Benvenute,
care lettrici. Ecco a voi un nuovo
capitolo di questa epopea, iniziata lentissimamente, che sta
acquistando a poco
a poco velocità. Marguerite ha preso in mano la situazione,
liberandosi di
Lucrece e di Marie. Non vuole metterle in pericolo per questo
è così dura. La
settimana all’uni è tutt’altro che
semplice ma mi impegnerò a non lasciare
indietro questa fic. Buona lettura!
CHE
COSA SIGNIFICA?
Si stava
facendo buio.
Lo vedeva
dalle ombre sempre più scure e dal freddo sempre
più intenso. Marie si strinse
il mantello attorno al corpo, tentando di scacciare il gelo.
Sfregò la pelle
con forza, sperando di avere un minimo di calore Il venticello,
tuttavia, non
le concedeva un simile conforto, insinuandosi sotto pelle, in un tocco
viscido
e umido. All’ennesimo soffio, le sfuggì un
singhiozzo soffocato.
Madame
l’aveva allontanata da lei, facendola precipitare, per
l’ennesima volta nel
gelo dell’abbandono. Come se non bastasse, non sapeva nemmeno
dove si trovava.
Non aveva minimamente pensato alla strada che aveva imboccato. In quel
momento,
sola e spaurita, non vi aveva prestato alcuna attenzione.
Altri erano
i suoi pensieri. Alzò la testa verso l’alto,
fissando il cielo scuro, una cappa
scura che copriva Parigi da giorni. Si chiese se la neve avrebbe fatto
la sua
comparsa, oppure se il freddo era troppo persino per far scendere
qualche
fiocco.
Gli edifici
erano meno fitti rispetto a dove si trovava poco prima. Sembrava quasi
di
essere in una zona di campagna…se non avesse visto
l’acqua nera della Senna.
Aveva lasciato la casa di Monsieur
D’un
tratto, provò un’improvvisa stanchezza.
La rabbia
provata provata pochi istanti prima scemò rapidamente,
sostituita dalla
consapevolezza di aver commesso una fesseria. Non conosceva Parigi ed
era la
prima volta che rimaneva da sola per così tanto tempo.
Chissà dove si trovava?
Chissà quanto era distante dal palazzo di…A
quell’associazione scosse la testa.
Lei aveva lasciato la dimora dove abitava Madame che aveva deciso
improvvisamente
di abbandonarla.
Marie
singhiozzò di nuovo.
Non era la
prima volta che la buttavano via. Doveva esserci abituata…e
allora perché,
perché faceva sempre così male dannazione?
Istintivamente
si cinse il petto con le braccia, sperando di ottenere un minimo di
calore ma
questo sembrava essersene volato via, insieme a quella vita tranquilla
che
pareva essersi conquistata. Vedeva la luce opaca del giorno farsi
sempre più
rada, insieme al freddo, che penetrava nelle sue ossa come
l’acqua nella
pietra. Gli edifici sembravano deserti e privi di vita. La donna si
accucciò in
un angolo, guardando spaesata la via di fronte a lei. Poi, quasi senza
rendersene
conto, chiuse gli occhi.
Erin
guardava muta la finestrella della propria camera, tentando
d’ignorare il
nervosismo che le attanagliava la gola. Marie si era come volatilizzata
e lei
non sapeva dove fosse. L’aveva cercata dappertutto ma non era
riuscita a
trovarla.
-Siete
preoccupata?- domandò una voce.
Lei
sussultò, ma non gli rivolse alcuno sguardo. Dal giorno del
litigio, aveva
iniziato ad ignorarlo, facendo segno di non averlo in alcuna
considerazione. Le
parole che le aveva rivolto, erano ancora lì, perfettamente
incise nel suo
animo. Ricordava bene quel momento, non poteva farne a meno.
Ci erano
andati giù pesante tutti e due. Persino ora, ragionando a
mente più fredda, non
riusciva a credere a quello che era accaduto. Aveva aperto bocca,
facendo
danni, come era suo solito fare…ma cosa doveva aspettarsi?
