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Autore: Sette Lupe    18/03/2012    2 recensioni
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E' una bella giornata di sole. L'ideale per raccontarsi qualche bella storia, allora perchè non narrare di come Modo, Vinnie e Throttle si sono conosciuti? E chi sono gli Erranti?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non possiedo i Biker Mice from Mars, sono proprietà di Rick Ungar. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

ERRANTI


CAPITOLO 1: TEMPESTE

I Plutarkiani continuavano a prendere terreno, e la resistenza rischiava di fallire. Anni di guerriglia avevano esaurito le risorse della terra e delle persone: scarseggiavano cibo, acqua e speranza… e uomini disposti a combattere.

Stoker sospirò, si era riunito con tutti i suoi luogotenenti per fare il punto della situazione, ma non ne era venuta fuori una rosea prospettiva.

“Serra dunque cadrà entro pochi giorni se non riusciamo a ottenere aiuto” stava dicendo un vecchio topo grigio scuro con un’impressionante cicatrice che gli sollevava il labbro sinistro in un perenne ringhio: “Non possiamo permetterci di perderla: la maggior parte dei profughi si trova li”

“E l’esercito non vuole muovere un dito!” sibilò un altro topo battendo un pugno sul tavolo.

“Calma, non abbiamo tempo per scoppi d’ira, tra tre settimane al massimo quei luridi pesci saranno alle porte della città, ci arrabbieremo dopo con il governo di Marte, per ora abbiamo cose più urgenti da fare” disse Stoker.

“Il punto è sempre lo stesso” sbottò Defender, il topo grigio: “Non abbiamo abbastanza uomini per fermare l’avanzata plutarchiana frontalmente e il percorso che hanno scelto per raggiungere Serra non ha punti adatti ad un’imboscata”

La mente di Stoker lavorava freneticamente. Cosa fare?

All’improvviso lo sguardo gli cadde sulla mappa: poco sopra al punto dove era segnata la posizione della città di Serra, c’era un’area vuota, contrassegnata con un simbolo….

“Lancer” mormorò attirando lo sguardo incuriosito di tutti i topi riuniti nella piccola stanza.

“Cosa?”

“Ma certo! Che mese è?” si precipitò al piccolo calendario sfogliando le pagine.

“Stoker, cosa centra in che mese siamo?”

“Lauloth! Siamo in Lauloth!”

Ancora nessuno capiva, Stoker fece un grugnito scocciato e si appoggiò al tavolo, era una follia, ma la situazione era disperata e richiedeva soluzioni disperate: “Gli Erranti si muovono in Lauloth, passano a pochi giorni da Serra ogni tre anni, per raggiungere il loro Campo dei Morti dove si riuniscono tutte le tribù. Ci pensate? Migliaia dei migliori guerrieri di Marte! E quest’anno si riuniranno di nuovo!”

Scoppiò un pandemonio. Tutti i topi si misero a gridare assieme.

Nessuno di loro voleva avere a che fare con quelle genti: gli Erranti erano un popolo nomade che abitava le lande desertiche vicino ai poli di Marte. Essi erano divisi in numerose tribù, ma avevano una cultura comune e un’unica lingua. Ciò che li differenziava dai cosiddetti Stanziali – i topi che vivevano più a sud- non era solo la vita nomade: il loro mantello era più folto e leggermente più lungo per isolarli meglio dal freddo, gli occhi avevano una bella forma a mandorla e la coda era lievemente più lunga, tendevano ad essere più longevi e, alcuni di loro sviluppavano curiose sfumature di colore sul mantello, inoltre erano quasi sprovvisti del frenulo linguale, cosa che permetteva loro di allungare la lingua oltre il muso per una considerevole lunghezza, un po’ come fanno i cani sulla Terra. Ma le differenze somatiche non erano l’ostacolo più grande alla loro integrazione nelle comunità Stanziali: erano abituati a muoversi e ad agire con molta più autonomia e indipendenza dei loro cugini stanziali, mal sopportavano le regole e le leggi delle città, ed eseguire alla lettera gli ordini non era proprio il loro forte. Inoltre la loro cultura era imperniata sul combattimento, erano cacciatori infaticabili, guerrieri spietati e assassini efficienti. Fin dalla tenera età erano educati alle varie arti della guerra, rendendoli brutali macchine di morte. Tutti conoscevano la loro fama, anche se pochi avevano approfondito i vari aspetti della loro cultura: era troppo pericoloso.

