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Autore: controcorrente    17/03/2012    3 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Come promesso, ecco il nuovo aggiornamento. Non appena questa lunghissima fic terminerà, riprenderò con maggior frequenza l’aggiornamento delle altre.  Lunga o meno, ci sono particolarmente affezionata. Non vogliatemene quindi se dovrete attendere per le altre. Intanto vi ringrazio per avermi letto. Intanto, beccatevi questo capitolo!


SEGNI
 
Mademoiselle De Bouillé non disse più una parola, stupita forse che qualcuno avesse osato parlarle contro. Di certo, non si aspettava che quel qualcuno fosse una persona come Marguerite, considerata da tutti tanto remissiva da sembrare debole e sciatta.
Mosse le labbra varie volte, incerta su cosa rispondere.
Non si era mai trovata in una situazione simile.
Marguerite vedeva la smarrimento prendere possesso a poco a poco del suo corpo. Una parte di lei gioì di questa sua piccola ed insignificante vittoria. Un pallido risarcimento per anni ed anni di tormenti, che le avevano causato tra l’altro la perdita del suo primo bambino. Non lo aveva mai dimenticato, sebbene non avesse mai osato imporsi, condizionata dal peso della sua minore nobiltà…ma c’era comunque altro a frenarla. I modi esuberanti della sorella minore di De Bouillé l’avevano sempre messa in soggezione, spingendola a porsi alla mercé delle sue angherie. Non aveva mai osato parlarne con il suo sposo, però. Era una questione tra donne e l’altra era stata, tempo prima, la sua cognata, nonché sorella del suo migliore amico: come poteva raccontare al Generale che razza di mostro fosse? Non le avrebbe mai creduto.
La soddisfazione, quindi di averla messa a tacere, e per di più da sola, la alleggerì di una parte dei suoi dolori passati: per la prima volta, dopo molto tempo, era riuscita ad avere la meglio su quella serpe.
D’altra parte, però, non riusciva a non esserne delusa. Era tutta qui la virtù di quella dama, dal lignaggio più illustre del suo? Tutta qui la lode che tutti le riservavano quando passava nei corridoi della reggia? Le venne quasi da ridere. Aveva lasciato che quella bambina troppo cresciuta le gettasse addosso fango, per timore delle sue reazioni.
Quante occasioni perdute le venne in mente, in modo completamente sarcastico.
- Sorella – le disse bonario il Generale De Bouillé – controllatevi, per favore. Sapete bene che queste urla isteriche non sono appropriate…che cosa ne penserà il vostro Francois?-
Madame sussultò lievemente. Se fosse arrabbiata o gelosa però, non lo diede a vedere. Nessuno l’avrebbe aiutata…e non ve ne era bisogno. Si trovava in mezzo a persone che detestava o di cui non aveva fiducia: quelle reazioni erano perfettamente giustificabili in quel contesto.
Michelle sorrise e, dopo averle scoccato un’occhiata malevola, sparì dalla stanza.
- Perdonatela, Madame De Jarjayes – disse Philippe d’Orleans, guardando distrattamente la dama allontanarsi – ma ha sempre nutrito un affetto particolare per vostro marito. Da quando ve ne siete andata, il Generale e Mademoiselle De Bouillé si sono avvicinati molto…sono inseparabili. –
- Non ho mai visto mia sorella così felice – mormorò l’altro, che ancora rimaneva sulla soglia – spero che comprendiate che, come fratello, appoggerò questa sua gioia.-
Marguerite sostenne lo sguardo pesante del Generale De Bouillé. – Non vi preoccupate- rispose – è cosa davvero molto rara poter rimanere accanto ad una persona per la quale si prova affetto. Non posso che essere felice per lei. –
 
 
 
 
Vorrei davvero fermare il tempo. Vorrei non aver mai ceduto in modo così vergognoso. Vorrei non essermi macchiato di una simile colpa.  Non è come uccidere un nemico. Non ti dà la sensazione di essere comunque nel giusto, malgrado il sangue ricopra i tuoi vestiti. Mi sono aggrappato agli ideali per non crollare, per non perdere il senno…ma cosa cambia? Ho commesso un delitto imperdonabile e continuo una vita fortunata solo in apparenza.
