10 – Riflessi e ambiguità
André attendeva contro il rettangolo scuro dell’ingresso
alle scuderie, la posa rigida, le braccia distese lungo i fianchi, i pugni
chiusi.
Lentamente mi avvicinavo a cavallo e la sua figura si
stagliava sempre più netta sullo sfondo. Mi appariva stranamente immobile,
bloccato nello sforzo di trattenere il guizzo dei muscoli.
Era nervoso, o forse arrabbiato.
Ignoravo totalmente quale potesse essere il motivo, ma
l’inquietudine mi attraversò il cuore quasi immediatamente; temetti di venire
smascherata, lì sul posto.
Sarebbe stato terribile. E umiliante.
Per me.
Per Oscar.
Avrei negato disperatamente, fino all’inverosimile.
In sella a Caesar, mi voltai un momento per verificare
quanto Oscar fosse lontana; avevo su di lei diversi minuti di vantaggio, minuti
che potevo volgere a mio favore. Dovevo approfittarne, in qualche modo.
Stavo per affrontare il mio primo vero confronto diretto
con André, mentre ero nei panni di colei che amava e non sapevo ancora cosa avrei
fatto o detto. Giudicai che sarebbe stato saggio tentare, per quanto possibile,
di adattarmi alla situazione.
Avrei dovuto essere convincente e naturale per non destare
sospetti, cosa tutt’altro che scontata.
Quando fui a pochi metri, arrestai il cavallo; solo
allora, André si mosse per venire a prendere le redini.
Gli sorrisi, ma lui non disse una parola, né si mostrò
amichevole; puntai il mio sguardo nel suo e colsi l’ ombra che rabbuiava il
verde già cupo dei suoi occhi. Mi allarmai, non sapendo cosa aspettarmi e un
improvviso senso di panico mi fece sentire inadeguata ai panni che portavo.
Pensai che Oscar avrebbe indagato, cosa che feci, con ogni
cautela possibile.
“Che faccia scura! È successo qualcosa durante la nostra
assenza?” chiesi, tentando di sdrammatizzare.
André mi restituì lo sguardo vago e allarmato di chi è
colto in fallo.
Fu questione di un secondo, poi si riebbe dalla sorpresa e
la sua espressione tornò quella di sempre, mentre rispondeva con la consueta
ironia.
“Accidenti Oscar, non ti si può nascondere niente.”
Esclamò ridacchiando un po’ forzatamente.
Mi aveva chiamata Oscar, quindi non ci aveva scoperte. Si
riferiva ad altro. Mi calmai un poco.
“Vorresti essere più chiaro? Non ti seguo…”
Intanto, con tutta la disinvoltura di cui ero capace, ero
scesa dalla sella e avevo ceduto le redini all’attendente; Andrè, con tutta
calma, guidò il cavallo dentro le scuderie.
“Niente di grave Oscar; è solo… che non mi piace fare il
galoppino, lo sai.”
Lo vidi scomparire con Caesar nella penombra dell’ambiente.
Sembrava restio a proseguire oltre quella conversazione.
Lo seguii col sospetto che stavo per indovinare di cosa si
trattava; durante la nostra cavalcata, lui e Fersen erano rimasti soli in casa:
lo svedese doveva aver fatto o detto qualcosa che lo aveva irritato. André
sapeva nascondere bene i suoi impulsi, ma poteva essere che davanti a Oscar non
fosse sempre tanto riservato e schivo. Però avrebbe osato sbilanciarsi sul suo
nemico?
Continuai a fingere.
“Continuo a non seguirti: che cos’è questa storia del
galoppino?”
Aveva già tolto e riposto le briglie e ora stava slegando
il sottopancia della sella. Il silenzio tra noi perdurava e André non si
preoccupava di interromperlo, quasi non volesse rispondere alla mia domanda. Mi
stavo innervosendo anche se cercavo di nasconderlo, appoggiandomi con
noncuranza alla parete di legno del box.
“È la storia ridicola, squallida e abbastanza comune, di
un noto nobiluomo che vorrebbe insidiare una donna. Non vale neppure la pena di
parlarne.”