“E’ una follia!” gridarono molte voci.

“E come pensi di controllarli, Stoke?” chiese un altro.

“Esatto! Come pensi di poter gestire uno squadrone di gente simile?”

“Non daranno ascolto a nessuno!”

“Serra ha già abbastanza problemi senza aggiungere anche un esercito di assassini sanguinari”

La rabbia montò lentamente nel generale fino a scoppiare in un grido furibondo.

“BASTAA!” ruggì: “MA non capite che è l’UNICA possibilità che ci resta?”

“Sono assassini! Selvaggi e spietati!”

“E cosa potremmo offrire di meglio come benvenuto ai Plutarkiani?” insistette Stoker.

“Vorranno essere pagati: nessuno di loro combatterà per difendere una città di Stanziali se non otterrà qualcosa in cambio!”

“Che ne dite della loro terra?! Se quelle luride facce di pesce prenderanno Serra non impiegheranno molto a invadere anche il nord della zona, e da soli non potranno fronteggiarli! Saranno pure selvaggi, ma non stupidi! ” esplose ancora il topo bruno. Sarebbe stata dura, ma non aveva intenzione di arrendersi.

La riunione proseguì ancora per ore, ma alla fine Stoker aveva avuto quello che voleva. Trionfante uscì dalla stanzetta e si diresse verso la base che i Freedom Fighter avevano stabilito nella città. Contattare gli Erranti non era semplice: avevano radio e trasmettitori di vario genere, ma era difficile intercettare le loro frequenze, e, anche riuscendoci, raramente accettavano di comunicare con qualcuno che non fosse della loro gente. Stoker però aveva un asso nella manica: molti anni prima, aveva salvato da un linciaggio un giovane Errante, Lancer, con cui aveva stretto una solida amicizia. Nonostante praticamente tutti lo considerassero un pazzo, lui aveva mantenuto i contatti e ora aveva intenzione di sfruttare il vantaggio a suo favore. Anche perché Lancer non era niente di meno che uno dei “nobili” di rango più alto tra la sua gente.

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Defender rientrò nel suo alloggio poco dopo che Stoker ebbe comunicato che era riuscito a contattare gli Erranti: un campo avanzato era a mezza giornata di viaggio da loro, una tempesta di sabbia era in arrivo, e, come da tradizione, l’avrebbero sfruttata per passare vicino ai Plutarchiani non visti. Un piccolo contingente era pronto a staccarsi dal campo per raggiungere Serra e discutere della proposta di Stoker. Ora non restava che capire come informare tutti della cosa.

Sempre che ce ne fosse bisogno: notizie del genere avevano il brutto vizio di sfuggire dalle mani come una manciata di sabbia secca e diffondersi con la velocità di un’ esplosione atomica. Il grosso topo grigio era sicuro che sarebbe scoppiata una rivolta. Defender aveva sempre saputo che Stoke era un po’ svalvolato -del resto chi poteva pensare di viaggiare in compagnia di un Errante come aveva fatto per anni lui- ma non aveva mai pensato che avrebbe fatto una cosa simile. Sperava solo che sapesse quello che stava facendo.

“Rose!” chiamò cercando di calmarsi: “ Piccola, sono tornato”

Rose era la sua più giovane cugina, non una parentela molto stretta in effetti, ma era l’unica superstite - assieme a lui- della loro famiglia, e dopo la morte del marito di lei, Defender si era preso carico della topina e dei suoi due figli: Modo e Camaro. Era diventato una via di mezzo tra uno zio ed un papà.

Lei comparve da dietro un telo divisorio con il suo solito sorriso dolce: “Bentornato” mormorò.

Defender dovette ricordare a se stesso che era sua cugina: la topina era giovane e avvenente, non particolarmente alta, ma ben formata, con le caviglie sottili e i piedini scalzi che sbucavano da sotto una gonna che le arrivava al ginocchio; dopo la seconda gravidanza aveva smesso di portare magliette attillate, ma la sua vita era ancora sottile tra le pieghe della stoffa, e i seni pieni e rotondi sotto alla scollatura pudica. Il lungo collo era incorniciato da alcune ciocche di capelli argentei, sfuggiti dallo chignon che portava quasi sempre, in cui aveva infilato un lungo spillone ricavato da una scheggia della bomba che aveva ucciso suo marito: del corpo del povero topo infatti non era rimasto molto, e l’orecchino nuziale che portava non era stato più ritrovato. Disperata, Rose, aveva fatto levigare una scheggia della mina e l’aveva tenuta con sé al posto dell’orecchino del marito. La tradizione voleva che il coniuge sopravvissuto infatti, portasse entrambi gli orecchini, un po’ come accade qualche volta sulla terra con le fedi nuziali. Le orecchie di molti topi erano adorne di coppie di orecchini gemelli da quando era scoppiata la guerra, compresa quella sinistra di Defender.

