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Autore: Aya_Brea    18/03/2012    6 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Toccando la sua carne questa notte

Il mio sangue gelò per sempre

Abbracciati prima dell'alba

Un bacio portò l'eclissi totale"


(Opeth - In the mist she was standing)




Shiho spinse la porta e dopo che Shinichi fu entrato nella sala, ella se la richiuse alle spalle.
Erano entrambi trafelati, tanto che furono costretti ad adagiare la schiena al muro del corridoio. Una luce tenue squarciava le tenebre, entrando dalla finestra del salone e dispiegandosi sui vari ostacoli che incontrava; un gioco di lumi che finivano ad infrangersi contro i visi sudati dei due ragazzi. I loro occhi rilucevano d’un tenue bagliore, dopodiché si incontrarono.
“Ce l’abbiamo fatta, Ai.” Borbottò Shinichi, il quale arcuò i palmi delle mani contro la fredda superficie del muro. Shiho annuì lievemente.
“Io non canterei vittoria così presto, Shinichi. Non so se è una buona idea rimanere a casa tua.”
“Sarebbero capaci di trovarci, ovunque. Anche in capo al mondo.”
La ragazzetta si sfregò i polsi l’uno contro l’altro, tenendoli nascosti dietro alla schiena. I suoi occhietti angosciati vagavano senza tregua nel salone del Detective, posandosi ripetutamente sull’infinità dei libri da lui posseduti, disposti ordinatamente a livelli quasi maniacali.
“Ai, perché questa notte eri nella stanza di Gin?” Il silenzio notturno fu bruscamente interrotto da quella domanda fatta a bruciapelo. Shiho trasalì.
“E tu come diavolo fai a saperlo?”
“Sono un Detective, l’hai forse dimenticato?” Disse lui, ironico.
“Allora l’ombra che avevo visto di sfuggita non era soltanto frutto della mia immaginazione. Eri tu.”
“Esattamente. Ottima deduzione.”
Passarono alcuni secondi in cui lei non seppe come controbattere, dunque continuò nuovamente ad indugiare su quelle fila di libri impolverati e ricolmi di nozioni, di storie, di avventure, intrighi e delitti. “Ora capisco da dove proviene la tua perspicacia.”
“Non cambiare discorso, rispondimi.”
Shiho strinse i denti e stavolta il suo sguardo si perse fra le trame infinite della moquette: era stato un pessimo tentativo per distrarlo. E non aveva funzionato.
“Mi avevano semplicemente incaricata di comunicargli alcune informazioni.” Cercò di modulare il suo tono, in modo che sembrasse il più naturale ed imparziale possibile, così che da esso non trapelasse alcuna emozione, alcuna sfumatura di quella storia terribile. A giudicare dall’espressione enigmatica di Shinichi, la sua risposta sembrò convincerlo, o perlomeno esaurì la sua atavica curiosità.
Eppure lui non riusciva a togliersi dalla mente le immagini di quei due, insieme. Di quella notte in cui si erano visti, e del viso pallido di Shiho divenire improvvisamente di un vivo rosso cremisi. E se avesse cominciato a provare qualcosa di più profondo per quell’assassino? Come diavolo era possibile che una ragazza del suo calibro, profondamente razionale, cinica e meticolosa, potesse nutrire e riservare nel suo cuore, sentimenti così sbagliati, ambigui e proibiti? Magari soffriva della cosiddetta ‘Sindrome di Stoccolma.’
“Credo che andrò da Ran.” Concluse dunque, Shinichi. Era notte inoltrata ormai, ma aveva voglia di vederla, di farle sapere che finalmente il suo amico d’infanzia era tornato.
“Io mi metto a dormire, sono stanca morta.” Bofonchiò lei, apparentemente priva di qualsiasi interesse, fredda e glaciale come d’altronde lo era sempre stata.
“Buonanotte, Ai.”
 