La risposta laconica non si prestava a troppe
interpretazioni, e mi fu subito chiaro a cosa André si riferisse. Chissà se
Oscar avrebbe colto altrettanto in fretta l’allusione al conte, o avrebbe fatto
finta di non capire.
“Perché sei tanto infastidito? Per la richiesta che ti è
stata fatta o per la donna coinvolta?”
“Un po’ entrambe le cose… e comunque, sarò un servo, ma
non mi piace essere usato, né preso in giro.” ammise secco, con una certa
riluttanza. Capivo il suo evidente disappunto, ma non potevo esprimere il mio
reale rammarico, né dimostrami troppo solidale.
“È qualcosa che riguarda Danielle, vero? – Esitai
volutamente. - L’uomo non sarà…”
André parlò senza abbassare lo sguardo che all’improvviso
mi aveva puntato addosso.
“Scusami, forse non dovrei parlarne con te, Oscar…”
Allora, mi sentii spiazzata.
“Ti fai problemi con me, André? E da quando?”
André lasciò passare qualche secondo, come se cercasse la
risposta migliore da dare.
“Da quando tu e il nobile conte siete diventati ottimi
amici; non vorrei essere io a far crollare il tuo perfetto castello di carte…”
Erano parole calcolate, ma davvero sorprendenti, dette da
lui.
“Sei ambiguo senza ragione; se si tratta di mia sorella,
posso accettare la realtà. Non sono una sprovveduta, dovresti saperlo.”
“Se è vero, meglio così.”
Ero nei panni di Oscar; per questo, tendeva a essere
evasivo.
E io credevo che normalmente le dicesse tutto. Oppure era
la situazione?
Anche André stava attuando una qualche strategia?
Di recente, mi sembrava di aver colto un atteggiamento
diverso fra loro, come se Andrè cercasse di mettere distanza tra lui e la sua
padrona.
La confessione fatta sul balcone della mia casa qualche
giorno prima, senza dubbio aveva avuto delle conseguenze; lo avevo scosso in
modo insperato, e poteva essere che non volesse tradire il suo turbamento
davanti a Oscar.
Fu così che decisi di correre il rischio: mettere la vera
Oscar davanti a questa possibilità per scoprire paradossalmente se ero
diventata io, Danielle, l’oggetto del desiderio di André.
Era un’ operazione intrigante e molto pericolosa che
poteva risolversi in maniera inattesa e contraria ai miei reali desideri.
Potevo, senza volerlo, scatenare qualcosa che avrebbe
allontanato André da me.
Nei miei panni, come attraverso uno specchio deformante,
per ipotesi, Oscar poteva scoprire e vivere il mio stesso sentimento,
quell’amore intenso e divorante che bruciava i residui di vecchi amori
dimenticati sul fondo della mia anima.
Forse André si sarebbe confidato con la finta Danielle.
E la finta Danielle avrebbe incontrato lo sguardo vivo,
intenso e caldo di un uomo sconosciuto fino a quel momento. André avrebbe
creduto di avvicinarsi a me, senza sospettare di non essere mai stato tanto
vicino alla donna che amava da sempre.
Mia sorella a breve avrebbe raggiunto le scuderie; di lì a
poco, sentimmo il nitrito del cavallo all’esterno. Senza dubbio, sarebbe stato
interessante assistere al loro incontro, vedere la loro interazione e scoprire
come Oscar, nei miei panni si sarebbe rapportata a lui.
Dovevo solo restare a guardare.
Magari, spingere un poco le cose.
Ma quando Oscar entrò a cavallo nella scuderia, Andrè mi
spiazzò nuovamente.
Si allontanò con assoluta decisione per puntare diritto in
direzione della donna vestita da amazzone in sella alla mia Desiree. Oscar si
era arrestata subito dopo l’ingresso; mi trovavo in penombra rispetto a lei, ma
riuscivo a scorgere perfettamente il suo viso leggermente accaldato, su cui
leggevo la leggera sorpresa di trovare Andrè e me, lì.