“Sei arrivato appena in tempo, la cena è quasi pronta”

“Dove sono i due terremoti?”

Lei ridacchiò: “Li ho spediti alle docce soniche, torneranno presto. Allora, cosa si dice all’alto comando?”

Defender spiegò tetro quello che avevano in programma: “Nei prossimi giorni non far uscire i bambini, non da soli e non dire loro quello che sta per succedere, non vogliamo creare panico di massa”

“Beh, se devono difendere il loro pianeta non credi che saranno più ragionevoli?”

“Sono Erranti, Rose”

“Si, e sono disperati almeno quanto noi, se non di più. Personalmente non ne ho mai conosciuto uno, e tu?”

“No, e credimi, non ci tengo proprio”

“Defender, le storie che passano di bocca in bocca tendono ad ingigantirsi ad ogni volta che vengono raccontate. Credo che aspetterò di vederli per giudicarli, anche se avvertirò i ragazzi di non allontanarsi, tanto per evitare incidenti diplomatici… e credo anche che sarebbe meglio che spiegassimo loro cosa sta per accadere: saranno più prudenti e non apriranno bocca se gli diremo di non farlo” aggiunse con un sorriso.

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Modo si rialzò dalla rissa con un labbro tagliato, ma vittorioso. Era alto e grosso per la sua età, adatto al combattimento come nessuno della sua classe, in pochi osavano sfidarlo, ma ogni tanto qualcuno finiva sempre per pestargli la coda, magari facendo il bullo con qualche bambino indifeso, come quei tre che ora giacevano ai suoi piedi.

“Bene, e ora che ci siamo chiariti spero che la finirete di fare i gradassi con Vinnie” sbottò calciando verso il ragazzo più vicino un po’ di sabbia, quindi tornò dal suo protetto e lo aiutò a rialzarsi. Il topino candido era un paio di anni più giovane di lui, ma avevano stretto una bella amicizia, dato che la madre glie lo affidava spesso quando era lontana per combattere. Il colore singolare del suo manto gli causava sempre problemi, assieme alla sua naturale irruenza, specie quando si spostavano in una nuova città, ma entro poco coloro che pensavano di farne un bersaglio finivano regolarmente per capitolare, scontrandosi con Modo.

Su Marte molte delle amicizie più solide tendevano a formarsi proprio dopo scontri simili, e Modo e Vinnie erano diventati molto popolari in molti posti, contando molti più amici di quanto essi stessi credessero.

Fu mentre tornava alla casa dei genitori di Vinnie che incontrò il suo fratellone Camaro, che era più basso di Modo, nonostante fosse il maggiore di età, e con il pelo grigio chiaro, sfumato di marrone sul muso e sugli arti.

“Un’altra rissa?” ridacchiò prendendo distrattamente in braccio Vinnie.

“Già, sempre la solita storia…ormai non chiedo nemmeno più perché lo stanno tormentando”

“Modo! La mamma non sarebbe contenta! Fare a botte va bene, ma bisogna sempre sapere che si sta difendendo la persona giusta. Comunque la mamma ci ha detto che dovevamo sbrigarci, andate a fare la doccia, la cena sarà pronta a momenti”

Dopo aver lasciato il topino bianco ai suoi genitori, i due corsero a casa; stavano per entrare quando si trovarono davanti una decina di bambini, tra cui spiccavano quelli che Modo aveva malmenato poco prima. Entrambi i fratelli s’irrigidirono, pronti allo scontro.

“Hey bestione, quanti anni hai?” lo apostrofò uno dei nuovi venuti.

“Dieci”

“Cosa?!” saltò su uno dei ragazzi pestati: “Vuoi dire che le ho prese da uno più piccolo di me?!” strillò con le orecchie che penzolavano in segno di teatrale disperazione.

