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Autore: Fair_Ophelia    15/03/2012    5 recensioni
Dopo la caduta di Galbatorix, un altro pericolo incombe su Alagaësia e soprattutto su Nasuada: un nemico che silenziosamente stringe intorno a lei la sua rete, separandola dai suoi alleati. Riuscirà a liberarsi dal suo aguzzino e a sciogliere i nodi di questa intricata matassa, alla scoperta del vero essere del Waìse Néiat? Scopritelo con me attraverso un viaggio pieno d'azione e romanticismo... Spero che diate almeno un'occhiatina :)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti/e! Scusatemi per l'enorme ritardo, ma dovrete vedere di abituarvici... almeno fino a giugno. D"X E finalmente si posta! Grazie a tutti per il vostro sostegno e le recensioni, che mi fanno davvero un mondo di piacere! Ditemi tutto ciò che pensate, se ci sono stati cambiamenti di stile, peggioramenti, miglioramenti.. tutto ciò che vi viene da dire! Vi aspetto con ansia! ;-*


4-EMOZIONI DEL TRASCORSO (SECONDA PARTE)

Il tranquillo plicchettio della pioggia si era trasformato a poco a poco in uno scroscio tonante, come se una cascata si fosse abbattuta sullo sperone roccioso. L’acqua inzuppava la terra permeabile, che sprigionava il suo pungente profumo, ma lasciava intatte le zolle sotto il salice piangente, ben protette dai rami fitti. Nasuada si trovava ancora lì sotto, le gambe strette al petto e il mento poggiato sulle ginocchia, e pensava al suo terzo incontro con Murtagh nel Farthen Dûr.
L’ultimo.
Se l’avesse saputo, gli avrebbe certamente detto qualcosa di diverso.
******************************
Nasuada entrò nella cella e lo vide subito: era di spalle, in piedi davanti ad un tavolino su cui erano impilati una decina di libri. Ne stava sfogliando uno con aria distratta.
Lei deglutì e mandò giù anche l’agitazione: aveva pensato a lungo su cosa dirgli, ed era certa che quello che stava per fare fosse la cosa giusta. Ma sentiva ancora il petto di lui così vicino, le labbra rosee che per un soffio non aveva sfiorato, il braccio che le circondava la vita...

Smettila. Solo sensazioni fisiche, che rovinano la vostra amicizia.
Come al solito lui non aveva sentito la porta aprirsi. –Ciao, Murtagh.
Il ragazzo trasalì, si girò e le sorrise timidamente. Richiuse il libro e lo ripose sul tavolo.
–Ciao.- Aveva un’aria spaventosamente incerta: i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra e non riusciva ad incrociarli per più di qualche istante. Ciò la sorprese: si era sempre comportato come una persona decisa e determinata, e lei lo ammirava proprio per la sua forza perché la condivideva. Il silenzio calò tra di loro: le sembrava di trovarsi tra l’incudine e il martello, e l’arnese ormai la soffocava con la sua pressione ferrea sul metallo. Prima che l’agitazione ricominciasse a farle battere il cuore la domò e annientò, ma non riuscì a farlo del tutto.
-Devo dirti una cosa....- iniziò lui, ma lei lo interruppe: -Anch’io devo parlarti. Riguarda... ciò che è successo l’altra volta.
Murtagh rimase in silenzio. Prese fiato e continuò:-Non voglio che la nostra amicizia sia distrutta per colpa mia.... E della mia stupida idea. Quella di ballare. Quando ci siamo ritrovati... in quel modo... Credevi che volessi baciarti e così hai cercato di rimediare un compromesso. Ma io non volevo farlo, non ti amo, insomma, tu per me sei solo un buon amico, ti sei sbagliato, capisci? Mi dispiace per quello che è successo...
Sul volto di lui apparve un’espressione indecifrabile, gli occhi più lucenti del solito. A mano a mano che parlava i suoi muscoli si erano irrigiditi. Aveva forse sbagliato? –Ho indovinato?- sussurrò incerta. Silenzio. Si chiese ancora se avesse fatto la cosa giusta: non riusciva a capire come avesse reagito lui. Cosa provava? Rabbia? Paura? Delusione? Sollievo? Il ragazzo aveva capito davvero il filo dei suoi pensieri? E lei, si era espressa bene?
Il dubbio la assillava; non sapeva più cosa pensare.



