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Autore: Dira_    21/03/2012    15 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LII

 

 
Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia.
Il vero amore è una quiete accesa.
(Giuseppe Ungaretti)



19 Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Alba.
 
Tom amava l’oceano.
Era una passione nata a Putgarten, quando ogni mattina si svegliava con il rumore del mar Baltico nelle orecchie. Lo calmava sentire che c’era qualcosa di vivo, ruggente, che in qualche modo riusciva ad essere persino più tormentato di lui nelle giornate di bufera.
A Durmstrang il mare era diverso; il fiordo intrappolava molta della sua forza burrascosa. Non era così selvaggio, così forte.
È intrappolato. Come me.

Aveva perso il conto di quanto era rimasto a guardare fuori dalla finestra; le prime luci del mattino avevano illuminato l’insenatura da un po’. Le aveva viste sorgere.
Non riusciva a dormire la quantità di ore che invece macinava Albus; lanciò un’occhiata verso il letto. Come al solito, spuntava solo la sua arruffatissima capigliatura – ogni mattina veniva sottoposta ad un trattamento intensivo per sembrare perlomeno quelli di un appartenente alla razza umana.
Per un attimo sentì il tepore del letto chiamarlo, e fu tentato dal languore che sarebbe deriva dallo spogliarsi di nuovo e premere la pelle di Al sulla sua, sentirne il calore, l’odore del sonno, baciargli le spalle nude e sentire mormorare il suo nome. Scacciò quel pensiero come avrebbe fatto con una mosca molesta.
Non riusciva a dormire perché era perdere tempo. Il sonno era una perdita di tempo, necessaria e inevitabile, ma comunque tale. Tutto, lì all’Istituto, era un’enorme, gigantesca perdita di tempo.
Devi aspettare Thomas. Aspettare.
Disegnò distratti ghirigori sulla finestra ghiacciata, seguendo gli arabeschi lasciati dal ghiaccio.
Hohenheim, come l’anno prima, era sparito. Era un gioco. L’uomo che gli aveva dato la vita – si rifiutava di chiamarlo in altro modo – stava giocando con lui come un gatto avrebbe fatto con un topo. Di nuovo. Lo voleva sfibrare, fargli abbassare le difese prima di colpire, ne era certo. Non c’era altra spiegazione per quell’attesa così innocua, calma. Logorante.
Inspirò bruscamente; sapeva benissimo che quella deriva di pensieri non gli avrebbe affatto giovato, ma non poteva fare a meno di sentirsi ogni giorno sempre più agitato. Seguire le lezioni, andare a ridicole gite organizzate, trascorrere del tempo a studiare e a pestare in zucca a Malfoy qualche informazione basilare per non essere buttato fuori dal Torneo era stupido. Stupido perché quella che lo aspettava era probabilmente la battaglia della sua vita; non sarebbe stata classica, non avrebbe affrontato nessuna armata.
Affronterò tutto quello che avrei dovuto essere e che non sono. Ed è peggio che un campo di battaglia.
Doveva indurre Hohenheim a fare una mossa. Magari esponendo il suo tirapiedi, Luzhin. Harry nelle sue lettere non gli aveva detto chiaramente che le indagini si stavano chiudendo attorno all’amichetto di Lily, ma era palese. Non c’erano altri indiziati, o glielo avrebbe detto. C’era solo Sören Luzhin.
Il problema era che prima di farlo cadere, doveva trovarlo. Luzhin non lo cercava, non lo stuzzicava, anzi, tutt’altro. Lo evitava.
Era questo a mandarlo fuori di testa. Ma non l’avrebbe persa. No.
Ho fatto in modo che Doe sparisse. Pensi che sarà diverso per il tuo nuovo tirapiedi? Quando tutti i pedoni sono stati sacrificati è il Re a dover scendere in campo.
La mia anima è più vecchia e sporca della tua. Pensi davvero di intimorirmi con così poco?
Percepì distintamente la magia crepitargli nelle vene, come una cattiva scossa elettrica. Il vetro della finestra, spesso e adatto a sopportare venti nordici, si crepò sotto le sue dita.
Scendi in campo e gioca.
“Tom?”
Sì irrigidì, dandosi dell’idiota perché si sentiva come se fosse stato colto con le mani nel sacco.

Non si voltò in direzione del letto, preferendo prendere la bacchetta e sistemare il danno prima che Albus se ne accorgesse.
“Non farmi venire lì.” Venne ammonito. “Si gela ed io non ho idea di dove sia finito il mio pigiama.”
Si voltò; Al lo guardava accigliato dal groviglio di coperte e Tom ricordò di colpo che quel giorno era il suo compleanno.
Il loro compleanno a dirla tutta, dato che Robin aveva pensato bene di dichiarare all’anagrafe che il suo cadeva esattamente un giorno dopo quello dell’altro ragazzo.
‘All’epoca pensai che sarebbe stato carino, no? Fare la festa con tuo cugino, intendo.’
In effetti i suoi compleanni non sarebbero stati così divertenti senza la gioia esplosiva di Albus a costellarli.
Di sicuro mi sarei rifiutato di festeggiarli e avrei piuttosto preteso nuovi libri e di esser lasciato solo per poterli leggere.
“Buon compleanno.” Sospirò e l’altro fece un mezzo sorriso dismissivo.
“Grazie.”  Poi gli tese la mano. “Non farmi venire lì, Tom.” Ripeté, e l’avrebbe fatto se non gli avesse obbedito. La prese e si lasciò tirare di nuovo a letto. Lasciò passivamente che lo tirasse sotto le coperte e lo stringesse in un abbraccio. Sentiva il battito del cuore contro la sua schiena, calmo e rassicurante. Avrebbe voluto starsene zitto, dato che era il suo compleanno. Non poteva.
“Non ce la faccio.” Mormorò, e riassumeva piuttosto bene la sua condizione. “Ho bisogno che finisca. Ho bisogno di farlo finire.”
La presa di Al si serrò appena, mentre la mano gli sfiorava il petto, aggrappandosi alla stoffa della sua maglietta. “Lo so.”   

“Non lo prenderanno mai, come non l’hanno preso l’anno scorso. Dovrò essere io. Sai che dovrò essere io.” Quella maglietta gliel’avrebbe strappata, ed era un peccato, perché ci teneva, dato che era originale ed era dei The Smiths. “… non farò nulla di idiota.” Soggiunse perché il battito del cuore dell’altro era triplicato.
Almeno per adesso.
“Tu sei un idiota.” Gli giunse soffocato. Gli parlava con la bocca contro la schiena, il respiro caldo era come se gliela bruciasse.
“Per fortuna ho te a ricordarmelo.” Ironizzò, voltandosi nell’abbraccio nel momento stesso in cui Al lo tirò a sé. Lo baciò e fu caldo, e fu anche mordersi le labbra ma era vivo e giusto.
Se avesse creduto in un dio – lasciava certe cose ai babbani e alle loro strampalate teorie sulla Creazione – lo avrebbe pregato di trovare un modo per fare ammenda con Al. Per chiedergli scusa in un modo che andava oltre le parole, che a volte sembravano solo suoni che uscivano dalle labbra.
Perché non è la tua guerra, ma te la sto facendo vivere lo stesso.
Si staccarono e Al lo guardò con uno di quei suoi sguardi duri, determinati. In quei momenti la somiglianza con Harry era straordinaria. “Siamo assieme in questo, te lo ricordi?”  
“Sì.” Fece un mezzo sorriso. “In ogni caso, sembra che sia meglio che non stia troppo solo. Tende ad avere conseguenze disastrose.”
In questa e nell’altra vita.
“Direi.” Al ridacchiò contro la sua spalla, strofinandoci contro la guancia. Era incredibile come, alle soglie della maturità, non avesse un filo di barba ma la pelle di un bambino.
Tom tornò ai baci, e al calore della pelle nuda. Essere adolescenti voleva dire, ringraziando Merlino, avere istinti. Istinti che spazzavano via ogni pensiero in favore del languore che prima aveva tanto rifiutato.