Tutto il gruppo scoppiò a ridere, poi quello che sembrava il leader, si avvicinò ai fratelli: “Beh, mi hanno detto che è stata una splendida zuffa e che sei un gran combattente Modo. Scusaci se abbiamo fatto i somari con il tuo amico bianco, ma sai, con mantelli così singolari si ha sempre paura che sia un Errante. Se volete, domani facciamo un salto alla Rupe delle Marche Rosse: c’è un fortino abbandonato e noi volevamo andare ad allenarci, perché non venite anche voi?” poi aggiunse gonfiando il petto d’orgoglio: “Sai, io ho quasi quattordici anni, e tra poco potrei ricevere la chiamata alle armi”

“Anch’io!” trillò Camaro: “Freedom Fighter o esercito?”

“E me lo chiedi anche? Freedom Fighter tutta la vita!”

Risata collettiva. Amicizia fatta. Ecco come funziona su Marte.

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La Rupe delle Marche Rosse, aveva preso il nome a causa dei segni che gli Erranti avevano lasciato sul lato della montagna rivolto verso la landa desertica, e che segnalavano la direzione del Campo dei Morti. Ogni tre anni una o due tribù passavano da li, assestando la loro rotta in base ai segni, visibili anche da molto lontano. Gli abitanti di Serra erano abbastanza abituati a vederli, e qualche rara volta avevano anche commerciato con quei popoli, ma preferivano tenere le distanze. Tuttavia sapevano molte cose su quelle genti, e mentre si dirigevano verso il fortino abbandonato, Modo ebbe occasione di venire a conoscenza di molte leggende e particolari interessanti dai loro nuovi amici. Essendo originario delle zone più a sud infatti, né Modo né i suoi compagni sapevano molte cose sulle tribù degli Erranti, solo qualche leggenda di seconda mano, del resto erano popoli molto lontani, e con la guerra, le comunicazioni si erano fatte difficili: nessuno aveva tempo ne voglia di raccontare favole e storie di luoghi lontani. Per i ragazzini del posto invece era normale sapere quasi tutto di quelle tribù.

Il ragazzone grigio non era tipo da portare rancore e aveva un animo gentile e nobile, quindi non aveva fatto nemmeno una piega quando si era trattato di scusarsi per il pestaggio del giorno prima -gli altri topini non si aspettavano che lui lo facesse e l’ammirazione nei suoi riguardi era cresciuta notevolmente, spazzando via ogni traccia di ostilità residua- aveva deciso di farlo perché gli pareva giusto. Sua madre ne sarebbe stata orgogliosa. Quando fosse stato più grande sarebbe stato famoso per offrire spesso aiuto e una bevuta ai malcapitati che lo sfidavano in una scazzottata, dimenticando la propria animosità appena l’avversario era a tappeto.

Brema, il ragazzo che il giorno prima si era lamentato così melodrammaticamente di averle prese da uno più giovane di lui, era colui col quale si trovava di gran lunga meglio, e amava parlare degli Erranti, perché sua madre commerciava di tanto in tanto con loro in prima persona, quindi li conosceva bene.

“Sai che per loro saremmo quasi tutti pronti a combattere?” gli stava dicendo: “Loro mandano in battaglia anche i bambini, noi cominciamo la formazione a quindici anni, loro la completano entro i dieci”

“Ma è terribile!” Modo lanciò uno sguardo a Vinnie, che stava correndo con gli altri bambini in una versione un po’ selvaggia del gioco dei  quattro cantoni. Un brivido gli corse lungo la schiena immaginandoselo con un blaster in mano durante un addestramento.

“Già, e devi vederli in combattimento! Non hanno pietà per nessuno! Figurati che non usano armi laser, ma proiettili di un tipo particolare di pietra, che si frammenta nell’impatto, per procurare ferite che sanguinino di più e far morire i loro avversari dissanguati!”

Modo deglutì rumorosamente, ma l’altro nemmeno se ne accorse: “Ma la cosa peggiore sono i loro sciamani! Alcuni di loro sanno camminare nella nebbia!”

“Camminare nella nebbia?”

“Ma come, non lo sai? Vuol dire che sono capaci di camminare nel mondo degli spiriti! E da laggiù possono fare di tutto, parlano con i morti, trovano persone lontane e qualche volta le possiedono come fossero spiriti malvagi!”

Modo ne aveva abbastanza, ma il topino color crema lo tirò vicino con aria da cospiratore: “E lo sai un segreto?”