Non ti amo.
Quelle parole non avrebbero mai dovuto essere proferite da Nasuada per lui. Non lo amava. I sogni che gli affollavano la mente da quando l’aveva conosciuta s’infransero come vetro, e gli sembrava che le schegge gli si conficcassero nel cuore. Provò l’impulso di piangere, di correre da lei, stringerla, comunicarle la sua disperazione, convincerla in tutti i modi che aveva commesso un terribile, terribile sbaglio pronunciando quella frase. Invece rimase fermo e in silenzio. Ma non poté evitare che i suoi occhi diventassero lucidi e le membra gli tremassero; sentiva il desiderio impellente di sfogare l’energia che lo logorava dall’interno. Eppure fu costretto a mantenere la farsa.
–Sì, hai indovinato. Ho pensato proprio questo di te.- Cos’altro poteva dirle?
-Mi spiace...- fece lei, la voce incrinata.
–Non preoccuparti. Ti vuoi sedere?- Si chiese se il sorriso che aveva cercato di ostentare l’avesse convinta.
Lei si avviò verso il letto e si sedette. La seguì. –Allora, cosa stavi leggendo?- gli chiese la ragazza con un sorriso. Chiacchierarono per un’oretta, che per lui passò tra piacere e dolore, amore ed odio, serenità e disperazione che si alternavano di continuo; li sentiva opprimergli il cuore in una presa artigliata. Il tono spensierato di Nasuada e l’atteggiamento rilassato indicavano chiaramente che invece lei considerava conclusa la questione precedente, e senza troppi problemi.
Lei però si dovette accorgere che qualcosa non andava, perché quando lo salutò gli disse: -Sono felice di averti come amico- e gli sorrise dolcemente. Il ragazzo si sentì ardere il cuore, e quando lei uscì nel suo petto non rimase che cenere.

******************************
Dopo quell’ultimo incontro Murtagh aveva cercato in tutti i modi di dimenticare Nasuada, ma a nulla valsero i suoi tentativi di pensare male di lei. Come poteva biasimare una persona che conteneva un tale perfetto misto di dolcezza, determinazione, intelligenza, fascino e quel qualcosa di inspiegabile che aveva solo lei? Come poteva pensare di dimenticarla, se non poteva neanche vivere senza? Eppure aveva dovuto abbandonarla a causa della guerra, la guerra che uccide e distrugge, e che aveva fatto sì che lei e tutti gli altri lo credessero morto per mesi.
In seguito era nato Castigo, e da allora la sua vita era stato un susseguirsi di rancore, rabbia repressa, paura e isolamento. Castigo era il suo unico amico e aveva infuso in lui ogni oncia del proprio affetto, quell’affetto che ancora sopravviveva in lui nonostante le innumerevoli volte che era stato respinto, quell’affetto che solo il drago rosso era riuscito a ricambiare. Eppure un pizzico del suo amore era ancora rivolto a Nasuada: c’era sempre una porta socchiusa nel suo cuore, che poteva essere ignorata ma non chiusa. Ma quando arrivò la notte in cui cambiò tutto, lo spiraglio divenne una porta spalancata e le emozioni del trascorso presero a fluire al di fuori, con il loro carico di dolore, gioia e incertezza.
******************************
Murtagh entrò nella sala amministrativa di Galbatorix: una stanza dalle pareti grigie, arredata con un enorme tavolo nero circondato da sedie. Il re stava discutendo con tre uomini e una donna, membri della Mano Nera.
-...e questo è tutto. Andate ed eseguite gli ordini.- I tre fecero un piccolo inchino e si avviarono verso l’uscita con un fruscio di mantelli. Il Cavaliere si avvicinò, ripeté il gesto degli uomini e fece:- Sire.-
-Salve, Murtagh.- Il tono del re era neutrale e distante. Guardava delle carte sul tavolo, e più le guardava, più un sorriso perverso si allargava sulle sue labbra. Lui si sporse per sbirciare sul tavolo: una pianta dell’accampamento dei Varden e varie pergamene piene di appunti disordinati occupavano la superficie. –Sì, è davvero un piano geniale.
-Posso chiedervi cosa avete progettato, sire?
-Uccideremo Nasuada. Ultimamente la sorveglianza su di lei si è allentata, e quello sciocco di Eragon non riuscirà a proteggerla...- continuava a parlare, ma le parole riecheggiavano vuote nella mente di Murtagh. Due sole erano degne della sua attenzione: uccideremo nasuada. Il cuore accelerò i battiti.
–Ma sire, lei è un valido alleato!
Il re s’interruppe bruscamente e lo guardò con occhi ben aperti, quasi sbarrati; subito dopo nascose l’irritazione sotto una maschera d’imperturbabilità. –Spiegati meglio.
-Uccidere Nasuada sarebbe un enorme spreco. Possiede capacità che neanche immaginate, sire. È intelligente ed efferata e usa la rabbia e la grinta per raggiungere le sue ambizioni... Neanche Lord Barst può vantare queste qualità. Ci sarebbe utilissima, perciò...- a questo punto si fermò, improvvisamente vuoto. Sapeva come proseguire. Ma sapeva anche che ciò che avrebbe detto avrebbe condannato Nasuada ad una vita che non voleva per nessuna ragione al mondo farle condurre. Non voleva dirlo... Eppure non aveva scelta... Il re aspettava impaziente.
-...Perciò anziché ucciderla, potremmo rapirla.- Terminata che ebbe l’ultima parola, abbassò lo sguardo.
Galbatorix continuò a fissarlo immerso nelle proprie riflessioni. Lui aspettava impaziente il verdetto, logorato dall’attesa. Infine il re si aprì in un sorriso perverso. –Sì, è un’idea geniale. Sarà facile rapirla...- il sorriso si allargò -...e molto divertente torturarla. E tu mi aiuterai, Morzansson. Avverto subito la Mano Nera... Ci riuniremo domani dopo pranzo per decidere i dettagli.- Si girò e si avviò a grandi passi verso l’uscita, il mantello svolazzante sulle spalle. D’un tratto si fermò. –Murtagh, come ti è venuta quest’idea? Forse provi interesse per lei?-
Il respiro gli rimase intrappolato nei polmoni, mentre al sollievo precedente si sostituiva un’ansia di ghiaccio. Avrebbe dovuto pensare a quel dettaglio. Ma non c’era modo di nasconderlo.