Perché so cosa mi fa. So cosa mi fa Al. Mi rende debole. Mi rende umano e fallibile molto più di quanto non sarei senza di lui.
C’era quella parte, quella oscura, che ogni volta sibilava scontenta. Furiosa. Ma come gli aveva detto Loki Nott mesi prima, gli esseri umani non erano cose, non erano pupazzi. Erano dotati di volontà e di fedeltà. Non c’era solo lui e le sue ombre, c’era anche Albus e la sua luce. Non accecante, che sarebbe stata insopportabile. Era calda e si trovava bene tra le sue ombre. Forse senza di esse non sarebbe stata neanche così bella.
“Tu sei mio, lo sai?” Fu Al a sussurrarglielo all’orecchio, piano, come una confessione. Più che altro un attestazione.
Del tutto legittima.  
“Sì.”
Che quella parte andasse a farsi fottere.

 
 
****
 
“Dove sono finiti mini-Potter e Dursley? Sono in ritardo!”
“Indovina, biondo.”
Alle lezioni di Arti Oscure – a quanto pare Durmstrang non aveva a simpatia i suffissi - ai ragazzi delle delegazioni erano assegnati in maniera irrevocabile i posti in cima alla classe e dunque, con un filo di irritazione, Rose si ritrovava perennemente trai piedi quella matta di sua cugina. In sé Dominique, se ignorata, era tollerabile; il problema era che Scorpius aveva la deprecabile tendenza ad entrare in risonanza con qualunque persona fosse più rumorosa di lui.

Ovvero, Domi. Insieme? Micidiali.
“È il compleanno di Al, oggi.” Venne comunque in soccorso al suo ragazzo. “A dirla tutta, il compleanno sia suo che di Thomas. È nato domani, ma lo hanno sempre festeggiato assieme.”
“Oh. Ah… ooh.” Aggiunse mentre l’anglofrancese sghignazzava al suo fianco. Il grifondoro, che notoriamente andava d’accordo più con le ragazze che  con i ragazzi, aveva trovato in quest’ultima una compagna di guai quasi pari a James. In quegli ultimi giorni aveva passato più tempo a riprenderli mentre si mandavano bigliettini idioti da un banco all’altro che a seguire le lezioni.
Almeno qualcuno si diverte…
“Beati loro.” Sbuffò Scorpius puntellandosi sulla lunga fila di banchi scuri. “Anch’io voglio far tardi per rotolarmi tra le lenzuola!”
“Scorpius!” Lo redarguì senza troppa convinzione; dopotutto la pensava allo stesso modo. Aveva un anello al dito eppure erano ritornati ad una sorta di castità vittoriana, persino peggiore di quella ad Hogwarts.  
Almeno in Scozia ti potevi imboscare. Qua hai paura che un Lethifold spunti dall’angolo buio in cui ti sei nascosto per mangiarti vivo.
“Ho dei bisogni, caramellina.” Mugugnò questo, guardandola con falsissimi occhi affranti. “Sono stufo di dormire con una mezza dozzina di altri ragazzi. Perché loro sì e noi no?”
Rose scrollò le spalle. “Sono due ragazzi. Non per fare differenze di genere, ma sono meno dichiarati di noi due.”

Oltre al fatto che ad Al hanno dato una camera singola e a me no. Dannati maschilisti.
“Da quant’è che le cose si sono fatte romantiche tra Sissy e Tommy?” Chiese Dominique, in un raro slancio di curiosità femminile.
“Da… sempre?” Scrollò le spalle. “Stiamo parlando di Al e Tom dopotutto. Hanno solo ufficializzato.”
Lanciò poi un’occhiata attorno a sé: i ragazzi di Durmstrang non facevano neppure finta di considerarli. Forse era la barriera linguistica, rifletté Rose, ma era anche una certa dose di sospetto verso la loro vitalità. Scorpius e Dominique facevano chiasso per almeno una dozzina di persone ed era evidente, dalle espressioni perplesse e a disagio, che il rumore umano non fosse cosa di tutti i giorni all’Istituto.

Grazie a Merlino sono nata inglese. È troppo persino per me.
“Stasera organizziamo qualcosa per quei due, vero?” La riscosse Scorpius. “L’anno scorso mini-Potter ci ha impedito di mostrarci gioiosi, ma quest’anno è tutto a posto!” Ci rifletté brevemente. “Beh, più o meno… comunque, festa!”
“Non ci ho capito niente, ma appoggio.” Convenne Dominique, con un’inquietante guizzo di eccitazione negli occhi. “Festa.”
“Ragazzi…” Iniziò piena di buone, sensate intenzioni. “Non siamo ad Hogwarts, né a Beaux-Batons. Credo dovremo chiedere dei permessi, o…”
“Lascia fare a noi. Siamo belli, biondi e nordici. Ci apriranno tutte le porte!” La interruppe il suo folle fidanzato. “Andiamo, ne abbiamo bisogno.”

Non aveva mai visto Dominique con un’aria supplice. La vide in quel momento. “Per tutti gli ippogrifi, sì! Festa. Ti prego. Piacerà a tutti e impedirà di farci scoppiare il cervello con tutta questa austerità!”
Rose esitò. I due non avevano tutti i torti. Forse organizzare qualcosa di divertente avrebbe allentato la tensione che ormai era cifra stessa di quelle giornate.