 
 
 
Shinichi era nel cortile dove affacciava la finestra di Ran, gli bastò alzare gli occhi bluastri per poter intravedere al di là dei vetri una luce che si accendeva ad intermittenza, balenare di colori variegati, prodotti probabilmente dallo schermo del televisore; immaginava che Kogoro  si era addormentato sul divano e russava, fra le maledizioni della figlia che non riusciva a prendere sonno. Inevitabilmente sul suo viso si dipinse un morbido sorriso, un calore dolce lo avvolse, gli ritemprò qualsiasi nervo, la tensione accumulata in quel periodo svanì misteriosamente. Decise di suonare al citofono, poi prese a salire i gradini: non gli erano mai sembrati così tanti. Finalmente giunse di fronte alla porta. Non seppe spiegarsi il motivo, eppure Shinichi fu sereno, tranquillo. Lui non aveva mai smesso di vederla, dopotutto. Era sempre stato al suo fianco, anche se Ran non poteva saperlo.
La ragazza aprì e di fronte al Detective comparve la figura di lei. Indossava un largo pigiama rosa, i capelli scuri erano arruffati, ma gli occhi sbarrati erano ricolmi di stupore. Ran sentì le gambe tremare, la terra pareva sgretolarsi sotto ai suoi piedi.
“Shinichi.” Ebbe il coraggio di sussurrare, con un fil di voce che fuoriuscì spontaneo da quelle labbra sottili, che nel pronunciare quel nome ebbero un tremito, un moto di sgomento.
 Non poteva crederci.
“Non è un sogno, vero?” Aggiunse, come se volesse continuare un suo pensiero ad alta voce.
Shinichi le rivolse un largo sorriso, poi infilò le mani in tasca, spavaldo e sicuro di sé. “Ti avevo detto che sarei tornato, no? Io mantengo sempre le promesse, Ran.”
Lei non riuscì a trattenere l’immensa gioia che le riempiva il cuore, così si slanciò verso il liceale e lo abbracciò, stringendolo forte. Quanto gli era mancato il calore di quell’amico così speciale.
Rimasero stretti a lungo, Shinichi poté sentirla singhiozzare e tremare per via dei singulti: le guance di Ran erano bollenti, alcune lacrime le rigavano furtivamente. La ragazza sprofondò la fronte sul suo petto. “Mi sei mancato così tanto, Shinichi. Avevo paura che non tornassi più.” La sua voce mal celava il rancore ed il risentimento che nutriva nei suoi confronti: in quel tono si condensarono felicità e rabbia, gioia ed amarezza.
“Ran, non preoccuparti ora, non piangere.” Le prese il viso fra le mani e le asciugò le lacrime. “Devo dirti un’altra cosa, credo sia importante.”
La ragazza aveva un’espressione trasognata e malinconica, pendeva letteralmente dalle labbra di lui. “Ti ascolto.”
“Si tratta di Conan. Oggi pomeriggio il piccolo Edogawa è partito; i suoi genitori hanno preso questa decisione in fretta e lui è stato costretto a partire.”
A quel punto però, il viso di Ran si rabbuiò. “Perché se n’è andato senza salutarmi?”
“Forse non voleva dirti addio. Non è sempre facile abbandonare qualcuno a cui si tiene e a volte si preferisce ricordare soltanto i momenti belli.” Le lacrime della ragazza ripresero a scendere copiosamente.
Non sapeva che Conan sarebbe comunque rimasto con lei.
“Ran.” Shinichi la scosse vigorosamente. “Mi ha detto di dirti che non ti dimenticherà mai. E che era sicuro che una karateka come te non avrebbe mai pianto come un coccodrillo.”
“Ha detto davvero così?” Ran si accarezzò la guancia col dorso della mano, asciugandosi quell’acqua salata che le annebbiava la vista. “E’ proprio un idiota.” Disse con un sorriso. Shinichi non poté far altro che ricambiare.
“Conan se n’è andato ma sappi che io sono tornato. E sono tornato per restare.”
 
 
 
 
Shiho trafugò dall’armadio di Shinichi una t-shirt bianca ed un paio di pantaloncini bluastri, poi, una volta indossati questi indumenti, decisamente troppo larghi per lei, si diede una rapida occhiata allo specchio: la maglietta sottile e leggera le si adagiava sulle spalle, anche se le cuciture le si fermavano più giù, la manica ampia giungeva presso l’incavo del gomito. Il materiale scivolava giù senza piccole pieghette, ma quella maglia era talmente lunga da interrompersi a metà della coscia. Osservò il suo visino sorridere appena, dopodiché si distese sul letto.
Era stremata e stanca. La sua schiena si adagiava finalmente su di un materasso morbido e soffice. Congiunse le mani all’altezza dell’addome e cominciò a fissare il soffitto, nella penombra.
Avrebbe avuto parecchie difficoltà nell’addormentarsi, i suoi pensieri confluivano intorno ad un unico fulcro, impedendole dunque di prendere sonno. Così, dopo cinque minuti di estenuante ‘sofferenza’, si alzò controvoglia e strappò un foglio a righe dal quaderno di Shinichi, che troneggiava sulla sua scrivania, sopra ad una pila di libri. Dopo aver afferrato una biro nera, si sdraiò nuovamente sul letto, stavolta a pancia in sotto.
Quel foglio bianco andava riempito dal fiume di parole che non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare. E così, Shiho prese a scrivere.
La mano della ragazza procedeva autonomamente ed in breve non dovette neanche  più soffermarsi a pensare: il flusso della sua coscienza si riversava su quel pezzo di carta e piccoli segni neri cominciavano a prender vita grazie alla sua elegante calligrafia.
Appena appose il punto finale, la presa divenne meno salda e si affievolì progressivamente. La penna le scivolò dalle dita e rotolò a terra.
Si addormentò.
 