Nessuno l’aveva mai
educata e quel poco che sapeva era quasi frutto del caso. Il fatto era
che, stando
in compagnia di quelle persone, continuava a sentirsi una vera
pezzente. Sapeva
un po’di medicina grazie al manuale che suo padre le aveva
lasciato prima di
sparire…ma poi cosa aveva? Niente.
La sua
reputazione era completamente rovinata e lei, anche se non ne era
responsabile,
era comunque colpevole, agli occhi del mondo.
Non aveva
natali degni di nota, essendo per metà straniera nello
stesso Paese che l’aveva
vista venire al mondo.
Non aveva
ricevuto alcuna educazione, né sapeva davvero cosa fosse
l’etichetta. Non aveva
nemmeno voglia d’impararla, d’altra parte. A che le
serviva apprendere un’arte
tanto sottile? Era comunque un sepolcro imbiancato: lindo fuori, marcio
e
putrido dentro.
Non
sentendo alcuna parola, Girodelle si avvicinò a quella
donna, immersa in
un’ostinata contemplazione del paesaggio fuori dalla
finestra. Se ne stava
muta, come una statua, con quegli occhi di giada persi in
chissà quali
pensieri.
Un
po’si
sentì responsabile per questo silenzio apatico…ma
fu solo per un momento: lei
lo aveva irritato con quella mancanza di tatto ed aveva reagito di
conseguenza.
Erano colpevoli entrambi. –Volevo
dirvi
che quando questa situazione si sarà sistemata me ne
andrò.- disse, notando,
con una certa sorpresa, un minimo di reazione…se
così poteva essere definito
quel movimento impercettibile delle iridi verso di lui.
Victor la
fissò, leggermente accigliato.
Che lo
avesse sentito?
Oppure
facesse finta di niente, di nuovo?
Non
riusciva a capire talvolta che cosa frullasse nella testa di quella
persona.
Era completamente diversa da quelle che aveva conosciuto. Non si
trattava
dell’aspetto ma del suo modo di porsi, simile ad un mare
capriccioso. Perché
Erin era davvero il mare: capriccioso, volubile e dalle molteplici
forme. Da
quando lo aveva salvato, aveva sempre dato segni di detestarlo e di non
voler
avere niente a che fare con lui. Allo stesso tempo, però,
non riusciva mai a
togliersi dalla mente il fatto che, dal giorno in cui l’aveva
conosciuta,
quella persona non aveva mai staccato gli occhi da lui.
Al ricordo
di quel particolare, il nobile scosse il capo. Doveva ignorarla come
gli aveva
detto, dare retta alle sue parole…ma non ci riusciva. Era
come un naufrago
trascinato dalla corrente, che tenta invano di remargli contro, salvo
poi
essere sconfitto. Il Cielo solo sapeva quanto avrebbe razionalmente
voluto tirare
via per la propria strada…eppure, il resto del corpo e della
sua anima si
opponevano ai suoi desideri. Fece quindi per andarsene, stizzito da
quelle
riflessioni inopportune, quando qualcosa lo costrinse a rimanere.
Erin lo
aveva afferrato repentinamente per la mano.
Girodelle
la guardò, sbigottito. Non aveva alzato la testa,
limitandosi a fissare
ostinata il proprio palmo.
–Scusatemi…per
l’altra volta…per quello che può
valere…- fece l’altra, senza guardarlo-
Io…Io
non…Io non so…come…come…non
so…come riconoscere…le mie emozioni…A
volte, non mi
capisco nemmeno io.-
A quelle
parole, seguì un lungo silenzio.
Erin si
sentiva profondamente in imbarazzo. Aveva fatto uno dei suoi soliti
discorsi
sconclusionati, senza capo né coda. Non riusciva a
capacitarsi di aver detto
una cosa del genere. A quella considerazione, seguirono altri timori.
