1.
La separazione e l’addio
Planger Place -
notte
Fred Weasley rientrò
in casa quando ormai il sole era tramontato. C’era solo la luce dei lampioni che
illuminava artificialmente la strada e i giardini dei piccoli cottage che la
delimitavano. A quell’ora, quando il freddo cominciava a farsi sentire, c’erano
poche persone lungo la via e per la maggior parte erano precedute da un cane al
guinzaglio, assetato di un po’ di movimento e qualche cespuglio. C’erano anche
sporadici adolescenti che camminavano borbottando o fantasticando o cantando a
voce alta, con le spalle coperte da enormi zaini pieni di tutta la vita che era
possibile portarsi dietro in una giornata. Ma Fred non era interessato a nulla,
non vedeva nulla se non quel vialetto d’ingresso un po’ trascurato poco
distante.
Entrò nel piccolo
giardino di casa e si trascinò fino alla porta d’ingresso, la aprì e la chiuse
stancamente dietro di sé, lieto che le sue due figlie fossero con i nonni,
almeno per quella sera. Era rimasto alla Tana, la casa dei suoi genitori, per
gran parte del pomeriggio dopo aver passato tutta la notte precedente e la
mattina all’Ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche. E alla Tana aveva
voluto e dovuto giocare con le sue bambine per tutto il tempo possibile, mentre
i genitori, i suoceri, i fratelli, i cognati parlavano con lui o di lui. Le sue
mani raccoglievano e lanciavano giocattoli e la bocca emetteva piccole grida di
gioia in risposta a quelle delle bambine, ma la mente ritornava alla notte
precedente quando Angelina se n’era andata.
Si erano sposati così
velocemente, consapevoli della precarietà di quello che c’era attorno a loro,
della lotta tra Harry Potter, il Prescelto, il ragazzino magro e ostinato che
conoscevano da quando era arrivato a scuola con suo fratello Ron, e Tu-Sai-Chi, il
male personificato che neppure adesso trovava qualcuno disposto a pronunciarne
il nome. La battaglia tra tutto il mondo magico e i Mangiamorte. Si erano
sposati non appena il negozio si era avviato con sicurezza. Il negozio di giochi
e di scherzi immaginato durante gli anni della scuola e realizzato non appena se
n’era offerta la possibilità. Si erano sposati poco dopo
George, suo fratello gemello, e Lucinda, solo pochi mesi dopo. Angelina si era dedicata alla casa e poi
al suo lavoro. E erano arrivate le loro meravigliose bambine. E avevano
progettato il loro futuro non appena avevano sentito il senso di libertà che la
vittoria di Harry aveva regalato a tutti.
Quattro anni di
matrimonio, brevi e intensi, poi la malattia e l’addio.
Anzi non c’era stato
neppure il momento dell’addio. Semplicemente si era accasciata a terra, vicino
al negozio “Tiri Vispi”, dopo aver lasciato con lui le bambine per fare un
colloquio di lavoro. Solo questo. Non si era resa conto delle grida dei
passanti, del suo arrivo trafelato dopo che un conoscente lo aveva avvisato di
quello che era accaduto, del trasporto immediato al San Mungo, delle cure
intense alle quali era stata sottoposta, di quei sette lunghi giorni che aveva
passato silenziosa con gli occhi chiusi, rilassata nel letto
d’ospedale.
Non si era resa conto
di averlo lasciato solo. Solo con due figlie ancora piccole. Solo in mezzo ai
suoi genitori, ai fratelli, agli amici che erano arrivati da lui quello stesso
giorno e lo avevano aiutato, ascoltato, sostenuto fino alla
fine.
Sua madre aveva
pianto a lungo anche per lui, aveva accolto le bambine e, con sua sorella Ginny,
si era presa il pesante fardello di rispondere alle loro domande, dopo che lui
aveva spiegato loro che la mamma era molto malata e le avrebbe amate in
silenzio.
Suo padre, silenzioso
e prezioso, lo aveva stretto contro la sua spalla, lo aveva accompagnato ad ogni
colloquio con i medici, gli era rimasto vicino.
George, il suo
inseparabile fratello, ora più che mai, era la sua anima. Sapeva quando
doveva parlare anche per lui, sapeva cosa desiderava fare, sapeva cosa non
voleva sentire. Lo proteggeva. Non si erano mai fermati a parlare tra loro, non
gli aveva ai confidato il suo dolore, le sue paure. Ma George c’era
indipendentemente da tutto questo. Aveva chiamato la famiglia, organizzato la
cura delle sue figlie. A Fred sembrava essere sempre presente, anche quando si
guardava attorno e non lo vedeva. Ma dopo pochi minuti arrivava di fianco a lui.
Immancabilmente. Da solo o insieme alla moglie Lucinda, lasciando la loro
piccola Ernestine, che aveva la stessa età di Maggie, la sua figlia maggiore,
dai nonni o da uno zio.