E in quanto Caposcuola dovrei occuparmi di tirare su il morale collettivo, credo.
“Magari prima è meglio parlarne con i diretti interessati.” Si intromise Violet, a sorpresa. Doveva aver ascoltato tutto ma straordinariamente non era intervenuta facendo la stronza. Anzi, aveva detto l’unica cosa sensata. “Le feste a sorpresa funzionano solo con certi tipi di persone. Che, a quanto mi è stato dato di capire, non hanno l’indole di chi finisce a Serpeverde.” Concluse, impassibile alle espressioni sofferenti dei due.
In effetti… Al ha sempre detestato le feste a sorpresa. Gli mettono ansia. E Tom… beh, lui credo detesti le feste in toto.
“Sì… hai… ehm, ragione.” Borbottò evitando di guardarla. Ora che non era più una diretta minaccia alla sua storia con Scorpius non aveva idea di come prenderla. Continuava a trovarla fastidiosa, ma immaginava di non aver più così tanti appigli per avercela con lei.
Al di là del fatto che è un insopportabile saccente.
… T ricorda qualcuno, Rosie?
Violet si limitò ad un sorriso distaccato, ma non aggiunse altro. Forse Dominique le aveva detto qualcosa, forse no.
In quel momento entrarono Albus e Thomas, trafelato il primo, come al solito torvo il secondo. Litigavano a bassa voce. Rose captò frammenti della reprimenda di Al, che coinvolgevano parole come ‘seminudo’, ‘non si apre la porta’ e ‘quel poveretto’.
Che diavolo ha combinato quel pervertito spilungone?
“Felice compleanno ragazzi!” Esordì Scorpius, impermeabile all’aria temporalesca che trasudava da entrambi.
“È il mio compleanno, non il suo.” Replicò gelido Al, sedendosi al banco e tirando fuori l’occorrente per la lezione. Rose vide con la coda dell’occhio Dominique allontanarsi di un paio di centimetri, lentamente, come avrebbe fatto in presenza di una creatura pericolosa. “Il suo è domani.”
“Fino a mezz’ora fa era anche il mio.” Obbiettò l’altro sedendoglisi accanto ed ignorando l’occhiataccia che gli scoccò. “Seriamente, stai facendo una questione per niente.”

“Aprire la porta a Radescu coperto solo dall’asciugamano è niente?!” Sibilò, prima di rendersi conto di avere pubblico e arrossire furiosamente.
Tom non si scompose di una virgola, calcolandoli come al solito come infinitesimali. “Mi viene da chiedere il motivo per cui sia venuto a bussarti.”
“Non mi aveva visto a colazione, pensava mi fossi perso!”

“Di nuovo?”
“Oh, sta’ zitto, questa scuola è un maledetto labirinto.” Sbuffò Al esasperato, fingendo di non accorgersi che tutti li stavano ascoltando. Le orecchie paonazze erano il segnale che no, non sapeva fingere. “Era imbarazzato a morte. Ho dovuto spiegargli che eri appena uscito dalla doccia!”
“Molto opportuno. Così ha capito anche perché me ne ero fatta una.”
“Questo è perché glielo hai detto tu!
Tom non ribatté a quella che doveva essere l’evidenza, prendendo piuttosto il suo calamaio e posizionandolo con precisione davanti a sé. A Rose non sfuggì il sorrisetto che tentava di nascondere.
Cretino possessivo.
Scorpius, che tratteneva una risata trai denti, si schiarì la voce. “A proposito di compleanni… tuo o suo, non importa.” Si affrettò a spiegare all’aria mortifera di Albus. “Stasera pensavamo di organizzare qualcosa. Niente di impegnativo, solo per stare assieme.” Sorrise incerto. “Non maledirmi, per favore?”
Al aggrottò le sopracciglia, poi si sciolse in un sospiro. “Sì… certo. Ci avevo pensato anch’io. Potremo chiedere la disponibilità di una delle sale ricreati…” Alle espressioni di sconfinata gioia dei due biondi, si interruppe. “Una cosa tranquilla. Non voglio che il mio compleanno sia la scusa per una rivisitazione della Battaglia di Hogwarts.”
“Sarebbe stato divertente!” Esclamò Dominique, facendo subito dopo un sorrisetto sghembo e palesando lo scherzo. “Non preoccuparti Sissy. La festa è vostra.”
“Mia.”
“Al…”
Rose ridacchiò dell’espressione scornata di Tom e quella di ormai finta indignazione del cugino.
Sì, c’era davvero bisogno di allentare la corda. Almeno per una sera. Non avrebbe fatto male, no?

 
 
****
 
Inghilterra, Londra, Diagon Alley.
Il Paiolo Magico, ora di pranzo.

 
Per Harry pranzare con sua moglie il mercoledì era diventa una specie di istituzione. La redazione della gazzetta era vicinissima al Paiolo Magico ed era lì che ogni mercoledì si ritrovava con Ginny per un piatto caldo e un po’ di chiacchiere senza pensieri.
Questo detto, Harry cercava disperatamente di seguire la conversazione, perché la sua dolce metà gli stava parlando di qualcosa e lui non aveva la minima idea di quale fosse l’argomento.

“Sì… beh, certo. È naturale.” Borbottò masticando il proprio stufato come se non mangiasse da giorni. Era un buon metodo di diversione a casa Weasley.
“È naturale che la sostituzione di Wilkinson con O’Malley all’ultima partita, persa tra l’altro, del Puddlemere?” Spiò sconcertata.
Ops.
“No, io… beh.” Si schiarì la voce.
Ginny sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Non mi stavi ascoltando.” Attestò pacata.
Harry chinò la testa, contemplando la schiuma della sua birra al frumento. “No.” Ammise. “Ginny è che…”
“Lo so.” Lo anticipò con un mezzo sorriso. “Non mi aspetto che tu mi ascolti. Ma non possiamo neppure mangiare in silenzio. È deprimente.” Raccolse le briciole con la punta dell’indice. “Ci sono novità?”
Era la frase che più aspettavano, e puntualmente non ce n’erano. Nora e Ron continuavano ad indagare, ed ogni mattina venivano a far rapporto, ma non vi era davvero niente di rilevante, o di nuovo.
Neppure Malfoy si era fatto sentire per la questione del rimpatrio di Lily; ad un suo Gufo di sollecito era corrisposto un silenzio inequivocabile.

Maledetta burocrazia magica. È così anche per i babbani? Adesso capisco Vernon e i suoi monologhi infiniti contro il loro governo.
“Nessuna.” Rispose e seppe di aver fatto passare un bel po’ di tempo dalla domanda. Ginny aveva finito la sua acquaviola nel frattempo. “Se non altro i ragazzi sono a scuola.”
“Non che questo impedisca granché.” Mormorò di rimando Ginny, lanciandogli un’occhiata eloquente. Harry ricordò come sua moglie, all’età dei suoi figli, aveva condotto una resistenza interna ed era stata torturata e maledetta svariate volte per finire a combattere in una battaglia all’ultimo sangue.

Ma la guerra è finita…
Avrebbero dovuto avvertirmi che le guerre hanno più declinazioni.

Le posò una mano sulla sua. “Teddy e la McGrannit li terranno al sicuro.” Le sorrise, anche se era tutto fuorché dell’umore di rassicurare chicchessia.
“Eravamo così da adolescenti?” Sospirò questa, facendolo ridacchiare. “No, non dirmelo, lo so. Eravamo peggio.”
“Assolutamente. Dovremo chiedere scusa ai tuoi per averli fatti preoccupare.”
Ginny si sporse per dargli un lieve bacio sulle labbra. “Quando tutto sarà finito.”
Harry!” Il tono di voce di Ron, baritonale e di presenza, li sorprese alle spalle. L’uomo a giudicare dai capelli arruffati e lo svolazzare del mantello di ordinanza aveva letteralmente fatto irruzione nel locale. A distanza lo seguiva Eleanor, più composta ma comunque trafelata.  