Ora avrebbe
sicuramente pensato che era pazza.
Avrebbe
creduto che lo stava prendendo in giro.
L’avrebbe
abbandonata, come tutti, con la differenza che questa volta era colpa
sua, su tutta
la linea.
Ne ebbe la
conferma quando quella mano che teneva legata alla sua, si
liberò dalla presa,
facendola piombare improvvisamente nel gelo che la circondava
abitualmente…da
quando quelle spalle scure, ormai avvolte nella nebbia dei ricordi, si
erano
fatte sempre più indistinte. E ad Erin andava bene
così. In mezzo a quello
schifo, che senso aveva rinchiudersi dentro ricordi tanto dolci e
carichi di
delusioni?
Il torpore
aveva avvolto le sue membra, rendendo debole la mente, stretta in una
morsa di
ghiaccio, sedata solo da una stanchezza fisica e mentale. Era
accovacciata con
il capo calato sulle ginocchia nei pressi della porta di uno dei
magazzini, in
un’estremo tentativo di trattenere il calore che, come acqua,
le sfuggiva via,
sempre di più.
-Ehi- fece
una voce –mi sentite?-
-Dimmi che
è viva, imbrattacarte! Avanti, svegliati!- parlò
un’altra, preoccupata.
-Fatela
finita!- esclamò una terza, femminile – Siete dei
menagramo della peggior
specie! E’solo un po’infreddolita ma non
è morta! Signorina Chevalier, si
svegli!-
Marie
aprì
debolmente gli occhi, trovandosi davanti tre sagome, una delle quali
leggermente
in disparte.
Due uomini,
di cui uno piuttosto alto e massiccio. L’oscurità
era piuttosto fitta e non
riusciva a distinguere i tratti. Istintivamente si ritrasse, non appena
quello
più grosso provò a farla alzarla.
-Lasciatemi!-
disse, quando questi provò a prenderla –
Lasciatemi in pace! –
Il
misterioso colosso indietreggiò non appena sentì
queste parole. Le iridi
stanche della novizia provarono a scorgerne i tratti ma la penombra ed
il
malessere che la avvolgeva in quel momento le impedivano tutto
ciò.
La terza
sagoma si fece più vicina e, con una mossa del tutto
inattesa, toccò la fronte.
–Ha la febbre alta – fece, ritirando la mano
–portiamola a casa. Qui, con
questo freddo, rischia di peggiorare le sue condizioni più
di quanto già non lo
siano. –
Furono le
ultime parole che la signorina Chevalier udì, prima di
precipitare nel buio.
Erano
passati alcuni istanti da quando la signorina O’Neal aveva
parlato ma,
dall’altra parte, non si udiva alcuna risposta. Era convinta
che se ne fosse
andato, quando sentì, improvvisamente, una presa sul suo
volto. Girodelle le
aveva afferrato il viso con entrambe le mani, costringendola a
guardarlo dritto
negli occhi.
Giada
dentro due pozzi scuri, quasi senza fondo. Il cuore di Erin batteva
furioso
contro la gabbia toracica. Sembrava sul punto di esplodere, tanto
risuonava
veloce dentro di lei.
– Siete
scostante, lunatica e impulsiva alle volte. – disse alla fine
il nobile,
guardando quelle iridi quasi feline – Non ci sono scuole o
precettori per
imparare a gestire le emozioni…specie la gelosia. Mi
dispiace ma l’ignoranza
non è una scusa sufficiente.-
L’occhiata
incredula che gli rivolse la donna lo fece sorridere.
– E
adesso
che avete?- sbottò Erin, indecisa se liberarsi o meno da
quella presa- Credete
che io sia gelosa di voi?Io?- domandò, con un tono che
voleva sembrare scettico
ma in realtà era solo stupito. Girodelle la
guardò, senza lasciare quel viso.