Non basta il peso della vergogna…no. Non basta mentire a tutti…questo non è mai stato un problema per me. Sono sempre rimasto ai margini della vita delle mie figlie, timoroso di metterle nei guai. La mia prima moglie non ha mai saputo niente. Troppo felice di sposarsi con una persona giovane e con un futuro promettente, ha sempre preferito accontentarsi del lusso che le concedevo.
Non ha mai fatto lo sforzo di conoscermi…e forse è stato meglio così. Marguerite però è diversa e non sopporterei che scoprisse il mio segreto. Non temo la vergogna che cadrebbe sulla mia famiglia agli occhi della corte…sono paure passate ormai. No, ciò che temo è che lei non possa più guardarmi come prima. Questo non potrei sopportarlo.
Marie sbocconcellava il croissant che Rosalie le aveva portato, tentando di frenare l’imbarazzo che provava nel leggere quelle pagine. Madame non aveva mai parlato molto di suo marito e lei si era immaginata che fosse una persona fredda e distante. Quelle pagine però mostravano una realtà ben diversa. –Pare quasi che si vergogni di qualcosa- mormorò, un po’soprappensiero.
-Chi si vergogna?- fece una voce alle sue spalle.
Marie, colta alla sprovvista, fece un balzo in avanti. 
Le era arrivato di spalle, senza che se ne accorgesse, facendola morire di paura. –Monsieur De Soisson!-esclamò, sgranando gli occhi.  Non aveva fatto caso alla sua presenza e ora ritrovarselo così, ad una distanza tanto ravvicinata, la metteva in agitazione. Perché, sì, Alain era un vero colosso…e lei era un soldino di cacio in confronto. Un pensiero fulmineo poi, si accompagnò a questa osservazione: era in camicia da notte e non portava la cuffietta! Buon Dio! pensò, in preda al panicoSono in condizioni disdicevoli e pessime! Che cosa penserà di me!
Questi erano a grandi linee i suoi pensieri, mentre fissava imbambolata il grosso soldato.
 
 
 
Michelle de Bouillé era davvero una splendida creatura. Sulla quarantina, o giù di lì, non dimostrava affatto i suoi anni. Indossava uno splendido abito scuro che fasciava magnificamente il proprio corpo, come se fosse una seconda pelle. I capelli cremisi, poi, sembravano una sorta di scia di fuoco.
Marguerite se ne stava comodamente seduta sulla propria sedia, impeccabile in ogni suo gesto, Non possedeva la bellezza abbagliante della donna di fronte a lei, né quel carisma un po’capriccioso per la quale era conosciuta ovunque. Eppure, in quel momento, avrebbe desiderato schiaffeggiarla.
- Ebbene, Vostra Altezza – fece, sbattendo le ciglia in un modo quasi irritante –come intendete festeggiare il vostro compleanno? Quale sarà il tema della festa? Vi confesso che sono davvero curiosa!-
Madame intinse piano piano il cucchiaio nella zuppa. Era ancora molto calda e dubitava di poterla sorseggiare senza scottarsi. Il cameriere che aveva portato la pietanza, direttamente con una pentola ancora rovente, aveva mostrato una grandissima cura nel versare il liquido nei piatti…ed ora capiva il perché.
- Vi faccio le mie più sentite congratulazioni!- disse formale La Fayette- Spero che questo compleanno vi porti altrettanta fortuna.-
Philippe d’Orleans gli rivolse un sorriso rapace, prima di bere il vino del suo calice. – Vi ringrazio comandante…e che il vostro incarico vi porti nuovi vantaggi e onori…come voi meritate.- augurò a sua volta.