Avanzai di qualche passo e anche André si accostò al
cavallo che scartò un poco all’ indietro e afferrando le redini, sussurrò
all’animale per calmarlo, accarezzandolo sul collo; poi si rivolse a Oscar che
era rimasta quasi interdetta a fissarlo.
“Se volete, potete appoggiarvi a me, contessa; vi aiuto a
scendere.”
Estrema gentilezza nella voce persuasiva. Le mani pronte e
salde attorno alla vita di Oscar.
Mia sorella, per reazione istintiva, aprì la bocca come
per protestare, ma non osò fiatare appena colse il mio sguardo allarmato dietro
le spalle dell’attendente.
Non tradirti proprio ora, pensai.
Oscar non si sarebbe fatta aiutare, ma Danielle sì. E lei
stava per dimenticare chi era.
Io e lei ci scambiammo una rapida occhiata d’intesa, poi
Oscar tornò a posare lo sguardo sul suo attendente che aspettava un suo cenno
d’assenso.
Si sporse leggermente dalla sella e posò le mani sulle
spalle forti dell’amico per aggrapparsi a lui; si ritrovò a terra, accompagnata
dalla forza delle braccia del suo servo e per tutto il tempo di quel rapido
contatto, mentre nel tragitto il corpo di Oscar scivolava vicino a quello di
André, mi parve che gli occhi dell’uno catturassero quelli dell’altra con la
forza avvincente di una calamita.
Fu come se entrambi dimenticassero di non essere soli.
Pensai per un attimo di essermi ingannata, ma rimasi quasi
esterrefatta quando capii che quella strana atmosfera perdurava; le mani
eleganti e forti di André continuavano a trattenere la vita di mia sorella e
lei si manteneva aderente a lui, ancorata alle sue spalle; il suo petto si
sollevava e il respiro accelerato tradiva l’emozione accesa e subitanea che la
stava cogliendo.
Chissà se mai si erano sfiorati così intimamente prima di
quell’attimo.
Tra tanti sguardi, chissà se mai ci fu uno simile negli
anni della loro lunga convivenza.
Pensai che non doveva essere mai accaduto, ma ora, l’unica
che poteva esserne consapevole era Oscar.
Cercai di darmi un contegno, richiamando mia sorella
all’attenzione.
“Danielle, dovremmo andare. Hai altre incombenze per
questa sera…”
Solo allora, parve ricordarsi che ero presente alla scena;
si volse a guardarmi in viso scostandosi da André quasi con imbarazzo. Fece
qualche passo verso di me, sollevando leggermente la gonna e muovendo la paglia
sotto i suoi passi: teneva il frustino in mano e con l’altra piegava
leggermente lo scudiscio all’estremità, tradendo un lieve nervosismo.
“Sì, Oscar. Vai pure avanti, io ti raggiungo tra poco;
voglio prima dare dell’ acqua e un po’ di biada al mio cavallo e volevo farmi
aiutare dal nostro André.”
“Posso aspettarti, se vuoi…” tentai.
“Preferisco di no. Capisci, vero?”
Sollevò un sopracciglio con fare eloquente.
Capivo fin troppo chiaramente: Oscar nelle mie sembianze,
voleva restare sola col suo attendente, un’evenienza allarmante. Mi resi conto
che non avrei avuto totale controllo su ogni possibile risvolto del gioco e
lasciarli soli era quanto mai rischioso; Andrè senza saperlo, avrebbe potuto
tradire me e lui, contemporaneamente. Non sapevo cosa fare.
Avevo paura che dopo tanti sforzi, la verità venisse a
galla troppo presto, ma Oscar mi stava mettendo alle strette e se avessi
obbiettato qualche scusa si sarebbe insospettita.
Sospirai rassegnata e abbassai il capo.
“Ma certo… vado a cambiarmi per la cena.”
A passi lenti mi incamminai verso il cono di luce
proiettato dall’uscita. Non volevo andarmene e non potevo restare. Lanciai
un’occhiata rapida ad André mentre gli passavo di fianco. Non potevo metterlo
in guardia senza tradire il patto segreto suggellato con Oscar. Lui non doveva
sapere.