Accidenti!
Ma prima che potesse aprir bocca, Galbatorix emise una risata sadica e disse: -Ah, già, tu sei Murtagh il Regicida! Colui che è senza cuore, colui che tradisce i vecchi amici... E stai certo che se Nasuada non mi giurerà fedeltà, spetterà a te il privilegio di spremerle la vita goccia a goccia. Sarà la seconda vittima della tua collezione di reggenti. Un onore ed un piacere.- Fece una pausa, mentre lui si sentiva gelare e sciogliere al tempo stesso per il sollievo di non essere stato scoperto e il terrore di ciò che avrebbe fatto. –A presto, Regicida...- I suoi passi riecheggiarono nel corridoio mentre abbandonava la sala.
Che cosa ho fatto?
******************************
Castigo rabbrividì sotto il gelido ed insistente scrosciare della pioggia e il tremito riverberò anche nelle membra di Murtagh.
Tu stai bene, cucciolo, ma io no. Sono fradicio e intirizzito di freddo... Per piacere, spostiamoci sotto quella quercia.
Il tono ironico di Castigo si era mitigato; anche lui era stato condizionato dalla malinconia che aveva invaso il suo compagno per la vita. Forse lo preferiva quando era dispettoso e sarcastico, pensò il Cavaliere; almeno gli risollevava il morale.
Chi ti dice che non lo sia più... un filamento sottile della mente del drago lo raggiunse; evidentemente aveva sentito il suo precedente pensiero. Dal contatto traspariva malizia. Il resto della mente era schermato: gli stava nascondendo qualcosa. Iniziò a nascergli un terribile sospetto.
Castigo?
Sìì?
Cos’hai in mente?
Io? Niente...
E invece sì, stai pensando qualcosa!
Ma se ti dico che non sto pensando niente!
E io ti dico di sì.
E io di no.
Sì.
No.
Sì.
E allora sì anch’io!

Aprì di scatto l’ala, lasciandolo esposto alle intemperie. In due secondi si ritrovò gli abiti zuppi e aderenti al corpo e i lunghi capelli neri attaccati al viso.
CASTIGO!
Iniziò a imprecare, mentre correva incespicando verso la quercia e Castigo, che era già arrivato, si rotolava a terra dal divertimento.


Forse avrei dovuto capirlo. Una goccia filtrò tra i rami lussureggianti del salice e cadde sulla sua guancia, come una lacrima.
Dopo la battaglia del Farthen Dûr e la notizia della sua morte, Nasuada non aveva più pensato a Murtagh, anche se aveva provato un dolore immenso alla notizia della sua scomparsa. In seguito l’elezione a capo dei Varden e gli impegni politici l’avevano trascinata nel loro vortice di intrighi, bugie, accordi diplomatici, strette di mano, enumerazione di risorse ed armi, raggiri di sorta che schivava con la sua abilità... Non avrebbe mai potuto dire che fare la reggente le piacesse, eppure era ancora lì: il suo senso di giustizia e la sua determinazione l’avevano assistita là dove gli altri non erano arrivati, le facevano stringere i denti quando c’era dolore da sopportare, le suggerivano risposte argute ai consigli, la guidavano nei discorsi al popolo, cui teneva più di ogni altra cosa al mondo. O quasi.
Sospirò e si mise in una posizione più comoda. Anche dopo la battaglia delle Pianure Ardenti e la scoperta che Murtagh era diventato Cavaliere, la sua vita non era cambiata. Cambiò invece molto tempo più tardi, in una notte in cui si ritrovò faccia a faccia con lui, e con il suo wyrda.
******************************
-Ben svegliata, dolcezza.
Nasuada si ridestò faticosamente dal sonno e socchiuse gli occhi, ma ciò che vide subito dopo glieli fece sbarrare.
A pochi pollici dal sul viso c’era quello di Murtagh.
Il Cavaliere le aveva bloccato i polsi sul cuscino, ai lati della testa; le punte dei suoi capelli le sfioravano le guance; le labbra erano atteggiate ad un sorriso sardonico.
Lei per istinto cercò di divincolarsi, in preda al panico, ma un incantesimo non le permetteva di muoversi.
Si arrese. –Murtagh...- Pronunciò il nome a fatica. –Perché sei qui? Devi uccidermi?
Com’era possibile che l’avesse raggiunta? E i Falchineri? Eragon? Elva? Gli stregoni del Du Vrangr Gata? Possibile che non ci fosse nessuno che avesse ostacolato il Cavaliere?
Accantonò quei pensieri inutili, concentrandosi sul qui e adesso. Guardò il ragazzo negli occhi: solo allora si accorse che la stava divorando con i suoi occhi scuri, luminosi e seri. Si chiese perché la guardasse così intensamente: quasi la consumava a forza di fissarla. L’aria beffarda non aveva niente a che fare con ciò che trapelava dal suo sguardo...