-Immagino che dovremo preparare molte questioni…a cominciare dalle cose da ordinare.- mormorò pensierosa la dama dai capelli rossi. La dama se ne rimase perfettamente inerte, tentando di frenare la stizza e di non vedere l’uomo che sedeva al fianco della minore dei De Bouillé.
Non avrebbe mai voluto incontrarlo in quelle condizioni.
Eppure, non poteva essere diversamente. Non indossava la solita divisa militare, come succedeva un tempo, ed aveva un aspetto complessivamente piatto e apatico. Quel particolare la mise in allerta. L’aspetto di Francois era impeccabile, privo di ogni sbavatura…eppure, c’era qualcosa di assolutamente fuori posto. Gli occhi di suo marito non trasmettevano alcuna gioia.
A quella vista, un moto di rabbia la colse, senza tuttavia uscire dal proprio corpo. Suo marito era infelice, malgrado la donna accanto a lui non facesse altro che rimarcare, con il corpo, il suo possesso.  Una splendida dama, dal corpo florido e carico di promesse, era al suo fianco, civettando con i gesti e con occhiate languide, alla ricerca di un po’di attenzione…ma ciò che l’altro riusciva a fare erano solo sguardi inespressivi.
Non era felice il Generale. Marguerite lo vedeva bene, eppure non riusciva davvero a capirne la ragione. Aveva tutto ormai…in cosa doveva essere scontento? Volendo, avrebbe potuto avere dei figli anche da Mademoiselle de Bouillé. Il medico le aveva raccontato una volta, quando, in un momento di disperazione, aveva finito con il confessargli la paura di non poter dare un figlio a suo marito, che era possibile per una donna generare una vita, a patto che il proprio corpo continuasse ad avere le mensili perdite di sangue. Aveva sentito dire dalle cameriere che quella dama aveva avuto questa reazione corporea, pochi giorni prima del suo arrivo. Se il dottor Lasonne aveva ragione, Michelle poteva avere ancora dei figli.
Il fatto che non avesse ancora avuto una prole, pertanto, non dipendeva da lei ma dalla relativa brevità dei matrimoni contratti in passato. Non poteva essere diversamente. Sebbene avesse condotto una vita molto appartata, aveva sempre saputo dei pettegolezzi relativi a quella donna, rimasta vedova ad ogni suo matrimonio.
-Madame- fece Mademoiselle De Bouillé, scuotendola improvvisamente dai propri pensieri – vi piacerebbe aiutarmi?-
Marguerite annuì, semplicemente. Era nella tana del lupo, ormai e, benché non gradisse affatto la compagnia della donna dai capelli rossi, non avrebbe mai potuto ribattere nulla. Aveva scoperto una parte degli scheletri che Francois le aveva nascosto ed ora sarebbe andata fino in fondo. Come una canna, piegandosi al vento, senza cedere di un passo.
 
Sono ormai varie notti che seguo con la mente il medesimo incubo. Mi ritrovo sempre in quella maledetta bettola prussiana. Non posso fare a meno di ricordarlo. Ero appena uscito da quell’inatteso colloquio con il Maresciallo, con l’animo ancora scosso per le sue parole.
Nessuno aveva mai fatto tanto per me…e non sapevo come ringraziarlo.
Francois mi venne allora incontro, pronto a narrarmi del fidanzamento di sua sorella con mio fratello. Mi veniva quasi da ridere. Michelle era ancora una bimbetta ai miei occhi…eppure, già si parlava di matrimonio.
Confesso che la notizia mi spiazzò non poco. Bevemmo allegramente quella sera, perdendoci in chiacchiere di poco conto…o almeno così sembrava a me. Non saprei davvero riconrdarlo. La birra scadente della bettola aveva un pessimo sapore. Confesso che ho sempre preferito il vino a quel liquido giallo ma non mi lamentai quella sera. Il trattato di Aquisgrana era ormai prossimo ad essere siglato e volevo festeggiare.