“Harry, Ginevra. Scusate l’interruzione.” Disse con un mezzo sorriso di scuse. Harry pensò che sotto sotto la teatralità del suo vecchio amico divertisse l’americana.
Fece un cenno dismissivo. “Novità?” Chiese. Era diventata la frase di quel periodo, davvero.
“Puoi giurarci!” Esclamò Ron con un sorriso trionfante. “Abbiamo passato l’intera mattinata al camino con un tizio del Ministero Indiano. Questi burocrati sono insopportabili ovunque!”
Harry sospirò impaziente, perché anche se aveva pensato la stessa cosa pochi attimi prima, non era il momento per lanciarsi in commenti. “Ron, le novità.”   
“Ah, sì!” Esclamò l’altro con aria colpevole. “Abbiamo trovato i Luzhin! O meglio, dove soggiornano quando sono in India. Un posto che si chiama Dimaper… o…”
“Dimapur.” Gli venne in soccorso Nora.
Per Harry fu un tutt’uno gettare il tovagliolo sulla sedia ed alzarsi in piedi, chiedendo con un cenno ad una delle cameriere il conto e il proprio mantello. “Avete chiamato l’Ufficio Passaporte per…”
“Già la abbiamo. Dobbiamo solo partire.” Lo anticipò l’agente americana. “Il mio contatto ci aspetta tra mezz’ora nel quartiere magico della città. Dobbiamo sbrigarci.”
Harry annuì, dando poi un’occhiata alla moglie, che gli sorrise, facendo un cenno dismissivo. “Vai. Al resto penso io.”
Non se lo fece ripetere, ed uscì dal Paiolo senza mantello e con un conto da saldare, ma finalmente, con un dannato obbiettivo.

 
****


Norvegia, Durmstrang.
Pomeriggio.

 
“Al non vorrà che venga.”
Rose alzò lo sguardo dalla lista che avrebbe consegnato agli elfi domestici di Durmstrang. Conteneva molto cibo e un sacco di sidro di mele – che sperava caldamente non fosse alcolico.
Lily le stava davanti, con l’aria della bambina che aveva ferrea certezza di non poter essere invitata alla festa perché era antipatica al festeggiato.
Un po’ le dispiacque, poi capì che era tutta una messinscena per farla intercedere al posto suo.

“Oh, piccola Potter, non potrà rifiutarti una festa, se è quella del suo compleanno!” Esclamò Scorpius, intenerito dai grandi, falsissimi, occhi tristi.
Lily sospirò. “È davvero arrabbiato con me, Sy… E sa mantenersi arrabbiato per un sacco di tempo.”
Quel beota del suo fidanzato la guardò con dispiacere. “Ma è una festa… Vedrai che non sarà così malvagio!”
“Albus non è malvagio, ha ragione.” Borbottò Rose a mezza bocca, dato che l’altra si stava praticamente abbracciando Malfoy e ciò non era tollerabile. “E tu falla finita. Va’ da lui e chiedigli scusa.”
Lily aggrottò le sopracciglia. “Non sono certo venuta qui per fargli un dispetto!”
“Non è questo il punto.” Sbuffò appoggiandosi allo schienale del divanetto del piccolo salottino che l’Istituto aveva loro concesso per la festa.

Francamente non speravo ci dessero davvero uno spazio…
Le capacità di persuasione di Scorpius e Dominique erano state superiori alle aspettative.
Lily, che era lì soltanto perché tutti i professori erano al momento impegnati, fece una smorfia irritata. “Spiegamelo allora, questo punto.”
“Sei viziata.” Replicò impietosa. “Ti aspetti che chiunque ti perdoni solo perché pensi di aver ragione. O che basti aver agito senza aver intenzione di fare del male. Non funziona così.”
La cugina stranamente non ribatté, limitandosi a mordersi un labbro. “È difficile chieder scusa a qualcuno che non vuole parlarti.”
“Trova il modo.” Scrollò le spalle, riprendendo la lista da dove l’aveva lasciata. Ignorò l’occhiata irata e il conseguente allontanarsi dell’altra. Finché rimaneva in vista, non era un problema.  

Scorpius si grattò una tempia, sedendosi sul bracciolo del divano. “Non credi di aver esagerato un po’?”
“No, per niente.” E lo pensava. “Lily è sempre stata abituata ad ottenere tutto ciò che vuole solo sorridendo ed essendo carina. Deve imparare a prendersi la responsabilità di ciò che fa.” Vedendo che l’altro rimaneva nella sua espressione dubbiosa – era un cuore tenero, Malfoy – si sciolse in un sospiro, posando per l’ennesima volta la maledetta pergamena. “Non fraintendermi, lo dico per il suo bene. Nella nostra famiglia non siamo tanto bravi a chieder scusa… È bene che impari.” Spiegò. “Prima di quanto abbia fatto io, se non altro.” Soggiunse.
Scorpius sorrise. “Tu mi hai chiesto scusa molto bene.” Le prese una mano tra le sue, quella dell’anello, e la intrecciò alla sua, baciandone il dorso. “Tanto che voglio passare il resto della mia vita ad importi la mia meravigliosa presenza.”
Rose cercò disperatamente di non morire in una pozza di gioia, congelando i lineamenti che premevano invece per esibirsi in un sorriso entusiasta. “Devo finire di ordinare il cibo per il rinfresco.” Proclamò rigidamente.

“E anche da bere. Alcolico, intendo. Sai, per noi maggiorenni.” Sottolineò Scorpius, scivolandole accanto e cercando le sue labbra per un bacio. “Che festa è senza un po’ di adolescenti ubriachi?”
“James ha avuto una pessima influenza su di te.” Sospirò, lasciando che le voltasse leggermente il viso con un dito e la baciasse. Il bello di aver palesato al mondo i suoi sentimenti, pensò, era poter baciare quel matto del suo ragazzo senza doversi nascondere.

Si sentì di colpo sfilare la pergamena dalle dita, e prima che potesse realizzare chi fosse stato, vide un lampo argentato all’angolo della visuale, seguito da un forte sghignazzo.
Oh, no.
“Domi! Dammi la lista!”
Beveraggio! Inebriante ambrosia degli dei!” Ululò la platinata cugina, brandendo il foglio come se fosse la Coppa del Tremaghi tra le risate e gli applausi – sul serio? – degli astanti. “Sono in missione per conto del dio del divertimento!”
Rose sentì Scorpius ridere contro la sua spalla e capì l’inganno. Tirò conseguentemente una botta sulla testa del deficiente. “Razza di idioti! Sarà una festa tranquilla, l’avevate promesso!”
Scorpius si massaggiò il punto colpito con il suo miglior sorriso da schiaffi. “Non dirlo a me, fiorellino. Pensa piuttosto a fermarla prima che consegni la lista agli elfi delle cucine.”

Violet, in fondo alla stanza e in apparenza non intenzionata a fermare la sua ragazza – lo sapeva, era anche un’alcolizzata – fece un sogghigno inquietantissimo. “Corre molto veloce. Ti consiglio almeno di provarci, Weasley.”
Rose, mentre partiva all’inseguimento, pensò che, dopotutto, Lily e i suoi aneliti da eroina romantica erano il male minore.
 