Ma forse... Forse è un’illusione.
-No. Il re mi ha dato l’ordine di rapirti.
Rapirmi? Si trattenne dal chiedere il perché.
-E tu lo farai?
-Naturale. A Galbatorix non si sfugge...-avvicinò le labbra al suo orecchio -...e non sfuggirai neanche tu.- L’armatura gelida contro il suo corpo la fece rabbrividire;il freddo del metallo si percepiva ben oltre la camiciola leggera. Cercò di allontanarsi il più possibile dal viso del ragazzo, per quanto l’incantesimo potesse permetterglielo. Fuori sentiva infuriare la battaglia e i ruggiti di Saphira e Castigo che lottavano in cielo.
-Uccidimi.
-Il re ti vuole viva.
-So che non lo farai. Dov’è finito il tempo in cui mi dicevi “sei bellissima”?
-È finito quel tempo, ormai.
-Ti prego, per la nostra amicizia, non farlo... Sai che non è vero...
-Non ho scelta!- Il Cavaliere perse il suo tono controllato e sprezzante. Si alzò in piedi e con forza sovrannaturale trascinò anche lei. Arrivata a terra puntò i piedi.
-NO!- Sapeva di non poter resistere, ma avrebbe fatto di tutto pur di non finire tra le grinfie di Galbatorix. Liberò una mano, afferrò un pugnale nascosto tra le pieghe della vestaglia e cercò di colpire Murtagh al cuore, ma le difese magiche la bloccarono. Il giovane le riprese il polso e nella foga le ferì una guancia. L’arma cadde a terra, affondando nella terra arida, mentre un fiotto scarlatto straripava dal taglio come un fiume che rompeva gli argini. Faceva male, ma aveva sopportato ben altro. Intanto lui continuava a trascinarla: urlò, cadde in ginocchio, ma il Cavaliere non la lasciò e la riportò in piedi.
-Arrenditi, non fare la bambina!-
-Mai!
Quando raggiunsero l’uscita del padiglione vide i Falchineri e gli stregoni che la proteggevano a terra, le tende in fiamme e soldati imperiali ovunque. Nonostante tutti i suoi sforzi si allontanavano sempre di più. Disperata, tirò un calcio verso il ginocchio di Murtagh, ma ancora una volta le difese la bloccarono. Sentì Eragon gridare e correre verso di lei, ma era troppo lontano... Non ce l’avrebbe fatta...
Era tutto perduto...
All’improvviso si trovò addosso al Cavaliere che la tratteneva: un colpo alla tempia, e cadde nell’oblio.