André ricambiò il mio stesso sguardo, forse solo un poco
più perplesso.
Ma quando fui all’esterno delle scuderie non mi risolsi ad
allontanarmi da lì.
Mi accostai dietro il portone nel tentativo di udire le
parole che si sarebbero detti.
Ascoltavo, e intanto, paure opposte e contrastanti m’
invadevano il cuore.
Temevo di veder rivelato il mio segreto.
Temevo che André tradisse sé stesso e il suo cuore.
Temevo Oscar scoprirsi amata da lui, e respinta come
Danielle, ma avevo anche paura di scoprirmi finalmente amata attraverso gli
occhi di mia sorella.
Mi giunsero così le loro voci, i bisbigli, i silenzi,
suoni leggeri di passi sulla paglia, il nitrito di un cavallo, un secchio
d’acqua che veniva rovesciato nell’abbeveratoio.
Non potevo vedere gesti, né espressioni, né reazioni, ma
mi sembrava di poter immaginare l’emozione rarefatta dietro le parole, mentre
raccoglievo frasi spezzate che galleggiavano nell’aria come piume portate dal
vento.
Il cielo della sera sopra di me era sempre più infuocato.
§§§§§
Oscar continuava a tormentare il frustino che reggeva tra
le mani.
Dall’ingresso proveniva la luce rossastra del tramonto che
sembrava far prendere fuoco alla paglia seminata sul pavimento. Preferiva
restare nella penombra, l’aiutava a camuffare l’emozione che avvertiva ancora
addosso, che le vibrava sulla pelle sotto il tessuto del vestito da amazzone.
Sentiva tremare le vene dei polsi.
Andrè era fermo dietro di lei, in attesa.
Non sapeva di cosa e non trovava il modo di rompere quello
strano silenzio che era sceso tra loro.
Cosa avrebbe fatto Danielle? Cosa avrebbe detto?
Aveva paura di guardarlo negli occhi e tradirsi.
Improvvisamente lo sentì muoversi, lentamente.
I passi sulla paglia si avvicinavano, accorciando la
distanza tra i loro corpi.
Restava zitta, bloccata, mentre sperava che fosse lui a
parlare per primo. A rompere il ghiaccio.
Ma non era ghiaccio se avvertiva uno strano calore che le
scendeva dentro l’anima.
Che cosa farà lui? Si chiedeva sgomenta.
E perché prima mi ha stretto così?
Lui voleva Danielle?
Prese fiato e coraggio.
Lei era Danielle; per il momento Oscar doveva scomparire.
Si voltò, decisa ad affrontarlo.
“Che cosa succede, André?”
Lo guardò dritto negli occhi che non le erano mai parsi
così foschi, che forse mai l’avevano turbata tanto. Oscar non si era mai
smarrita in quello sguardo, ma nei panni di Danielle le pareva di annegarvi
dentro. Era una sensazione oltremodo inspiegabile, come lo strano vuoto fatto
di paura e speranza che si era formato alla bocca dello stomaco. André era
davanti a lei e sosteneva il suo sguardo con un’intensità sconosciuta.
“Credo tu lo sappia, Danielle. Sei stata tu a scatenare
tutto.”
Sembrava un’ accusa e si chiese se l’amico non avesse
ragione.
Cosa stava facendo Danielle?
“Spiegami, ti prego. Ho bisogno di capire: mi sto mettendo
tra te e Oscar? Sto minando il vostro rapporto in qualche modo?”
Andrè avvertì il tono di voce accalorato, quasi
spaventato.
Si era trattenuto davanti a Oscar, ma sentiva di non
potersi contenere di fronte a Danielle; doveva parlare senza timore, senza
ambiguità.
Con lei voleva prendersi il lusso doloroso di essere
sincero. Forse anche cattivo.
C’era altro che doveva dire, e confusione e tormento nel
suo cuore.
E un sospetto. Un dubbio cui non voleva credere, ma non
poteva del tutto accantonare.