“Scusa.”
Al guardò sorpreso la sorella. Era marciata fino al suo tavolo, per tutta la biblioteca e ora lo guardava come se volesse dirgliene quattro invece che implorare il suo perdono. Aveva persino le orecchie paonazze, come succedeva solo nei momenti di più grande agitazione emotiva.

Indubbiamente assomiglia più a Jamie che a me.
Lanciò un’occhiata a Ted – doveva averlo costretto a scortarla fin lì – e rispose con un mezzo sorriso al suo cenno di saluto sprizzante pazienza.
“Per cosa?” Chiese, posando la piuma perché non sgocciolasse sui libri. Accanto a lui Tom spulciava un enorme tomo polveroso in tedesco per la Seconda Prova. Meike era con loro e stava tentando disperatamente di eludere la sorveglianza di entrambi e collateralmente farsi fare i compiti dal vecchio amico.
Lily inspirò. “Lo sai per cosa.” Fece una pausa lanciando un’occhiata all’altro serpeverde. “Possiamo parlarne da soli?”
Albus lanciò un’occhiata all’espressione curiosa di Meike e quella di falsissimo disinteresse del suo ragazzo. “Certo.” Sospirò suo malgrado.
Il fatto era che, nonostante tutto, se sua sorella aveva quell’aria abbattuta non poteva rimanere arrabbiato. Lily Luna aveva il potere di esasperarlo e intenerirlo in ugual misura sin da quando erano bambini. Era la sua sorellina dopotutto; gli era stata vicina quando Tom se n’era andato, era riuscita a farlo ridere quando fare un sorriso era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato. L’unica che non avesse tentato di convincerlo a rassegnarsi, ma che l’aveva solo abbracciato.
Quell’estate Lily gli aveva detto qualcosa che gli era rimasto impresso.
Mi nascondo perché aspetto che valga la pena uscire fuori…
In quegli ultimi mesi sua sorella era letteralmente uscita dal suo guscio di ragazzina un po’ capricciosa, ma tranquilla. Se non altro, molti lati inaspettati del suo carattere si erano scatenati con passione inaspettata.
E tutto per Sören Luzhin?
Allontanarla era la strategia sbagliata, lo aveva realizzato in quei giorni.
Se continuo a tenerla a distanza, è più difficile controllare che sta combinando.
Si appartarono tra due scaffali. “Senti… mi dispiace.” Iniziò Lily guardando dappertutto tranne che nella sua direzione. Dietro quella sua aria da bambolina nascondeva un orgoglio che faceva concorrenza a quello dei loro genitori. Assieme. “Non volevo farti preoccupare. Ho fatto una cosa cretina, e ti chiedo scusa. Sul serio.”
“Vuoi venire alla festa di stasera, eh?”
Lily gli scoccò un’occhiata colpevole. “Però le scuse sono sincere…” Mugugnò.
Al dovette trattenere un sorriso, perché era pur sempre un fratello maggiore e in vece dei suoi, da tale si doveva comportare. “Sul serio?”
Lily inspirò bruscamente. “Per favore, facciamo pace. Sai come far sentire qualcuno colpevole, credimi, mi ci sento moltissimo… e poi mi manchi.”
Albus le passò un braccio attorno alle spalle e si fece doverosamente stritolare, come codice fraterno comandava. “Ora va meglio.”

 
 
****
 
India, Nagaland, Dimapur.
Pomeriggio.
 
Harry non pensava che avrebbe visitato l’India due volte in meno di un anno e mezzo. Quando la Passaporta Intercontinentale – persino peggiore di quella per la Germania – li aveva fatti apparire nell’unico punto di Materializzazione della città si era sentito frastornato come se l’avesse investito un treno. Aveva a malapena salutato in modo dignitoso il contatto di Eleanor, un magro indiano dalla carnagione scura che si era presentato come Dhansiri.
O qualcosa del genere.
Il contatto, vestito con una casacca bianca e rossa  e una specie di pareo che aveva spiegato ad uno sconcertato Ron chiamarsi dhuti panjabi¹, li aveva fatti attraversare velocemente il quartiere magico; del posto Harry aveva solo memorizzato un’orgia di colori, stoffe, odori penetranti, donne con copricapi elaborati e uomini dalla barba più lunga di quella, leggendaria, di Silente. Poi erano saliti su un carro coperto trainato da cavalli macilenti e adesso stavano attraversando una trafficata strada babbana, in mezzo ad auto, motorini e animali di svariata taglia e genere.
Lanciò un’occhiata a Ron, che da quando erano saliti si era messo un lembo del mantello attorno al naso e aveva rifiutato di guardare ovunque tranne che i suoi piedi.
L’unica che sembrava perfettamente a suo agio era Nora. O forse era talmente concentrata a rimuginare che non notava neppure la cacofonia di suoni e odori attorno a loro.
Tossì all’ennesima nuvola di polvere e fuliggine che li investì.
Adesso capisco perché i Luzhin pensavano di poter esportare Polvere Volante. Viaggiare così è un inferno.
“Mi scuso. È il miglior mezzo di spostamento che abbiamo. Il più sicuro.” Esordì Dhansiri con un mezzo sorriso; non doveva essere la prima volta che aveva a che fare con maghi stranieri poco avvezzi al contatto forzato con il caos babbano. “Babbani.” Indicò infatti un po’ tutto attorno. “Qui le loro autorità sono molto attente. Niente materializzazioni, niente focolari.”
“Camini per la MetroPolvere?” Chiese, mentre Ron gli lanciava lunghe occhiate dolorose.

“Rischioso.” Scrollò le spalle. “Ci vogliono soldi, tempo. Molte protezioni.”
Harry non era in vena per approfondire il discorso quindi si limitò ad un sorriso disimpegnato. “Manca molto?”
“Dobbiamo uscire dalla città, poi un’altra ora. Le case dei maghi stranieri sono molto lontane dal centro. Più sicuro.” Ripeté.
Il resto del viaggio non fu particolarmente degno di nota. Usciti dalla città li aggredì la stessa vegetazione rigogliosa che avevano visto quando erano andati a cercare i Naga. Harry si spostò vicino alla strega americana, lanciandole un’occhiata. Ormai la considerava un membro effettivo della sua improvvisata squadra di indagine; aveva fatto molto affidamento su di lei, forse persino troppo per una persona che conosceva appena.

Non ho dimenticato il motivo per cui, in prima istanza, ci ha voluto aiutare…
Eleanor Gillespie era una strega intelligente e soprattutto, con un’innata capacità di avere relazioni fluide con chicchessia. Aveva molti contatti, supponeva, non solo in quanto agente del DALM americano, ma proprio per come riusciva a stimolare la fiducia nelle persone.
“Cosa pensi troveremo?” Chiese neutro, prendendola da lontano.
Un lampo di sorpresa attraversò le iridi della donna; era chiaro fosse completamente persa nei suoi pensieri. “Non saprei.” Iniziò pacata come sempre. “È una casa che i Luzhin hanno in comproprietà un’altra famiglia. È stato un vero tiro fortunato fare un’indagine più approfondita sulla loro cerchia di amici. I nobili tedeschi non sono molto propensi ad ammettere che non riescono a permettersi case all’estero, pare.”
Harry sorrise appena. “Adesso è vuota?”
“Sì, i comproprietari con cui abbiamo parlato ci hanno detto che la usano raramente ora che i parenti che avevano qui si sono ritrasferiti in Germania. Ci hanno comunque dato tutte le formule degli incantesimi di protezione. Non la usano da almeno due anni.”