******************************
I giorni seguenti erano stati i più intensi della sua vita. A volte riviveva nei sogni l’attizzatoio rovente che le marchiava le braccia, la lastra di marmo gelido sotto di lei, la voce mielata di Galbatorix, le mascelle dei brucotarli che la rodevano dall’interno, e più rodevano più sentiva dolore e ribrezzo, e più sentiva dolore e ribrezzo, più si avvicinava pericolosamente alla pazzia...
O alla morte...
C’erano state volte in cui credeva davvero di morire. In cui voleva davvero morire.
Invece era ancora viva, ancora sottoposta a torture, discorsi melliflui, paura che le veniva inculcata per stillicidio, e il cuore che batteva sempre più veloce a mano a mano che il ferro si avvicinava, e i suoi sforzi e rituali a cui si aggrappava come un monaco al suo dio, e le sue paure e i desideri più nascosti che Galbatorix le faceva sfilare davanti pur di spezzare la sua determinazione... Eppure aveva resistito a tutto.
Un’esperienza del genere porta davvero a scoprire i propri limiti.
Ma non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui. A volte compariva anche nei suoi sogni, ma sempre con la maschera d’argento, o girato di spalle. Non capiva perché non riuscisse a vedere il lato della sua personalità che voleva lei. Quello premuroso, impacciato, rassicurante, dolce, che unito agli aspetti che tutti conoscevano di lui, lo rendevano irresistibilmente, assurdamente, indiscutibilmente, inevitabilmente, misteriosamente, tremendamente attraente... Sentiva, sapeva che avrebbe potuto vivere solo di lui, perché aveva pregi e difetti unici, messi insieme da qualcosa cui non era riuscita a dare nome all’inizio.
Le ci era voluto un po’ per scoprire la sua parte più dolce, perché inizialmente si era soffermata solo sull’apparenza: sarcasmo, durezza, orgoglio, rancore. Ciò che vedeva in lui, e come lo etichettavano gli altri. Non si era mai sforzata di andare oltre e capire che con lei si comportava in maniera diversa. Ma poi scoprì che lui le aveva salvato la vita e nonostante avrebbe preferito morire, non poté fare a meno di ringraziarlo in cuor suo... e chiedersi il perché.
Sdraiata sulla lastra, in attesa della visita di Galbatorix, si arrovellava sulla domanda, su quel “perché?” che tempo dopo si sarebbe voluta sentir dire da lui. E più si lambiccava il cervello, più un pensiero s’infiltrava, sottile, eppure penetrante, nella sua mente: lei gli piaceva.
Ma certo. Era così evidente. Aveva avuto per tanto tempo la risposta sotto gli occhi, ma aveva sempre guardato in un’altra direzione, finché quel suo gesto no aveva attirato la sua attenzione.
Solo allora riuscì a interpretare il tono dolce, le guance rubizze, lo sguardo incerto che si soffermava a lungo su di lei, le sue visite, l’odio per se stesso quando la torturava... La scoperta la scosse, perché nessuno si era mai innamorato di lei, né lei si era sentita particolarmente attratta da qualcuno.
E poco tempo dopo la scoperta si era trovata stretta a Murtagh, un braccio di lui intorno alle spalle, le dita del Cavaliere che stringevano le sue, la sua voce rassicurante che le giurava solennemente di salvarla... E parlando con lui iniziò a notare quanto fosse interessante, sagace, forte, deciso, dolce, e tra l’altro anche davvero bello... No, non bello, divino... Come non aveva potuto notare prima il suo fascino?
Sentì, mentre lui parlava delle cinghie della sua sella e si scostava una ciocca nera dal viso con due dita, che se anche fosse stato il suo peggior nemico e l’avesse odiata, sarebbe andata fino in capo al mondo pur di godere della sua presenza, del piacere di chiacchierare con lui, di stare tra le sue braccia... Di... baciarlo?... Una sensazione che la spaventava e attraeva, cercava e evitava, un caos di pensieri disordinati e sentimenti confusi che avevano una sola direzione: Murtagh Morzansson. Ma ciò che più la estasiava era che lui non era il suo peggior nemico... lui la amava. E quando voleva sentirselo dire, voleva che rispondesse alla domanda dalla risposta più bella di Alagaësia, Murtagh le aveva detto “Lo sai perché.”
Da allora tra loro era nato l’implicito patto di essere destinati l’uno all’altra; non se l’erano mai detti, non si abbracciavano, non si tenevano neanche per mano, ma era un segreto palese. Quando Murtagh aveva finalmente capito che il suo sentimento erano ricambiato aveva iniziato a trattarla con estrema dolcezza, le sorrideva di più, irradiava tenerezza allo stato puro e si impegnava al massimo per trovare un modo di farla fuggire. I suoi occhi brillavano e non si staccavano mai da lei. Incrociarli le faceva fondere le viscere come ferro in una fucina, e la costringeva ad abbassare lo sguardo... E anche allora, sotto il salice, rivedeva le sue iridi scure e luminose dedicate solo a lei e sentiva uno strano calore all’altezza dello stomaco... Nessuno era mai riuscita a metterla in soggezione come Murtagh.
Quando giaceva sulla lastra e Galbatorix non le manipolava i sensi, il pensiero la spingeva involontariamente a fantasticare su una vita con il bellissimo Cavaliere, come una ragazzina. Immaginava di uscire dall’incubo del regno del tiranno per entrare nel sogno del loro dominio insieme, re e regina in un’era di pace e prosperità. Era sì uscita dall’incubo, ma era entrata in un altro, uno in cui lui era assente. La frustrazione le fece tirare un pugno per terra; le nocche scure affondarono tra le zolle e si confusero con esse. Ripensò all’ultima volta che aveva visto la persona che più amava al mondo, e la disperazione le fece venire i lucciconi.


Questa me la paghi, oh, se me la paghi!
Non eri tu quello che mi preferiva “dispettoso e sarcastico”?
Nnn!... Non mi ti far rispondere.
Dai, Murtagh... Non ti sarai arrabbiato sul serio?