“Non sono sicuro di volerlo sapere”

“Loro stanno per arrivare. Oggi. Per questo i nostri genitori sono stati così irremovibili nel dirci di rientrare prima di mezzo giorno: ci sarà una tempesta di sabbia che arriverà vicinissima alla città e loro verranno a parlare con il tuo generale. Non sappiamo perché, ma ormai tutta la città è in fermento e sa che verranno! ”

Tipico. Defender avrebbe detto che odiava avere sempre ragione: la sera prima aveva informato Modo e Camaro degli avvenimenti del giorno successivo per prepararli e aveva raccomandato loro massima discrezione. Ma qualcun altro non era stato altrettanto ligio al dovere come i due bambini.

“Ma nessuno esce anche solo di casa durante una tempesta di sabbia!”

“E’ così che loro si spostano, lo fanno quasi sempre”

Modo non poteva credere che fosse vero, ma non lo disse al suo nuovo amico per non offenderlo: com’era possibile spostarsi e soprattutto orientarsi con una tempesta di sabbia in corso? E le moto? E gli altri macchinari? La sabbia sarebbe entrata tra gli ingranaggi facendo grippare qualunque organo in movimento, per non parlare dei graffi alle carene!

Il ragazzino pensò a Tu’ Tsui e Lil’ Hoss, le due colossali moto AI di proprietà della sua famiglia, che ora erano parcheggiate tranquille negli hangar alla base. Non avrebbe nemmeno potuto immaginare di portarle fuori in una tempesta di sabbia!

Rose aveva spiegato loro che, quando fosse giunto il momento, sarebbero appartenute a lui e a suo fratello: erano la sola eredità rimasta della loro famiglia, un tempo piuttosto ricca, e avrebbero dovuto trattarle con lo stesso amore e dedizione che si potrebbe riservare ad una persona in carne e ossa. Tu’ Tsui era la moto del padre dei ragazzi, ed era destinata a Camaro, il primogenito: lui, essendo più grande, aveva già ricevuto il permesso di cercare i primi Contatti con il bestione verde scuro e l’AI sembrava averlo preso in simpatia. Anche se non poteva ancora guidarla, Camaro passava sempre più tempo con Tu’ Tsui. Modo invidiava un po’ il fratello per il fatto di aver già ricevuto il permesso di ronzare attorno a quella che sarebbe divenuta la sua moto, mentre lui poteva al massimo avvicinare la propria per accarezzarla o darle una rapida lucidatina. Ma Rose era stata intransigente: cercare il primo Contatto con l’AI di una moto quando si era troppo piccoli, rischiava di essere controproducente, specialmente quando si aveva a che fare con esemplari così potenti, in quanto il computer poteva pensare che il ragazzo non fosse adatto e rifiutarlo, oppure tentare di prendere una posizione dominante – gli AI comprendevano poco il concetto di essere bambini-. E poi un bambino non poteva guidare una moto, ed era meglio che passasse poco tempo tra il primo Contatto e la prima cavalcata; quindi Modo si era limitato a venerare il grosso chopper blu-violaceo standogli accanto. Lil’Hoss era appartenuta allo zio dei ragazzi, ed era un’AI molto docile e socievole, e a differenza di molte motociclette, apprezzava la vicinanza dei bambini. Aveva stupito tutti quando aveva reagito al tocco del ragazzino accendendo il motore e cercando a modo suo di fare amicizia con lui. Modo si era sentito morire quando Rose aveva impedito alla moto di cercare un contatto più profondo, ma Lil’Hoss aveva compreso e accettato la cosa in fretta, in fondo aveva già una ventina di anni ed era una moto con parecchia esperienza della vita.

Il resto della mattinata scorse serena, giocando alla guerra, a nascondino e facendo merenda tutti assieme.

Camaro passava tutto il tempo con Ninja, l’altro quattordicenne che aspettava come lui il momento di cominciare l’addestramento per entrare a far parte dei Freedom Fighter, e parlavano delle future battaglie immaginandosi già come eroi mondiali, e facendo progetti per quello che avrebbero fatto a guerra conclusa, quando avrebbero potuto adagiarsi sugli allori.

Cominciò come un rombo lontano, e il venticello frizzante dell’inverno marziano cadde all’improvviso. Tutti i bambini si rivolsero verso nord, dove, in lontananza, stava cominciando a sollevarsi un muro rosso contro il cielo.

