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Autore: Deliquium    27/02/2012    1 recensioni
Immaginate che il Fato decida, casualmente, di mescolare le carte in un modo diverso e immaginate quindi che sul tavolo da gioco, vengano messe giù altre carte. Alcune sono uguali a quelle che conosciamo, altre invece non sono mai state giocate prima d'ora. E immaginate, pertanto, che la storia così come la conosciamo, venga rinarrata nuovamente. E’ simile, ma allo stesso tempo diversa…
Le situazioni sono destinate a compiersi, ma non allo stesso modo…
Il filo del destino viene lentamente dipanato lungo l’asse del tempo verso, forse, un nuovo epilogo.
La storia è incompiuta. La nuova versione è in corso di pubblicazione con il titolo "Sincretismo"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Saga, Pegasus Seiya, Saori Kido, Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo

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28. Ciò che è prezioso.

Hyoga non aveva tempo da perdere con quegli idioti dei suoi fratelli.
Avrebbe tanto voluto dir loro la verità.
Come avrebbe reagito Seiya nel sapere che l’uomo che tanto odiava era in realtà suo padre?! Oppure, Shun, o Jabu. Ah, certo… Jabu ne sarebbe stato felicissimo.
Ora come ora, l’unica cosa che gli interessava era parlare con Kido. Dirgli tutto quello che pensava.
Sentì alcuni rumori alle sue spalle, un improvviso tintinnare. Forte ed insistente. Si voltò. Tutti gli altri erano in piedi ed attorniavano Shun.
Hyoga seguì i loro sguardi e vide le catene di Andromeda agitarsi furiose. Conosceva molto bene la loro funzione di difesa e sapeva che le catene non esitavano a prendere vita qualora avvertissero una minaccia.
Le catene si agitarono e scivolarono rapidamente sul pavimento. Curvandosi e disponendosi in angoli e segmenti, fino a formare una parola.
«Axia?!»
Shun aveva pronunciato quella parola in un sussurro.
«Qualcosa d'importante... o qualcosa di prezioso ... Cosa c'è qui di prezioso e importante?!»
Prezioso e importante? Nulla a Villa Kido poteva essere prezioso e importante. Eccetto il desiderio di vendetta.
Avevano tutti rapidamente indossato i loro cloth, compreso Hyoga, anche se riluttante, a fronteggiare qualsiasi nemico minacciasse Villa Kido.
Del resto quando l’aveva liberata dai ghiacci in Siberia, era la seconda volta che la indossava. La prima non è che l’avesse proprio voluta indossare, ma era stata proprio lei che riconoscendolo gli era finita addosso.
Con indosso l’armatura del Cigno si era gettato nelle fredde acque del Mare della Siberia e aveva raggiunto la nave dove riposava sua madre.
Era per questo che aveva accettato di diventare Santo di Atena. Per essere forte, per poter compiere missioni impossibili, come raggiungere una nave sprofondata nelle gelide acque del Mare della Siberia.
«Cosmo nemico? Ma chi potrebbe essere?!» domandò Seiya, distogliendolo dai suoi pensieri.
«Ho un brutto presentimento …»
Non gli piaceva dare ragione a uno di loro, ma anche lui era turbato. Lo sentiva nell’aria, quel presentimento. Fin da quando aveva messo piede in Giappone. Quel nome, sulla bocca di tutti e a stento pronunciato. Un nome carico di vendetta. Lo sapeva. Non era l’unico lì che aveva dei conti in sospeso con Mitsumada Kido.
Hyoga fissava le catene di Andromeda, come ipnotizzato. Queste ricominciarono a muoversi, sempre più velocemente. Il nemico stava arrivando. Forse era già riuscito a superare il sistema di difesa della villa.
Se era lui …