Il Cavaliere chiuse la mente al suo drago. Aveva voglia di piangere, sfogare la rabbia e la disperazione per aver abbandonato tutto e tutti di punto in bianco; soffriva a stare lontano da Nasuada, oltre che da Eragon e gli altri vecchi amici, ma sapeva che sarebbero passati ancora molti anni prima del momento in cui avrebbe trovato la forza interiore per tornare. Gli venne in mente l’addio che aveva dato a Nasuada: aveva ucciso centinaia di uomini senza battere ciglio, visto il dolore in tutte le sue forme, ma era certo che lei fosse la persona che più aveva fatto soffrire nella sua vita. Non potrò mai dimenticare i tuoi occhi... Amore.
******************************
-...e questa è l’ultima.
Ora sì che sto bene. Grazie, Murtagh. Castigo si stiracchiò, come a saggiare il riottenuto pieno vigore, e rabbrividì: la guarigione causava sempre prurito e altre sensazioni anormali, ma dopo qualche minuto passava tutto. Il Cavaliere inviò un’ondata d’affetto al suo drago, che ricambiò. Sentiva già le loro menti più libere: evidentemente la morte di Galbatorix aveva permesso ad alcuni giuramenti di sciogliersi, ma per sicurezza avrebbe usato il Nome dei Nomi più tardi.
Castigo, l’abbiamo ucciso! Siamo liberi!
Perché gioisci? Non sai cosa ci attende ora? Il tono del suo compagno per la vita era solenne e triste. Solo allora ripensò ai loro piani. Il mondo gli crollò addosso.
No... No! Accidenti, non doveva andare così!
Lo so... Ma ricordi tutte le nostre considerazioni...
Lui lasciò cadere un muro tra le loro menti e distolse lo sguardo. Si girò e vide Nasuada accanto a lui, una mano posata sulla sua spalla, che ammirava la mole di Castigo. Negli occhi brillavano di nuovo la forza, la fierezza e la speranza che la contraddistinguevano, e che avevano contribuito a farlo impazzire di lei. Non avrebbe mai sperato di vedere i propri sogni realizzati e la donna che amava accanto a lui. La vicinanza lo impacciava ancora un po’: la mano di lei gli sembrava piombo rovente sulla spalla.
Il mio tesoro. Il mio tesoro, e devo proteggerlo ad ogni costo. Eppure sapeva quale sarebbe stato il destino suo e di Castigo se se si fossero salvati. La disperazione iniziò a penetrare nel suo cuore, inesorabile come la punta di una spada.
Dove trovo il coraggio di dirglielo?
Lei finalmente si girò e si accorse che la stava guardando. Gli scintillanti occhi color liquirizia si abbassarono e tolse la mano dalla sua spalla, imbarazzata.
-Ce l’abbiamo fatta-, disse.
-Già, ce l’abbiamo fatta. Quasi non credo di essere ancora vivo.
-Non voglio neanche pensarci. Mi hai fatto prendere un tale spavento quando Eragon ti ha colpito! Oh, Murtagh, mi sentivo come se avesse ferito me!
-Mi fa piacere che ti preoccupi... Anzi, non mi fa piacere perché questo ti rende triste... Cioè...
Nasuada sorrise dolcemente. –Basta tristezza. Abbiamo realizzato il sogno di una vita! Voi siete liberi e stai certo che io otterrò il trono...- gli rivolse un’occhiata obliqua –...non per scopi egoistici, naturalmente, ma perché mi ritengo un buon capo. Tuttavia... Sono certa che una mano mi sarà utile.- Sorrise, e il mondo s’illuminò. –Non ti piacerebbe regnare con me? Cos’hai intenzione di fare ora?
Era arrivato il momento. Da allora niente sarebbe più stato come prima. Perché doveva darle quella sofferenza? Perché loro?
-Credo che...- si odiò quando lo disse –me ne andrò.
Gli sembrava di aver sputato veleno.
Il sorriso di lei si spense ed emanò incredulità.



