –Ah- grugnì- siete voi-.

Girodelle ridacchiò vedendola così corrucciata. Non sapeva dirsene il motivo ma trovava quel suo fare così scontroso divertente…qualche volta. –Ripeto la domanda- fece, inclinando la testa- cosa ci fate qui…e con quest’aria così guardinga poi!- La donna, per tutta risposta, si spostò, tentando di nascondere le cose prese. L’altro però non demorse.

-Nulla che ti possa riguardare!- esclamò piccata.

Victor non fece una piega. –Ah no?- chiese- E quegli insaccati che tenete nascosti dietro alla schiena cosa sono?-

Erin indietreggiò. –SONO AFFARI MIEI!- strillò, indispettita. Non sopportava quella vicinanza. Non le succedeva mai di essere preda del nervosismo con un uomo. Pensava di essere riuscita ad allontanarlo, con la sua scenata nel parco…ma si era dovuta ricredere.

 

 

Quella febbriciattola era decisamente fastidiosa e le preoccupazioni che l’avevano presa dopo la scoperta con Lucrece non le permettevano di dormire. Si era rigirata varie volte…ma alla fine aveva dovuto rinunciarci.

Improvvisamente qualcuno bussò alla porta. Erin non disse nulla,limitandosi a guardare chi fosse…senza riuscire a trattenere uno sbuffo risentito. –Ah…sei tu- bofonchiò, guardandolo fisso. Girodelle era entrato nella camera che le avevano riservato. Cosa che non era mai successo prima. Da quella sera, che non sapeva se benedire o inveirle contro, quel nobile si era sempre tenuto a distanza da lei.

Erin si morse nervosamente il labbro, senza perderlo di vista. Si era mostrata a quel perfetto estraneo come mai gli era accaduto…da quando aveva smesso di aggrapparsi alle illusioni.

-Scusatemi, signorina- fece, chiudendo la porta- volevo sentirvi se vi sentite meglio…ma, a giudicare dal modo gentile con cui mi avete accolto poco fa, penso che stiate…come dire…più che bene.-

Erin fissò il nobile, notando come il suo sguardo si posasse sulla sua figura. Immobile, interessato. Istintivamente si guardò, notando, non senza irritazione, che l’apertura della camicia si era allargata, scoprendo le spalle e parte del petto. Senza rendersene conto, quel pezzo di vestiario copriva meno di quanto avrebbe voluto…ma lo lasciò lì dov’era.

-Grazie- borbottò, aggrottando la fronte-posso sapere che cosa vuoi? Sei venuto in camera mia tutti i giorni, da quando mi sono sentita male…che significa? Sensi di colpa tardivi?-

Victor non fece una piega. –Veramente- fece, passandosi una mano sui capelli-non sono io che mi sono spogliato in una fredda e gelida notte invernale. Non sono responsabile. Io sono innocente come un bambino appena nato.-

L’altra lo fissò. –Non fa ridere-rispose, dopo un breve momento.

Girodelle non sembrò minimamente turbato da quelle parole stizzite. Non vi faceva più caso e questo la irritava molto. Non lo voleva intorno…eppure era sempre lì.

-In realtà- continuò, avvicinandosi- volevo sapere come stavi. La febbre se ne è andata?-

L’altra non rispose, sentendo distintamente un campanello d’allarme farsi strada nella sua testa. –Cosa volete?- disse alla fine, incrociando le braccia ed evidenziando, non si sa bene se volutamente oppure no, la piega del seno.

Girodelle si fece nuovamente rigido.

-Avanti- incalzò questa –tutta questa apprensione è un po’ insolita. Non siete venuto fin qui per vedere il mio stato di saluto…tanto più se sono con una camicia da notte.Forza, vuotate il sacco.-

Il nobile si accomodò sul materasso, senza ovviamente chiedere il permesso. Erin non fece una piega, desiderando soltanto che se ne andasse. –Geremia mi ha detto che se ne andrà, tra qualche tempo. Cosa intendi fare?- disse, guardandola diretto.

La donna lo fissò. Sapeva tutto. Glielo aveva raccontato Teresina ma avrebbe preferito che suo marito la informasse della loro decisione. In qualche modo, saper che il suo migliore amico aveva discusso di questo progetto con quell’estraneo, piuttosto che con lei, la disturbò, facendole sentire per l’ennesima volta in vita sua, l’amaro sapore dell’emarginazione. –Il capocomico me ne ha parlato qualche tempo fa. L’ho visto per strada, intento a comprare alcune cose necessarie per il viaggio…è stato tutto casuale.-aggiunse, in tono di scuse.

-Non te l’ho chiesto!- fece piccata, dandogli le spalle.

Non voleva vederlo, seccata per la precisione chirurgica con cui aveva colpito il suo punto debole. Non aveva previsto la reazione di Girodelle, però.