29. And all the wounds are reopening again (1)

Le catene si arrestarono
Shun le strinse più forte e rimase in attesa, fissando il punto che loro gli indicavano.
«Il nemico verrà da lì...» sussurrò.
Sentì i propri compagni agitarsi attorno a lui. La finestra si spalancò come per un improvviso colpo di vento. Le tende sventolavano e nella luce della luna, un’ombra comparve dal nulla.
Era un guerriero. Potevano capirlo dai contorni dell’armatura che, seppure visibili in parte, erano parzialmente riconoscibili.
Strinse più forte le sue catene. Il cosmo dell’intruso era carico di odio. Riusciva a percepirlo. Lo sentiva dentro di sé. Era come se gli avessero tolto l’aria.
L’uomo non accennava a volersi muovere. Sembrava che li stesse osservando o che stesse aspettando qualcosa.
Lo stava guardando. Anche se non poteva scorgerne il volto, sapeva che quell’uomo, tra tutti, stava fissando lui.
Ormai faticava a trattenere le catene. Non voleva che attaccassero, ma esse sembravano di tutt’altro avviso. La minaccia che avvertivano era così grande che se non fosse stato per la ferma volontà di Shun, l’avrebbero raggiunto. Da quell’uomo non bastava difendersi, Shun lo capiva molto bene. Eppure …
L’uomo fece un passo avanti, uscendo dal vano della finestra. Era più giovane di quanto avesse creduto. Non doveva avere più di vent’anni. Forse ancora meno. I capelli neri, mossi, spuntavano da sotto l’elmo e una maschera gli celava in parte il volto.
Shun non aveva mai visto quell’armatura. Ma ne aveva sentito parlare. L’armatura con le “code di piume di bronzo”.
Scrutò ancora il suo volto. Seppur in silenzio, i suoi occhi erano assai loquaci. Disprezzo e odio erano le due parole che pronunciavano con ostinazione.
Shun avrebbe voluto distogliere lo sguardo e non credere a ciò che ormai tutto il suo cosmo gli stava urlando dall’inizio. Se quell’odio, se quel disprezzo non fosse appartenuto a quegli occhi. Ai suoi occhi.
“Ecco. E’ lui! E’ tornato!” pensò, ormai inerme.
Shun abbassò le braccia richiamando a sé le catene. Queste parvero esitare qualche istante, convinte che la persona che avevano di fronte doveva essere attaccato, ma Shun ormai aveva già deciso.
«Sei vivo... Sei vivo, fratello...» sussurrò abbassando gli occhi lucidi.
L’aria cominciò a scaldarsi. Un vento impetuoso iniziò a vorticare per la stanza.
Shun vide suo fratello scattare in avanti, il braccio sollevarsi, la mano chiusa, pronta a colpirlo. Ogni cosa sembrava immersa in un denso liquido. Sentì un dolore lancinante alla spalla e il rumore del suo coprispalle che andava in frantumi.
Si rialzò a fatica, tenendosi la spalla.
«Ikki, mio fratello, era forte e generoso.» disse tra le lacrime «Non l’incarnazione dell’ira, come sei tu ora.» Mosse qualche passo verso di lui. «Dimmi, fratello. Che cosa ti ha cambiato fino a questo punto?»
«Che vigliacco!» disse Ikki mentre solleva la maschera e dissipava definitivamente ogni dubbio «Sei sempre un piagnone! Non voglio più vedere la tua faccia coperta di lacrime, altrimenti ti ammazzerò alla prima occasione!»
La voce di Ikki era dura e tagliente. 
«Perché…?!» sussurrò tenendo la mano verso suo fratello.
L’aria si fece incandescente, ancora una volta, ed Ikki colpì Shun una seconda volta. In questo pugno c‘era così tanto odio, così tanta forza che se non avesse indossato il cloth, sarebbe morto.
Shun si alzò a fatica. Avrebbe preferito, infinite volte, restare a terra, accorgersi di essere preda di un incubo. O se si fosse svegliato in quell’istante. Cosa avrebbe dato perché gli ultimi cinque anni fossero soltanto frutto dei giochi di Morfeo.
«Cosa ti è successo? Dimmelo, Ikki...»

