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Autore: controcorrente    08/03/2012    4 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Benvenute, care lettrici. Ecco a voi un nuovo capitolo di questa epopea, iniziata lentissimamente, che sta acquistando a poco a poco velocità. Marguerite ha preso in mano la situazione, liberandosi di Lucrece e di Marie. Non vuole metterle in pericolo per questo è così dura. La settimana all’uni è tutt’altro che semplice ma mi impegnerò a non lasciare indietro questa fic. Buona lettura!

CHE COSA SIGNIFICA?

 

Si stava facendo buio.

Lo vedeva dalle ombre sempre più scure e dal freddo sempre più intenso. Marie si strinse il mantello attorno al corpo, tentando di scacciare il gelo. Sfregò la pelle con forza, sperando di avere un minimo di calore Il venticello, tuttavia, non le concedeva un simile conforto, insinuandosi sotto pelle, in un tocco viscido e umido. All’ennesimo soffio, le sfuggì un singhiozzo soffocato.

Madame l’aveva allontanata da lei, facendola precipitare, per l’ennesima volta nel gelo dell’abbandono. Come se non bastasse, non sapeva nemmeno dove si trovava. Non aveva minimamente pensato alla strada che aveva imboccato. In quel momento, sola e spaurita, non vi aveva prestato alcuna attenzione.

Altri erano i suoi pensieri. Alzò la testa verso l’alto, fissando il cielo scuro, una cappa scura che copriva Parigi da giorni. Si chiese se la neve avrebbe fatto la sua comparsa, oppure se il freddo era troppo persino per far scendere qualche fiocco.

Gli edifici erano meno fitti rispetto a dove si trovava poco prima. Sembrava quasi di essere in una zona di campagna…se non avesse visto l’acqua nera della Senna. Aveva lasciato la casa di Monsieur La Fayette da diverso tempo e non conosceva il posto in cui si trovava. Non sapeva dove andare e questo particolare, tutt’altro che trascurabile, la faceva sentire una campagnola.

D’un tratto, provò un’improvvisa stanchezza.

La rabbia provata provata pochi istanti prima scemò rapidamente, sostituita dalla consapevolezza di aver commesso una fesseria. Non conosceva Parigi ed era la prima volta che rimaneva da sola per così tanto tempo. Chissà dove si trovava? Chissà quanto era distante dal palazzo di…A quell’associazione scosse la testa. Lei aveva lasciato la dimora dove abitava Madame che aveva deciso improvvisamente di abbandonarla.

Marie singhiozzò di nuovo.

Non era la prima volta che la buttavano via. Doveva esserci abituata…e allora perché, perché faceva sempre così male dannazione?

Istintivamente si cinse il petto con le braccia, sperando di ottenere un minimo di calore ma questo sembrava essersene volato via, insieme a quella vita tranquilla che pareva essersi conquistata. Vedeva la luce opaca del giorno farsi sempre più rada, insieme al freddo, che penetrava nelle sue ossa come l’acqua nella pietra. Gli edifici sembravano deserti e privi di vita. La donna si accucciò in un angolo, guardando spaesata la via di fronte a lei. Poi, quasi senza rendersene conto, chiuse gli occhi.

 

 

Erin guardava muta la finestrella della propria camera, tentando d’ignorare il nervosismo che le attanagliava la gola. Marie si era come volatilizzata e lei non sapeva dove fosse. L’aveva cercata dappertutto ma non era riuscita a trovarla.

-Siete preoccupata?- domandò una voce.

Lei sussultò, ma non gli rivolse alcuno sguardo. Dal giorno del litigio, aveva iniziato ad ignorarlo, facendo segno di non averlo in alcuna considerazione. Le parole che le aveva rivolto, erano ancora lì, perfettamente incise nel suo animo. Ricordava bene quel momento, non poteva farne a meno.