 
 
 

Il mattino seguente Shinichi tornò a casa. Erano le sei.
Quella notte aveva dovuto sorbirsi anche Kogoro, che svegliatosi per via dei discorsi dei due, aveva preso a tempestarlo di domande. Poi, la nottata l’avevano passata fra i mille racconti di Shinichi, profondamente avvincenti e coinvolgenti. Era stanco morto, voleva soltanto mettersi a dormire. Entrò nella sua stanza e si sfilò la giacca, poi vide che Shiho dormiva beatamente sopra alle lenzuola; aveva il volto sereno. Finalmente.
Dalle finestre spuntarono le prime luci dell’alba e alcuni raggi tiepidi illuminarono la stanza, facendo brillare anche la biro che stava sul pavimento. A quel punto Shinichi si chinò a raccoglierla e notò anche quella lettera sul cuscino.
Non avrebbe dovuto leggerla? Si limitò a posare la penna sulla scrivania, dopodiché andò in cucina a prepararsi un caffè caldo. Mentre lo rimestava nella tazzina col cucchiaino pensava a quel foglio. La sua curiosità era deformazione professionale e fu l’unica cosa che lo spinse a rientrare in camera per poter leggere quelle poche righe. Non avrebbe dovuto.
Le sue iridi rischiarate dal sole presero a scorrere lentamente, da sinistra a destra.

 
 
Cara Akemi,
Non so dove tu sia in questo momento e non so se mi stai guardando, se Veronika è lì insieme a te.
Spero soltanto che entrambe stiate bene.

E’ stato un periodo così difficile per me. Ed ora sono nuovamente sola.
Come sapevo (ma come d’altronde ho sempre saputo), Shinichi è tornato dalla sua Ran. Non vorrei essere egoista, ma mi dispiace: l’immagine di loro due che si riabbracciano mi stringe il cuore in una morsa.
Perché deve capitare tutto a me? Perché non ho il diritto di essere felice anche io? Perché mi hai lasciato sola e te ne sei andata così? E come se non bastasse, come se non fosse abbastanza, mi hanno tolto anche il sorriso di Veronika, la fiducia che sin da subito aveva imparato a nutrire nei miei confronti, nonostante il mio cinismo e la mia aura di mistero.
E’ tutta colpa sua. Lo so.
Ma non posso fare a meno di pensare a come il mio cuore cominci a pulsare ogni volta che lo vedo. E’ la paura, è l’angoscia, è la tensione che mi scuote violentemente, la rabbia e l’odio divenuti talmente forti che non posso più farne a meno.
Mi ricordo di quando mi dicesti che trascorrevo troppo tempo in laboratorio, che dovevo uscire a guardare il mondo reale coi miei occhi, che dovevo lasciar perdere i libri e dovevo iniziare a godermi la vita. Quanto avevi ragione, sorella.
La vita è così fugace che te ne sei andata via con la rapidità di un fiore che appassisce: un bellissimo stelo dai petali che sfioriscono di giorno in giorno. Non voglio fare la stessa fine, Akemi. Non voglio morire.
Io devo vendicarti, devo vivere a pieno la mia vita, e devo farlo anche per te.
Ma ti chiedo soltanto di perdonarmi perché ora non ne ho la forza.
Quell’uomo mi ha rubato il mio primo bacio, i miei primi veri sentimenti. Quell’uomo mi ha rubato tutto, mi tiene in pugno.
Ho paura. Cosa devo fare?
Aiutami, ti prego.
Se solo fossi qui, saprei come comportarmi.
Ho bisogno di qualcuno che sia in grado di darmi il suo affetto, ma Shinichi è un idiota incapace di vedere al di là dei propri occhi. E sento che ormai non sarà più in grado di asciugare le mie lacrime. Ormai ho la mente annebbiata ed inebriata da quel maledetto. Devo stargli alla larga. Forse dovrei scappare e andarmene via lontano, cominciare una nuova vita. Ma non è nel mio carattere scappare. Ho sempre affrontato tutto e vincerò anche questa sfida.
Ora devo salutarti, sorella mia. Le palpebre sono sempre più pesanti, ho bisogno di dormirci su.
Spero che sarai in grado di perdonarmi per quello che sto facendo.
Perdonami.
Perdonami se ho trovato il calore fra le braccia di Gin.
E’ tutto così sbagliato.