Non ricordo bene cosa accadde quella sera. Tutto si faceva sempre più rarefatto e confuso, ad ogni giro di bevuta. L’unica sensazione  che occupava completamente il mio cervello, però, era una strana gioia feroce, quasi bestiale. La fine della guerra era ormai certa. Io sarei tornato in patria colmo di onori e mio padre, per una volta, avrebbe smesso di tenere mio fratello su un piedistallo.  Ero schifosamente felice…poi è crollato tutto. In un mare di sangue ed orrore.
Marie interruppe la lettura.
-E’successo qualcosa?- domandò Alain. Non se ne era andato, limitandosi a rimanere sulla sedia. Non aveva commentato la reazione di vergogna e panico che pochi minuti prima l’aveva colta. Il gigante aveva liquidato la sua reazione sostenendo che era più vestita di quanto pensava, imbarazzandosi a sua volta. In quella vergogna reciproca,  avevano tacitamente deciso di passare sopra a quell’episodio.
Una trovata assai intelligente, vista la timidezza cronica della novizia. –Stavo leggendo i libri che ho scoperto nella mia tasca…e…ecco…-balbettò, impappinandosi alla fine.
Alain le riservò un occhiata perplessa ma, vedendo l’imbarazzo della donna, le sorrise sornione. La ragazza restituì lo sguardo.
Si fissarono varie volte.
- Parla di cose sconce?- domandò alla fine.
Marie arrossì con violenza, prima di tirargli uno dei libretti in testa.
 
Per la precisione, quello ricevuto nell’ufficio dell’avvocato.
- Per piacere – fece, aggrottando la fronte indispettita – non faccia il cafone! E’già abbastanza imbarazzante trovarmi in questa stanza con questi vestiti…e io mi vergogno già per questo! Senza contare che non ho più la mia cuffietta! Non la trovo più!-
Seguì qualche istante di silenzio, durante il quale mille pensieri si facevano largo nella mente della donna. Frasi senza alcun significato né logica. Erano passati molti giorni da quando aveva perso la sua cuffietta. Un evento che la agitava non poco. Da quando era entrata nel convento in Normandia, aveva sempre indossato quel pezzo di stoffa.  Non tanto per igiene o per gusto. Il fatto era che, così combinata, la gente avrebbe prestato meno attenzione al suo aspetto. Era colpa del suo visino, in fondo, se poi aveva rischiato di finire in un bordello.
-Se è per quel pezzetto di stoffa- fece il gigante, prendendo una sciarpa appoggiata alla sedia – forse è meglio provvedere, no?-. Prima che la novizia potesse chiedere spiegazioni, il soldato le mise quel tessuto caldo sulla testa. Marie spalancò le iridi, fissando stupita l’uomo di fronte a lei.
-Perché?- domandò, lasciando che gli sistemasse il sostituto della sua amata cuffia.
Alain le rivolse un sorriso brigante, da mascalzone che la lasciò perplessa. –Perché, così combinata, come una monachella, non ti guarderà nessuno- disse abbassando poi la voce – e in questo modo non avrò preoccupazioni…-
Marie, però non sentì la seconda parte della frase. Aveva parlato troppo piano per poter essere sentito dalla giovane che, scossa dalle parole di quel colosso, si perse per l’ennesima volta nel passato.
 
Non sapeva nemmeno da quanto tempo stava scappando, né se avesse distanziato i suoi rapitori. Nella sua mente, continuavano a viaggiare, come trottole impazzite il viso truccato di quella maitresse, lo sguardo felino di quello zingaro e il sorriso malevolo della zia.
“Alla fine, sei stata utile in qualcosa” aveva detto, fissandola con odio. Marie si turò le orecchie con le mani, come se fosse possibile, in quella maniera, non sentire la voce della donna che l’aveva cresciuta. Una mossa inutile: la zia era ancora lì, impressa nella sua memoria, insieme alle percosse che aveva ricevuto fino a quel momento. Non sarebbe dovuta tornare in quella casa, ma non aveva potuto fare diversamente. Una parte di lei, aveva creduto che, in fondo al cuore, quella megera tenesse a lei…se non altro, per il ricordo del primo marito.