Ci erano andati giù pesante tutti e due. Persino ora, ragionando a mente più fredda, non riusciva a credere a quello che era accaduto. Aveva aperto bocca, facendo danni, come era suo solito fare…ma cosa doveva aspettarsi? Nessuno l’aveva mai educata e quel poco che sapeva era quasi frutto del caso. Il fatto era che, stando in compagnia di quelle persone, continuava a sentirsi una vera pezzente. Sapeva un po’di medicina grazie al manuale che suo padre le aveva lasciato prima di sparire…ma poi cosa aveva? Niente.

La sua reputazione era completamente rovinata e lei, anche se non ne era responsabile, era comunque colpevole, agli occhi del mondo.

Non aveva natali degni di nota, essendo per metà straniera nello stesso Paese che l’aveva vista venire al mondo.

Non aveva ricevuto alcuna educazione, né sapeva davvero cosa fosse l’etichetta. Non aveva nemmeno voglia d’impararla, d’altra parte. A che le serviva apprendere un’arte tanto sottile? Era comunque un sepolcro imbiancato: lindo fuori, marcio e putrido dentro.

Non sentendo alcuna parola, Girodelle si avvicinò a quella donna, immersa in un’ostinata contemplazione del paesaggio fuori dalla finestra. Se ne stava muta, come una statua, con quegli occhi di giada persi in chissà quali pensieri.

Un po’si sentì responsabile per questo silenzio apatico…ma fu solo per un momento: lei lo aveva irritato con quella mancanza di tatto ed aveva reagito di conseguenza. Erano colpevoli entrambi.  –Volevo dirvi che quando questa situazione si sarà sistemata me ne andrò.- disse, notando, con una certa sorpresa, un minimo di reazione…se così poteva essere definito quel movimento impercettibile delle iridi verso di lui.

Victor la fissò, leggermente accigliato.

Che lo avesse sentito?

Oppure facesse finta di niente, di nuovo?

Non riusciva a capire talvolta che cosa frullasse nella testa di quella persona. Era completamente diversa da quelle che aveva conosciuto. Non si trattava dell’aspetto ma del suo modo di porsi, simile ad un mare capriccioso. Perché Erin era davvero il mare: capriccioso, volubile e dalle molteplici forme. Da quando lo aveva salvato, aveva sempre dato segni di detestarlo e di non voler avere niente a che fare con lui. Allo stesso tempo, però, non riusciva mai a togliersi dalla mente il fatto che, dal giorno in cui l’aveva conosciuta, quella persona non aveva mai staccato gli occhi da lui.

Al ricordo di quel particolare, il nobile scosse il capo. Doveva ignorarla come gli aveva detto, dare retta alle sue parole…ma non ci riusciva. Era come un naufrago trascinato dalla corrente, che tenta invano di remargli contro, salvo poi essere sconfitto. Il Cielo solo sapeva quanto avrebbe razionalmente voluto tirare via per la propria strada…eppure, il resto del corpo e della sua anima si opponevano ai suoi desideri. Fece quindi per andarsene, stizzito da quelle riflessioni inopportune, quando qualcosa lo costrinse a rimanere.

Erin lo aveva afferrato repentinamente per la mano.

Girodelle la guardò, sbigottito. Non aveva alzato la testa, limitandosi a fissare ostinata il proprio palmo.

–Scusatemi…per l’altra volta…per quello che può valere…- fece l’altra, senza guardarlo- Io…Io non…Io non so…come…come…non so…come riconoscere…le mie emozioni…A volte, non mi capisco nemmeno io.-

A quelle parole, seguì un lungo silenzio.

Erin si sentiva profondamente in imbarazzo. Aveva fatto uno dei suoi soliti discorsi sconclusionati, senza capo né coda. Non riusciva a capacitarsi di aver detto una cosa del genere. A quella considerazione, seguirono altri timori.

Ora avrebbe sicuramente pensato che era pazza.

Avrebbe creduto che lo stava prendendo in giro.

L’avrebbe abbandonata, come tutti, con la differenza che questa volta era colpa sua, su tutta la linea.