Suo fratello minore
Ron e il suo famoso amico Harry Potter, pur nel pieno della loro attività di
Auror, erano riusciti spesso a fare da baby-sitter con le nipotine. Il suo
immacolato e perfetto fratello maggiore Percy aveva smobilitato il Ministero per
ottenere i migliori consulti medici per la cognata. I due fratelli più grandi,
Bill e Charlie, erano più distanti, ma arrivavano per una visita ogni giorno.
Persino Ninphadora Tonks, amica da tempo della famiglia Weasley e così legata ai
suoi genitori, aveva passato parecchio tempo con le
bambine.
Hermione Granger,
l’ultimo pezzo del famoso Trio Harry-Ron-Hemione, era via con il marito per una
delle sue partite a livello mondiale (Oliver Baston era ancora un nome forte del
Quidditch) e proprio quella sera ci sarebbe stata la partitissima di finale.
Anzi, erano stati tutti invitati. Una settimana prima erano tutti pronti ad
andarci.
Fred cominciò a
ridere sommessamente all’idea che potesse esistere ancora qualcosa di così
normale come una partita di Quidditch. Una stupida, insignificante partita di
Quidditch. Che non avrebbe mai perso fino ad una settimana
prima.
Ridendo e piangendo
si lasciò cadere su una delle sedie della piccola cucina di casa. Non aveva
toccato quasi nulla da una settimana. Solo i vestiti e i giochi delle bambine,
trasportati a casa dei nonni e qualcosa per lui e Angelina, l’indispensabile. Il
resto era ancora lasciato in disordine tra la cucina e le camere. Casa… che casa
poteva essere senza di lei? Avrebbe dovuto portare le bambine di nuovo lì
dentro. No. Non poteva ritornare lì senza di lei. Appoggiò le braccia sul
tavolo, si prese la testa tra le mani e continuò a piangere, da solo, al buio. A
lungo. Solo.
Alla Tana Molly
Weasley aveva appena finito di sistemare le due nipoti per la notte nella
vecchia camera dei gemelli. Scendendo le scale sospirò. Avrebbe voluto evitare
tutto questo al suo bambino, al suo Fred. Adulto, padre di famiglia,
proprietario di un negozio tra i migliori di Diagon Alley, ma pur sempre il suo
bambino. Quando erano nati i gemelli uno dei suoi pensieri più lieti era stato
che, qualsiasi cosa fosse accaduta, in quegli anni di paura e di incertezza,
loro sarebbero stati insieme. Sempre insieme. Si sarebbero
sostenuti.
Ma non aveva mai
pensato a questa tragedia. Quando i gemelli si erano sposati a pochi mesi di
distanza uno dall’altro pensava che fosse accaduto un miracolo. Che quei due
scalmanati potessero arrivare a decidere di fare una cosa così normale come
sposarsi giovani le era sembrato davvero un miracolo. E con sue ragazze così
“giuste” per loro. Lucinda e Angelina le erano sembrate il giusto equilibrio di
buonsenso per la pazzia di quei due inventori. Non credeva che avrebbero
affronto un impegno così importante e duraturo come un matrimonio con quella
determinazione. Lei la considerava ancora incoscienza, ma suo marito insisteva
che erano due ragazzi con la testa sulle spalle. Avevano o no aperto e gestito
uno dei negozi più redditizi di Diagon Alley? Avevano o no scelto la loro
carriera a 17 anni e quasi dieci anni dopo mantenevano il loro
impegno?
Molly raggiunse il
marito Arthur sul divano vicino al camino, sedendosi di fianco a lui che stava
leggendo il giornale. Senza guardarla lui allungò un braccio a circondarle le
spalle e la strinse contro di sé. Poi lasciò scivolare il giornale sul tavolino
davanti a loro e le sorrise con tristezza.
“Sono a letto?
Dormono?”
“Sì, sono brave
bambine. Maggie mi ha chiesto dove fosse il papà. Le ho detto che andava a
sistemare un po’ la casa. Abbiamo fatto bene a lasciarlo solo,
Arthur?”
“Non possiamo fare
altrimenti, tesoro. È da solo ora. Ma non lo abbandoneremo.” Sospirò
pesantemente. “Soffre e soffrirà Molly.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa
contro quella della moglie.
“Oh, Arthur, perché?”
sussurrò lei contro la sua spalla.
“Non lo so.” La
abbracciò ancora più stretta contro di sé. “Domani sarà una giornata pesante,
Molly. Andiamo a letto.” Con riluttanza si alzò e diede la mano alla moglie.
“Hai fatto l’incantesimo alla stanza per sentire le bambine se piangono?” Molly
annuì lentamente. Salirono le scale tenendosi per mano, in
silenzio.