Lei sembrava diversa, sensazione che aveva avuto fin da
quando le aveva viste scendere dalle scale quel pomeriggio. Così decise di
rischiare.
La afferrò con impeto per le braccia.
“Non è strano che tu mi faccia una domanda simile? Certo
che lo stai facendo! Te l’ho detto; tu mi turbi profondamente e non potrebbe
che essere così. Perché lo fai, eh? Vuoi mettere alla prova la mia resistenza?”
“Cosa? NO!! Stai dicendo che tra noi… potrebbe succedere…
Oh, André… dimmi la verità, ti prego; tra te e lei… - aveva paura a dirlo – è
cambiato qualcosa, a causa mia?”
“Oh, Danielle… - sospirò - Io ho cercato di non pensare a
quello che ci siamo detti l’altro giorno; ho cercato di non dare valore alle
tue parole, ma passa il tempo e mi accorgo che non è facile. Sono solo da così
troppo tempo che temo di confondere un palpito improvviso e leggero con un
desiderio più grande… Dovevi seguire Oscar, non restare qui con me…” e mentre
parlava, con il dorso della mano le accarezzò una guancia.
Oscar, senza nemmeno rendersene conto, quasi in un moto
involontario, si lasciò andare a quel gesto gentile chiudendo gli occhi e
inclinando il viso, per godere meglio di quel contatto inaspettato. Ma li
riaprì quasi subito, sconvolta, quando si rese conto del brivido morbido che le
correva sulla pelle delle labbra appena sfiorate dal pollice di André.
Così, occhi negli occhi, scoprì le loro labbra
pericolosamente vicine.
Anche l’amico avvertì il pericolo; ridestato bruscamente,
la lasciò andare allontanandosi svelto da lei. Riprese a parlare con foga,
portandosi una mano alla tempia, ma senza guardarla in viso.
“E ora ci si mette anche il conte di Fersen con le sue
richieste assurde! L’ho quasi preso a pugni, c’è mancato davvero poco.”
“Cosa?!”
La rivelazione fu così inaspettata che Oscar sgranò gli
occhi. Tutto in quel momento le appariva sorprendente; perfino André le
appariva nuovo e diverso. Avvertiva la voce vibrante e appassionata, un impeto
sordo malcelato. Una foga tutta virile e affascinante. Un’ indignazione pura,
sentita profondamente. Era magnetismo, quello più viscerale e se ne sentiva
attratta come non mai.
“Sentirlo parlare in quel modo di te… e di Oscar… Non lo
so… È stato veramente troppo anche per me.”
“Come… Oscar? Che significa? Cosa ti ha detto di lei?”
Domandò incerta; non era più sicura di volerlo sapere, né
che le interessasse davvero.
E la risposta di André la inquietò più di tutto quello che
di scabroso avrebbe potuto scoprire sul conte di Fersen.
“Oh, non è tanto quello che mi ha detto di lei; è quello
che mi ha detto di te! Capisci?! È stato così cinico, da parte sua. Sei un
trofeo da raggiungere, una meta ambita…”
Ricordare nel dettaglio i retroscena di quella
conversazione, ancora lo innervosiva; l’attendente sembrava non trovare la
maniera giusta per esprimersi, come se ci fosse un altro senso alle parole.
“All’ improvviso mi sono arrabbiato, ho reagito male. Non
lo avevo mai fatto, neppure davanti a tua sorella. Ma vedi Danielle, ora a
mente fredda, non so più dire da dove sia partita e dove sia arrivata la rabbia
che ho provato. Non so cosa l’abbia davvero scatenata…” e su quelle parole la
sua espressione divenne pensierosa. Oscar gli si accostò di nuovo posandogli
una mano inguantata su un braccio.
“Che vuoi dire?”
Lo vide esitare, confuso, mentre l’ansia mista alla paura
le bloccava il respiro e le accelerava il battito del cuore, e una malefica
aspettativa la soffocava come se non avesse più parole da opporre.
“Non so esattamente chi volevo proteggere… se te, oppure Oscar…”
Lei continuava ad ascoltare quella sorta di confessione,
sbigottita, ma pronta a ricevere una fitta acuta e dolente all’altezza del
petto.