Ne ebbe la conferma quando quella mano che teneva legata alla sua, si liberò dalla presa, facendola piombare improvvisamente nel gelo che la circondava abitualmente…da quando quelle spalle scure, ormai avvolte nella nebbia dei ricordi, si erano fatte sempre più indistinte. E ad Erin andava bene così. In mezzo a quello schifo, che senso aveva rinchiudersi dentro ricordi tanto dolci e carichi di delusioni?

 

 

 

 

 

 

Il torpore aveva avvolto le sue membra, rendendo debole la mente, stretta in una morsa di ghiaccio, sedata solo da una stanchezza fisica e mentale. Era accovacciata con il capo calato sulle ginocchia nei pressi della porta di uno dei magazzini, in un’estremo tentativo di trattenere il calore che, come acqua, le sfuggiva via, sempre di più.

-Ehi- fece una voce –mi sentite?-

-Dimmi che è viva, imbrattacarte! Avanti, svegliati!- parlò un’altra, preoccupata.

-Fatela finita!- esclamò una terza, femminile – Siete dei menagramo della peggior specie! E’solo un po’infreddolita ma non è morta! Signorina Chevalier, si svegli!-

Marie aprì debolmente gli occhi, trovandosi davanti tre sagome, una delle quali leggermente in disparte.

Due uomini, di cui uno piuttosto alto e massiccio. L’oscurità era piuttosto fitta e non riusciva a distinguere i tratti. Istintivamente si ritrasse, non appena quello più grosso provò a farla alzarla.

-Lasciatemi!- disse, quando questi provò a prenderla – Lasciatemi in pace! –

Il misterioso colosso indietreggiò non appena sentì queste parole. Le iridi stanche della novizia provarono a scorgerne i tratti ma la penombra ed il malessere che la avvolgeva in quel momento le impedivano tutto ciò.

La terza sagoma si fece più vicina e, con una mossa del tutto inattesa, toccò la fronte. –Ha la febbre alta – fece, ritirando la mano –portiamola a casa. Qui, con questo freddo, rischia di peggiorare le sue condizioni più di quanto già non lo siano. –

Furono le ultime parole che la signorina Chevalier udì, prima di precipitare nel buio.

 

 

 

Erano passati alcuni istanti da quando la signorina O’Neal aveva parlato ma, dall’altra parte, non si udiva alcuna risposta. Era convinta che se ne fosse andato, quando sentì, improvvisamente, una presa sul suo volto. Girodelle le aveva afferrato il viso con entrambe le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

Giada dentro due pozzi scuri, quasi senza fondo. Il cuore di Erin batteva furioso contro la gabbia toracica. Sembrava sul punto di esplodere, tanto risuonava veloce dentro di lei.

– Siete scostante, lunatica e impulsiva alle volte. – disse alla fine il nobile, guardando quelle iridi quasi feline – Non ci sono scuole o precettori per imparare a gestire le emozioni…specie la gelosia. Mi dispiace ma l’ignoranza non è una scusa sufficiente.-

L’occhiata incredula che gli rivolse la donna lo fece sorridere.

– E adesso che avete?- sbottò Erin, indecisa se liberarsi o meno da quella presa- Credete che io sia gelosa di voi?Io?- domandò, con un tono che voleva sembrare scettico ma in realtà era solo stupito. Girodelle la guardò, senza lasciare quel viso. Il capocomico aveva ragione in fondo. Il diavolo non era così brutto come lo si dipingeva…e quella sottospecie di Gorgone non era così matta come sembrava.

-Questo non lo so- rispose, con quel sorrisetto saputo che ormai sfoderava da alcuni minuti. Erin lo fissò, sbigottita da quella risposta, ma non ebbe il tempo di riprendersi. Quel nobile, infatti, approfittando della sua distrazione si era avvicinato e l’unica cosa che era stata in grado di fare era stato chiudere gli occhi. Vi rimase qualche istante, la durata che aveva calcolato…rimanendo comunque stupita, non appena sentì le labbra del militare posarsi sulla sua fronte…in un posto ben diverso da dove lo aveva immaginato.