Il capocomico aveva ragione in fondo. Il diavolo non era
così brutto come lo si
dipingeva…e quella sottospecie di Gorgone non era
così matta come sembrava.
-Questo non
lo so- rispose, con quel sorrisetto saputo che ormai sfoderava da
alcuni
minuti. Erin lo fissò, sbigottita da quella risposta, ma non
ebbe il tempo di
riprendersi. Quel nobile, infatti, approfittando della sua distrazione
si era
avvicinato e l’unica cosa che era stata in grado di fare era
stato chiudere gli
occhi. Vi rimase qualche istante, la durata che aveva
calcolato…rimanendo
comunque stupita, non appena sentì le labbra del militare
posarsi sulla sua
fronte…in un posto ben diverso da dove lo aveva immaginato.
La prima
cosa che percepì, dopo aver ripreso i sensi, fu di avere
qualcosa di freddo
sulla testa. A tentoni, toccò l’oggetto poggiato
sulla propria fronte e,
lentamente aprì gli occhi. Era una pezzuola di stoffa
bagnata. Spostò poi
l’attenzione sulla stanza. Si trattava di una camera da
letto, a lei
completamente estranea.
Si trovava
in un letto, perfettamente coperta, da capo a piedi. Guardò
il paesaggio fuori,
scoprendo un cielo nuvoloso e tuttavia chiaro. Era giorno ma non sapeva
che ore
fossero. Piano piano si massaggiò la testa, tentando di
scacciare quel lieve
mal di testa che ancora aveva. Molte domande affollavano il suo
cervello.
Dove si
trovava?
A chi
apparteneva quella casa?
Tutte
domande che meritavano una risposta. Risposta che si
presentò abbastanza
velocemente, nell’istante in cui la camera si
aprì, facendo entrare una donna
bionda e dall’aria gentile. Una signora dai lineamenti fini
ed allo stesso
tempo schietti, apparentemente in bilico tra la nobiltà e
l’essere una
popolana. Una sorta di ibrido.
Marie la
guardò, con il cuore più sereno.
- Vedo che
vi siete svegliata, signorina Chevalier- fece questa, venendo con dei
vestiti
puliti. Li depose sul bordo del letto le sorrise. –Vi
è passata la febbre?-
domandò, accarezzando la fronte- Sì, è
decisamente scesa.-
-Febbre?-
domandò perplessa.
-Ma certo-
rispose questa – vi siete appisolata nei pressi dei magazzini
di stampa ed
avete preso freddo.-
Marie
ricordò rapidamente gli ultimi fatti, tentando di non
lasciarsi prendere dalla
paura provata poco prima di perdere i sensi. Non si era nemmeno resa
conto di
essere andata in quel posto. Lei non ricordava la strada ma, forse, i
suoi
piedi la pensavano diversamente.
-E’davvero
successo questo, Madame Chatelet?- domandò, fissandosi le
mani. Un po’si
vergognava di essere arrivata fino a quel posto senza accorgersene.
Rosalie
annuì. –Ora però- disse, diventando
improvvisamente seria –posso sapere come
siete finita fin lì? Per quel poco che posso sapere, non
sembrate una persona
così avventata da aggirarvi per le vie di Parigi in questo
periodo dell’anno.-
La novizia
sorrise piano. – Madame mi ha mandato via, senza darmi
spiegazioni. Non sapevo
dove andare. Non ho un posto dove andare.- rispose.
La donna la
guardò, silenziosa come mai lo era stata. Il rumore del
vento sbatteva contro
le finestre, infrangendovisi contro come le onde contro la scogliera.
Qualche
spiffero riusciva a entrare nella stanza, gettandole addosso nuovi
brividi.
-Signorina
Chatelet- disse all’improvviso – avete freddo? La
camicia che vi ho dato è
calda a sufficienza?-
Marie
guardò il proprio abito, un po’stupita. Solo ora
si era accorta che non
indossava le cose con cui se ne era andata e non poté non
sentirsi sciocca per
il non avervi fatto caso. –Mi avete messo voi questa?-
domandò, indicandosi, un
po’impacciata.