“So che tu non ne hai bisogno, ma lei…”
André continuava a tremare d’incertezza, come se ogni
singola parola gli costasse sforzo e fatica.
Sfinita da quell’attesa di un affondo, Oscar trovò il
coraggio di anticipare la stoccata.
“André, tu… ti sei arrabbiato con Fersen a causa mia,
perché… per caso… provi un sentimento… per me?”
Allora, lui la guardò di nuovo; uno sguardo serio e
profondo come l’amore che nascondeva. Le prese una mano e scostando un lembo
del guanto, le baciò l’interno delicato del polso, e Oscar avvertì sulla pelle
sensibile il calore dolce ed eccitante di quelle labbra morbide. [1]
Non poté fare altro che trattenere il respiro che morì in
un sussurro spezzato.
“Non lo so, Danielle. Davvero io non lo so. Oh, tu conosci
i miei veri sentimenti, sai per chi batte il mio cuore, ma sai che sono solo
quanto te. E hai ragione; sarebbe così facile tra noi…”
La lasciò andare e Oscar rimase inerte di fronte a lui,
travolta dall’emozione che la sommergeva come la marea, e la riduceva al
silenzio. Sentiva quella stessa marea arrivarle agli occhi; non avrebbe retto
oltre, ma fu André a liberarla da quel tormento.
“Ti prego, va via Danielle. Vattene prima che uno di noi
commetta una pazzia; se ora ti baciassi, come desidero fare, potrei non
riuscire più a fermarmi…”
E bastarono quelle parole a farglielo desiderare.
E bastò il dolore che lesse in quegli occhi a farla
fuggire da lì.
Sollevò le gonne e corse fuori verso la luce rossastra del
tramonto, senza accorgersi che in parte quella fuga poteva tradirla; André
l’aveva inseguita per un attimo ed era rimasto bloccato sul portone aperto, con
la luce del sole morente all’orizzonte, col dubbio insidioso su chi fosse la
donna che fuggiva. L’attendente non si accorse della gemella vestita da uomo
nascosta precipitosamente dietro un albero, lì vicino; la finta Oscar aveva
assistito all’ultima scena, colto stralci di parole e frammenti di emozioni che
avevano acceso in lei un’effervescente speranza.
§§§§§
Tornavo verso la villa e avevo il cuore in tumulto.
Un tumulto fatto di gioia.
Avevo ascoltato solo parzialmente la conversazione nelle
scuderie, ma il senso di tutto mi appariva straordinariamente chiaro; André
avvertiva del trasporto per me, cosa di cui ero stata certa fin dall’inizio.
Volevo credere che fosse qualcosa più di semplice trasporto. Ma per lealtà
verso il suo amore segreto, forse tentava di soffocarlo, di sopire le braci che
bruciavano sotto la cenere. Il bacio cui Andrè non aveva voluto cedere era, se
non altro, la conferma che avevo ragione.
Dovevo raggiungere la mia stanza prima di Oscar,
possibilmente senza farmi sorprendere da nessuno.
Ma dovevo prepararmi ad affrontare la reazione che avrebbe
avuto.
Mi aspettavo il peggio.
Avevo appena varcato l’ampio ingresso, quando colsi la
figura di Ninette, la mia cameriera; aveva l’aria sconvolta e si stava
allontanando velocemente verso l’ala del palazzo riservata alla servitù.
Quando mi vide in abiti maschili, si bloccò un secondo, mi
fece una riverenza rispettosa e corse via, prima che potessi fermarla.
L’avrei interrogata più tardi, appena fossi rientrata nei
miei panni femminili, intanto puntai verso le scale che portavano ai piani
superiori. Ero a metà della rampa e fu allora che colsi il rumore di una porta
che si apriva al piano di sotto. Mi sporsi dalla balaustra per vedere chi fosse
e scorsi l’ambigua madame Lisette uscire dal salottino privato che si trovava
al temine delle scale. Ripensai all’espressione appena intravista della mia
cameriera e collegai le due cose; proseguii salendo verso le mie stanze
private, mi spogliai di pantaloni, panciotto, camicia, infilai la mia vestaglia
da camera e lì, attesi.