A quel pensiero, le scappò un singhiozzo dalla gola, che prontamente soffocò con la mano. Non sapeva se era riuscita a seminarli ed il buio di quella notte senza stelle non le consentiva di orientarsi del tutto. Fu così che, senza rendersene conto, giunse di fronte alle mura del monastero.
Senza rifletterci troppo, iniziò a battere con violenza l’anello del portone. –APRITE! IN NOME DI DIO APRITE QUESTA PORTA! VI SUPPLICO!-
Dopo alcuni minuti, che alla ragazzina parvero secoli, l’ingresso si aprì e la giovane trovò dinanzi a sé la sagoma scura di una monaca. Marie la guardò. Era poco più grande di lei e possedeva i medesimi tratti arcigni e severi delle sue consorelle.
-E così siete tornata- fece, guardando con disgusto i suoi abiti sporchi e strappati.
Il buio era piuttosto fitto. Solo la lucerna dell’ingresso permetteva di distinguere qualcosa. –Ve ne tornate qui, come una cagna, in cerca di soccorso. Vostra zia aveva ragione. Siete una svergognata…ma non temete. Benché non siate evidentemente in grado di ricambiare la gratitudine di chi vi fa del bene, le porte del Signore sono aperte anche a quelle come te. Vedete però di non mettere in imbarazzo il convento con la vostra condotta.- sibilò, prima di aggiungere malignamente –Del resto, è risaputo che non è bene istigare gli uomini al peccato…e se ora vi trovate in tale condizione, è esclusivamente colpa vostra.-
Marie ricordava bene le parole della monaca. Da quella notte, in cui aveva fatto ritorno al convento, aveva fatto il possibile per rendere il proprio aspetto poco gradevole. Per molto tempo, aveva dato la colpa delle disgrazie alla propria condizione di orfana. Era colpa sua se la famiglia dello zio aveva una bocca in più da sfamare.
Era colpa sua se sua moglie, rimasta vedova, era stata costretta ad occuparsi anche di lei.
Era colpa sua se non aveva obbedito, causando involontariamente l’arresto del secondo marito della zia. Non era il primo a rubare nelle case ma era a causa della sua disattenzione se questi era stato catturato ed impiccato ad uno degli alberi del borgo.
Era colpa del suo aspetto se la zia aveva deciso di liberarsi di lei, vendendola agli zingari.
Era sempre colpa sua.
A quel pensiero, i suoi occhi di ghiaccio si fecero vitrei. Istintivamente, afferrò la sciarpa che Alain le aveva messo sulla testa.
Era stufa di essere incolpata di tutti i guai del prossimo. Un tempo, avrebbe incassato tutte le accuse e le recriminazioni senza battere ciglio…ora però, non era più disposta a farlo. Non aveva da rendere conto a nessuno ormai…quindi un simile sacrificio era perfettamente inutile. –Se la tenga- disse, fissandolo agguerrita –insieme alle sue chiacchiere! Io non sono una monaca…e nemmeno una svergognata! Io sono Marie Chevalier e se la cosa non le sta bene, non è affar mio!-
Detto questo, si alzò furibonda dal letto, portandosi dietro il libretto che stava leggendo.
-Ehi! Ehi!- fece Alain, alzandosi a sua volta e raggiungendola in pochi passi. – Ma si può sapere che ti è preso?- domandò, prendendola per le spalle e costringendola a voltarsi verso di lui.