-Andartene?!
Non credeva alle sue orecchie. No... No... No. Quella frase non aveva senso.
-Non posso stare al tuo fianco, e lo sai. Ti sarei solo d’intralcio nell’ascesa al potere. Nessuno accetterebbe di averti come regina, se ti assistessi. Sono un peso... La tua rovina... Ti ho fatto solo soffrire, avrei fatto meglio a non... corteggiarti... A stare al mio posto...- Parlava con voce atona, piatta.
-Non dirlo neanche per scherzo! Ce la faremo, vedrai... Riusciremo a convincere tutti...- Ma neanche lei credeva a ciò che aveva detto. Sapeva che le sue parole erano maledettamente veritiere, tranne per il fatto che non avrebbe dovuto affezionarsi a lei.
S’irrigidì.
-E i nani? Re Orrin? Non ci provo neanche. Il mio posto è... lontano da tutti. Lontano da te.
Lei si accigliò. –Non sei un vigliacco! Devi lottare e costruire la tua vita! Vuoi dire che non t’interessa più vivere con me? Che pur di non guardare in faccia i tuoi nemici rinuncerai alla nostra vita insieme? Non mi...
-Certo che ti voglio ancora bene, Nasuada, come puoi non crederlo! Ma non si tratta solo di affrontare nemici, c’è un intero popolo che mi chiama il Regicida! È un’utopia! Quando il tuo impero nascerà e sarà fiorente, io dovrò essere lontano, per il bene di Alagaësia.
Quelle parole la ferirono più di tutti attizzatoi roventi che aveva sperimentato nella sua prigionia.
-Quando partirai?- chiese con voce sommessa.
-Subito. Ora.
-Come, ora!
-E cosa dovrei aspettare, che il popolo dica che è sfuggito un nemico alla loro furia massacratrice? No, prima me ne andrò, meglio sarà per tutti. Compresa te.
-Ti prego, smettila di dire che per me sei un danno! Sai che rivivrei cento volte le torture dei brucotarli pur di averti accanto a me!
Gli occhi di lui si riempirono di gratitudine. Le prese un lembo della tunica vicino al collo e lo strappò, esponendo all’aria aperta le cicatrici che le deturpavano la pelle. La riconoscenza si trasformò in dolore e rabbia. –Posso guarirti prima di andarmene?
Lei annuì e abbassò la testa. Nonostante la situazione non aveva intenzione di sopportare le ferite un minuto di più; erano una testimonianza dell’opera di Galbatorix, e doveva essere eliminata. Murtagh iniziò a borbottare nell’Antica lingua e a sfiorarle leggermente la pelle ferita, come se si vergognasse di toccarla. Com’era dolce il suo Cavaliere, talmente insicuro con lei da non avere l’ardimento di posarle le mani addosso! Era un po’ impacciato, certo, ma nella sua insicurezza c’erano un fascino ed un senso di protezione che nessun corteggiamento di leggiadro elfo avrebbe potuto eguagliare. E ne avrebbe dovuto fare a meno per... Quanto tempo?
-Murtagh, quanto starai via?
Il ragazzo finì d pronunciare l’ultimo incantesimo, abbassò la mano e la guardò negli occhi. Uno sguardo di fuoco che la incendiò.
-Io e Castigo abbiamo bisogno di trovare la pace, e ci occorrerà molto tempo. Non so. Anni. Lustri. Decenni. Voglio recuperare totalmente l’equilibrio... Se mai riusciremo a farlo.
Nasuada sentì salirle un groppo in gola e le prime lacrime colmarle gli occhi; le pareva che il cuore potesse scoppiarle da un momento all’altro, come se fosse stato troppo pieno di sangue e pioggia degli occhi.
Murtagh, dopo un momento d’incertezza, fece lentamente avanzare le mani verso le sue e gliele strinse. Anche lui tratteneva a stento il pianto, la mascella che tremava.
-Promettimi che non mi penserai troppo, e non piangerai.
-Te lo prometto.
-Promettimi che sarai forte, che guiderai il tuo popolo impegnandoti al massimo delle tue capacità.
-Te lo prometto.
Fece un passo avanti e le sussurrò all’orecchio una frase. Lei rabbrividì nel sentire i capelli corvini e lisci di lui sulla guancia e la sua voce calda così vicina e solo per lei, dolcezza fatta suono. Non appena finì di parlare, il Cavaliere si scostò, leggermente rosso sugli zigomi. Inchiodò gli occhi ai suoi: in essi si riflettevano struggente dolore e morbosa attesa per la risposta.
-Oh, sì! Sì, Murtagh!- La sua risposta lo fece sorridere dolcemente: avrebbe voluto catturare quel sorriso e rivederlo ogniqualvolta lo avesse voluto, custodirlo gelosamente nel suo cuore come un segreto. Invece non poté farlo.
-Questa è un’informazione che ti metterebbe in pericolo, se qualcuno ti frugasse la mente. Mi permetti di cancellarne il ricordo, e farlo riapparire quando vorrò io?
Lei lo guardò per un lunghissimo secondo.
Che strana richiesta. Ma ha ragione.
-Va bene...- Il ragazzo pronunciò qualche arcana parola e subito dopo si ritrovò con la strana sensazione che un ricordo le sfuggisse: sapeva che era in atto l’incantesimo, ma sentirne gli effetti le provocò un disagevole... senso di colpa. Lei era solita tenere a mente qualsiasi cosa, dote necessaria per un buono stratega, perciò non sapere ciò che le aveva detto la irritava, ma sopportò. Gli rivolse di nuovo la sua attenzione.
-E tu promettimi di tornare.
-Tornerò. Te lo prometto- sospirò.
Le lacrime finalmente iniziarono a rotolare dai suoi zigomi alti giù per le guance come comete di vetro fuso, lasciando dietro di sé una scia simile al letto prosciugati di un fiume.
-Non piangere... Ti prego, no, non piangere...- Il volto di lui era sconvolto dal dolore.
-Per ultimo, promettimi di tenere lontani i pretendenti.- Cercò di sorridere, ma ciò che vide fu solo una smorfia tirata.
-Te lo prometto.
Passò qualche secondo, lui che le stringeva le mani e la fissava, lei che ricambiava lo sguardo. Il giovane alzò una mano e le asciugò la rugiada degli occhi con un pollice; fu un debole contatto, ma la fece arrossire ugualmente. Le riprese le dita. Cercò di assaporare ogni momento della sua stretta, ogni brivido che percorreva la sua pelle, ogni suo tratto.
All’improvviso sentì la presa allentarsi per poi svanire del tutto.
-Addio, Murtagh!
-No. Non addio, arrivederci. Ricordatelo, sempre. E non dimenticarti mai che ti voglio bene... Sarà l’ultimo dei tuoi dubbi.
-Anch’io... ti voglio... bene.
La fissò ancora, poi si girò e iniziò ad allontanarsi, mentre i singhiozzi le scuotevano il torace e fiocchi di neve infuocati le ustionavano il viso. Lo vide sganciare delle bisacce dalla sella, lasciarle cadere e salire su Castigo, e non si oppose. Lui si girò e cercò di farle l’occhiolino, ma non risultò convincente. Il drago si alzò in volo, le squame rosse rese più cupe dall’ombra dello sperone che sovrastava Urû’baen. La stessa tenebra era scesa sul suo cuore: vedeva Murtagh andarsene da lei, e non poteva fare niente.
Solo piangere.