“Potrebbero essere cambiati allora?”
“Dubito. Hanno un contratto magico che lo impedisce.” Fece un sorrisetto. “Finalmente non troviamo un muro, no?”
“Nora, come mai per te è così importante prendere Hohenheim?” La spiazzò, era evidente dall’espressione scombussolata. Ron lanciò loro un’occhiata ma continuò a guardare la strada come se non li avesse sentiti. Gliene fu grato. “La prima volta che ci siamo conosciuti mi hai detto che era personale.”
“Non l’ho detto.” Disse e non le si erano irrigiditi solo i lineamenti. Era tesa, sulla difensiva. La donna che aveva di fronte in quei mesi di frequentazione lavorativa non aveva mai messo un muro tra di loro, era sempre stata aperta e onesta. A domanda, aveva risposto senza esitazione o tentennamenti burocratici. Le poche volte che aveva messo un freno alla loro curiosità non era stato per pregiudicare l’indagine.

Adesso lo sto facendo. È personale.
“Me l’hai fatto capire.” Si sporse e le posò una mano sulla sua. “Ti ho anche chiesto se fosse una questione di vendetta. E ti ho risposto che non mi importava, finché potevo fidarmi di te.”
Nora guardò la mano, poi serrò appena le labbra. “Ed io ti ho risposto che avresti potuto.” Replicò. “Quindi adesso cosa vuoi sapere?”

Harry tolse la mano. “Quello che ti ho chiesto.” Disse molto semplicemente. “Ho bisogno di saperlo.”
“Alberich Von Hohenheim ha ucciso mio marito.” Lo disse staccando le parole, senza fretta, fissandolo direttamente negli occhi. Era uno sguardo vuoto, però, privo di qualsiasi calore o richiesta di comprensione. Era una mera attestazione. “Non direttamente, ovvio.” Soggiunse. “L’ha fatto uno dei suoi agenti, durante una delle loro operazioni.”

Harry vide con la coda dell’occhio che le spalle di Ron si erano mosse in un profondo sospiro. Anche da lì sentiva l’empatia che stava investendo l’altro. “Lavoravamo nella stessa unità, all’epoca.” Continuò Nora. “La Thule, come ti ho detto, non era ancora stata ufficialmente riconosciuta come organizzazione criminale di stampo internazionale. O conosciuta, in generale. Jeremiah fu chiamato per quella che sembrava una banale effrazione domiciliare.” Fece un messo sorriso amaro. “Il caso fu archiviato perché diventò una pista fredda. Nessun indizio, nessuna prova lasciata sul campo. Gli agenti che se ne occuparono lo classificarono come un semplice tentativo di furto.”
Harry aggrottò le sopracciglia. “Non fosti tu ad occupartene?”
Nora lo guardo quasi divertita. “Mi dissero che ero troppo coinvolta.”
Come te adesso, diceva la sua espressione. Harry d’improvviso comprese perché non si era mai opposta, né all’inizio né in seguito a tutte le interferenze, o al fatto che la squadra di indagine fosse guidata da Ron.

Ci è già passata.
“Ma tu non hai mai creduto che fosse solo quello.”
“Mio marito era un buon agente, uno dei migliori del nostro distretto.” Replicò con fermezza. “Non sarebbe mai andato solo, ignorando la procedura, se non avesse pensato che era un caso diverso dall’ordinario.” Si girò la seconda fede che indossava tra le dita. “Già allora eravamo sulle tracce della Thule, anche se erano solo gli inizi, i primi pezzi del puzzle… Jeremiah era passionale in tutto ciò che faceva, specialmente nel nostro lavoro. Seguiva il suo istinto, diceva.” Fece un mezzo sorriso. “Un po’ mi ricorda voi due.” Indicò con un cenno Ron, che ormai aveva smesso di fingere di non ascoltare.

“Hai mai saputo chi fosse l’esecutore?” Chiese infatti ed Harry fu certo che se l’amico ce l’avesse avuto davanti avrebbe maledetto il suddetto sul colpo. Non era un mistero che Ron nutrisse una forte simpatia per l’americana e stesse cominciando a rivedere molti dei suoi preconcetti per i loro cugini di oltreoceano grazie a lei.
Nora fece di nuovo un sorriso amaro. Erano domande a cui aveva dovuto rispondere molte volte, rifletté Harry. “C’erano degli Avversaspecchi incantati per monitorare lo studio. Sappiamo chi è stato. Il Camaleonte.”
“John Doe?” Sentì autentico dispiacere all’idea di non aver tolto di mezzo personalmente quell’avanzo di galera quando ne aveva avuto l’occasione.

Nora annuì. “Era il braccio destro di Von Hohenheim. Pagato profumatamente, ma dava lealtà solo a lui. Ma erano in due.” Si infilò di nuovo la fede. “L’altro era un ragazzino a giudicare dalla corporatura.”
Harry si lanciò un’occhiata con Ron. Era una coincidenza che tra loro e il padre naturale di Thomas ci fosse sempre un ragazzo? Ne dubitava.

E se fosse sempre lo stesso?
“Pensi che…”
Nora scosse la testa. “Come ho detto, tra gli adepti della Thule ci sono anche ragazzi appena diplomati. Poteva non essere il falso Sören. Ma se lo fosse…” L’espressione era quella di una leonessa in gabbia. “… avrebbe altre domande a cui rispondere.”

 
La villa era completamente in legno, recintata da alti cancelli in pietra, magici, che restituivano agli ignari babbani la vista di una vecchia catapecchia in rovina. Quello che gli occhi di un mago vedevano era invece una casa ben tenuta, in legname dipinto di un rosso mattone e dal tetto scuro, sviluppata su due piani. Non particolarmente lussuosa, ma comunque comoda e adatta a quelle temperature.
Considerazioni generali a parte, il posto sembrava disabitato da un po’. L’erba del prato all’inglese era alta centimetri, come se per mesi nessuno si fosse preso la cura di tagliarla e erbacce erano cresciute ovunque. Le numerose finestre che si aprivano sui bovindi raccontavano invece una storia diversa.
“Quando c’è la stagione delle piogge, qui?”
“Tra Giugno e Settembre.” Intervenne l’indiano, aprendo il cancello con un complicato movimento di bacchetta che era riprodotto su un taccuino che aveva cacciato fuori dalla casacca.