Marie lo fissò, sorpresa da quel gesto ma non meno arrabbiata di pochi minuti prima. –Che cosa mi è preso?- ripeté, prima di irritarsi di nuovo – Mi è preso che sono stufa di essere considerata inutile…che devo essere protetta come se fossi troppo fragile…o per chissà quale altra ragione! So benissimo di essere inutile e sono stufa di essere quella che viene sembra buttata via come una scarpa vecchia! Se il mio aspetto crea problemi, non deve essere affare di nessuno!Io…Io sono stanca di nascondermi, come se fosse sempre colpa mia!-
Le parole le uscivano a raffica, come un fiume in piena, tanto che, alla fine, non sapeva nemmeno più cosa stava dicendo. Tutte le umiliazioni subite venivano rigettate dalla propria gola, insieme al veleno che aveva ingurgitato per anni. La battuta di Alain, che non sapeva nulla della decisione della dama (come i padroni di casa, del resto), era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Per anni, dopo quell’episodio che l’aveva segnata, aveva creduto, troppo scossa per reagire, di essere responsabile di quanto le era capitato. Una parte di lei sapeva perfettamente di essere in torto…ma a cosa serviva, quando non c’era nessuno disposto a crederti? Quando, comunque la volessi girare, la condanna non si spostava dal tuo corpo? E Marie, terrorizzata per quanto le era accaduto, si era rinchiusa sempre di più, cercando di evitare il Mondo, là dove aveva ricevuto una simile esperienza. Non importava il fatto che non avesse subito, almeno alla fine, niente di fisico. La paura per ciò che poteva accadere non la lasciava mai, rendendole spesso la reclusione in una stanza, qualcosa di decisamente accettabile.
Ora però, dopo tutte le disavventure passate, non riusciva più a vedere quella vita appartata come la soluzione ai suoi problemi. Forse era stata la conoscenza di Madame a farle cambiare idea. Forse il fatto di aver visto anche delle cose interessanti fuori dal convento, scoperta che le aveva mostrato che quell’esistenza costellata di preghiere e dispetti da parte delle monache non fosse veramente il male minore come credeva.
E aveva rigettato tutto il malumore accumulato su quel tizio, che aveva avuto la bella pensata di fare quella battuta. E ora, guardava, stanca ma non per questo meno furibonda, quel colosso che, fino a pochi minuti prima le faceva compagnia.
- Mamma mia!- esclamò alla fine questi – io non volevo dire questo!-
Marie si fermò.
-Ah no?- domandò, inarcando un sopracciglio.
E Alain comprese di aver, come spesso gli succedeva, detto forse qualcosa di troppo. –Ecco, io…- iniziò a dire, sotto quelle iridi di ghiaccio cariche di furia. Deglutì nervosamente, sentendosi all’improvviso inerme. L’attacco di pochi minuti prima lo aveva intimorito non poco e ora aveva la sensazione di camminare sulle uova, con il costante rischio di fare una frittata ad ogni passo.
Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta.
-Avanti!- tuonò il gigante, con tono sollevato, che ferì la piccola donna.
-E’successo qualcosa?- domandò Rosalie, facendo capolino.
-Assolutamente niente!- rispose l’altro, in modo quasi sbrigativo.
Madame Chatelet aggrottò la fronte, studiando alternativamente sia il soldato, sia la novizia, poi scosse la testa. –Ho sentito un certo frastuono…- provò a dire.
-Nulla di particolare!- la interruppe il gigante, facendo segno di voler uscire…ma la donna pareva essere di un’altra opinione.
-Ascoltami bene Alain!- esclamò decisa la padrona di casa, trucidandolo con lo sguardo – Non dovrei dirtelo io…e non so nemmeno cosa tu abbia combinato…ma non tollero un simile baccano nella mia dimora! Sai benissimo che ho bisogno di tranquillità...lo ha detto pure il dottor Lasonne!-
Il soldato chinò la testa. –Va bene! Va bene!- sbottò seccato, prima di sparire- Vado a dare una mano a Bernard!-
Marie lo fissò mentre se ne andava.