Sede centrale degli
Auror – notte.
Ninphadora Tonks, o
meglio per tutti coloro, a parte rare eccezioni, che non volevano rischiare la
sua ira, solo Tonks, piegò la testa a destra e a sinistra, sentendo la tensione
dei muscoli rigidi e stanchi dopo 8 ore di guardia esterna per gli Auror,
servizio del Ministero per il quale lavorava da anni. Aveva camminato per tutto
il pomeriggio e aveva trascorso le ultime tre ore a controllare verbali e
documenti di arresto e di interrogatorio seduta in uno degli uffici,
microscopici, puzzolenti e tetri. Domani c’era il funerale di Angelina Weasley.
Quanto avrebbe voluto evitarlo. Dopo la morte del suo Remus, i funerali le
mettevano angoscia, tanta angoscia, più che tristezza. Ma lo doveva a Molly e
Arthur innanzitutto. E anche a Fred.
Aveva trascorso
parecchio tempo a casa Weasley nell’ultima settimana. Molly era distrutta dal
dolore per Angelina e per suo figlio. Tonks aveva notato, già dai primi giorni,
che Molly preferiva parlare con lei del suo dolore, più di quanto non facesse
con la figlia minore Ginny, che pure le rimaneva accanto tutto il tempo che le
era possibile. Quando stava per chiederle come mai era stata Molly a
risponderle, inconsapevolmente.
“Sai tesoro,” le
aveva detto guardando i punti di un lavoro a maglia che aveva iniziato per uno
dei nipoti, la voce roca e triste, “a volte devo ripetermi che i miei ragazzi
sono grandi… anche la stessa Ginny. È così brava con i nostri nipoti, sa cosa
dire, sa essere dolce e determinata. Eppure non riesco a parlarle come faccio
con te, come un adulto. È sempre la mia piccola Ginny.” Sospirò. “E Fred… vorrei
che non dovesse passare tutto questo…”
“Nessuno se lo
merita, Molly. Un dolore così grande. Nessuno.” Le aveva riposto sottovoce,
sistemando la tovaglia sulla tavola per la cena.
Molly aveva sospirato
di nuovo. Poi si era fermata, pensierosa. E l’aveva guardata, con colpevole
dolcezza.
“Tu meno di tutti,
Dora. Remus ti manca ancora tanto, vero?”
Lei non aveva
risposto. Con le persone che le erano care parlare di Remus Lupin, di un uomo,
il suo uomo, morto pochi anni prima, che aveva amato fino a stare male, era
ancora una sofferenza che la portava alle lacrime, a volte. Aveva continuato a
sistemare, inutilmente, la tovaglia.
“Ninphadora, ma ne
parli con qualcuno, tesoro?”
“No, non
molto.”
“Quando vuoi io e
Arthur siamo qui.”
Lei aveva sollevato
lo sguardo, luccicante di lacrime che non scendevano, e le aveva
sorriso.
“Non lo dimentico
mai.”
“Dora… cosa possiamo
fare per Fred quando… quando tutto questo sarà finito?” La diagnosi era chiara e
definitiva ormai. Fred aveva ascoltato il responso dei medici insieme al padre e
a George, neppure un giorno prima. Da allora era insieme ad Angelina tutto il
tempo che gli era concesso, anche solo per dormire nel letto accanto al suo
qualche ora. Oppure era alla Tana con le bambine. A giocare, in attesa di dover
parlare loro, per le prima volta, della morte. Almeno con Maggie . Reggie era
troppo piccola.
“Io non so
esattamente cosa potete fare Molly. Io non sopportavo di avere troppa gente
attorno, non volevo parlare di lui. Non volevo dividere i miei ricordi con
nessuno. Ma nessuno di noi due aveva una famiglia alle spalle. E non ho un
fratello gemello.” Si mise seduta su una sedia, pensierosa. “Forse solo stargli
accanto e aiutarlo praticamente, quello che fate adesso,
Molly.”
Erano rimaste in
silenzio a lungo, muovendosi solo al pianto di Reggie che si era svegliata al
piano di sopra.
Tonks si riscosse dai
ricordi di qualche giorno prima. Era tutto finito adesso. Apparentemente. Per
Fred era il momento peggiore. Sarebbero stati mesi e anni
difficili.
Si alzò dalla sedia
nella quale era crollata nello spogliatoio e si preparò per una lunga doccia
calda e solitaria. Aveva volutamente allungato il tempo di lavoro per evitare di
incontrare chi finiva il turno con lei. Adesso aveva tutto le spazio per
sé.