 

Ti voglio bene,
tua Shiho.’

 
 
‘Idiota, incapace.’ Ecco cos’era Shinichi.
A fine lettura il giovane Detective fu colto da un grande sconforto. Gli dispiaceva per Shiho. E quell’uomo l’aveva attirata nella sua tela, aveva approfittato della sua debolezza per divertirsi con lei. Sicuramente non provava nulla.
“Chi ti ha dato il permesso di leggere?” La voce di Shiho piena di astio lo fece sobbalzare. La vide alzarsi dal letto e avvicinarsi a lui come una furia.
“Ai, io posso spiegarti!” Shinichi tentò immediatamente di giustificarsi, ma nel frattanto la ragazza gli aveva strappato quel foglio dalle mani e lo stava riducendo in mille pezzi.
“Non spiegherai proprio niente a nessuno.” Lasciò che i frammenti dei suoi pensieri più intimi scivolassero sul pavimento freddo. “Non avresti dovuto leggere.”
Shinichi deglutì. Aveva violato la sua privacy, non aveva torto nel prendersela così tanto.
“Io non avrei voluto. Voglio aiutarti, Ai.” Le strinse dolcemente il polso. “Io voglio farlo.” Aggiunse poi, con più sicurezza, incontrando gli occhi contratti e rossi di Shiho, che tentava di divincolarsi dalla sua presa.
“Non puoi fare nulla. Devo sbrigarmela da sola.”
“Io ti voglio bene, perché non vuoi vederlo? Perché non mi credi?”
Shiho abbassò lo sguardo e assieme ad esso piegò anche il capo. “Perché non è vero.”
“Non capisco chi ti abbia messo in testa queste idiozie. Immagino che sia stato Gin, vero?”
“Zitto, non sai nulla di lui.” Ora lo difendeva anche. Era assurdo.
“So soltanto che è un criminale che ha rovinato la vita a molte persone. Stavolta non si tratta di te.”
“Lasciami, Shinichi.” Proferì lei sottovoce. La stretta divenne più lieve, fin quando le dita del ragazzo non si dischiusero del tutto.
“So quel che devo fare ora. Non sbaglierò. Ma ho bisogno di tempo. E comunque non ti perdonerò mai per aver letto quella lettera. Avrei dovuto conservarla lontano da occhi indiscreti.”
“Mi dispiace.” Shinichi si grattò il capo. “Ma l’ho fatto perché ci tengo a te, anche se ti sei convinta esattamente del contrario.” Era sincero, dopotutto.
“Io esco.”
“Dove vai?”
“A fare un giro.” Raccolse i suoi jeans da terra e si avviò verso il bagno.
“E’ pericoloso gironzolare da sola.”
“Al parco di Beika non c’è pericolo. Ci sono tanti bambini e tante mamme a quest’ora. E’ troppo frequentato.” Si richiuse la porta alle spalle e Shinichi trasse un sospiro. La ragazza uscì soltanto qualche minuto dopo. Poi la vide avvicinarsi all’uscita senza neanche degnarlo di uno sguardo.
“Ehi, fa’ attenzione.” Le urlò, lui. Il cancello si chiuse.
 
 
 
 
L’aria era tiepida, un vento leggero agitava mollemente le fronde verdi degli alberi lungo la via.
I bambini correvano felici assieme alle loro madri che di tanto in tanto ne perdevano il controllo, incapaci di porre freni al loro entusiasmo.
Il cinguettio degli uccellini seguiva il loro volteggiare armonico che si stagliava nel cielo terso. Era tutto perfetto.
Shiho aveva sentito la mancanza di quel mondo così bello. Era come una novella Eva che riscopriva la natura che la circondava. Ora guardava con occhi nuovi qualsiasi cosa che le si parasse dinanzi. Giunse al parco di Beika.
Era sabato, molti bambini erano lì a giocare con i loro amici. La ragazza andò a sedersi su una panchina di legno, proprio sotto ad una grande albero. Ad eccezione delle urla felici di quei teneri mocciosi, nei momenti più tranquilli riusciva a percepire il sottile rumore del vento che si inoltrava fra le foglie e fra i rami di quella pianta alle sue spalle.