******************************
Già, piangere... Quello che avrebbe sempre voluto fare, da allora fino a quel momento, lamentare la sua terribile perdita. Ma quando sentiva la tristezza condensarsi sulle palpebre ripensava alla promessa: “Promettimi che non mi penserai, e non piangerai.”
“Te lo prometto.”

Da allora era sempre stata una lotta alle lacrime, alla disperazione, alla malinconia. Ma aveva resistito a tutto. Lo faceva per lui. Eppure, il ricordo di una frase ogni volta le spezzava il cuore, rendendolo schegge e sabbia: “Il mio posto è... lontano da tutti. Lontano da te.”
Non ce la fece più: si alzò, corse fuori dal riparo del salice e lasciò che la pioggia scrosciante scorresse su di lei, facendo scivolare via colpe e rimpianti, sciogliere le membra, diventare parte della terra, andare a imbevere le zolle insieme alle intemperie, unirsi in un tutt’uno con la natura pur di dimenticare il suo dolore. Alzò il viso al cielo, mentre l’abito leggero si attaccava al corpo, i capelli al viso e alla schiena, e brividi le correvano su e giù per i fianchi.
Le lacrime spingevano prepotentemente, e non poté più trattenerle: pianse, pianse tutta la sua sofferenza, lasciando che si mischiasse, stemperasse, scolorisse con la cascata celeste.
Quel giorno, nessuna promessa riuscì a fermare il suo dolore.


Oh, Murtagh... Mi dispiace... Ricordati sempre che torneremo, fatti forza...
Murtagh aveva riaperto la mente a Castigo, sommergendolo di emozioni. Adesso avvertiva che il drago era davvero dispiaciuto per lui: la creatura gli allungò il muso accanto, mugolando piano. Incrociò i suoi occhi di brace e appoggiò la guancia e una mano sul suo morbido naso caldo, mentre cristalli di struggimento gli percorrevano le guance.
Pensò che non avrebbe mai trovato il coraggio di affrontare i suoi nemici, e che non avrebbe rivisto Nasuada mai più.


-Et...cì!- La doccia disperata aveva portato a Nasuada un brutto raffreddore. Il formidabile temporale andava scemando, ed era tornata a palazzo: aveva già perso troppo tempo, doveva scrivere una lettera a Orrin in cui lo avvertiva che le uova, giunte a Ilirea già da un paio di mesi, non si erano schiuse nonostante tutti i ragazzi dei più sperduti villaggi si fossero presentati loro avanti. Avevano girato di città in città per tutto il suo impero, ma non avevano voluto saperne di schiudersi. Bisognava trasportarle ad Aberon il più presto possibile.
Stava percorrendo il corridoio verso la sala del trono, quando qualcosa le colpì la schiena: se l’avesse presa un fulmine, non avrebbe potuto sussultare più violentemente. Si girò e vide Farica, piegata in due dallo sforzo, che ansimava e boccheggiava.
-Farica! Cos’è successo? Perché hai corso?
-È...- Cercò di raddrizzarsi, ma lo sforzo sortì l’effetto contrario e le ginocchia le cedettero. Nasuada la sostenne.
- È...- la serva prese fiato, poi disse:: -È scomparso un uovo di drago!
   
 
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