 

 

La prima cosa che percepì, dopo aver ripreso i sensi, fu di avere qualcosa di freddo sulla testa. A tentoni, toccò l’oggetto poggiato sulla propria fronte e, lentamente aprì gli occhi. Era una pezzuola di stoffa bagnata. Spostò poi l’attenzione sulla stanza. Si trattava di una camera da letto, a lei completamente estranea.

Si trovava in un letto, perfettamente coperta, da capo a piedi. Guardò il paesaggio fuori, scoprendo un cielo nuvoloso e tuttavia chiaro. Era giorno ma non sapeva che ore fossero. Piano piano si massaggiò la testa, tentando di scacciare quel lieve mal di testa che ancora aveva. Molte domande affollavano il suo cervello.

Dove si trovava?

A chi apparteneva quella casa?

Tutte domande che meritavano una risposta. Risposta che si presentò abbastanza velocemente, nell’istante in cui la camera si aprì, facendo entrare una donna bionda e dall’aria gentile. Una signora dai lineamenti fini ed allo stesso tempo schietti, apparentemente in bilico tra la nobiltà e l’essere una popolana. Una sorta di ibrido.

Marie la guardò, con il cuore più sereno.

- Vedo che vi siete svegliata, signorina Chevalier- fece questa, venendo con dei vestiti puliti. Li depose sul bordo del letto le sorrise. –Vi è passata la febbre?- domandò, accarezzando la fronte- Sì, è decisamente scesa.-

-Febbre?- domandò perplessa.

-Ma certo- rispose questa – vi siete appisolata nei pressi dei magazzini di stampa ed avete preso freddo.-

Marie ricordò rapidamente gli ultimi fatti, tentando di non lasciarsi prendere dalla paura provata poco prima di perdere i sensi. Non si era nemmeno resa conto di essere andata in quel posto. Lei non ricordava la strada ma, forse, i suoi piedi la pensavano diversamente.

-E’davvero successo questo, Madame Chatelet?- domandò, fissandosi le mani. Un po’si vergognava di essere arrivata fino a quel posto senza accorgersene.

Rosalie annuì. –Ora però- disse, diventando improvvisamente seria –posso sapere come siete finita fin lì? Per quel poco che posso sapere, non sembrate una persona così avventata da aggirarvi per le vie di Parigi in questo periodo dell’anno.-

La novizia sorrise piano. – Madame mi ha mandato via, senza darmi spiegazioni. Non sapevo dove andare. Non ho un posto dove andare.- rispose.

La donna la guardò, silenziosa come mai lo era stata. Il rumore del vento sbatteva contro le finestre, infrangendovisi contro come le onde contro la scogliera. Qualche spiffero riusciva a entrare nella stanza, gettandole addosso nuovi brividi.

-Signorina Chatelet- disse all’improvviso – avete freddo? La camicia che vi ho dato è calda a sufficienza?-

Marie guardò il proprio abito, un po’stupita. Solo ora si era accorta che non indossava le cose con cui se ne era andata e non poté non sentirsi sciocca per il non avervi fatto caso. –Mi avete messo voi questa?- domandò, indicandosi, un po’impacciata.

Rosalie annuì. –Volevo dirvi anche che ho fatto lavare il vostro vestito. Quanto ai due libretti che tenevate nella tasca, questi si trovano sul comodino.- disse.

-Libri?- domandò l’altra, sgranando gli occhi –Quali libri?-

Madame Chatelet le rivolse un’occhiata incerta. –Ve l’ho detto- ripeté –quelli che avevate in tasca.-

Marie non disse niente. Guardò gli oggetti incriminati, che si trovavano sul mobile. Uno le era quasi sconosciuto, mentre l’altro aveva un’aria quasi familiare. Perplessa, allungò il collo, per vedere quest’ultimo. –Non è possibile…-mormorò, non appena lo riconobbe – questi non sono miei.-

Non li aveva presi. Ne era certa. Non era una ladra…ma allora, per quale stramaledetto motivo, il libricino che Madame custodiva con tanta cura si trovava nelle sue tasche, insieme a quello ricevuto nell’ufficio di Monsieur Saint Just?