Harry indicò le finestre. “Sono state pulite. Qualcuno è stato qui di recente.”
“Non l’altra famiglia. Abbiamo controllato.” Ribatté Ron, tamburellando le dita sulla fodera della bacchetta con aria impaziente. “Credi che siano in casa?”
“No, la casa sembra disabitata, ma sono stati qui.” 
Entrati, perquisirono la casa come da procedura. C’erano evidenti segni che qualcuno vi avesse soggiornato di recente; vestiti negli armadi, scorte di cibo, libri e persino delle ricevute dello spaccio magico della città.
“C’è il guardaroba minimo per tre persone.” Esordì Nora uscendo da una delle camere del piano di sopra. “Sören è stato qui.”
“L’impostore o…”
“Quello vero, Ron. Lui e i suoi genitori. Si sono nascosti qui, dove nessuno li avrebbe potuti rintracciare. Neppure il loro factotum sapeva dell’esistenza di questo villino.” Rispose Harry all’amico che rivedeva gli estratti con aria concentrata.

“Non se ne sono andati da tanto. Questi conti risalgono ad una settimana fa.” Li sventolò sospirando. “Li abbiamo mancati di poco.”
Dhansiri rientrò in quel momento. Indicò con un cenno il giardino. “C’è qualcosa che dovreste vedere, agenti.”
Uscirono tutti nel giardino sul retro. L’indiano si diresse a colpo sicuro verso una pila di frasche, probabilmente tagliate dagli alberi che debordavano sulla proprietà. Le scostò con un colpo di bacchetta e rivelò terra smossa.
Ad Harry non ci volle che qualche secondo per realizzare per quale motivo era stato scavata. La forma, la dimensione della buca riempita era inequivocabile.
“È una tomba.” Mormorò Nora impallidendo.
Ron imprecò, dirigendosi ad ampie falcate verso la zona. Si chinò premendo una mano sul terriccio fresco. “Non più di una settimana.” Stabilì con tono brusco. “Non ha neppure cominciato a compattarsi.” Si passò una mano sul viso e non disse altro.
Harry non replicò mentre la rabbia e l’impotenza lo investiva come un’onda maligna; non aveva potuto fare niente per evitare la morte dei Luzhin, nonostante li avesse cercati per mesi. Niente.
Mi dispiace. Dannazione. Mi dispiace.
Si strofinò la cicatrice, mentre Nora gli lanciava un’occhiata attenta. “Non è colpa di nessuno, né nostra né tantomeno tua.” Disse mettendogli una mano sulla spalla. “Sono stati loro stessi a rendersi irrintracciabili. Come potevamo proteggerli se non sapevamo dov’erano?”
“Ma qualcuno li ha trovati e li ha messi a tacere. La stessa persona che li aveva fatti temere per la loro incolumità. Non erano qui per aspettare che il Torneo finisse, Nora. Si stavano nascondendo.”

“Non potevi salvarli, Harry.” Ripeté l’altra con fermezza. Non rispose, sapendo che era vero, che i Luzhin si erano scavati letteralmente la fossa con le loro mani cadendo nella rete di Alberich Von Hohenheim.
Nonostante questo, non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile. Probabilmente era la sindrome da eroe. O patologia, come sosteneva Ginny.
Non sono arrivato in tempo. Non li ho salvati.
“Tiriamoli fuori di lì.” Disse, e sembrava la voce di un altro, non la sua. “Identifichiamoli. Dobbiamo essere sicuri che siano loro prima di procedere. In ogni caso, la loro morte ci permetterà di aprire casa loro e trovare le prove che ci servono.”
“Harry…” Lo richiamò Ron, mentre si alzava spazzolandosi i pantaloni. “Qualcosa non torna.” Esordì e alla sua espressione confusa, spiegò. “Erano tutti e tre qua, giusto? Le scorte, i vestiti indicano che c’erano sia i genitori che il ragazzo. Ma la dimensione della fossa e il volume di terra smossa…” Scosse la testa. “Potrei sbagliarmi, ma…”
“Ma cosa?”
“Sembra che siani stati seppelliti due corpi, non tre .”

 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Dopocena.

 
La festa era divertente come Lily si era aspettata; del resto mettere un evento nelle mani di Dominique era automaticamente portarlo al successo. Aggiunto a lei, Scorpius era un insospettabile ma eccellente selezionatore di canzoni wrock e babbane. Persino Tom alla fine si era rilassato abbastanza per esibire qualche magro sorriso, tenendosi comunque ben lontano da qualsiasi ipotesi danzante, a differenza di Al, che al momento stava facendo ballare Meike ed elargiva a chiunque ringraziamenti e sorrisoni. Era contenta che suo fratello si fosse finalmente buttato, almeno per un po’, la tensione alle spalle.
Comunque non era quello il problema.
Finì il suo cocktail miscelato per lei appositamente dalle mani bislacche di Dominique; aveva un ottimo sapore, ma era un po’ tanto forte, tanto che già le girava la testa. Posò il calice da qualche parte e si diresse verso l’entrata del salottino, dove la musica era attutita e nessuno cercava di coinvolgerla in nessuna conversazione.

Aveva pregato Albus di farla partecipare, ma dal momento in cui la festa era iniziata non si era sentita affatto di umor festaiolo. Anzi, tutt’altro.
Chissà Ren cosa sta facendo adesso…
Perché il karma esisteva e ce l’aveva con lei – non gliel’aveva forse detto, Fiorenzo? – la canzone cambiò e ne venne una che Lily non conosceva, ma che sfortunatamente aveva molto più senso di tutte le altre fino a quel momento ascoltate.
 
All of the things that I want to say, just aren't coming out right
I'm tripping on words, you got my head spinning
I don't know where to go from here

 
Era orribile essere innamorate. Oltre a quello, già complicato di per sé, si aggiungeva quella dannata situazione allucinante.
Approfittando del fatto che tutti fossero distratti – anche Teddy, che stava chiacchierando di cose barbose con Rose – aprì la porta ed uscì fuori, per respirare un po’ d’aria fredda e ricomporsi prima di farsi beccare con gli occhi lucidi da chicchessia.

Non sapeva davvero che fare con Sören; aveva fatto la spaccona, aveva detto che l’avrebbe cercato, aiutato, ma la realtà è che non aveva idea di come. Dopotutto era solo una studentessa del Quinto.
Quindici, schifosissimi anni.
Se Al e Thomas avevano potuto vivere la loro grande, spaventosa avventura e salvarsi a vicenda lei non riusciva nemmeno a parlare con l’altro senza che scappasse nella direzione opposta.
“Se vuoi aiutare … devi anche trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
E se Albus avesse avuto ragione?
Immersa nel buio, notò subito quando una luce apparve alla fine del lungo, snodato corridoio. Dovevano essere da qualche parte nell’ala Est, anche se non ne era troppo sicura dato che aveva semplicemente seguito Rose e il resto delle ragazze.
La luce, quella di una torcia a giudicare dal colore caldo – il lumos era bluastro – si stava avvicinando a passo d’uomo e Lily si passò velocemente le mani sulle guance, pregando che il trucco babbano che le era stato regalato per Natale avesse tenuto come prometteva la confezione.
Non si sarebbe mai aspettata di trovarsi di fronte Poliakoff. Neppure lui, a giudicare dalla smorfia che fece. “Inglesina.” La apostrofò con un sorrisetto e un inchino cortese ma di facciata. “Sempre in giro, vedo.”
“C’è un compleanno.” Replicò con una scrollata di spalle. “E comunque non preoccuparti, non ho la minima intenzione di andare in giro a ficcanasare.”
“Ren detto me differente.” Replicò senza stare troppo attento alla forma. Tanto Lily aveva capito il sottotesto. “… So di vostro incontro in caletta.”