“Sarà meglio andare, la tempesta arriverà prima del previsto” Annunciò Ninja: “Secondo me dovremmo avere ancora un paio d’ore, ma è meglio sbrigarci, i nostri saranno preoccupati.

Tutti i bambini si mossero in fretta, ormai troppo abituati all’efficienza dalla pratica acquisita durante i numerosi bombardamenti. Modo si caricò uno scalciante Vinnie in spalla e partirono alla volta della città con passo sostenuto.

“Voglio correre anch’io!” protestava il bimbo: “Sono grande e posso farcela”

“No Vin.” Replicò secco il ragazzo grigio: “Dobbiamo muoverci in fretta, e voglio essere sicuro che tu sia incollato a me se dovesse succedere qualcosa”

Il rombo si fece più vicino: i calcoli di Ninja non avevano tenuto conto delle correnti d’aria invernali. La tempesta era vicina e guadagnava terreno.

“Qui vicino c’è uno dei cunicoli per entrare a Serra dalla parte sotterranea, chiamo mia madre perché avverta gli altri genitori, impiegheremo un po’ più di tempo, ma è più sicuro” Gridò Ninja estraendo una radiolina portatile.: doveva comunicare il cambio di programma finché erano all’aperto, poiché il segnale della radio sarebbe stato bloccato una volta sotto terra.

Modo scambiò uno sguardo con suo fratello, il rumore era già così forte da costringerli ad urlare? Quando aveva aumentato tanto di intensità?

Raggiunsero in fretta il cunicolo, e, mentre Ninja  armeggiava con il codice di sblocco delle porte, Modo si volse indietro. L’aveva già visto accadere, ma sempre da dietro una spessa lastra di vetro rinforzato, mai così.

La tempesta inarcava il dorso come un leviatano, contorcendo le sue spire di vento e roccia polverizzata. Procedeva come un essere senziente, un muro di nulla, producendo un rombo dal tono così basso da essere quasi inudibile, ma così alto di volume da cancellare tutto il resto. La terra stessa tremava, e Modo scopri di star battendo i denti, ogni suo muscolo vibrava, ogni nervo era in fiamme, ogni neurone gli gridava di fuggire, ma lui non poteva: la salvezza era il cunicolo. Doveva restare.

L’enorme fenomeno parve esitare però, quando raggiunse i monti: la barriera di pietra deviava in parte il vento creando il suggestivo effetto di una belva che si carica prima di un salto. La parte inferiore ribolliva mentre quella superiore si abbassava, torcendosi su se stessa.

All’improvviso un colpo di laser esplose contro la roccia vicina alla gamba di uno dei ragazzi, si voltarono tutti verso il cecchino…. Abiti arancioni, pelle verde e squamosa…Plutarkiani.
“Ninja svelto!” Implorò Brema facendo arretrare i più piccoli verso la porta in un disperato tentativo di proteggerli.

Modo era pietrificato, erano distanti, ma sarebbero arrivati prima della tempesta. Si calò Vinnie dalle spalle e lo spinse verso gli altri piccoli del gruppo. Camaro si parò davanti a loro, al fianco del fratello grigio.

“Sono disertori Modo, vedi come sono trasandati?”  gli gridò all’orecchio.

“Non cercano prigionieri” terminò per lui il fratello. Perché Ninja ci metteva tanto?

Dietro ai Plutarkiani, il leviatano di sabbia rossa balzò oltre la rupe, inghiottendola, e scattò verso di loro, quasi li avesse visti e volesse prenderli prima che raggiungessero la salvezza. Altri spari fendettero l’aria, a Modo parve di sentire delle urla, ma la tempesta era troppo vicina e non si sentiva più nulla al di sopra del suo rombante ruggito.

Le porte blindate latrarono con la loro gola di ferro rugginoso, nell’aprirsi e i ragazzi si riversarono all’interno.

“Dov’è Brema?” gridò uno dei ragazzini più piccoli.

I grandi si voltarono, il cunicolo era scuro, ma era chiaro che uno di loro mancava all’appello.

“L’ho sentito urlare io! Non credevo fosse nulla, ma forse è stato colpito!” gridò Modo per farsi sentire tra il rombo del vento e il vociare dei bambini.