 

Marguerite osservava silenziosa la finestra. Il buio aveva avvolto gli edifici fuori dalla cinta che avvolgeva il palazzo dei La Fayette. Una sagoma oscura, che pareva fagocitare tutto attorno…come una sorta di mostro sconosciuto, capace di divorare qualsiasi cosa, per rigettarlo il mattino dopo. Una Cariddi nera e minacciosa, impossibile da abbattere.  Istintivamente, avvicinò la mano al vetro, rabbrividendo leggermente.

Per quanto il palazzo fosse riscaldato dai camini, tale rimedio non riusciva comunque a celare il freddo di quei giorni. La dama guardava le luci delle lanterne nelle palazzine, un’accozzaglia di fiochi bagliori che la riempiva di nostalgia e invidia al tempo stesso.

Quei tenui lumi le davano la sensazione della casa, del luogo in cui abitare, insieme ai propri affetti.

Un mondo che, in quell’occasione, le sembrava ancora più lontano del solito. Da quando aveva scacciato la piccola novizia, la dama aveva riflettuto a lungo sul proprio gesto. Si era chiesta se avesse preso la decisione migliore per lei. Era stata la sua compagna di solitudine, in quell’anno che aveva seguito il distacco dalla casa del marito. Non voleva allontanarla in quel modo. Era stata particolarmente odiosa nei suoi confronti, usando un comportamento che non aveva mai adoperato in vita sua.

Un atteggiamento che usavano spesso a corte e che lei aveva sempre disdegnato. Non aveva mai pensato di dover far pesare le proprie origini a chi era borghese. Era ai suoi occhi insensato: se Iddio aveva dato agli uomini nascite tanto diverse, che motivo avevano questi di evidenziarle al prossimo? La Natura era più che sufficiente e non occorreva eccedere, altrimenti si correva il rischio di peccare e questa era l’ultima delle cose che Madame desiderava. Era più forte di lei, forse a causa dell’influenza che la zia, badessa di un monastero a Lille le aveva detto più volte.

Marguerite non aveva mai disdegnato simili insegnamenti, sebbene non si fosse mai soffermata sulle questioni di fede. Era una donna e aveva questioni ben più urgenti che perdere tempo a questionare sugli interrogativi del cielo. Come venire a capo del guaio in cui si era avventurato suo marito, per esempio.

Si era disfatta di Marie e dei documenti compromettenti in modo piuttosto abile.

- Cosa state pensando Marguerite?- domandò La Fayette, seduto su una sedia poco distante da lei.  Madame gli riservò un’occhiata, usando il riflesso del vetro.

- Pensavo al fatto che le persone che vivono nei palazzi popolari sono fortunati ad avere un posto in cui tornare…solo ora me ne rendo conto. Io ho vissuto negli agi per tutta la vita…- fece, accarezzando malinconica il vetro. Per un istante, desiderò rivedere quella chioma bionda vista da lontano e quegli occhi blu e tempestosi che non l’avevano mai lasciata, pur tentando di tenerla costantemente a distanza.

Ripercorrere di nuovo i corridoi, sentendo la chiacchiera vivace di Marons, la discreta devozione di sua figlia e…a quel pensiero, la mente di Madame si fermò.

Poteva dire tutto ciò che voleva…ma quelle iridi inquiete non si allontanavano mai dal suo cervello, gonfiandolo di pena. Era stata accanto a lui per tutti quegli anni, in quel rapporto ingabbiato in catene invisibili. Vicina ed allo stesso tempo lontana da quel marito che aveva sposato per chissà quale motivo. Aveva spesso pensato al suo matrimonio, un evento pieno di domande e privo di risposte.

Ora aveva nuove informazioni.