“Come lo sai?” Di certo Tappo Tombo – adorava Dominique e i suoi nomignoli – non l’aveva saputo dalla McGrannit. Stava bluffando? No. Sapeva davvero qualcosa.
Il russo si strinse nelle spalle. “Io suo assistente. Lui me parla, sai.” Inarcò le sopracciglia. “Ma tu piange?”
“No.” Le sembrava assurdo che Sören si fosse confidato con quel tizio, ma del resto aveva scoperto che erano assurde tante altre cose e inoltre, in quella caletta erano indubbiamente soli. Ren aveva parlato.
E non a me.
“Lui tiene a te.” Esordì il russo a sorpresa. Si passò la torcia nell’altra mano e le porse un fazzoletto insospettabilmente pulito, visto il tipo. Fece un sorrisetto tollerante. “Avanti. Io no te piace, io so. Ma fraülein che piange, non si lascia piangere. È codice di Istituto.”
Dopotutto era solo un fazzoletto e quindi Lily lo prese e si asciugò il viso. Il trucco aveva retto, era tutto il resto che era indicativo, supponeva. Gli lanciò un’occhiata; Tappo Tombo si stava comportando in modo anomalo e diceva cose anomale. Non sembrava intenzionato a provarci con lei, non era quello l’atteggiamento. Manteneva una distanza adeguata e le aveva passato il fazzoletto senza tentare di toccarla.

Allora cosa?
“Certo che tiene a me, siamo amici.” Borbottò soffiandosi il naso. Gesto dubbio o meno, un fazzoletto le serviva. Il vestito corto che indossava e il coprispalle che lo accompagnava erano carini e alla moda sì, ma non erano forniti di tasche. “Quello che mi chiedo è come lo sappia tu.”
“Tu forse non sa tante cose di Sören, ma neanche di me. Tu non è unica che è stata con lui in questi mesi.”
“Non mi siete mai sembrati amiconi.” Ribatté caustica. Non le importava di essere sgarbata. Si ricordava come l’avesse mollata in mezzo ai Dissennatori alla Prima Prova, e come fosse stato disgustoso in generale.

E poi Ren l’ha sempre tenuto a distanza quando era con me. Un motivo ci sarà.
Il russo si strinse nelle spalle. “Niet, non lo siamo, è vero. Però questo no significa che io non sappia.” E qui si fermò, guardandola con intenzione. “Lui è nei guai, e io so che guai sono perché ci sono anche io dentro.”
Lily finse con tutte le sue forze di non far vedere che il cuore aveva preso a batterle come una gran cassa.  
Perché ne parla a me?
“Hai passato tutti i mesi di Hogwarts a tentare di allontanarmi da Ren…” Iniziò cercando disperatamente di capire cosa si nascondesse dietro l’espressione poco intelligente di Kirill Poliakoff. Era una LeNa, anche senza orecchino capiva le persone. Si accorse con sorpresa che non gli arrivava niente dal suo interlocutore.
Si è Occluso? No, insomma… credo di no. Non lo so… Perché non funziona?
Fraintendendo la sua espressione, l’altro sorrise. “Erano ordini.”
“Da chi?”
Non gli rispose. “Se vuoi aiutare Ren, tu deve fidarti di me.”
“Col cavolo!” Esplose facendosi guardare con sbalordimento. “Perché dovrei?”

L’altro sembrava ad un passo dal perdere la pazienza, ma sorrise di nuovo. Quello schifoso sorrisetto untuoso che gli avrebbe cancellato dalla faccia tanto volentieri. Magari con uno schiaffo. “Perché possiamo fare in modo che tuo Ren non finisca a Nurmengard.”
E non c’era nient’altro che dovesse dirle, davvero.
Lily, che fino ad un momento prima si era abbastanza accaldata dalla temperatura alla festa, sentì freddo. Tanto. Si strinse nel coprispalle e gli lanciò un’occhiata, facendogli cenno di continuare.
“Lui è indagato, e Auror sono bravi.” Obbedì il ragazzo. “Nurmengard è brutto posto. Peggio di vostra Azkaban, mi hanno detto. Carcere duro. Non esci, solo entri. Per sempre.”
Lily sapeva, aveva già interiorizzato che Sören aveva la sua dose di colpe. Ma nonostante questo non poté fare a meno di avere un’improvvisa, violenta, voglia di gridare e piangere. “È stato lui… con i Dissennatori?”

“Costretto.” Convenne. “Come me. Tu sa chi ha costretto noi… potente, impossibile rifiutare. Pericoloso. Questione di vita o di morte. Lui ha minacciato nostre famiglie. Tu capisce?” Chiese grave.
Lily non capiva, ma poteva accettarlo. Se qualcuno dei suoi fosse stato minacciato, avrebbe ceduto alle richieste di un mostro? Forse. Probabilmente. Di sicuro. “Sì… credo di sì.”
“Io no voglio finire in prigione. Tu vuoi che Ren finisca?”
“… no. No, certo che no!” Era confusa, spaventata. Era stata così stupida a voler essere invischiata nell’azione. Eppure c’era e ora le si chiedeva di fare una scelta. “Perché non parli con il tuo Direttore?”
Con un adulto, maledizione!
Il ragazzo fece una smorfia sarcastica. “Tu non fidi di me, ma anche io non fido degli altri. Herr Direktor è in contatto con quell’uomo.”
Lily inspirò; doveva immaginarlo. Era impossibile che non ne sapesse qualcosa, ma diversamente da quanto avrebbe fatto il loro Preside, gli stava benissimo che quel mostro del padre di Thomas spadroneggiasse nella sua scuola e ricattasse i suoi studenti.

“Sören non si fida degli altri. Si fida solo di te.” Aggiunse. Lily lo guardò e sembrava, con tutti i crismi, sincero. Non percepiva menzogne, non c’era niente nella sua espressione che lo mostrava. “Io non posso convincerlo a parlare ad Auror, tu ancora non ci sei riuscita. Ma insieme, forse possiamo.”
Lily prese un ennesimo sospiro. Chi le aveva detto che l’importante era respirare?
Piantò gli occhi in quelli dell’altro. Sicurezza. Era importante anche quella.
“Okay. Che devo fare?”  
 
 
****
 
Note:


E infatti, mi odierete come ho detto su effebbì. Prossimo capitolo, puntone massimo di svolta.
Da qui, si finisce presto! ;D

Canzone capitolo qui.
La maglietta di Tom, visto che documento tutta la cronistoria delle sue t-shirt, è questa Il prezzo? Vi stupite che Tommy sia un collezionista? Ce l’ha nella – aehm – anima. xD
1.Qui per maggiori info.
La canzone che Lily sente invece è questa una roba che se non sei di buon’umore… da sotterrarsi. Per l’appunto.
  
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