Quando ritornò nello
spogliatoio, quasi mezz’ora più tardi, pronta a mettersi i suoi vestiti, sentì
delle voci nello spogliatoio maschile accanto al suo. Erano divisi solo da una
piccola parete che non raggiungeva neppure il soffitto. Nessuno aveva mai
considerato di dover affrontare problemi di poco rispetto reciproco e raramente
qualcuno invadeva lo spazio che non suo. Riconobbe le voci di Ron Weasley e di
Harry Potter che stavano preparandosi per andare a casa. Avevano finito il loro
turno di ronda a quanto pare. Oppure avevano chiesto di poter terminare in
anticipo.
“Ron, non vuoi fare
la doccia adesso?” Hary stava quasi sussurrando.
“No, non voglio
niente.” Tonks ascoltò la voce sfinita di Ron e poi il silenzio. “Harry arrivo
tra un po’, vai pure a casa.”
“No, non ti lascio
così. Andiamo insieme, ti farai la doccia quando arriviamo a casa.” E la voce
stanca e preoccupata di Harry.
Silenzio.
“Ron…” La voce di
Harry era un insieme di tristezza, ansia e affetto. “Ron…”
Tonks sentì il suono
delle lacrime di Ron. Non c’era rumore, ma sapeva che stavano scendendo.
Immaginò Harry seduto di fianco a lui. Intimidita dalla loro amicizia lasciò lo
spogliatoio per tornarsene a casa.
Ebony Route – tarda
mattina
Fred era fermo in
piedi davanti alla tomba appena ricoperta di terra di Angelina. Rigido, a
braccia conserte, fissava un punto della terra dove un piccolo sasso bianco
spuntava dalla terra rossiccia, appena sistemata. Dietro a lui, c’era George con
una mano appoggiata alla sua spalla. Entrambi indossavano abiti eleganti, da
cerimonia, le cravatte ben strette e allineate. Rigidi e composti.
Impietriti.
Fred non riusciva a
pensare. Aveva cominciato a immaginare cosa fare della casa, come organizzare le
sue giornate, a chi chiedere aiuto per le figlie, ma ogni pensiero si
interrompeva su quel sasso bianco. Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non
riusciva a togliersi quell’immagine. Ogni tanto si ricordava che stava
respirando e lo faceva in modo controllato e profondo, poi dimenticava anche
quello. Sapeva che le bambine erano al sicuro con i fratelli o gli amici. Le
aveva volute al funerale, soprattutto Maggie che poteva cominciare a capire cosa
stava accadendo. Nessuna delle due aveva pianto. Erano rimaste in braccio o per
mano a lui. E lui si era rifiutato di piangere. Davanti a loro, mai. Se l’era
ripromesso. Non avrebbe nascosto la tristezza, ma le lacrime, sì. Alla fine le
aveva lasciate tra le braccia di Ron e Hermione. Sua madre piangeva tra le
braccia di suo padre. Ron si era preso Maggie e aveva cominciato a parlarle
delle piante e dei fiori che c’erano nel cimitero, mostrandole i colori e le
forme. Era riuscito a farla sorridere dopo pochi minuti. La piccola invece si
era addormentata tra le braccia di Hermione, che passeggiava vicino al marito,
sussurrandosi a vicenda qualcosa che aveva spinto Oliver ad
abbracciarla.
E lui era rimasto
fermo lì, con George. Gli occhi di entrambi fissi sulla
tomba.
“Quando vuoi
traslocare?” gli chiese il fratello.
“Eh?” si riscosse dal
torpore dei suoi pensieri. Prese un profondo respiro. “Appena trovo qualcosa che
mi piace…, ma devo ancora parlarne con le bambine…”
“C’è una casa a
McPhermont Street,” disse piano il fratello, con lo sguardo verso gli alberi di
fronte a lui, “a due piani… credo ci siano almeno 3 o quattro stanze da letto al
piano superiore e ha un bel giardino.”
“Già…” Fred girò la
testa verso George, con un lampo di interesse. “Sai il
prezzo?”
“Non è impossibile
secondo me, dato il posto e la grandezza.”
“Non ti ho mai detto
che volevo traslocare, comunque…” disse, pensieroso, Fred.
“Lo so,” confermò
tranquillo il fratello. “Ma è quello che farei io,” gli ricordò George. “Fino a
lunedì è tutto organizzato in negozio. Poi… ci sarebbero tutte le scartoffie…
quelle che io odio…”
Fred accennò
leggermente ad un sorriso. Amava suo fratello. Lo amava come una parte di sé.
Anche adesso che parlava di lavoro e di soldi lì in cimitero e solo per
scuoterlo un po’. Avevano pianto insieme troppe volte nell’ultima settimana. E
adesso tentava di dargli, una volta tanto solo metaforicamente, un calcio nel
sedere e farlo reagire. In silenzio prese la mano di George sulla sua spalla e
la strinse. Poi cominciò a camminare verso l’uscita. Sarebbe ritornato presto e
spesso da Angelina. Adesso c’erano le figlie. E un qualche futuro da
imbastire.