30. Obblighi di fedeltà


Dalla sua suite al quinto piano dell’Hotel Milestone, Radamanthys osservava pensieroso i Giardini di Kensington.
Era tornato a Londra da qualche giorno e aveva scelto una sistemazione da dove riusciva a vederli.
Considerava l’Inghilterra e Londra la sua seconda patria, dopo Tórshavn, sua città natale.
Chiuse la tenda.
Il carrello con il te gli era stato portato poco tempo prima. Sollevò il coperchio della teiera e annusò l’intenso aroma. Tra le varie miscele che aveva provato, le sue preferite restavano quelle indiane. Niente sapeva appagargli i sensi come le diverse varietà di Darjeeling, come l’Ambootia (molto raro), o il Rose d’Himalaya o l’Assam Thowra. Non sopportava invece le miscele come l’Earl Grey (chiamarlo te era un’offesa) o quelle varianti scialbe tanto apprezzate dagli orientali.
Si versò il te nella tazza e si sedette accanto al camino spento in attesa.
Due cose rendevano appaganti i suoi momenti di solitudine. Il te e il talisker. Il primo vellutato e soave gli inebriava il senso del gusto e dell’olfatto, mitigando la cupezza dei giorni. Il secondo, intenso e pungente, incantatore di menti e annientatore di cattivi pensieri.
Lady Pandora aprì la porta della stanza.
«Noto che ti stai rilassando.» disse, mentre si toglieva i guanti e il cappello.
Radamanthys si era affrettato ad alzarsi e ad inginocchiarsi. La tazza rapidamente appoggiata sul tavolino.
Lady Pandora si lasciò cadere sull’ottomana.
«Alzati, Radamanthys.» disse, senza degnarlo di uno sguardo.
I suoi occhi d’ametista fluivano per la stanza, appagati dal gusto raffinato dell’arredamento.
In fondo, Pandora era abituata al lusso della sua famiglia mortale e alla grandiosità di un Regno senza fine quale l’Ade.
«Quanti Spectre si sono risvegliati finora, nobile Pandora.» domandò mentre le porgeva una tazza di te.
«Abbastanza.»
«Quindi è giunto il momento.» disse l’uomo.
Lady Pandora non rispose. A capo chino, fissava il liquido ambrato incresparsi in lievi onde.
«Che vi succede, mia signora?»
«Nulla. Assolutamente nulla. Perché me lo chiedi?»
Radhamantys appoggiò la tazza sul tavolo.
«Mi era sembrato …»
«Ti era sembrato!?» disse lei, con un tono di voce un po’ troppo alto. «Non c’è nulla che non vada. Hades sta tornando. Presto io e lui guideremo l’armata di Spectres come 243 anni prima e distruggeremo quell’insulsa ragazzina che si fa beffe di noi.»
L’uomo decise di cambiare argomento.
«Avete sentito le ultime notizie riguardo la comparsa di misteriosi mostri in alcune città d’Europa e degli Stati Uniti?»
Lady Pandora lo guardò attenta.
«Sembra che recentemente alcuni Marines di Poseidone si siano imbattuti in un mostro marino e che anche un gruppo di Saint sia stato inviato a Praga per un motivo simile.»
«Mostri? - Lady Pandora rise. «I mostri non esistono. Sono favole per bambini.»
«Dimenticate Cerbero.»
«Non dimentico affatto Cerbero, Radhamantys.» ribatté lei, stizzita. «E comunque, che cosa centrano questi … mostri con noi?!»
Radhamantys era fedele ad Hades e conseguentemente a Lady Pandora che ne era la sorella, nonché luogotenente, ma c’erano delle volte che avere a che fare con una ragazzina simile, gli dava ai nervi.
Ma per fedeltà, ingoiava colonie interi di rospi ed eseguiva scrupolosamente ogni suo ordine, accettando spesso punizioni ingiuste e dettate esclusivamente dal carattere collerico della ragazza.
“Possa Hades sorgere presto a nuova vita.” pensava in quei frangenti il Giudice Infernale.
Tuttavia, nonostante il disinteresse di Lady Pandora, lui non era affatto tranquillo.
«Mia signora, al fine di dissipare ogni dubbio,» azzardò «non sarebbe meglio cercare di raccogliere quante più informazioni possibili riguardo quest’ondata di mostri?» non sapeva in che altro modo definirla.
«E di grazia, Radhamantys, a chi vorresti chiedere queste cose?» Lo canzonò lei. «Ai Marines? » continuò, impedendogli di rispondere. «No aspetta. Fammi indovinare… ad Athena e ai Saint. Ma certo… ti accoglierebbero a braccia aperte. Che cosa fai ancora qua?»
Radhamantys strinse i pugni e con un respiro profondo, disse: «Perdonatemi Lady Pandora, ma ritengo saggio non ignorare simili fatti…»
«Saggio!? Saggio!! E con ciò cosa vorresti dire!?» Lady Pandora si era alzata e furiosa inveiva contro l’uomo. «Mi stai dicendo che non sono saggia. Non vi ho forse condotto con saggezza? Non vi sto forse conducendo con saggezza?!»
«Perdonatemi, mia signora, se con le mie parole vi ho offesa.» si affrettò a dire, messosi in ginocchio. «Voi siete la sorella del mio signore, e in quanto tale, io sono al vostro servizio. La vostra volontà è la volontà del mio signore. Le vostre parole sono le parole del mio signore.»
Lady Pandora parve acquietarsi. Radhamantys sentiva il suo sguardo fisso su di sé, seppure, essendo a capo chino, non riusciva a vedere nien’altro che parte del suo abito nero.
«Sì… è vero. Tu mi servi, Radhamantys. In quanto sorella del tuo dio…» La ragazza si mosse verso la porta e senza dire nient’altro, lasciò la stanza del Giudice Infernale.

NdA
(1) Il titolo è un verso di Blood Brothers degli Iron Maiden.

   
 
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