Oscar mi avrebbe raggiunto a breve. Entrò trafelata nella
stanza pochi minuti dopo.
Aspettai che mi dicesse qualcosa, un qualsiasi commento su
quanto era avvenuto nelle scuderie. Ma Oscar si limitò a fare qualche passo
nella stanza, quindi si lasciò cadere pesantemente su una sedia, con lo sguardo
fisso su un punto imprecisato del pavimento. Pareva assente.
Non mi sarei aspettata quella reazione; domande, accuse,
grida e strepiti, ma non quel silenzio opprimente e indecifrabile.
Cercai di superare quel silenzio.
“Oscar… ma che succede? Qualcosa è andato storto? Perché
non dici una parola?”
Allora, lei si voltò a guardarmi; l’espressione tranquilla
era però enigmatica. Impossibile immaginare i suoi pensieri o i suoi dubbi. Più
sconcertanti di tutto furono le sue parole.
“Ridammi i miei vestiti; è ora di tornare a essere noi
stesse.”
Non aggiunse altro, mentre con le mani stava già
trafficando senza troppa cura con le forcine che trattenevano il cappellino
sulla testa. L’aiutai a sfilarsi la gonna, a slacciare il busto e per tutto il
tempo di quell’ operazione mantenne il più assoluto silenzio, assorta in
pensieri segreti.
Quando fu vestita e pronta per andarsene, la bloccai
sull’uscio con una domanda.
“Oscar, non devi dirmi niente?”
“No Danielle. Non ho niente da dirti.”
La porta si richiuse fra noi senza ulteriori parole.
§§§§
Leopold, seduto in poltrona accanto al camino, osservava
con dolcezza la sua accompagnatrice che sorseggiava una tazza di te. Avrebbe
preferito essere solo con lei, già lontano da quella casa.
Lo sarebbe stato tra un paio di giorni, sperava non
accadesse nulla fino ad allora.
Lisette con la sua discrezione, aveva saputo reggere
benissimo la situazione imbarazzante di trovarsi in casa con sua moglie
Danielle. Ma all’ imprevisto di quella riunione famigliare si era aggiunta
Oscar. La cognata lo aveva impensierito; conosceva il suo acume, l’intuizione
del militare, e che fosse lì, con Danielle, non lo faceva stare tranquillo.
Poi rifletteva, e pensava che da una donna di quello
stampo non potessero venire sospetti di natura tipicamente femminile.
Lisette anche nel silenzio, avvertiva la sua agitazione.
Posò tazza e piattino sul tavolo davanti a lei; il tintinnio della porcellana
contro il cucchiaino scosse il conte in modo impercettibile.
“Siete troppo preoccupato. Non credo che a vostra cognata
interessino i vostri segreti. Né saprebbe intuirli.” Commentò con assoluta
calma.
“Volete dire i nostri segreti, mia cara. - Puntualizzò il
conte di Recamier. – Però non dovreste sottovalutarla, sapete? Tutte le volte
che l’ho fatto io, me ne sono sempre pentito.”
“Credetemi, non sottovaluto madamigella Oscar, non farei
mai un errore del genere. Però nei vostri segreti mi sono trovata coinvolta,
mio malgrado. Non ho potuto fare altrimenti.”
La donna sorrise all’uomo bonariamente, quasi con
indulgenza.
“Non fatemi sentire in colpa, vi prego; non ho mai pensato
che sarebbe finita così. Eppure, in nessun altro modo noi ci saremmo legati
tanto profondamente. Non trovate?”
Constatò guardandola in viso. Lisette abbassò lo sguardo
sulle mani che teneva in grembo.
“Sì, ne convengo. È comunque molto triste avere trovato
l’amore e il dolore più atroce nello stesso tempo.”
Leopold si alzò dalla poltrona, le si fece accanto e le
prese le mani.