 
“E’ nel Parco di Beika.” Borbottò l’uomo dagli occhiali scuri, abbassando il finestrino della Porsche. Vodka e Gin erano nella loro auto, il sole scaldava la carrozzeria, tanto che Gin fu costretto ad aprire anche il vetro dalla parte del guidatore.
“Che sta facendo?” Borbottò il biondo, accendendosi una sigaretta. Del denso fumo grigio cominciò ad aleggiare nell’abitacolo, creando scie sospese nell’aria.
“E’ seduta sulla panchina. Dei bambini giocano a qualche metro da lei con una palla da calcio.” Vodka era entusiasta come sempre. Adorava i pedinamenti e l’adrenalina che sapevano produrre in chi era dalla parte del crimine.
“E’ felice?” Sussurrò Gin con un sorrisino a mezza bocca. Diede un colpetto alla sua sigaretta e fece cadere la cenere fuori dall’auto.
“Pare di si.”
“Bene. Lo sarà ancora per poco. Aspettami qui. Me la sbrigo in un minuto.” Borbottò lui con una strana espressione di sadismo sul viso spigoloso. Spense la sigaretta nell’apposito porta-cenere e aprì lo sportello della sua Porsche nera, tirata a lucido come sempre e sfavillante alla luce del sole.
 
 
Shiho non si era accorta di nulla. Accavallò le gambe e continuò a godersi quell’aria stranamente calda per la stagione.
D’un tratto, un bimbo calciò il pallone proprio nella sua direzione: esso compì una traiettoria parabolica e rotolò proprio ai piedi della ragazza, la quale si protese in avanti per poter recuperare il suo passatempo.
Ma d’un tratto si vide allontanare quel pallone da qualcun altro, le sue mani rimasero sospese a mezz’aria. Lo sguardo di Shiho risalì vertiginosamente lungo la figura imperiosa che stava di fronte a lei. Al di sotto delle falde del suo cappello i ciuffi dorati di quell’uomo si agitavano fra le pupille verdi.
Il piccolo corse nella direzione dell’uomo con l’impermeabile nero, e decisamente intimorito ebbe delle riserve a riprendersi il suo pallone, ma alla fine quando riuscì ad avvicinarsi a Gin e a compiere quel coraggioso gesto, se la diede a gambe levate.
“Buongiorno mia cara Sherry. E’ una splendida giornata, non sei d’accordo?”
“Lo era fino ad un attimo fa.”











Salve Gente! Ho cambiato un po' di cosine nei font a questo capitolo! E' giunto prima del previsto, ero molto ispirata e ho deciso di buttare giù queste righe. E' un capitolo anonimo, appunto si chiama "Sentimenti." Perché a differenza degli altri esprime in maniera più netta quelli che sono appunto, i sentimenti provati dai vari personaggi. Spero che vi sia piaciuto e che non sia sembrato eccessivamente stucchevole. Ho in mente tante cosucce carine ed interessanti per il resto della storia, ma preferisco aggiornare ora dato che questa settimana sarà molto dura e stressante (data la simulazione della terza prova che diventa sempre più vicina XD ringrazio tutti voi che mi sostenete continuamente, sono felice che vi piaccia questa storia :)
Ringrazio come sempre tuttti coloro che mi seguono:
Bankotsu90, chicc, Evelyn13, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Nezu, Red Fox, Sherry Myano, tigre, trunks94_cs, Violetta_, _Flami_, Sosia, Caroline Granger
E ancora chi ha inserito questa storia nei preferiti:
A_M_B, chyo, Evelyn13, Imangaka, ismile, I_Am_She, Lady Night, Queenala, trunks94_cs, Yume98, _Flami_
Vi ringrazio infinitamente!!! E' merito vostro se questa storia sta procedendo nel verso giusto :)
Un bacio, e a presto!!! Sarei felice di sapere cosa ne pensate di questo capitoletto :)

Ciaooooooooo!!!


Aya Brea

P.S: la citazione iniziale è degli Opeth, un gruppo che personalmente adoro, mi piace moltissimo, se ne avrete l'occasione (e se siete avvezzi al genere del Metal), ascoltateli, ne vale davvero la pena!

  
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