“Dobbiamo lasciarlo, i piccoli devono essere riportati a casa e tra poco il fronte della tempesta colpirà l’imboccatura del cunicolo: Le porte si chiudono automaticamente e non è possibile riaprirle in caso di tempesta!” Spiegò Ninja con una punta d’isteria nella voce.

Modo scosse la testa: “ No! Nessuno resta indietro da solo!”

“Ma non possiamo fare nulla e i Plutarchiani….”

Modo si volse verso suo fratello ignorando gli altri topolini: “Camaro! Vado a prendere Brema, la tempesta avrà già investito i pesci! Non deve essere molto distante dall’entrata. Porta tu Vinnie a casa”
Camaro scosse la testa: “Vuoi andare la fuori da solo?! Vengo con te”

“No, da solo correrò meno rischi di essere visto, ora andate!”

Senza aspettare una risposta- che tanto non avrebbe potuto sentire- si fiondò oltre la curva del cunicolo e fuori da esso. Camaro scattò subito dopo per seguirlo.
Proprio nel momento in cui il fronte di sabbia raggiungeva la zona.

Il vento lo gettò a terra, la sabbia lo punse spietatamente, battendolo selvaggiamente come una frusta. Gridò, ma non udì la propria voce, Vide vagamente Camaro attraverso le porte blindate che si chiudevano, ma il ragazzo non era stato abbastanza veloce e ora Modo era solo.

Il rumore ed il dolore lo stordivano e la sabbia s’insinuava ovunque, ma cominciò ugualmente a cercare Brema a tentoni, sperando che non si fosse mosso da dove era prima che i Plutarkiani attaccassero.

Gli parve di udire qualcosa, una vibrazione del terreno, e forse una voce che gridava. Nel buio rosso si formò lentamente una sagoma: un corpo giaceva a poca distanza da lui, faticava a vedere per la sabbia che gli entrava negli occhi e le tenebre del ventre della tempesta, ma strisciò verso la forma immobile. Era ormai troppo vicino quando si rese conto di cos’era: un Plutarkiano.
Modo saltò via, pronto a scappare, anche se non sapeva dove poiché con la perdita dei punti di riferimento e una visuale di pochi metri, era impossibile per lui orientarsi, ma l’uomo-pesce non si mosse …

Era un Plutarkiano si, ma un Plutarkiano morto. Udì di nuovo il tremito della terra, dietro la carcassa si formò un’altra sagoma, più grande stavolta.

Modo non sapeva cosa fosse, ma una cosa la sapeva: dentro una tempesta di sabbia si muovono molte cose, e nessuna amichevole.

Strinse i denti e fece forza sulle gambe per alzarsi in piedi, doveva andarsene di li, e doveva farlo alla svelta. Un’altra vibrazione del terreno portò un’altra sagoma davanti a lui, che lo spinse a voltarsi. Incespicò, cadde, e la prima figura lo avvicinò.

La sabbia turbinante formava una cortina da cui uscì una ruota dalle profonde scolpiture, sostenuta da robuste forcelle lavorate a sbalzo, in un istante un enorme cruise nero era accanto a Modo.
Il ragazzino osservò paralizzato il cavaliere del cruiser, che lo studiava immobile appoggiando pigramente il peso della moto su una gamba. Era un topo alto e muscoloso, abbigliato in maniera inusuale, con pantaloni scampanati pieni di strappi e ciondoli che sventolavano ovunque. Le orecchie erano affollate di orecchini e non portava il casco, solo un paio di occhialoni. Ma la cosa più singolare era la sua acconciatura: una cresta svettava tra le sue orecchie, vibrando in maniera singolare tra le raffiche di vento, colorata di striature rosse e bianche; poco sopra la nuca i capelli erano invece lasciati lunghi, raccolti in minute treccine intessute di penne, perline e anelli metallici.

Fantastico. Un Errante. Ecco di cosa parlava quando diceva a se stesso che nelle tempeste di sabbia non girava mai nulla di buono.

La mente del ragazzo fu attraversata da una serie rapida di pensieri sconclusionati.

Santa Paletta! Si muovono sul serio nelle tempeste di sabbia!

Ha portato una moto del genere in mezzo ad una tempesta di sabbia!

Perché non grippa il motore?

Perché sto qui a farmi domande stupide invece di scappare a gambe levate?