Questi infatti, l’aveva tirata indietro con un braccio, costringendola a tenere la propria schiena contro il suo petto. Quel contatto ebbe il potere d’immobilizzarla. –Non c’è bisogno che me lo dica- fece questi, bisbigliandole all’orecchio e scatenandole contro nuovi brividi-siete una persona contraddittoria. Con la voce dite una cosa, con il corpo un’altra. Non ho dimenticato quella sera, proprio no…però è colpa vostra se vi siete presa un raffreddore. Volevate dimostrarmi quanto siete orribile…eppure non penso che sia così. Gli attori vi vogliono bene, Madame vi rispetta…perché dovreste essere una persona spregevole?-

A quelle parole, provò a divincolarsi. Era così, non poteva che essere così. Era una femmina della peggior specie, eppure le persone della compagnia le avevano voluto bene. Madame, pur sapendo della sua condizione passata, non l’aveva mai guardata con disprezzo.  Doveva essere meno triste di prima…ma non riusciva a togliersi quel peso. Girodelle però strinse maggiormente la presa.-Un tempo, forse, avrei tenuto maggior conto dell’aspetto morale, sebbene abbia usato con tutte le donne che ho avuto un comportamento quanto mai corretto. Ora però, il mio mondo è precipitato e non penso che le cose che lo regolavano fossero sempre giuste…ma lasciavo che lo sembrassero. Vivi e lascia vivere, questo era il mio credo…forse l’unica cosa che ho conservato da allora. Un tempo, avrei seguito l’idea comune, che non vuole vedere come le condizioni di vita non sempre sono dettate dalla scelta della persona…ma non è così. Non lo è quasi mai.-fece amaro.

Erin non disse niente, facendosi di pietra. –Un tempo, ho amato una donna. E’stato il mio pensiero fisso per quasi trent’anni…e non era propriamente un’aristocratica “tradizionale”. Prima d’incontrarla, mi limitavo a vedere la bellezza che mostravano, dando meno peso a ciò che nascondevano…non che queste si impegnassero a fare il contrario! Lei però non era così. Rimasi colpito prima dal suo carattere e, partendo dal rispetto, persi completamente la testa.- fece, abbassando la voce alla fine.

La donna lo guardò. Non le era sfuggito quell’aria malinconica che si nascondeva dietro ai suoi modi cinici e disincantati. –Perché mi raccontate questo?-chiese, dandogli, una volta tanto, un tono educato.

Victor la fissò, sorridendole stanco. –Mi ricordate un po’quella donna…sembra strano ma è così.-fece mesto.

Erin chiuse gli occhi. In testa, avvertiva una sottile tensione che si mescolava alle pulsioni del suo corpo, incapace ancora di trovare requie. Le mente vigile, però, non voleva saperne di rimanere immobile.-Parlate della figlia di Madame?-domandò.

Girodelle ebbe un sussulto. –Mettete da parte questa frenesia. Uccidetela, fatela a pezzi in modo da non ricostruirla più. Se avete rispetto per la dama che state proteggendo, se volete porre fine ai rischi che ci circondano e che potrebbero nuocere a Madame e…e a lei, abbandonate questa fantasia: Ginevra ha scelto Lancillotto, non Artù.- continuò dura.

Il militare si irrigidì.-Parlare con voi non ha il minimo senso- sbottò, perdendo la sua consueta flemma –ma cosa lo dico a fare? Siete sola e meritate di esserlo!-

Erin non aveva dimenticato quello scambio verbale. Le parole dell’uomo l’avevano ferita più di quanto avesse dato a vedere. Forse, si erano fatti male a vicenda…però era lei a soffrirne maggiormente, in quell’istante.

Non voleva più parlargli…perché voleva continuare a perseguitarla? Le sembrava di essere tornata alla situazione precedente, a quando il nobile di fronte a lei si teneva a distanza. Era come se fossero più estranei di quanto non fossero. Quel pensiero la riempì di amarezza. Non era forse quello che voleva? Che stesse distante da lei? Che non si prendesse troppe confidenze? Ora era accontentata. Quel tipo continuava a fissarla divertito, come se fosse un fenomeno da baraccone.

-Io non devo rendere conto a nessuno- sibilò, con il chiaro intento di ferirlo, almeno quanto aveva fatto lui- men che meno ad un perfetto estraneo-. Prese una delle cibarie che teneva nascoste e gliele gettò malamente contro. –Non credo tu abbia mangiato.Prendi questo e, se hai fame, arrangiati.-disse, prima di andarsene, lasciandolo lì.

 

 

Marguerite fece un profondo sospiro. –Gilbert- fece, tenendo la testa bassa, come se il peso delle parole la stesse schiacciando –ho riflettuto alla vostra proposta. Sono rimasta al fianco del generale per ben trent’anni, sopportando tutto. Ho seguito l’etichetta, comportandomi come ogni sposa dovrebbe, rispettando il proprio sposo, senza cadere in scandali. Ho vissuto un’esistenza d’ombra, senza aver la possibilità di poter davvero decidere…e sarà così anche adesso, sperando che sia l’ultima volta. Forse avete ragione. E’bene che io lasci mio marito libero di condurre la propria esistenza senza il peso della mia…tuttavia vorrei uscirne nel modo più onorevole possibile. Il ripudio è qualcosa di troppo infamante e, considerando che ho dovuto sopportare le sue…stranezze, vorrei lasciarlo con decoro.-

Vide gli occhi di La Fayette scintillare. Aveva la sua più completa attenzione e questo le dette il coraggio di proseguire. –Intendo separarmi consensualmente da mio marito. Ho lasciato la sua casa da un anno ma, considerando i progetti che sta meditando, non voglio lasciarlo in modo vergognoso per la mia condizione. Sebbene la mia nobiltà è inferiore alla sua, la durata delle nozze e il mio comportamento devono essere garanzia della salvaguardia del mio onore. Lascerò il generale…così entrambi saremo liberi.-

Allora, il capitolo si conclude così. Come potete vedere, la storia sta prendendo una piega diversa. Sto facendo come nelle fic di Twilight ma chissene. Vorrei ringraziarvi per avermi seguito e spero che anche questa parte sia stata di vostro gradimento. Alla prossima!

cicina

   
 
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