Rosalie
annuì. –Volevo dirvi anche che ho fatto lavare il
vostro vestito. Quanto ai due
libretti che tenevate nella tasca, questi si trovano sul comodino.-
disse.
-Libri?-
domandò l’altra, sgranando gli occhi
–Quali libri?-
Madame
Chatelet le rivolse un’occhiata incerta. –Ve
l’ho detto- ripeté –quelli che
avevate in tasca.-
Marie non
disse niente. Guardò gli oggetti incriminati, che si
trovavano sul mobile. Uno
le era quasi sconosciuto, mentre l’altro aveva
un’aria quasi familiare.
Perplessa, allungò il collo, per vedere
quest’ultimo. –Non è
possibile…-mormorò,
non appena lo riconobbe – questi non sono miei.-
Non li
aveva presi. Ne era certa. Non era una ladra…ma allora, per
quale stramaledetto
motivo, il libricino che Madame custodiva con tanta cura si trovava
nelle sue
tasche, insieme a quello ricevuto nell’ufficio di Monsieur
Saint Just?
Marguerite
osservava silenziosa la finestra. Il buio aveva avvolto gli edifici
fuori dalla
cinta che avvolgeva il palazzo dei
Per quanto
il palazzo fosse riscaldato dai camini, tale rimedio non riusciva
comunque a
celare il freddo di quei giorni. La dama guardava le luci delle
lanterne nelle
palazzine, un’accozzaglia di fiochi bagliori che la riempiva
di nostalgia e
invidia al tempo stesso.
Quei tenui
lumi le davano la sensazione della casa, del luogo in cui abitare,
insieme ai
propri affetti.
Un mondo
che, in quell’occasione, le sembrava ancora più
lontano del solito. Da quando
aveva scacciato la piccola novizia, la dama aveva riflettuto a lungo
sul
proprio gesto. Si era chiesta se avesse preso la decisione migliore per
lei.
Era stata la sua compagna di solitudine, in quell’anno che
aveva seguito il
distacco dalla casa del marito. Non voleva allontanarla in quel modo.
Era stata
particolarmente odiosa nei suoi confronti, usando un comportamento che
non
aveva mai adoperato in vita sua.
Un
atteggiamento che usavano spesso a corte e che lei aveva sempre
disdegnato. Non
aveva mai pensato di dover far pesare le proprie origini a chi era
borghese.
Era ai suoi occhi insensato: se Iddio aveva dato agli uomini nascite
tanto
diverse, che motivo avevano questi di evidenziarle al prossimo?
Marguerite
non aveva mai disdegnato simili insegnamenti, sebbene non si fosse mai
soffermata sulle questioni di fede. Era una donna e aveva questioni ben
più
urgenti che perdere tempo a questionare sugli interrogativi del cielo.
Come
venire a capo del guaio in cui si era avventurato suo marito, per
esempio.
Si era
disfatta di Marie e dei documenti compromettenti in modo piuttosto
abile.
- Cosa
state pensando Marguerite?- domandò
- Pensavo
al fatto che le persone che vivono nei palazzi popolari sono fortunati
ad avere
un posto in cui tornare…solo ora me ne rendo conto. Io ho
vissuto negli agi per
tutta la vita…- fece, accarezzando malinconica il vetro. Per
un istante,
desiderò rivedere quella chioma bionda vista da lontano e
quegli occhi blu e
tempestosi che non l’avevano mai lasciata, pur tentando di
tenerla
costantemente a distanza.
Ripercorrere
di nuovo i corridoi, sentendo la chiacchiera vivace di Marons, la
discreta
devozione di sua figlia e…a quel pensiero, la mente di
Madame si fermò.