L’ultima domanda era la più logica. Modo scattò in piedi, ma prima che potesse fare anche solo un passo, l’Errante dalla lunga cresta l’aveva agguantato e schiacciato in terra, il ragazzino lottò disperatamente ma non aveva nessuna possibilità contro un guerriero adulto e ben addestrato. L’Errante avvicinò il muso al suo e Modo ricordò un’altra particolarità di quel popolo, un’usanza di cui lo zio Defender gli aveva parlato per mostrargli oltre ogni ragionevole dubbio che essi erano selvaggi sanguinari: gli Erranti mordevano, e miravano alla faccia e alla gola.

Modo si divincolò selvaggiamente ma ormai la presa del topo era salda, lui gli inchiodò le braccia sopra la testa e gli afferrò il muso con la coda per tenergli fermo il capo. Aveva una stretta letale. Il ragazzino faticava a respirare mentre il suo avversario si chinava sempre più vicino al suo orecchio, Modo strinse forte gli occhi preparandosi al dolore….

“Non voglio farti del male punk” gridò una voce limpida nel suo orecchio: “ ora ti lascio andare la bocca, ma non voglio che scappi, intesi? E non mordermi!”

Modo sgranò gli occhi per la sorpresa. L’Errante si voltò verso la sua moto dandole alcuni secchi ordini, in risposta ai quali, lei si mosse, rombando nel muoversi per fare da scudo contro al vento ai due topi in terra. Non era molto, ma sempre meglio di nulla.

La coda lasciò il suo muso, e l’Errante si chinò di nuovo, tanto vicino che il ragazzo poteva sentire il naso freddo che gli solleticava la pelle del padiglione: “Come ti chiami?” urlò sopra al rumore del vento, poi spostò la testa in modo che la bocca di Modo fosse vicina al suo orecchio.

Il bambino impiegò un po’ per riavviare il cervello e ricordarsi il proprio nome, dopo aver realizzato che non stava per morire: “Modo” rispose.

“Io sono Lancer. Modo, eri solo?”

“No, c’era un altro con me”

“Solo uno?”

“Si”

“Vieni da Serra?”

“Si”

“Ok, mettimi le braccia attorno al collo” senza aspettare oltre, Lancer tirò le braccia di Modo attorno al proprio collo, lo strinse a se e si alzò in piedi, montando nuovamente in sella al cruiser.

Modo nascose il volto contro la folta pelliccia del petto del suo salvatore per proteggersi dalla sabbia sferzante. Perse la nozione del tempo e dello spazio dentro la tempesta e non sapeva dire quanto tempo fosse passato quando il vento cadde e la luce si fece più forte. Si tirò su ancora stordito e con le orecchie che ronzavano. Gli edifici della periferia di Serra erano attorno a lui. Ora si sentiva solo il profondo rombo delle motociclette degli Erranti nelle strade deserte. La tempesta li aveva lasciati.

“Hey sgorbietto, prima tempesta all’aperto?”

Modo si voltò verso uno dei topi che guidava accanto a lui e che l’aveva apostrofato ridacchiando.

“Smettila Crankshaft, è spaventato, non vedi? Piuttosto, come sta l’altro?” lo rimproverò Lancer.

“Se la caverà, è solo svenuto” borbottò offeso l’errante che montava una snella modo da cross areografata di mille colori e ornata di pietre scintillanti che dondolavano dal manubrio.

Modo si tirò un po’ su e si sporse dalla motocicletta; un po’ più indietro rispetto a loro, su un altro cruiser blu elettrico, la sagoma di Brema giaceva inerte in braccio ad un altro topo, dal pelo così scuro da rendere difficile distinguere i suoi tratti. Il topo lo notò e fece balenare i denti bianchi in un sorriso rassicurante.

“Starete bene entrambi” lo incoraggiò Lancer: “Ora ti porto da Stoker, penserà lui a chiamare chi di dovere”

“Io ce li ho i genitori” mormorò Modo comprendendo che il suo salvatore aveva evitato di dire che avrebbero cercato i suoi parenti perché poteva benissimo essere un orfano: ce n’erano tanti….e non voleva urtare la sua sensibilità: “O meglio, ho mia madre e uno zio”

“Allora sei fortunato Modo, non ho tempo di portarti da loro e rischierei di beccarmi una pallottola tra le antenne, quindi andremo da Stoker, vedrai che lui sistemerà tutto, ok?”

“Ok”

Il secondo capitolo è già in cantiere! A presto!
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Grazie! J

  
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