“Anch’io ho sofferto Lisette; amavo sinceramente Isabeau,
aveva portato una ventata di freschezza nella mia vita. Prima di lei non
ricordo di essermi sentito felice.”
“Isabeau era la gioia di vivere… per tutti noi. Ma dopo di
lei? Siete altrettanto felice con me, ora?” chiese Lisette con un sorriso
franco e una nota vagamente amara nella voce argentina.
“Non potete dubitarne. Voi mi avete ridato la serenità
perduta.”
“Lo so. Perdonatemi se a volte ne dubito, specialmente ora
che ho incontrato vostra moglie; una donna giovane e molto bella… uno spirito
inquieto, con una luce strana e mutevole nello sguardo; è di lei che dovremmo
preoccuparci…”
Lisette aveva parlato quasi assorta in pensieri propri.
“Spirito inquieto? Non capisco che intendete… - Leopold
accennò un vago sorriso, fece una lunga paura, poi sospirò. - Voi capite che
mia moglie non dovrà mai venirlo a sapere: sarebbe un disastro.”
Lisette si alzò dal piccolo divano in un frusciare di
sottane, per accostarsi all’ampia vetrata; si perse qualche secondo nella
contemplazione del cielo tinto di striature rosa e arancio all’orizzonte. Poi
tornò con gravità a posare lo sguardo sull’uomo rimasto seduto al suo posto.
“E come pensate di poterlo nascondere, Leopold? Ci saranno
documenti da erigere per il riconoscimento; la bambina porterà il vostro nome.
Si verrà a sapere comunque. Siete ancora disposto a riconoscerla, non è così?
Io non ho mai inteso obbligarvi; ero già pronta a farmi carico della piccola
anche senza il vostro aiuto.”
“Ma Lisette, si tratta di mia figlia. Non intendo
sottrarmi alle mie responsabilità, né verso di lei, né verso di voi. E vi prego, non prendetelo per senso del
dovere; sapete bene che sono mosso da sentimenti profondi per voi. Ve l’ho già
dimostrato.”
Il conte non nascose il tono permaloso.
Lisette si allontanò dalla finestra per tornare a sedersi
accanto a lui.
“Lo so, Leopold.” E gli strinse le mani, un gesto che non
era solo gratitudine.
L’ambiente era debolmente illuminato dalla luce fioca di
poche candele.
Lisette accostò la fronte a quella dell’uomo.
Nessuno di loro si accorse della fedele e sveglia Ninette
rimasta ad ascoltare dietro la porta chiusa per ordine della sua padrona; aveva
scoperto quanto bastava a gettare lo scandalo sulla famiglia Recamier.
Ora la serva si mordeva le labbra nel dubbio su cosa fosse
giusto fare e si chiedeva se non fosse più saggio e conveniente tenere tutto
per sé.
Continua…
Eccomi qui e scusate l’enorme ritardo.
Buona festa della donna; spero gradiate il
mio regalo.
Ho avuto qualche problema con la seconda
parte del capitolo, temevo di anticipare troppo gli eventi, ma neppure vorrei
allungare troppo il brodo e mi pareva giusto far capire certe dinamiche, anche
se ancora non le ho chiarite del tutto.
Qualcosa inizia a svelarsi, ma il meglio ci
sarà coi prossimi capitoli.
Intanto, spero che questo capitolo vi abbia
soddisfatto.
Come sempre voglio ringraziare tutte le
persone che seguono questa storia e che l’apprezzano, per me vuol dire molto.
Per Serelalla; te lo dico subito, così ti
prepari psicologicamente. Fai un respiro profondo… Dovrai attendere un po’ di
più il prossimo aggiornamento, perché ho un’altra storia da portare avanti, un
altro capitolo da scrivere (e tu conosci i miei tempi) quindi sarò costretta a
trascurare questa storia per un po’. Coraggio, sei una ragazza forte, ce la
puoi fare!!
Ciao a tutte e grazie di tutto.
[1] Scena ispirata da “L’età dell’innocenza”. Mi piace troppo quel
film e ho pensato che una scena simile poteva stare benissimo qui.