Notizie, che gettavano luce su una verità che non si sarebbe mai aspettata…e che non avrebbe mai visto. Pagine che non aveva mai mostrato alla timida novizia né, tantomeno, all’intemperante e imprevedibile sua amica. Nemmeno Girodelle era stato informato della cosa…non aveva avuto cuore a mettere sulla piazza simili questioni. Del resto, lo ammirava molto. A quel pensiero si morse il labbro. Chi non poteva provare un simile sentimento per il Generale? Un uomo ligio al dovere, lontano dagli scandali e da vizi. Nessun amante. Nessun cedimento al gioco d’azzardo e al laudano.

Ed era vero. Un segreto ben più terribile aleggiava attorno alla sua sagoma, sotto strati e strati di onori, riconoscimenti e gloria. Un evento così vergognoso e tremendo da sembrare impossibile vederlo accostato ad una figura così distinta. Gli occhi della dama si persero nel paesaggio notturno.

Trent’anni. Più di trent’anni di bugie e di misteri…un peso così insostenibile da non essere credibile. Una verità che aveva digerito con maggiore difficoltà rispetto al solito. Eppure era ancora lì.

In piedi.

Con gli occhi fissi alla finestra.

Nella medesima stanza, con il suo vecchio amico d’infanzia.

 –Siete molto malinconica Marguerite- fece apprensivo La Fayette – non dovete abbattervi così. La Sorte vi è stata molto avversa ma, d’altra parte, nessuno ha mai avuto modo di scegliere nel nostro mondo. Solo chi ha potuto godere della luce magnifica del poter vivere senza condizionamenti, può dirsi libero da un tale fardello. –

La dama non disse niente, continuando a scrutare l’orizzonte. Allo stesso tempo, seguì i movimenti di Gilbert.

Il suo improvviso alzarsi dalla sedia.

Il suo avvicinarsi alla finestra.

Il suo accostarsi a lei, in un modo che mai aveva fatto e che, un tempo forse, aveva solo sognato.

Il cuore della donna non mutò ritmo, rimanendo inerte, come suo solito. Non mostrò reazione, quando la mano di Gilbert le accarezzò piano i capelli. – Voi ed io, mia buona amica- mormorò questi, continuando a toccarle la chioma – siamo sempre stati in bilico. Troppo infimi per i grandi nobili. Troppo superiori ai comuni borghesi.  Non abbiamo mai avuto un posto tutto nostro…vi prometto che, da ora in avanti, le cose andranno diversamente. Vi libererò Marguerite.-

La dama chiuse gli occhi. Non sentì il tocco della mano sulla testa e nemmeno il bacio fugace che La Fayette le concesse alla mano…un gesto che aveva spesso cullato in passato, in sogni ad occhi aperti che la riempivano d’imbarazzo e frustrazione. Ora si stava realizzando la sua fantasia giovanile…eppure non percepiva nulla. Tutto era soffocato da quelle pagine strappate che sfrigolavano nella tasca interna del proprio vestito, come se fossero fatte di fuoco.

Allora, questo capitolo si conclude qui. Abbiamo la coppia di Zucconi (Erin & Victor) e la nostra piccola novizia. I due si sono forse riappacificati, mentre la nostra novizia si trova al sicuro in casa Chatelet. Nel frattempo vorrei ringraziarvi per la cortesia con cui mi state seguendo malgrado il trilione di capitoli che vi sto somministrando, manco fosse una purga. Girodelle è un tipo che non molla e, ora che Geremia ha levato le tende, è chiaro che sia più che mai deciso a non venir meno alla promessa di non ferire Erin.

Come sempre, non mancano di punzecchiarsi ma d’altra parte non possono fare diversamente. Erin per parte sua è talmente abituata a non sentirsi una persona da non riconoscere nemmeno cosa prova per il nostro Girodelle. Benedetti personaggi, sono davvero incorreggibili…ma sono fatti così!

Quanto a Madame, tengo la bocca cucita. Grazie ancora a tutti voi che mi leggete! Buona Festa della Donna!

   
 
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