- Non so cosa ha scatenato la vostra rabbia, signorina Chevalier- fece Rosalie, guardandolo allontanarsi – però dovete sapere che, sebbene sia un imbranato cronico con le donne, Alain è una brava persona. Il problema è che non sa davvero come comportarsi con le ragazze, a meno che non siano quelle di una locanda!-
 
 
Erin fissava muta la camera che prima divideva con Marie. Era tutto stranamente vuoto, come la stanza di Madame. L’aveva intravista salire sulla carrozza, in compagnia del proprietario del palazzo. Istintivamente, accarezzò la tasca della propria giacca, incerta sul da farsi.
-Madame- fece, entrando dal passaggio segreto –è successo qualcosa? Non vedo Marie.-
La dama fissava assorta la  finestra, tenendo stretti a sé alcuni fogli strappati. –Madame?- domandò di nuovo, notando che non le aveva rivolto la parola.
-Oh- disse questa, scuotendosi dal suo torpore –scusatemi…non vi ho sentito entrare…-
Erin scosse la testa. – Vi vedo molto abbattuta e, dato che non ho trovato la mia amica, immagino che abbiate litigato con lei…-disse, con aria stanca- Cercate di capirla, non ha mai avuto nessuno al mondo…non lo fa apposta…-
- Non avete dormito?- chiese Marguerite.
L’altra annuì. – Non molto- fece, massaggiandosi la testa – troppi pensieri.-
La più anziana la guardò, notando che era più pallida del solito. – Dovreste riposarvi un po’- provò a dire ma Erin negò.
-Sarebbe ugualmente difficile. I ricordi, con il sonno, tornano alla carica…e non sempre sono lieti. Uno in particolare mi affligge da qualche tempo. Sapete, riguarda l’ultimo giorno passato al bordello in cui vivevo.- fece, guardandola in modo strano.
-Che intendete dire?- domandò la dama.
Erin tirò fuori una faccia strana. Si sbottonò piano la camicia e mostrò alla donna le cicatrici che le deturpavano il corpo. Marguerite sgranò gli occhi, rimanendo impietrita. –Questo succede quando non hai una dote abbastanza ricca da proteggerti- disse, ridendo amara – in realtà, non è per suscitare la vostra compassione che vi ho fatto vedere questa cosa..-
Madame si accomodò sul letto. –Spiegatevi allora. Non vi comprendo.- disse.
Erin fissò gli oggetti nella stanza, poi le stoffe dei vestiti disposti nelle valige. –Voi ora ve ne andrete…e questa volta non porterete con voi né me, né tantomeno la piccola Marie. Vorrei biasimarvi per questo…ma non mi va. Il mio istinto mi dice che siete in una brutta situazione e, purtroppo per voi, non mi sbaglio quasi mai.- fece.
La luce di quella giornata era vagamente tiepida, per quanto lo permettesse l’inverno. La donna si accarezzò pigramente i capelli mentre guardava, senza vedere veramente, i vari mobili di quell’alloggio. –Mi trovavo in una delle camere dove intrattenevamo i clienti. Quello che avevo avuto mi aveva picchiato più del solito…la padrona del locale mi assegnava sempre i più sadici… per questioni varie. Ero quindi piuttosto intorpidita dalle botte prese ma non a sufficienza da non sentire le urla che provenivano dalla camera adiacente alla mia. Di solito, non ci facevo nemmeno tanto caso. Quel genere di rumori erano quasi la norma. Non era raro che le ragazze urlassero, soprattutto quando avevano a che fare con qualcuno di particolarmente manesco. Quel giorno, però la cosa mi preoccupò. Le grida di aiuto dall’altra parte erano troppo intense. Così, facendomi forza, sono uscita dalla finestra, dal momento che la padrona del bordello era solita chiuderci a chiave dentro, fino alla conclusione del nostro turno.- fece mesta.
Marguerite non fiatò.
- Uscii così dalla finestra- proseguì la donna –malgrado le percosse prese, il mio corpo era abbastanza temprato da trattamenti simili. Camminai così lungo il cornicione, facendo attenzione a non precipitare al suolo, e raggiunsi l’apertura della camera accanto alla mia.-
- E cosa è successo?- domandò la dama, non riuscendo a trattenersi.