Poteva dire
tutto ciò che voleva…ma quelle iridi inquiete non
si allontanavano mai dal suo
cervello, gonfiandolo di pena. Era stata accanto a lui per tutti quegli
anni,
in quel rapporto ingabbiato in catene invisibili. Vicina ed allo stesso
tempo
lontana da quel marito che aveva sposato per chissà quale
motivo. Aveva spesso
pensato al suo matrimonio, un evento pieno di domande e privo di
risposte.
Ora aveva
nuove informazioni.
Notizie,
che gettavano luce su una verità che non si sarebbe mai
aspettata…e che non
avrebbe mai visto. Pagine che non aveva mai mostrato alla timida
novizia né,
tantomeno, all’intemperante e imprevedibile sua amica.
Nemmeno Girodelle era
stato informato della cosa…non aveva avuto cuore a mettere
sulla piazza simili
questioni. Del resto, lo ammirava molto. A quel pensiero si morse il
labbro. Chi
non poteva provare un simile sentimento per il Generale? Un uomo ligio
al
dovere, lontano dagli scandali e da vizi. Nessun amante. Nessun
cedimento al
gioco d’azzardo e al laudano.
Ed era
vero. Un segreto ben più terribile aleggiava attorno alla
sua sagoma, sotto
strati e strati di onori, riconoscimenti e gloria. Un evento
così vergognoso e
tremendo da sembrare impossibile vederlo accostato ad una figura
così distinta.
Gli occhi della dama si persero nel paesaggio notturno.
Trent’anni.
Più di trent’anni di bugie e di
misteri…un peso così insostenibile da non
essere credibile. Una verità che aveva digerito con maggiore
difficoltà
rispetto al solito. Eppure era ancora lì.
In piedi.
Con gli
occhi fissi alla finestra.
Nella
medesima stanza, con il suo vecchio amico d’infanzia.
–Siete
molto malinconica Marguerite- fece
apprensivo
La dama non
disse niente, continuando a scrutare l’orizzonte. Allo stesso
tempo, seguì i
movimenti di Gilbert.
Il suo
improvviso alzarsi dalla sedia.
Il suo
avvicinarsi alla finestra.
Il suo
accostarsi a lei, in un modo che mai aveva fatto e che, un tempo forse,
aveva
solo sognato.
Il cuore
della donna non mutò ritmo, rimanendo inerte, come suo
solito. Non mostrò
reazione, quando la mano di Gilbert le accarezzò piano i
capelli. – Voi ed io,
mia buona amica- mormorò questi, continuando a toccarle la
chioma – siamo sempre
stati in bilico. Troppo infimi per i grandi nobili. Troppo superiori ai
comuni
borghesi. Non
abbiamo mai avuto un posto
tutto nostro…vi prometto che, da ora in avanti, le cose
andranno diversamente. Vi
libererò Marguerite.-
La dama
chiuse gli occhi. Non sentì il tocco della mano sulla testa
e nemmeno il bacio
fugace che
Allora,
questo capitolo si conclude qui. Abbiamo la
coppia di Zucconi (Erin & Victor) e la nostra piccola novizia.
I due si
sono forse riappacificati, mentre la nostra novizia si trova al sicuro
in casa
Chatelet. Nel frattempo vorrei ringraziarvi per la cortesia con cui mi
state
seguendo malgrado il trilione di capitoli che vi sto somministrando,
manco
fosse una purga. Girodelle è un tipo che non molla e, ora
che Geremia ha levato
le tende, è chiaro che sia più che mai deciso a
non venir meno alla promessa di
non ferire Erin.
Come
sempre, non mancano di punzecchiarsi ma
d’altra parte non possono fare diversamente. Erin per parte
sua è talmente
abituata a non sentirsi una persona da non riconoscere nemmeno cosa
prova per
il nostro Girodelle. Benedetti personaggi, sono davvero
incorreggibili…ma sono
fatti così!
Quanto
a Madame, tengo la bocca cucita. Grazie
ancora a tutti voi che mi leggete! Buona Festa della Donna!