Il viso di Erin si fece di terra. –In quella camera, lavorava una mia amica. Si chiamava Rosalinda…ve ne avevo parlato, no?- continuò –Non so perché vi racconto nuovamente questa triste vicenda…forse un’assurdità che mi è venuta in mente. Vedete, la mia amica Rosalinda vi assomigliava fisicamente…magari con diversi anni in meno…ed il nobile che si stava accanendo contro il suo corpo non lo faceva per sfogare i suoi istinti carnali. Sembrava quasi che l’avesse pagata per ucciderla. La stava massacrando come mai mi è accaduto prima. Oltre a questo, ho notato che aveva, ricamato sul farsetto, il segno araldico di un orso. Il fatto è che mi è sembrato di vedere un uomo simile a quel cliente, con quel disegno, al ballo di La Fayette…insieme ad un’irritante donna dai capelli rossi. Fate attenzione, se lo incontrate di nuovo.-
Marguerite si morse il labbro, trattenendo i nefasti pensieri che affollavano la sua testa. Il racconto di Erin, tinto di quei nuovi particolari, la inquietava non poco. Aveva ben compreso l’identità dell’uomo di cui la donna parlava…e si trovava nella medesima stanza, insieme al padrone del castello, a suo marito e a quella femmina fastidiosa. Non poteva avere alcun dubbio. Pochi nobili corrispondevano alla descrizione datale dalla signorina O’Neal e solo uno portava sempre il segno del proprio casato ricamato sui vestiti.
-…E dunque ritengo opportuno sistemare bene le disposizioni delle pietanze, in modo da non attrarre troppo l’attenzione dell’opinione pubblica.- continuò Philippe d’Orleans.
-Avete perfettamente ragione, Vostra Altezza!- miagolò la dama dai capelli rossi, prima di rivolgere uno sguardo adorante al Generale –Non trovate anche voi, caro Francois?-
L’interessato non disse niente, tranne lanciare uno sguardo rapidissimo a Marguerite la quale, per parte sua, finse di non vedere niente. Ignorò la sua occhiata penetrante, insieme al battito furioso del proprio cuore. I suoi  occhi non riuscivano a staccarsi dalla sua ingombrante figura, mentre nuovi pensieri affollavano la sua mente.
Lui era lì, accanto al cugino del Re, conversando con lui come se fosse un amico di vecchia data.
Gli occhi seguivano attenti le mosse del principe, in modo da poter adottare la risposta più opportuna. Una sincronia simulata e perfetta, come se fosse sempre stato lì al suo fianco, simile ad una perfetta ombra.
L’animo di Marguerite tremò, mentre la memoria passava in rassegna gli incontri passati, contando le occhiate penetranti e quasi ossessive che quella persona le riservava, accompagnate dal racconto di Erin.
Per una volta sperò di non aver ragione…ma non poteva sbagliarsi. C’era una sola persona nella nobiltà che corrispondeva alla descrizione della persona indicatale dalla signorina O’Neal: Francois Claude de Bouillé.


Ok, so di essere un po’sadica a lasciarvi per una settimana in preda alla curiosità. Fa un po’strano scrivere una fic sui personaggi secondari ma ho il vizio di correre dietro ai particolari e alle strade meno battute. Dunque, possiamo dire che il capitolo inizia con Madame ospite del Principe d’Orleans e si conclude con lei, in una struttura circolare. Il capitolo riprende alcuni dei capitoli iniziali della fic. Erin si rivela di grande aiuto per la dama, fornendole nuove notizie. Quanto all’età, spero di aver soddisfatto le vostre domande. Probabilmente, ho forzato diverse date ma, francamente, non vi ho prestato molto caso. Vorrei comunque ringraziarvi per avermi letto.
A presto!
   
 
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